","Messico: un altro terremoto di classe","post",1506689056,[61,62,63,64],"http://radioblackout.org/tag/classe/","http://radioblackout.org/tag/messico/","http://radioblackout.org/tag/terremoti/","http://radioblackout.org/tag/violenza-politica/",[66,67,24,32],"classe","messico",{"post_content":69,"tags":73},{"matched_tokens":70,"snippet":71,"value":72},[24],"colpito indiscriminatamente, perchè anche i \u003Cmark>terremoti\u003C/mark> sono sempre di classe: colpiscono","\"Ore 7.19 del 19 settembre 1985. Le vie di El Centro, il quartiere storico di Città del Messico, erano vuote: la maggior parte dei capitalinos o stava dormendo o era già in fabbrica. Il terremoto dell’ottavo grado della scala Richter sorprese gli uni nel sonno, gli altri al lavoro. Una scossa lunga – più di tre minuti – e devastante: 10 mila morti, 100 mila case crollate e 5 milioni di persone senza acqua né luce. Nel 1985 la capitale era la città più popolosa del mondo: 16 milioni di abitanti concentrati soprattutto nella Colonia Obrera, il quartiere operaio. Era l’epoca del miracolo economico messicano e dagli Anni 70 migliaia di persone avevano scelto di trasferirsi dalla campagna in città in cerca di lavoro. Lo sviluppo urbano fu incontrollato: per tre decenni leggi e piani regolatori permissivi avevano consentito la costruzione di edifici precari non in linea con le norme antisismiche. (...) Ma il simbolo del terremoto del 1985, e delle disastrose politiche abitative del governo autoritario del Partito rivoluzionario istituzionale, rimasero le immagini del complesso residenziale Tlatelolco, un’area di due chilometri quadrati costruita nel 1960 per ospitare 80 mila persone. La scossa travolse buona parte dei 102 edifici che costituivano il complesso, intrappolando migliaia di persone: dalle macerie furono estratti più di 500 cadaveri.\" (da Messico, breve storia del terremoto del 1985)\r\n\r\n \r\n\r\n32 anni dopo la storia si ripete. Dopo la violentissima scossa sismica di magnitudo 8.2 del 7 settembre scorso, che ha colpito in particolare gli stati meridionali di Chiapas, Oaxaca, Veracruz e Guerrero, il 19 settembre un terremoto di magnitudo 7.1 ha investito la regione centrale del Messico, causando la morte di 337 persone, 200 delle quali nella capitale. Anche questa volta la calamità non ha colpito indiscriminatamente, perchè anche i \u003Cmark>terremoti\u003C/mark> sono sempre di classe: colpiscono gli edifici più vecchi, quelli per cui non ci sono soldi per la manutenzione, quelli costruiti speculando, colpiscono le zone in cui il rischio sismico è più alto ma dove chi non ha soldi o documenti è costretto ad abitare, colpiscono i quartieri delle classi popolari, le baraccopoli, colpiscono i poveri. La violenza politica e strutturale messa a nudo dai crolli è la stessa di trent’anni fa: speculazione edilizia, assenza di misure di prevenzione, enorme divisione di classe, anche in termini spaziali.\r\n\r\n \r\n\r\nLa \"gestione\" istituzionale dell'emergenza riproduce questa violenza. Interesse del governo messicano guidato da Peña Nieto è quello di favorire le imprese e la speculazione edilizia facendo del post-terremoto un'occasione per derubare ulteriormente la popolazione che però, come nell'85, sta dando prova di una grande capacità di auto-organizzazione. La solidarietà della strada, spontanea, è emersa con forza per riprendersi la città e tutti i luoghi colpiti dal terremoto. Persone che si arrangiano in modo autonomo per sottrarre le macerie da una classe politica collusa con le multinazionali, che vorrebbe demolire edifici che avrebbero bisogno solo di riparazioni per favorire i profitti degli speculatori immobiliari. Persone che si mobilitano da sé contro lo Stato e il Capitale per salvare le vite e la memoria di corpi \"di scarto\". Come quelli delle sarte cinesi e centroamericane senza documenti, morte nel crollo di una maquiladora nella zona obrera a Città del Messico. Se non fosse stato per alcune colleghe sopravvissute, di loro non si saprebbe nulla: l'unica preoccupazione dei padroni è stata quella di recuperare macchinari e materiali e rimuovere i detriti il più velocemente possibile per ottenere i fondi assicurativi.\r\n\r\n \r\n\r\nPer un commento sulla natura di classe dei \u003Cmark>terremoti\u003C/mark>, questa mattina abbiamo raggiunto ai microfoni Piero Gorza, antropologo e ricercatore presso l'Instituto de Estudios Indígenas di San Cristóbal de Las Casas:\r\n\r\nUnknown\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ",[74,76,78,81],{"matched_tokens":75,"snippet":66},[],{"matched_tokens":77,"snippet":67},[],{"matched_tokens":79,"snippet":80},[24],"\u003Cmark>terremoti\u003C/mark>",{"matched_tokens":82,"snippet":32},[],[84,89],{"field":35,"indices":85,"matched_tokens":86,"snippets":88},[14],[87],[24],[80],{"field":90,"matched_tokens":91,"snippet":71,"value":72},"post_content",[24],578730123365712000,{"best_field_score":94,"best_field_weight":95,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":96,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},"1108091339008",13,"578730123365711978",{"document":98,"highlight":115,"highlights":123,"text_match":129,"text_match_info":130},{"cat_link":99,"category":100,"comment_count":47,"id":101,"is_sticky":47,"permalink":102,"post_author":50,"post_content":103,"post_date":104,"post_excerpt":53,"post_id":101,"post_modified":105,"post_thumbnail":53,"post_thumbnail_html":53,"post_title":106,"post_type":58,"sort_by_date":107,"tag_links":108,"tags":114},[44],[46],"24202","http://radioblackout.org/2014/07/fracking-una-tecnica-remunerativa-per-estrarre-terremoti/","Il 3 luglio «Science» ha pubblicato un articolo che dimostra come esista una diretta correlazione tra l’uso della tecnica estrattiva del fracking e l’intensificarsi di fenomeni sismici. A destare preoccupazione è stato il moltiplicarsi di terremoti in aree statunitensi normalmente poco soggette a fenomeni tellurici, come l’Ohio, la Pennsylvania, ma soprattutto l’Oklahoma, in cui dal 1976 al 2006 è stato registrato un solo terremoto l’anno, ma tra il 2008 e il 2013 i terremoti sono saliti a 44 l’anno. Sono solo 4 gli impianti operativi in questo Stato, ma sarebbero bastati a provocare le centinaia di terremoti di questi ultimi cinque anni. Di contro il National Geographic aveva negato il legame tra la fratturazione idraulica e i terremoti (ammettendola solo come concausa in caso di faglie già predisposte e al limite di rottura) e articoli cercarono di soffocare le voci che ancora durante il terremoto in Emilia del 2012 ponevano in relazione il cataclisma con la tecnica di estrazione, negando che fosse in uso nella pianura padana (mentre nel segreto imposto dai governi invece se ne fa largo uso)\r\n\r\nMa cosa è il fracking di preciso? Si tratta di una tecnica che adotta forti getti d’acqua e agenti chimici e agisce su superfici argillose per spaccare le rocce del sottosuolo a parecchi chilomentri di profondità, ed estrarre sostanze utili per produrre energia. Sul fracking gli Stati Uniti stanno puntando poderosamente da qualche anno, ma anche in Europa Germania Francia e soprattutto Regno Unito hanno adottato questa tecnica, finché l'allarme ha fatto rallentare - o sospendere come in Germania - le attività in attesa di capirne di più... e a tale proposito è illuminante l'intervento che abbiamo chiesto al geologo Massimo Civita, docente al Politecnico di Torino di geologia applicata e idrogeologia\r\n\r\n \r\n\r\n2014.07.10-civita_fracking","10 Luglio 2014","2014-07-21 14:06:41","Fracking: una tecnica remunerativa per estrarre terremoti",1405000419,[109,110,111,112,113],"http://radioblackout.org/tag/earthquake/","http://radioblackout.org/tag/estrazione/","http://radioblackout.org/tag/falde/","http://radioblackout.org/tag/fracking/","http://radioblackout.org/tag/scisto/",[28,26,18,22,20],{"post_content":116,"post_title":120},{"matched_tokens":117,"snippet":118,"value":119},[24],"è stato il moltiplicarsi di \u003Cmark>terremoti\u003C/mark> in aree statunitensi normalmente poco","Il 3 luglio «Science» ha pubblicato un articolo che dimostra come esista una diretta correlazione tra l’uso della tecnica estrattiva del fracking e l’intensificarsi di fenomeni sismici. 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Oggetto di queste aggressioni sono state lavoratrici, passanti, residenti, turiste che hanno avuto la sfortuna di incrociare sul loro percorso l'adunata militarista. Questi fatti non sono certo una novità. Dopo ogni adunata degli alpini le testimonianze arrivano a centinaia. Le istituzioni si affrettano come sempre ad una compatta levata di scudi in difesa del buon nome del corpo degli alpini. \"È solo goliardia, i valori degli alpini sono ben altri, è colpa delle mele marce...\" fino al virtuosismo di arrampicata sugli specchi che incolpa gli \"infiltrati\" che dotatisi abusivamente di cappello con la piuma si sarebbero approfittati della situazione. Una giustificazione che - pur nel ridicolo - palesa esattamente uno dei problemi: le adunate degli alpini sono il contesto perfetto in cui i valori del patriarcato sono talmente forti ed accettati che anche i semplici simpatizzanti si sentono legittimati e al sicuro ad agire con violenza nei confronti delle donne.\r\nNe abbiamo parlato con Anna della Miccia di Asti, dove in aprile si è tenuto il raduno provinciale degli alpini, contestato dagli antimilitarist*\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/2022-05-17-anna-alpini-molestie.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito alcuni stralci del comunicato del La Miccia:\r\n“Basterebbe avere il coraggio di chiedersi il perché. La cultura patriarcale della forza fisica, della violenza, della supremazia dell'uomo etero e cis è la base fondante di ogni corpo militare. Ogni contesto militare poggia le fondamenta su valori culturali intrisi di machismo, esibizione muscolare ed esaltazione della violenza. Valori che si palesano massimamente negli scenari di guerra come espressione estrema del patriarcato: basti pensare allo stupro come arma universale di terrore e conquista nei territori di guerra, un'arma per nulla casuale e mai ignorata nell'arsenale bellico di ogni esercito.\r\nMa c'è di più, perché gli alpini non sono solo un corpo militare attivo negli scenari di guerra al servizio dello stato italiano. Agli alpini è riservato nell'immaginario comune anche un ruolo civile e sociale di soccorritori, aiuto durante le grandi emergenze come terremoti o alluvioni e, grazie al capillare associazionismo che riempie città e paesi, anche di animatori di feste e sagre. Un ruolo ancora una volta estremamente caratterizzato in modo patriarcale e paternalista. Come se non bastasse sono coinvolti anche nella gestione della sicurezza pubblica nelle città, come per l'operazione orwellianamente chiamata Strade Sicure (e chiedetelo alle donne quanto sono sicure le strade piene di alpini).\r\n\r\nCome donne, individualità non conformi e uomini impegnatx nella lotta transfemminista vediamo molto chiaramente queste connessioni. Le adunate degli alpini sono la celebrazione in contesto civile di un corpo armato dell'esercito, un raduno di persone che inneggiano - più o meno consapevolmente - a professionisti della guerra. Persone a cui tutto è concesso e perdonato perchè attorno al cappello con la piuma è stato propagandato nel tempo un mito di bonarietà che li dipinge come militari sì, ma quelli buoni, patriottici, persino associati, da una certa sinistra, alla figura dei partigiani.\r\n\r\nVediamo chiaramente come gli alpini non si discostino di un millimetro da questo modello, anzi di come lo rivestano di un velo di folklore che lo rende ancora più pericoloso in quanto socialmente più accettabile. Adunata dopo adunata ce ne danno prova creando un contesto di costante e ripetuta minaccia alle donne, militarizzando le città e rendendole impossibili da attraversare in sicurezza per tutte le donne e le individualità che si discostano dal ruolo imposto dei generi.\r\nCrediamo fortemente che le lotte transfemministe e antimilitariste non possano essere separate, e anzi si debbano rafforzare a vicenda attraverso la critica, l'analisi, la partecipazione collettiva e la costruzione dal basso di una resistenza. Vogliamo resistere al patriarcato e alla retorica militarista che si sta rafforzando giorno dopo giorno. Qui ad Asti poco più di un mese fa si è celebrato il centenario della sezione astigiana, tre giorni in cui le penne nere hanno invaso il centro cittadino installando pure una cittadella militare. In quell'occasione non siamo rimast* in silenzio, siamo sces* in piazza, abbiamo contestato la presenza militare in città e le loro celebrazioni guerrafondaie! I fatti di Rimini ci spingono ancora di più ad opporci con tutte le nostre forze alla presenza militare nelle nostre città. Patriarcato e militarismo sono due elementi inscindibili. Non si può combatterne uno, difendendo l'altro. Non sono mele marce. È la pianta che è da abbattere.”","17 Maggio 2022","2022-05-17 16:15:39","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/raduno-alpini-intervista-schlein-rimini-2022-denunce-molestie.-1200x627-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"157\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/raduno-alpini-intervista-schlein-rimini-2022-denunce-molestie.-1200x627-1-300x157.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/raduno-alpini-intervista-schlein-rimini-2022-denunce-molestie.-1200x627-1-300x157.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/raduno-alpini-intervista-schlein-rimini-2022-denunce-molestie.-1200x627-1-1024x535.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/raduno-alpini-intervista-schlein-rimini-2022-denunce-molestie.-1200x627-1-768x401.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/05/raduno-alpini-intervista-schlein-rimini-2022-denunce-molestie.-1200x627-1.jpg 1200w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Alpini e molestie",1652800494,[148,149,150,151,152,153,154,155,156],"http://radioblackout.org/tag/adunata-degli-alpini-a-rimini/","http://radioblackout.org/tag/asti-alpini/","http://radioblackout.org/tag/la-miccia/","http://radioblackout.org/tag/machismo-e-militarismo/","http://radioblackout.org/tag/molestie/","http://radioblackout.org/tag/stupri-di-guerra/","http://radioblackout.org/tag/transfemminismo/","http://radioblackout.org/tag/violenza-patriacale/","http://radioblackout.org/tag/zapini/",[158,159,160,161,162,163,164,165,166],"adunata degli alpini a rimini","asti alpini","la miccia","machismo e militarismo","molestie","stupri di guerra","transfemminismo","violenza patriacale","zapini",{"post_content":168},{"matched_tokens":169,"snippet":170,"value":171},[24],"durante le grandi emergenze come \u003Cmark>terremoti\u003C/mark> o alluvioni e, grazie al","Durante la 93ª adunata degli alpini che si è svolta a Rimini e San Marino tra il 5 e l’8 maggio si sono verificati decine e decine di casi di molestie verbali e fisiche contro donne. 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Questa decisione conferisce poteri straordinari al governo, che ha mano libera nella gestione dell’impegno dell’Italia nel conflitto in Ucraina. Già sono scattate misure straordinarie relative all'aumento della spesa militare e l’invio di armi in Ucraina. In particolare è già stato emanato un decreto-legge che contiene “una norma abilitante che, dopo una preventiva risoluzione delle Camere, consente al Ministro della difesa di adottare un decreto interministeriale per la cessione alle autorità governative dell’Ucraina di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, anche in deroga specifica ad alcune disposizioni vigenti”. Le leggi che vieterebbero l’invio di armi a paesi in guerra – in primis la legge 185 del 1990 - da sempre aggirate dall’industria armiera italiana con abili giochi di triangolazione, vengono saltate con sol balzo dal governo, che la sospende per “emergenza”.\r\nIl decreto-legge si occupa anche “del livello di rischio imprevisto per il normale funzionamento del sistema nazionale di gas naturale. Per questo si autorizza l’anticipo, anche a scopo preventivo, dell’adozione delle misure di aumento dell’offerta e/o riduzione della domanda di gas previste in casi di emergenza.” In altre parole il governo affida a TERNA, l’Ente gestore della rete, la facoltà di chiudere i rubinetti o aumentare ancora la spesa per il gas.\r\n“Il provvedimento prevede il rafforzamento della rete di accoglienza degli stranieri. Inoltre, si dispone che i cittadini ucraini vengano ospitati nei CAS anche indipendentemente dal fatto che abbiano presentato domanda di protezione internazionale.” I rifugiati ucraini godranno di un trattamento sistematicamente negato a chi arriva da altri fronti di guerra.\r\nLo Stato di emergenza è previsto dalla legge numero 225 del 24 febbraio del 1992. Questa legge è stata pensata per dare maggiori poteri alla protezione civile in caso di calamità, come terremoti, alluvioni, incendi di vasta portata, epidemie. Il suo utilizzo per la guerra in Ucraina è, anche dal punto di vista strettamente giuridico, del tutto abnorme.\r\nQuesto esecutivo la sta utilizzando per esautorare parte delle funzioni attribuite al parlamento e rafforzare i poteri dell'esecutivo, senza neppure l’esile filtro del voto delle camere.\r\nPotrebbero parere questioni di scarso interesse dal punto di vista della critica radicale allo Stato e alle dinamiche delle democrazie liberali, ma nei fatti potrebbe essere l’ombrello che consentirà all’esecutivo di limitare la possibilità di contestazione attiva delle scelte guerrafondaie del governo Draghi. Durante lo stato di emergenza pandemico, che, forse, terminerà il 31 marzo è stata fortemente limitata la libertà di manifestare. Una miriade di divieti è ancora utilizzata per impedire i cortei o per limitarne i percorsi, nonostante tutte le altre attività produttive, ricreative, commerciali e culturali siano state riaperte.\r\nDi fronte ad una guerra, in cui l’informazione è già pienamente schiacciata sulle posizioni governative, la proclamazione dello stato di emergenza, potrebbe preludere a nuove, inedite strette disciplinari.\r\nNe abbiamo parlato con l’avvocato Eugenio Losco.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/2022-03-08-losco-stato-di-energenza.mp3\"][/audio]","8 Marzo 2022","2022-03-08 20:09:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/The-Awakening-Washington-638x336-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"158\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/The-Awakening-Washington-638x336-1-300x158.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/The-Awakening-Washington-638x336-1-300x158.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/The-Awakening-Washington-638x336-1.jpg 638w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Stato di emergenza bellico",1646770192,[192,193,194,195,196,197],"http://radioblackout.org/tag/emergenza-permanente/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/guerra-in-ucraina/","http://radioblackout.org/tag/profughi-di-guerra/","http://radioblackout.org/tag/rafforzamento-dellesecutivo/","http://radioblackout.org/tag/stato-di-emergenza/",[199,15,200,201,34,202],"emergenza permanente","guerra in ucraina","profughi di guerra","stato di emergenza",{"post_content":204},{"matched_tokens":205,"snippet":206,"value":207},[24],"in caso di calamità, come \u003Cmark>terremoti\u003C/mark>, alluvioni, incendi di vasta portata,","Il 28 febbraio il governo ha proclamato lo stato di emergenza per \"motivi umanitari\". Questa decisione conferisce poteri straordinari al governo, che ha mano libera nella gestione dell’impegno dell’Italia nel conflitto in Ucraina. Già sono scattate misure straordinarie relative all'aumento della spesa militare e l’invio di armi in Ucraina. In particolare è già stato emanato un decreto-legge che contiene “una norma abilitante che, dopo una preventiva risoluzione delle Camere, consente al Ministro della difesa di adottare un decreto interministeriale per la cessione alle autorità governative dell’Ucraina di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari, anche in deroga specifica ad alcune disposizioni vigenti”. Le leggi che vieterebbero l’invio di armi a paesi in guerra – in primis la legge 185 del 1990 - da sempre aggirate dall’industria armiera italiana con abili giochi di triangolazione, vengono saltate con sol balzo dal governo, che la sospende per “emergenza”.\r\nIl decreto-legge si occupa anche “del livello di rischio imprevisto per il normale funzionamento del sistema nazionale di gas naturale. Per questo si autorizza l’anticipo, anche a scopo preventivo, dell’adozione delle misure di aumento dell’offerta e/o riduzione della domanda di gas previste in casi di emergenza.” In altre parole il governo affida a TERNA, l’Ente gestore della rete, la facoltà di chiudere i rubinetti o aumentare ancora la spesa per il gas.\r\n“Il provvedimento prevede il rafforzamento della rete di accoglienza degli stranieri. Inoltre, si dispone che i cittadini ucraini vengano ospitati nei CAS anche indipendentemente dal fatto che abbiano presentato domanda di protezione internazionale.” I rifugiati ucraini godranno di un trattamento sistematicamente negato a chi arriva da altri fronti di guerra.\r\nLo Stato di emergenza è previsto dalla legge numero 225 del 24 febbraio del 1992. Questa legge è stata pensata per dare maggiori poteri alla protezione civile in caso di calamità, come \u003Cmark>terremoti\u003C/mark>, alluvioni, incendi di vasta portata, epidemie. Il suo utilizzo per la guerra in Ucraina è, anche dal punto di vista strettamente giuridico, del tutto abnorme.\r\nQuesto esecutivo la sta utilizzando per esautorare parte delle funzioni attribuite al parlamento e rafforzare i poteri dell'esecutivo, senza neppure l’esile filtro del voto delle camere.\r\nPotrebbero parere questioni di scarso interesse dal punto di vista della critica radicale allo Stato e alle dinamiche delle democrazie liberali, ma nei fatti potrebbe essere l’ombrello che consentirà all’esecutivo di limitare la possibilità di contestazione attiva delle scelte guerrafondaie del governo Draghi. Durante lo stato di emergenza pandemico, che, forse, terminerà il 31 marzo è stata fortemente limitata la libertà di manifestare. Una miriade di divieti è ancora utilizzata per impedire i cortei o per limitarne i percorsi, nonostante tutte le altre attività produttive, ricreative, commerciali e culturali siano state riaperte.\r\nDi fronte ad una guerra, in cui l’informazione è già pienamente schiacciata sulle posizioni governative, la proclamazione dello stato di emergenza, potrebbe preludere a nuove, inedite strette disciplinari.\r\nNe abbiamo parlato con l’avvocato Eugenio Losco.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/2022-03-08-losco-stato-di-energenza.mp3\"][/audio]",[209],{"field":90,"matched_tokens":210,"snippet":206,"value":207},[24],{"best_field_score":131,"best_field_weight":176,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":177,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},{"document":213,"highlight":227,"highlights":232,"text_match":129,"text_match_info":235},{"cat_link":214,"category":215,"comment_count":47,"id":216,"is_sticky":47,"permalink":217,"post_author":50,"post_content":218,"post_date":219,"post_excerpt":53,"post_id":216,"post_modified":220,"post_thumbnail":221,"post_thumbnail_html":222,"post_title":223,"post_type":58,"sort_by_date":224,"tag_links":225,"tags":226},[44],[46],"58574","http://radioblackout.org/2020/03/la-solidarieta-dei-medici-cubani-per-la-prima-volta-in-un-paese-occidentale/","La scorsa domenica una gruppo di 63 medici cubani, la Brigada Henry Reeve, è atterrato a Roma per contribuire all'attività sanitaria presso un ospedale lombardo.\r\n\r\nSi tratta di un fatto inedito dal punto di vista politico: è la prima volta che ai medici cubani, che hanno una lunga tradizione di solidarietà internazionalista in varie parti del mondo, è concesso di intervenire in un paese occidentale.\r\n\r\nIl fatto è ancor più significativo in quanto nello stesso giorno anche la N.A.T.O., per bocca del proprio segretario, ha offerto \"aiuto\" all'Italia per sconfiggere il coronavirus (magari bombardandolo con gli F35?!).\r\n\r\nAscolta la diretta di lunedì mattina con Marinella Correggia:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/cuba_solidale-1.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nHenry Reeve da giovane suonava il tamburo durante la Guerra civile americana e che fu uno degli eroi della prima guerra d’indipendenza cubana, tra il 1868 e il 1878. E' a lui che Fidel Castro ha intitolato il gruppo di medici viaggianti che negli ultimi anni ha inseguito emergenze sanitarie in mezzo mondo, il Contingente Internacional de Médicos Especializados en Situaciones de Desastres y Graves Epidemias. La Henry Reeve ha affrontato l’Ebola in Africa e il colera ad Haiti, le conseguenze di terremoti e uragani, sono l’avanguardia di quell’internazionalismo medico che Cuba porta avanti da anni, 55mila dottori che sono intervenuti in 67 paesi diversi, nelle emergenze di cui parlano tutti e in quelle di cui non parla nessuno. A gennaio sono stati in Sahara Occidentale, uno dei posti più dimenticati del globo, e in tutti gli ambulatori ci sono le foto di Che Guevara.","23 Marzo 2020","2020-03-26 10:30:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/FotoArrivo-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/FotoArrivo-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/FotoArrivo-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/FotoArrivo-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/FotoArrivo.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","La solidarietà dei medici cubani, per la prima volta in un paese occidentale",1584952163,[],[],{"post_content":228},{"matched_tokens":229,"snippet":230,"value":231},[24],"ad Haiti, le conseguenze di \u003Cmark>terremoti\u003C/mark> e uragani, sono l’avanguardia di","La scorsa domenica una gruppo di 63 medici cubani, la Brigada Henry Reeve, è atterrato a Roma per contribuire all'attività sanitaria presso un ospedale lombardo.\r\n\r\nSi tratta di un fatto inedito dal punto di vista politico: è la prima volta che ai medici cubani, che hanno una lunga tradizione di solidarietà internazionalista in varie parti del mondo, è concesso di intervenire in un paese occidentale.\r\n\r\nIl fatto è ancor più significativo in quanto nello stesso giorno anche la N.A.T.O., per bocca del proprio segretario, ha offerto \"aiuto\" all'Italia per sconfiggere il coronavirus (magari bombardandolo con gli F35?!).\r\n\r\nAscolta la diretta di lunedì mattina con Marinella Correggia:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/cuba_solidale-1.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nHenry Reeve da giovane suonava il tamburo durante la Guerra civile americana e che fu uno degli eroi della prima guerra d’indipendenza cubana, tra il 1868 e il 1878. 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Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, \u003Cmark>terremoti\u003C/mark>, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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Inoltre tentiamo di fare alcune considerazioni sul dispositivo delle emergenze, dello \"stato d'emergenza\" o di \"calamità naturale\", ormai all'ordine mensile in paesi come l'Italia: lungi dall'essere funzionali a \"una messa in sicurezza del territorio\", rispondono spesso, anche attraverso la gestione militare delle aree colpite da un dato evento, all'accapparamento di finanziamenti che ha come effetto principale una vera e propria bonifica sociale.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/mac17marzo25.mp3\"][/audio]",[379],{"field":90,"matched_tokens":380,"snippet":376,"value":377},[24],{"best_field_score":131,"best_field_weight":176,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":177,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},{"document":383,"highlight":395,"highlights":400,"text_match":129,"text_match_info":403},{"comment_count":47,"id":384,"is_sticky":47,"permalink":385,"podcastfilter":386,"post_author":280,"post_content":387,"post_date":388,"post_excerpt":53,"post_id":384,"post_modified":389,"post_thumbnail":390,"post_title":391,"post_type":327,"sort_by_date":392,"tag_links":393,"tags":394},"83059","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-23-giugno-noi-lambiente-natura-e-cultura-la-citta-vetrina-e-la-violenza-contro-i-poveri/",[280],"ll podcast del nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming. \r\n\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/07/2023-06-23-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nNoi, l’ambiente, natura e cultura\r\nIl rapporto tra noi e gli/le altr animal non umani e, in generale, con quell’insieme generico che chiamiamo “natura”, con tutte le ambiguità insite in questo concetto, è ed è stato prevalentemente improntato sulla violenza, la predazione, la distruzione. Una scelta eticamente intollerabile ed ambientalmente insostenibile. Una scelta che, per reazione, induce alcuni a rifiutare l’umano, quindi la cultura, per cercare una confort zone, nella fantasia arcadica di un mondo regolato da una natura immobile, idealizzata in una presunta intrinseca bonarietà. La realtà è molto più complessa. Animali umani e animali non umani, piante, fiumi o montagne non sono né buoni né cattivi. La differenza, quella con la quale dobbiamo fare i conti, è che gli/le animal uman possono scegliere ed hanno forti responsabilità negli eventi che innescano e, sempre meno, riescono a controllare.\r\nNe abbiamo parlato con Andrea Staid, antropologo ed autore di “Essere natura. Uno sguardo antropologico per cambiare il nostro rapporto con l’ambiente” e con Francesco Codello, pedagogista, filosofo, autore di numerosi testi tra cui “La condizione umana nel pensiero libertario”.\r\n\r\n“Negli ultimi anni l’ambiente e la crisi climatica, di fatto, sono tra i temi più narrati e discussi: come può contribuire l’antropologia a questo dibattito?\r\nRaccontando e descrivendo altri modi di vivere − stili di vita che per lungo tempo abbiamo erroneamente considerato “primitivi”, “selvaggi” − come possibilità con le quali relazionarsi, condividere, scambiare, ragionare. È giunto il momento di decentrare il nostro sguardo antropologico attraverso l’ascolto e il racconto di storie molteplici e discontinue. Come afferma l’antropologo James Clifford, è il momento di un realismo etnografico, fatto di coproduzione sul campo, dove ci si relaziona non con intervistati ma con presenze, con dei soggetti. Oggi le popolazioni indigene hanno un ruolo attivo nelle ricerche etnografiche: viviamo finalmente un decentramento dell’Occidente. Le risposte locali, le soluzioni parziali e pragmatiche che si stanno sviluppando in culture e ambienti diversi dal nostro, possono essere esempi da cui trarre ispirazione, con i quali confrontarsi per costruire nuove risposte alla crisi ecologica che stiamo affrontando.\r\nAltrove, nel mondo, ci sono culture che non hanno seguito il cammino dello sviluppo senza fine, del dominio dell’umanità sulla natura; sono esistite ed esistono tante e differenti comunità che non hanno isolato la natura trattandola come un dominio a parte, esterno, dove tutto può essere messo a profitto e a servizio degli umani.\r\nMolte società, mantenendo dei legami di complicità e di interdipendenza con gli abitanti non umani del mondo, hanno saputo preservarsi dal saccheggio irresponsabile del pianeta nel quale gli occidentali si sono impegnati senza sosta negli ultimi tre secoli. Queste società, come ci ricorda l’antropologo Eduardo Kohn, non hanno mai pensato che le frontiere dell’umanità si arrestassero alle porte della specie umana, e hanno inserito e coinvolto nella loro vita sociale piante e animali, stringendo con essi patti e relazioni.\r\nIl compito dell’antropologia, secondo Philippe Descola, non è dare delle soluzioni certe, ma mostrare che quello che sembra eterno, questo presente nel quale ci troviamo attualmente, è solo e semplicemente un modo, tra centinaia di altri che sono stati descritti, di vivere la condizione umana. L’antropologia ci offre la testimonianza di molteplici soluzioni che sono state apportate al problema dell’esistenza in comune: dobbiamo sforzarci di immaginare nuovi mondi, perché è proprio il potere dell’immaginazione che dà forma al cambiamento.\r\nSe leggiamo un giornale, accendiamo la radio o il televisore, se scorriamo la home dei nostri social, sapremo facilmente che alluvioni, terremoti, siccità estrema, frane, tornadi, bufere sono all’ordine del giorno in tutto il pianeta. Quello che invece spesso ci viene celato è che è proprio il nostro stile di vita ad aver distrutto il pianeta. I nostri consumi, le nostre pratiche sono insostenibili e cominciamo tutti a pagarne le conseguenze. Siamo nell’era dell’Antropocene, l’era geologica attuale nella quale noi animali umani (soprattutto occidentali), con i nostri iperconsumi e stili di vita abbiamo modificato interi territori in modo strutturale, e inquinato acqua, aria e terra causando cambiamenti climatici senza precedenti.\r\nOra dobbiamo fare i conti con tutto questo.”\r\n(dall’introduzione di “Essere natura” di Andrea Staid)\r\n\r\n“L'idea di una natura umana perversa e malvagia ha sempre dominato l'immaginario occidentale, alimentando la convinzione che solo istituzioni sociali ferree come lo Stato possono soggiogarla e rendere possibile la convivenza. Ma questa visione gerarchica e disegualitaria ha oltretutto posto una pesante ipoteca sul futuro dell'umanità, proprio perché sostiene che esiste una natura umana, che essa è universale e che pertanto occorre garantirne la realizzazione. Al contrario il pensiero libertario, dai primi classici alle riflessioni contemporanee, rigetta l'idea di una natura umana immutabile, universale, fondativa, e davanti al bivio tra natura e cultura, innatismo e ambientalismo, necessità e libertà, relativismo e universalismo, evita consapevolmente di risolvere in una sintesi la tensione tra questi opposti. Anzi riconosce in un equilibrio volutamente instabile e provvisorio la propria legittima precarietà. In altre parole, il pensiero libertario, e l'anarchismo in particolare, per poter essere coerente con se stesso è obbligato a pensare l'ontologia non come un'essenza ma come una condizione e un divenire.\r\n(Francesco Codello – incipit de “la condizione umana nel pensiero libertario)\r\n\r\nLa città vetrina e la violenza contro i poveri\r\nIl 9 giugno c’è stato l’incontro “Vetrina per turisti? Torino tra riqualificazioni escludenti e la precarietà delle vite povere e migranti” cui hanno pertecipato Giovanni Semi e Francesco Migliaccio. Qui potete ascoltare la diretta con Semi di quel giorno.\r\nAnche alla luce di quell’incontro, ci siamo confrontati con Francesco Migliaccio. \r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nSabato 1 luglio\r\ncorteo No CPR\r\nore 17\r\npiazza Castello\r\n\r\nDomenica 2 luglio\r\nore 11 Porta Palazzo\r\nAssemblea contro detenzione e frontiere\r\n\r\n7, 8, 9 luglio\r\nBalkan Anarchist Bookfair\r\nOltre i muri del nazionalismo e della guerra\r\nLjubljana, Slovenia\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 21\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","1 Luglio 2023","2023-07-01 04:37:14","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/07/condizione-umana-col-200x110.jpg","Anarres del 23 giugno. Noi, l’ambiente, natura e cultura. 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Quindi perché mai stiamo pagando bollette spaventose?\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Daniele Ratti dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nLa guerra in Ucraina e i pacifisti con l’elmetto\r\nDal 24 febbraio, quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, l’opposizione alla guerra, invero ancora molto debole, ha portato in piazza anche i noti guerrafondai del PD, che dal governo, si oppongono alla guerra spedendo armi al governo Zelensky. In un tripudio di bandiere nazionali ucraine, monumenti in giallo-azzurro che si mescolano alle bandiere arcobaleno della pace stiamo assistendo ad un pacifismo armato, chiaramente schierato con uno dei due imperialismi che si stanno sfidando sulla pelle di chi vive in Ucraina e deve affrontare morte, bombe, paura, coscrizione obbligatoria.\r\nDi fronte a questo chiaro schierarsi, parte della galassia postcomunista si schiera a difesa dell’imperialismo della Russia putiniana.\r\nIn questo contesto in cui la fa da padrone un’informazione main stream del tutto arruolata, diventa estremamente importante porre al centro le ragioni di chi si oppone alla Nato e alla Russia, a chi si schiera a fianco delle vittime, di chi in Russia lotta contro la guerra a rischio di botte e galera, di pratica la diserzione attiva, di chi lotta contro le fabbriche d’armi e le missioni militari italiane all’estero.\r\nNe abbiamo chiacchierato con Dario Antonelli del Comitato contro le missioni militari in Africa di Livorno\r\n\r\nStato di emergenza bellico\r\nIl 28 febbraio il governo ha proclamato lo stato di emergenza per \"motivi umanitari\". Questa decisione conferisce poteri straordinari al governo, che ha mano libera nella gestione dell’impegno dell’Italia nel conflitto in Ucraina. Già sono scattate misure straordinarie relative all'aumento della spesa militare e l’invio di armi al governo Zelensky.\r\nNon è ancora finito lo stato di emergenza pandemico e già il governo ne proclama uno bellico.\r\nMa cos’è lo Stato di emergenza?\r\nLo Stato di emergenza è previsto dalla legge numero 225 del 24 febbraio del 1992. Questa legge è stata pensata per dare maggiori poteri alla protezione civile in caso di calamità, come terremoti, alluvioni, grandi incendi, epidemie. Il suo utilizzo per la guerra in Ucraina è, anche dal punto di vista strettamente giuridico, del tutto abnorme. \r\nQuesto esecutivo la sta utilizzando per esautorare parte delle funzioni attribuite al parlamento e rafforzare i poteri dell'esecutivo, senza neppure l’esile filtro del voto delle camere.\r\nPotrebbero parere questioni di scarso interesse dal punto di vista della critica radicale allo Stato e alle dinamiche delle democrazie liberali, ma nei fatti potrebbe essere l’ombrello che consentirà all’esecutivo di limitare la possibilità di contestazione attiva delle scelte guerrafondaie del governo Draghi. Durante lo stato di emergenza pandemico è stata fortemente limitata la libertà di manifestare. Una miriade di divieti è ancora utilizzata per impedire i cortei o per limitarne i percorsi, nonostante tutte le altre attività produttive, ricreative, commerciali e culturali siano state riaperte.\r\nDi fronte ad una guerra, in cui l’informazione è già pienamente schiacciata sulle posizioni governative, la proclamazione dello stato di emergenza, potrebbe preludere a nuove, inedite strette disciplinari.\r\n\r\nCronache di lotta transfemminista queer e antimilitarista a Torino\r\n\r\nAppuntamenti: \r\n\r\nGiovedì 17 marzo\r\nAssemblea\r\nLa NATO si prepara a sbarcare a Torino?\r\nTorino si candida ad ospitare nella nuova Città dell’Aerospazio, che sorgerà tra corso Francia e corso Marche, la sede di un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa e l’ufficio regionale per l’Europa del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO.\r\nTorino, finita l’era dell’automotive, punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia. Un’economia di morte. \r\nBloccare la nascita di un nuovo polo di ricerca, progettazione e costruzione di ordigni bellici, impedire che la NATO abbia una sua base a Torino è un impegno concreto contro il militarismo e contro la guerra.\r\nMentre il governo proclama lo stato di emergenza per la guerra imperialista per il controllo dell’Ucraina, fermare la produzione e lo smercio d’armi è l’unico modo per inceppare la macchina che alimenta le guerre.\r\nPer fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalla nostra città.\r\nL’assemblea Antimilitarista promuove un’assemblea cittadina che lanci una campagna di informazione e lotta per bloccare l’industria di guerra e la NATO a Torino.\r\nInterventi sulla Città dell’Aerospazio, sul ruolo della NATO in Italia, testimonianze delle lotte contro l’ampliamento della base di Camp Derby a Livorno\r\nAlla tettoia dei contadini dalle ore 18.\r\n\r\nSabato 19 marzo\r\nGuerra e energia: l’Eni e le missioni militari italiane in Africa\r\nIncontro/convegno antimilitarista a Milano\r\nal Kasciavit, via san Faustino 64\r\nInizio ore 10,30\r\nIntroduzione di un compagno dell’Assemblea Antimilitarista\r\nInterventi di: Stefano Capello “La politica energetica italiana tra la prima e la seconda Repubblica. Continuità e rotture”; Daniele Ratti “L’ENI Armata”; inizio discussione/pausa pranzo\r\nore 14,30\r\ninterventi di: Antonio Mazzeo “Le avventure neocoloniali dell'Italia dal Sahel al Mozambico”; Andrea Turco “La colonizzazione mentale, il caso ENI a Gela”; Massimo Varengo “Uno sguardo antimperialista sulla guerra in Ucraina” Interventi aperti\r\n\r\nSabato 19 marzo ore 11\r\nCacerolazo contro le guerre al Balon\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni mercoledì dalle 21\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nWild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org","17 Marzo 2022","2022-03-17 12:42:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/diseriamo-la-guerra-200x110.jpg","Anarres dell’11 marzo. La guerra, la benzina, il pane. Pacifisti con l’elmetto. Stato di emergenza. Cronache dalle lotte...",1647520972,[],[],{"post_content":418},{"matched_tokens":419,"snippet":420,"value":421},[24],"in caso di calamità, come \u003Cmark>terremoti\u003C/mark>, alluvioni, grandi incendi, epidemie. Il","Il nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. 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Quindi perché mai stiamo pagando bollette spaventose?\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Daniele Ratti dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nLa guerra in Ucraina e i pacifisti con l’elmetto\r\nDal 24 febbraio, quando la Russia ha attaccato l’Ucraina, l’opposizione alla guerra, invero ancora molto debole, ha portato in piazza anche i noti guerrafondai del PD, che dal governo, si oppongono alla guerra spedendo armi al governo Zelensky. In un tripudio di bandiere nazionali ucraine, monumenti in giallo-azzurro che si mescolano alle bandiere arcobaleno della pace stiamo assistendo ad un pacifismo armato, chiaramente schierato con uno dei due imperialismi che si stanno sfidando sulla pelle di chi vive in Ucraina e deve affrontare morte, bombe, paura, coscrizione obbligatoria.\r\nDi fronte a questo chiaro schierarsi, parte della galassia postcomunista si schiera a difesa dell’imperialismo della Russia putiniana.\r\nIn questo contesto in cui la fa da padrone un’informazione main stream del tutto arruolata, diventa estremamente importante porre al centro le ragioni di chi si oppone alla Nato e alla Russia, a chi si schiera a fianco delle vittime, di chi in Russia lotta contro la guerra a rischio di botte e galera, di pratica la diserzione attiva, di chi lotta contro le fabbriche d’armi e le missioni militari italiane all’estero.\r\nNe abbiamo chiacchierato con Dario Antonelli del Comitato contro le missioni militari in Africa di Livorno\r\n\r\nStato di emergenza bellico\r\nIl 28 febbraio il governo ha proclamato lo stato di emergenza per \"motivi umanitari\". Questa decisione conferisce poteri straordinari al governo, che ha mano libera nella gestione dell’impegno dell’Italia nel conflitto in Ucraina. Già sono scattate misure straordinarie relative all'aumento della spesa militare e l’invio di armi al governo Zelensky.\r\nNon è ancora finito lo stato di emergenza pandemico e già il governo ne proclama uno bellico.\r\nMa cos’è lo Stato di emergenza?\r\nLo Stato di emergenza è previsto dalla legge numero 225 del 24 febbraio del 1992. Questa legge è stata pensata per dare maggiori poteri alla protezione civile in caso di calamità, come \u003Cmark>terremoti\u003C/mark>, alluvioni, grandi incendi, epidemie. Il suo utilizzo per la guerra in Ucraina è, anche dal punto di vista strettamente giuridico, del tutto abnorme. \r\nQuesto esecutivo la sta utilizzando per esautorare parte delle funzioni attribuite al parlamento e rafforzare i poteri dell'esecutivo, senza neppure l’esile filtro del voto delle camere.\r\nPotrebbero parere questioni di scarso interesse dal punto di vista della critica radicale allo Stato e alle dinamiche delle democrazie liberali, ma nei fatti potrebbe essere l’ombrello che consentirà all’esecutivo di limitare la possibilità di contestazione attiva delle scelte guerrafondaie del governo Draghi. Durante lo stato di emergenza pandemico è stata fortemente limitata la libertà di manifestare. Una miriade di divieti è ancora utilizzata per impedire i cortei o per limitarne i percorsi, nonostante tutte le altre attività produttive, ricreative, commerciali e culturali siano state riaperte.\r\nDi fronte ad una guerra, in cui l’informazione è già pienamente schiacciata sulle posizioni governative, la proclamazione dello stato di emergenza, potrebbe preludere a nuove, inedite strette disciplinari.\r\n\r\nCronache di lotta transfemminista queer e antimilitarista a Torino\r\n\r\nAppuntamenti: \r\n\r\nGiovedì 17 marzo\r\nAssemblea\r\nLa NATO si prepara a sbarcare a Torino?\r\nTorino si candida ad ospitare nella nuova Città dell’Aerospazio, che sorgerà tra corso Francia e corso Marche, la sede di un acceleratore d’innovazione nel campo della Difesa e l’ufficio regionale per l’Europa del Defence Innovation Accelerator for the North Atlantic (D.I.A.N.A), una struttura della NATO.\r\nTorino, finita l’era dell’automotive, punta tutto sull’industria bellica per il rilancio dell’economia. Un’economia di morte. \r\nBloccare la nascita di un nuovo polo di ricerca, progettazione e costruzione di ordigni bellici, impedire che la NATO abbia una sua base a Torino è un impegno concreto contro il militarismo e contro la guerra.\r\nMentre il governo proclama lo stato di emergenza per la guerra imperialista per il controllo dell’Ucraina, fermare la produzione e lo smercio d’armi è l’unico modo per inceppare la macchina che alimenta le guerre.\r\nPer fermare le guerre non basta un no. Bisogna mettersi di mezzo. A partire dalla nostra città.\r\nL’assemblea Antimilitarista promuove un’assemblea cittadina che lanci una campagna di informazione e lotta per bloccare l’industria di guerra e la NATO a Torino.\r\nInterventi sulla Città dell’Aerospazio, sul ruolo della NATO in Italia, testimonianze delle lotte contro l’ampliamento della base di Camp Derby a Livorno\r\nAlla tettoia dei contadini dalle ore 18.\r\n\r\nSabato 19 marzo\r\nGuerra e energia: l’Eni e le missioni militari italiane in Africa\r\nIncontro/convegno antimilitarista a Milano\r\nal Kasciavit, via san Faustino 64\r\nInizio ore 10,30\r\nIntroduzione di un compagno dell’Assemblea Antimilitarista\r\nInterventi di: Stefano Capello “La politica energetica italiana tra la prima e la seconda Repubblica. Continuità e rotture”; Daniele Ratti “L’ENI Armata”; inizio discussione/pausa pranzo\r\nore 14,30\r\ninterventi di: Antonio Mazzeo “Le avventure neocoloniali dell'Italia dal Sahel al Mozambico”; Andrea Turco “La colonizzazione mentale, il caso ENI a Gela”; Massimo Varengo “Uno sguardo antimperialista sulla guerra in Ucraina” Interventi aperti\r\n\r\nSabato 19 marzo ore 11\r\nCacerolazo contro le guerre al Balon\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni mercoledì dalle 21\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nWild C.A.T. Collettivo Anarco-Femminista Torinese\r\ncorso Palermo 46 – @Wild.C.A.T.anarcofem\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org",[423],{"field":90,"matched_tokens":424,"snippet":420,"value":421},[24],{"best_field_score":131,"best_field_weight":176,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":177,"tokens_matched":17,"typo_prefix_score":47},{"document":427,"highlight":439,"highlights":444,"text_match":129,"text_match_info":447},{"comment_count":47,"id":428,"is_sticky":47,"permalink":429,"podcastfilter":430,"post_author":321,"post_content":431,"post_date":432,"post_excerpt":53,"post_id":428,"post_modified":433,"post_thumbnail":434,"post_title":435,"post_type":327,"sort_by_date":436,"tag_links":437,"tags":438},"55684","http://radioblackout.org/podcast/emergenza-climatica-e-disastri-ambientali-unopportunita-di-militarizzazione/",[282],"Con l’inasprirsi della crisi ecologica, gli eventi atmosferici violenti ed estremi diventano sempre più frequenti e rendono, col passare degli anni, sempre più inospitali alcuni territori: innalzamento delle temperature, siccità, alluvioni, desertificazione ed erosione dei suoli modificano profondamente l'aspetto di molte zone del mondo, a tal punto da renderle invivibili e da costringere le persone ad emigare. E' questo il caso di milioni di profughi climatici, provenienti soprattutto dei paesi del sud del mondo, che, per quanto riguarda l'Europa, sono condannati a rimanere in un limbo legislativo che non riconosce loro lo status di rifugiati, dimostrando la completa incapacità del mondo occidentale di affrontare un'emergenza di questo tipo.\r\n\r\n\r\n\r\nLa questione ambientale non è un problema a sé stante, ma comporta inevitabilmente ripercussioni politiche e sociali di grande importanza, come possono essere le guerre, i conflitti e le rivolte. L'hanno capito da tempo anche gli stati ed i loro eserciti, che negli ultimi decenni si sono interessati molto al campo della gestione delle catastrofi: dai terremoti alle alluvioni, ce lo insegna la storia italiana, i disastri naturali sono delle occasioni d'oro per militarizzare territori e sperimentare nuove forme di controllo e repressione. 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