","Atlanta: soffia il fuoco sulla cop city","post",1678469136,[61,62,63,64,65,66],"http://radioblackout.org/tag/arresti/","http://radioblackout.org/tag/atlanta/","http://radioblackout.org/tag/cop-city/","http://radioblackout.org/tag/defend-forest/","http://radioblackout.org/tag/incendi/","http://radioblackout.org/tag/terrorismo-domestico/",[68,15,20,28,69,34],"arresti","incendi",{"post_content":71,"tags":77},{"matched_tokens":72,"snippet":75,"value":76},[73,74],"terrorismo","domestico","pesa ora la condanna di \u003Cmark>terrorismo\u003C/mark> \u003Cmark>domestico\u003C/mark>, con pene fino a trent'anni","Si continua a parlare di Atlanta, città statunitense attraversata da varie proteste a partire dall'agosto 2021, quando è stato annunciato il progetto di un centro di addestramento delle forze di polizia statunitensi, chiamato \"cop city\" da chi lo contesta, che verrà costruito nella foresta di Weelaunee. Questa sorta di città della polizia ospiterà al suo interno spazi per convegni sulla difesa militare, anfiteatri per eventi, falsi edifici in cui simulare azioni di polizia e dei pompieri, strade in cui simulare manifestazioni, poligoni e stalle.\r\n\r\nLa foresta, situata nel cuore della città, è reputata sacra dalla cultura indigena, ma questo non ha valore per il sindaco di destra di Atlanta, che ha dato l'assenso per la sua distruzione, incurante delle proteste. È quindi nato un movimento di protesta, al grido \"Defend the forest\", che ha occupato l'area in cui dovrebbe sorgere la cop city.\r\n\r\nA gennaio 2023, durante l'ennesimo tentativo di sgomberare la foresta, è avvenuto l'episodio più grave: la morte dell'attivista Tortuguita. La recente autopsia voluta dalla famiglia, insieme ai video delle bodycam della polizia, hanno appurato che è stato ucciso a freddo, mentre era seduto a terra con le braccia alzate. All'omidio è seguito lo sgombero completo della foresta. La risposta dei manifestanti ha messo a ferro e fuoco Atlanta.\r\n\r\nÈ stata successivamente chiamata una settimana di mobilitazione, iniziata il 4 marzo con la rioccupazione dell'area e l'assalto a uno dei cantieri della cop city, in cui sono stati dati alle fiamme macchinari e costruzioni. Il giorno seguente era stato organizzato un concerto in difesa della foresta, a cui hanno partecipato centinaia di persone. Ma la serata è stata interrotta dall'arrivo della polizia in tenuta antisommossa che, dopo aver picchiato chi assisteva all'evento, ha arrestato 23 persone. Su questi arrestati pesa ora la condanna di \u003Cmark>terrorismo\u003C/mark> \u003Cmark>domestico\u003C/mark>, con pene fino a trent'anni di carcere. La prova contro di loro è il fango trovato sulle scarpe al momento dell'arresto, avvenuto in mezzo a una foresta.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con un compagno di Atlanta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/03/Atlanta-10032023.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nAlleghiamo anche due video:\r\n\r\nDel progetto della cop city: https://www.youtube.com/watch?v=KER5OYAUm04\r\n\r\nDella settimana del 4 marzo: https://kolektiva.media/w/eBAtmfaGpWr9R3saMzvGXM",[78,80,82,84,86,88],{"matched_tokens":79,"snippet":68},[],{"matched_tokens":81,"snippet":15},[],{"matched_tokens":83,"snippet":20},[],{"matched_tokens":85,"snippet":28},[],{"matched_tokens":87,"snippet":69},[],{"matched_tokens":89,"snippet":90},[73,74],"\u003Cmark>terrorismo\u003C/mark> \u003Cmark>domestico\u003C/mark>",[92,98],{"field":35,"indices":93,"matched_tokens":95,"snippets":97},[94],5,[96],[73,74],[90],{"field":99,"matched_tokens":100,"snippet":75,"value":76},"post_content",[73,74],1157451471441625000,{"best_field_score":103,"best_field_weight":104,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":105,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":107,"highlight":127,"highlights":132,"text_match":135,"text_match_info":136},{"cat_link":108,"category":109,"comment_count":47,"id":110,"is_sticky":47,"permalink":111,"post_author":50,"post_content":112,"post_date":113,"post_excerpt":53,"post_id":110,"post_modified":114,"post_thumbnail":115,"post_thumbnail_html":116,"post_title":117,"post_type":58,"sort_by_date":118,"tag_links":119,"tags":123},[44],[46],"83044","http://radioblackout.org/2023/06/atlanta-week-of-action-contro-la-cop-city/","È iniziata il 24 giugno la seconda \"week of action\" del 2023 ad Atlanta, nello Stato della Georgia (USA), contro la costruzione dell'Atlanta Public Safety Training Center, comunemente chiamato \"Cop City\", un centro d'addestramento per gli agenti di polizia e i pompieri.\r\n\r\nA marzo si era tenuta una prima settimana di mobilitazione all'interno della foresta Weelaunee, il parco pubblico della città di Atlanta, chiamata dal movimento Defend the Forest e Stop Cop City, che era terminata con una quarantina di arrestati con l'accusa di terrorismo domestico per l'assalto di un cantiere. È la prima volta che negli Stati Uniti l'accusa di \"domestic terrorism\" viene usata contro eco-attivisti.\r\n\r\n\r\n\r\nA distanza di tre mesi la repressione poliziesca si è intensificata, al punto che gli attivisti sono stati costretti a ritrovarsi al di fuori dei terreni della Cop City, in un altro parco cittadino, poiché gli agenti pattugliano la foresta, impedendo l'ingresso a chi ha intenzioni diverse di fare una passeggiata. Intanto i lavori di taglio degli alberi, per far posto al cantiere, sono già iniziati. Ma l'azione della polizia non si è limitata alla foresta: sono stati denunciati diversi attivisti e la cassa di solidarietà per le lotte contro la Cop City è stata additata di frode fiscale.\r\n\r\nCi siamo fatti raccontare questi primi giorni di mobilitazione da un compagno italo-americano presente in loco:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/atlantashorts.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer maggiori informazioni sulla mobilitazione rimandiamo al sito del movimento:\r\n\r\nDEFEND THE ATLANTA FOREST\r\n\r\n \r\n\r\nQui un nostro precedente podcast sulla prima settimana di mobilitazione:\r\n\r\nhttps://radioblackout.org/2023/03/atlanta-soffia-il-fuoco-sulla-cop-city/\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","30 Giugno 2023","2023-06-30 20:12:40","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/3b9838_dac8cc3afdcb4e839f9607c6d34af35dmv2-1747079717-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/3b9838_dac8cc3afdcb4e839f9607c6d34af35dmv2-1747079717-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/3b9838_dac8cc3afdcb4e839f9607c6d34af35dmv2-1747079717-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/3b9838_dac8cc3afdcb4e839f9607c6d34af35dmv2-1747079717-768x576.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/3b9838_dac8cc3afdcb4e839f9607c6d34af35dmv2-1747079717.jpg 1000w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Atlanta: week of action contro la Cop City",1688155960,[62,120,121,122],"http://radioblackout.org/tag/stopcopcity/","http://radioblackout.org/tag/usa/","http://radioblackout.org/tag/weelauneeforest/",[15,124,125,126],"stopcopcity","USA","weelauneeforest",{"post_content":128},{"matched_tokens":129,"snippet":130,"value":131},[73,74],"di arrestati con l'accusa di \u003Cmark>terrorismo\u003C/mark> \u003Cmark>domestico\u003C/mark> per l'assalto di un cantiere.","È iniziata il 24 giugno la seconda \"week of action\" del 2023 ad Atlanta, nello Stato della Georgia (USA), contro la costruzione dell'Atlanta Public Safety Training Center, comunemente chiamato \"Cop City\", un centro d'addestramento per gli agenti di polizia e i pompieri.\r\n\r\nA marzo si era tenuta una prima settimana di mobilitazione all'interno della foresta Weelaunee, il parco pubblico della città di Atlanta, chiamata dal movimento Defend the Forest e Stop Cop City, che era terminata con una quarantina di arrestati con l'accusa di \u003Cmark>terrorismo\u003C/mark> \u003Cmark>domestico\u003C/mark> per l'assalto di un cantiere. 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Uno di loro, Giuseppe Pinelli, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare domestico sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “terrorismo” anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di Pinelli, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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Uno di loro, Giuseppe Pinelli, non ne uscirà vivo, perché scaraventato dalla finestra dall’ufficio del commissario Luigi Calabresi.\r\nLe versioni ufficiali parlarono di suicidio: anni dopo un magistrato di sinistra, D’Ambrosio, emesse una sentenza salomonica: “malore attivo”. Né omicidio, né suicidio.\r\nPietro Valpreda venne accusato di essere l’autore della strage. Trascorrerà, con altri compagn* tre anni in carcere in attesa di giudizio, finché non venne modificata la legge che fissava i limiti della carcerazione preventiva. Quella legge, emanata su pressione dei movimenti sociali, venne a lungo chiamata “legge Valpreda”.\r\nDopo 54anni dalla strage, sebbene ormai si sappia tutto, sia sui fascisti che la eseguirono, gli ordinovisti veneti, sia sui mandanti politici, tutti interni al sistema di potere democristiano di stretta osservanza statunitense, non ci sono state verità giudiziarie.\r\nNel 1969 a capo della Questura milanese era Guida, già direttore del confino di Ventotene, un funzionario fascista, passato indenne all’Italia repubblicana. Dietro le quinte, ma presenti negli uffici di via Fatebenefratelli c’erano i capi dei servizi segreti Russomando e D’Amato.\r\nIl Sessantanove fu l’anno dell’autunno caldo e della contestazione studentesca, movimenti radicali e radicati si battevano contro il sistema economico e sociale.\r\nLa strage, che immediatamente, gli anarchici definirono “strage di Stato” rappresentò il tentativo di criminalizzare le lotte, e scatenare la repressione.\r\nIn breve i movimenti sociali reagirono alle fandonie della polizia, smontando dal basso la montatura poliziesca che era stata costruita sugli anarchici.\r\nCosa resta nella memoria dei movimenti di quella strage, che per molti compagni e compagne dell’epoca rappresentò una rottura definitiva di ogni illusione democratica?\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, testimone e protagonista di quella stagione cruciale\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/12/2023-12-12-varengo-piazza-fontana.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito un articolo di Varengo uscito su Umanità Nova:\r\n\r\n“Non si capiscono le bombe del 12 dicembre del 1969, se non si analizza il contesto. Al di là delle parole contano i fatti; e vediamoli questi fatti, sia pure succintamente.\r\nGli anni dell'immediato dopoguerra sono caratterizzati da grandi processi di ricostruzione, in primis nei paesi devastati dalla durezza e dalla crudeltà del conflitto, sostenuti dagli effetti dello sviluppo della scienza e della tecnologia, accelerate a loro volta dai risultati della ricerca nel periodo bellico per armi sempre più letali. Tali processi hanno comportato, insieme ad un impetuoso sviluppo delle risorse umane, un aumento della ricchezza complessiva, ovviamente ripartita in modo assolutamente diseguale, con la conseguenza che il divario tra i vari paesi e, in essi, tra le classi sociali è cresciuto a dismisura.\r\nA fronte delle grandi possibilità di trasformazione sociale che il nuovo clima pare prefigurare, sempre più è evidente che la gran parte della popolazione lavoratrice, il proletariato, rimane oggetto e non soggetto della propria storia, alimentando la contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e sociali da una parte e l'insieme dei rapporti di proprietà, di controllo e di dominio dall'altra.\r\nIn questo quadro si può capire come sia stato possibile che praticamente in ogni parte del mondo – dagli Stati Uniti al Sud America, dalla Francia all'Italia, dalla Cina al Giappone, dall'Europa del patto di Varsavia alla Germania, dal Messico all'Inghilterra – in un mondo tra l'altro le cui comunicazioni passavano per stampa e televisione, controllate dai governi, sia esplosa quasi contemporaneamente quella che fu definita “contestazione globale”.\r\nUna contestazione alimentata dalla convergenza di differenti culture, dal pacifismo dei figli dei fiori al terzomondismo solidale con le lotte di liberazione nazionale, dal marxismo all'anarchismo, dal cattolicesimo all'ateismo, capace di esprimere caratteristiche comuni, nonostante le profonde differenze esistenti: geografiche, economiche, culturali, sociali, politiche.\r\nUna contestazione che ha abbracciato le varie forme di espressione umana: artistica, musicale, scientifica, tecnica, letteraria, e che ha visto come protagonista principale la generazione del cosiddetto baby boom, dei nati dopo la guerra e che di quella guerra avevano comunque vissuto i cascami.\r\nIl rifiuto della guerra fu un elemento scatenante di tale contestazione; a partire dai campus universitari statunitensi che con manifestazioni, occupazioni e scontri denunciavano il sempre più crescente impegno USA nello sporco conflitto del Vietnam, le proteste si espansero in tutto il mondo. Ma il rifiuto della guerra era anche rifiuto di un mondo diviso in blocchi, ove una cortina di ferro condizionava la vita e i movimenti di una generazione affamata di conoscenza. Era rifiuto della sofferenza inflitta dai dominatori ai popoli colonizzati, rifiuto del razzismo, rifiuto del vecchio mondo fatto di discriminazioni e autoritarismi. Era soprattutto rifiuto di uno sfruttamento e di un'oppressione di classe che, sull'altare del profitto, condannava milioni di esseri umani alla catena, a condizioni di vita infami, ad una nocività crescente. E per la metà del genere umano era rifiuto di un mondo costruito sul patriarcato, che relegava la donna nel solo ruolo di riproduttrice, custode di un focolare \u003Cmark>domestico\u003C/mark> sempre più precario e conflittuale.\r\nPer questo non si può dire che sia esistito un solo '68. Sono esistiti una pluralità di '68 intrecciati tra loro, con durata ed intensità diversa, radicalità e prospettive diverse, ma uniti da una critica puntuale dell'autorità.\r\nLe risposte dei governi non si fecero attendere, con caratteristiche diverse secondo i contesti, ma rispettando sempre le rispettive aree di influenza dei blocchi contrapposti. Così in Bolivia nel '67 viene assassinato Che Guevara, il cui tentativo insurrezionale viene vanificato dall'ostilità di Mosca e dei suoi epigoni in zona.\r\nNegli USA la dura repressione dei movimenti studenteschi si accompagna a quella del movimento afro-americano in lotta contro una società razzista e segregazionista. Malcom X e Martin Luther King vengono assassinati, come viene assassinato Robert Kennedy fautore di moderate riforme sociali invise agli oligopoli. A Città del Messico nell'ottobre del '68 l'esercito con blindati circonda la Piazza delle Tre culture sparando ad alzo zero per distruggere il movimento studentesco che da tempo sta manifestando contro il governo e le spese faraoniche per organizzare i Giochi olimpici: sono più di 300 i morti portati via con i camion della spazzatura.\r\nIn Cina la “rivoluzione culturale” raggiunge il suo apice, per trasformarsi in poco tempo in uno strumento al servizio della ristrutturazione del potere funzionale al disegno politico di Mao Zedong.\r\nIn Francia alle occupazioni studentesche e ai giganteschi scioperi generali succedutisi per tutto il maggio '68, risponde il generale De Gaulle che recatosi a Baden-baden, base francese in territorio tedesco, minaccia l'intervento militare.\r\nA Praga, nell'agosto, ci vogliono i carri armati sovietici e delle truppe del patto di Varsavia per arrestare il processo riformatore in corso: la burocrazia al Cremlino teme il contagio negli altri paesi di sua competenza, come la Polonia, attraversata da forti mobilitazioni studentesche. In Germania dell'ovest, l'esponente più significativo Rudi Dutschke, viene gravemente ferito da colpi di pistola l'11 aprile.\r\nMa questi sono solo alcuni esempi; come disse la filosofa Hannah Arendt “Nei piccoli paesi, la repressione è dosata e selettiva”. È il caso della Yugoslavia con le proteste studentesche fatte sbollire, per poi colpirne gli esponenti. L'importante è che non vengano messi in discussione i trattati che alla fine della guerra avevano definito le aree di influenza e di potere.\r\nE in Italia? Collocata a ridosso della cortina di ferro, l'Italia è considerata un paese di frontiera per gli USA, un avamposto nella lotta al “comunismo”, aeroporto naturale nel Mediterraneo, proiettato verso le risorse petrolifere del Medio oriente. Un paese che ha però l'enorme difetto di avere il Partito Comunista più grande dell'Occidente, al quale è precluso dal dopoguerra l'ingresso nell'area di governo. Per cautelarsi il governo USA mette in opera i suoi servizi segreti, costruisce reti clandestine armate pronte ad intervenire in caso di bisogno, condiziona le politiche, controlla i sistemi di difesa, stringe alleanze con gruppi nazifascisti. Già in Grecia – altro paese di frontiera - l'anno prima hanno foraggiato il colpo di Stato dei colonnelli a fronte di una possibile vittoria elettorale della sinistra, mentre continuano a sostenere la dittatura di Franco in Spagna e quella di Salazar in Portogallo.\r\nL'Italia ha vissuto nei decenni precedenti una profonda trasformazione sociale ed economica e una grande emigrazione interna dalle campagne venete e del meridione, richiamata al nord-ovest da una industrializzazione crescente. L'accresciuto livello di reddito ha consentito una scolarizzazione significativa e l'ingresso nelle università di ceti finora esclusi (nel '68 sono 500mila gli iscritti, il doppio rispetto a 15 anni prima). Ma le strutture dello Stato sono sempre le stesse: su 369 prefetti e viceprefetti, agli inizi degli anni '60, solo 2 non hanno fatto parte della burocrazia fascista; su 274 questori e vicequestori solo 5 vicequestori hanno avuto rapporti con la resistenza; su 1642 commissari e vicecommissari solo 34 provengono dalle file dell'antifascismo. Inoltre la polizia politica rimane nelle mani di ex-agenti dell'OVRA, la famigerata istituzione al servizio di Mussolini. Per non parlare della magistratura e della burocrazia ministeriale.\r\nLe strutture rimangono autoritarie, nella scuola e nell'università sono incapaci di accogliere la massa di studenti e studentesse che vi si affacciano provocando frustrazione e malcontento.\r\nNelle grandi città del nord la politica abitativa è assolutamente deficitaria, spingendo la popolazione immigrata a soluzioni provvisorie e degradanti. In fabbrica l'organizzazione del lavoro si basa sui reparti confino per i “sovversivi” e l'arbitrio dei capi reparto. Nelle campagne, permane la logica del padronato latifondista. I partiti di sinistra, tutti concentrati sul confronto elettorale, e i sindacati, abituati a logiche rivendicative di basso profilo, sono incapaci di comprendere quanto sta succedendo: lo sviluppo di un movimento che porta a maturazione la conflittualità latente. Sul fronte delle università e delle scuole superiori partono occupazioni e proteste, nelle campagne si intensificano le lotte del bracciantato agricolo, nelle fabbriche, in un contesto di rinnovo di moltissimi contratti di lavoro giunti a scadenza, iniziano i primi scioperi autonomi che impongono al padronato la trattativa diretta accantonando le burocrazie sindacali e le vecchie commissioni interne, in un quadro di conflittualità tra i vari segmenti padronali che si riverbera su uno scenario politico sempre più instabile, caratterizzato da frequenti cambi di governo.\r\nSe nell'università viene attaccata e messa in crisi la cultura autoritaria e di classe, nelle fabbriche si sviluppa un protagonismo operaio che nella riscoperta dei Consigli di Fabbrica, nelle assemblee all'interno delle aziende, nella costituzione dei Comitati unitari di base, mette in discussione l'organizzazione del lavoro, sanzionando i capi reparto e le dirigenze, e aprendo la discussione sul salario come variabile “indipendente” dalla produttività. Le conquiste sono notevoli: riduzione d'orario, forti aumenti salariali, abolizione delle zone salariali nord-sud, parificazione normativa tra operai e impiegati, scala mobile per i pensionati e altre ancora. E la lotta non si ferma, si profila il vecchio obiettivo anarcosindacalista imperniato sul controllo della produzione in vista dell'esproprio proletario.\r\nIntanto la gioventù esce dalle università, dopo aver ottenuto importanti modifiche sui piani di studio, la libertà di assemblea anche per le scuole medie superiori, l'abolizione dello sbarramento che impedisce ai diplomati degli istituti di accedere alla formazione universitaria. Esce per unirsi al mondo del lavoro salariato in un movimento di contestazione dell'autorità e del capitalismo, mettendo a nudo quella che è la sostanza del potere e delle sue istituzioni e rendendo evidente come lo sfruttamento e l'oppressione siano le sole espressioni dei governi di qualunque colore. Il conflitto si indurisce tra scontri di piazza, scioperi, picchetti, manifestazioni. Cresce il pericolo che il paese vada a sinistra, che il PCI – anche se lontano da propositi rivoluzionari - tramite una vittoria elettorale possa andare al governo.\r\nLe risposte non si fanno attendere. L'apparato politico di sinistra con lo Statuto dei lavoratori cerca di ridare forza al ruolo di intermediazione sindacale, salvando le burocrazie, recuperando e affossando l'azione diretta operaia. Il fronte padronale si ricompatta, ridando fiato alla destra più estrema. Il governo sceglie la strada della repressione aperta: ben 13.903 sono le denunce per fatti connessi con l'autunno caldo del '69. In testa alla graduatoria, lavoratori agricoli, metalmeccanici, ospedalieri. Ma non basta. Ci vuole qualcosa di più forte che consenta la ripresa dello sfruttamento intensivo e quindi del profitto. I servizi segreti, italiani e americani, in combutta con i nazifascisti si mettono all'opera.\r\nScoppiano le prime bombe, prima dimostrative, praticamente inoffensive, poi, via via, più “cattive” che provocano feriti alla Fiera di Milano il 25 aprile e in agosto sui treni. Alla fine dell'anno si conteranno in tutto 145 esplosioni, prevalentemente di marca fascista, ma non mancano quelle di sinistra, comprese alcune anarchiche nei confronti di sedi di rappresentanza della dittatura franchista per solidarietà con le vittime del regime o della Dow Chemical, produttrice del napalm con il quale venivano letteralmente arrostiti i vietnamiti.\r\nEd è proprio sugli anarchici che si appunta l'attenzione degli organismi repressivi, primo su tutti l'Ufficio affari riservati, diretta emanazione del Ministro degli Interni.\r\nConvinti che il ricordo della strage del Teatro Diana nel 1921 e la continua martellante propaganda durante il ventennio fascista sul pericolo del “\u003Cmark>terrorismo”\u003C/mark> anarchico abbia definitivamente marchiato a fuoco l'immagine del movimento anarchico pensano di potersi permettere qualsiasi operazione, qualsiasi violenza. Per le bombe del 25 aprile e dell'agosto sui treni incolpano un gruppo variegato di compagni, mettendo insieme anarchici e due iscritti del PCI, L'obiettivo è ambizioso: arrivare tramite loro all'editore Giangiacomo Feltrinelli, aperto sostenitore della pratica castrista del “fuoco guerrigliero”. Non riuscendoci concentreranno le loro attenzioni sugli anarchici, costruendo teoremi falsi, inventandosi testimoni inattendibili, usando le procedure a loro piacimento. Intanto l'idea che siano esclusivamente gli anarchici a mettere le bombe si fa strada nei media e quindi nella pubblica opinione. Una spinta agli avvenimenti la da la morte di un agente di polizia di 22 anni, Annarumma originario dell'Irpinia, una delle zone più povere del paese, avvenuta nel corso di scontri a Milano il 19 novembre, vittima di un trauma cranico provocato da un tubo di ferro.\r\nIn quel frangente, la polizia caricò come faceva allora con camionette e gipponi un corteo studentesco che si stava dirigendo verso la Statale e che aveva intercettato i lavoratori in sciopero generale che stavano uscendo dal teatro Lirico, luogo di una manifestazione. Studenti e lavoratori si difesero dalle cariche delle camionette che salivano sui marciapiedi, con ogni mezzo a disposizione, ma a distanza di anni non si sa ancora se, a provocarne la morte, sia stato un manifestante o lo scontro di due mezzi della polizia (come parrebbe confermare un video). Fatto sta che questo fatto ebbe una risonanza enorme; nella serata ci fu la rivolta dei poliziotti in due caserme di Milano, per protestare contro le condizioni nelle quali erano tenuti, i turni massacranti, i bassi salari e il fatto di essere carne a macello per “lor signori”. La rivolta fu sedata dai carabinieri; successivamente intervenne la repressione con punizioni, spostamenti, congedi forzati. Il presidente della Repubblica, il socialdemocratico filoamericano Saragat, pronuncia parole di fuoco contro i manifestanti gettando benzina sul clima già arroventato. A Saragat risponderà un operaio che alla manifestazione nazionale dei metalmeccanici del 29 novembre innalzerà un cartello con su scritto “Saragat: Operai 171, Poliziotti 1” per ricordare tutte le vittime proletarie della violenza poliziesca.\r\nDue giorni dopo ai funerali dell'agente si presentano in massa i fascisti, che danno vita alla caccia ai rossi, a chiunque avesse un aspetto di sinistra. Tra gli altri chi ne fece le spese fu anche Mario Capanna, leader del Movimento Studentesco della Statale che venne aggredito, rischiando il linciaggio al quale fu sottratto da agenti della squadra politica. In questo clima il ministro del lavoro Donat-Cattin. della sinistra democristiana, convoca immediatamente i segretari dei sindacati metalmeccanici FIM,FIOM, UILM dicendo loro, per sollecitarli alla chiusura del contratto: “Siamo alla vigilia dell'ora X. Il golpe è alle porte. Bisogna mettere un coperchio sulla pentola che bolle”.\r\nSiamo alla vigilia di Piazza Fontana. Il copione è già scritto. La lista dei colpevoli è già pronta.\r\nCon tutta l'arroganza del potere pensano di manovrare a piacimento gli avvenimenti. Aspettano la risposta della piazza per scatenare disordini, tali da sollecitare misure straordinarie del governo e l'intervento dell'esercito.\r\nMussolini, nell'affiancare Hitler nell'aggressione alla Francia pensava che bastasse un pugno di morti per sedere da vincitore al tavolo delle trattative post-belliche; gli uomini del governo, i loro servizi segreti, gli alleati nazifascisti, pensano che un pugno di morti in una banca basti a far rientrare il movimento di lotta e instaurare un regime autoritario. Non ci riusciranno, anche se il prezzo da pagare sarà alto: l'assassinio di Pinelli, Valpreda, Gargamelli, Borghese, Bagnoli e Mander in carcere per anni, Di Cola in esilio, e i tanti caduti nelle piazze per affermare la libertà di manifestazione e di espressione da Saverio Saltarelli a Carlo Giuliani. E bombe, tante bombe, ancora sui treni, a Brescia, a Bologna, e altri tentativi di colpo di Stato.\r\nCi vorranno anni di lotte, controinformazione, impegno militante per smascherare l'infame provocazione, inchiodare nazifascisti, servizi segreti e politici alle loro responsabilità stragiste, liberare i compagni, ma non sufficienti per ribaltare ciò che ha consentito tutto questo: un sistema democratico rappresentativo solo degli interessi padronali, dei ceti dominanti, delle multinazionali, un sistema di potere basato sull'abuso di potere. Un sistema che non esita a ricorrere al fascismo per ristabilire l'ordine gerarchico.\r\nAnni di piombo? 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A distanza di oltre cinque anni e dopo un numero infinito di analisi, indagini, pedinamenti, intercettazioni, perizie ecc. che hanno portato a nulla, la procura di Brescia non molla e decide di spendere ancora energie alla ricerca di un capro espiatorio. Davanti a tale zelo, che ormai è semplicemente accanimento, viene da sorridere con tanta tristezza e rabbia: per qualsiasi persona dotata di un briciolo buon senso questo sperperare risorse ingenti a fronte della crisi economica, dell’epidemia globale, fra nuove e vecchie povertà e miserie generalizzate, è un evidente oltraggio, verso la popolazione bresciana e non solo. È infatti assurdo, per chiunque sia minimamente onesto, che tali cose vengano reputate più importanti da parte della “giustizia” rispetto all’inquinamento delle acque, alle morti negli ospedali e nelle rsa, alla distruzione della medicina di base, ai posti di lavoro persi, agli sfratti e alle persone senza casa che aumentano, ai mancati investimenti alle scuole del territorio, alle casse integrazioni e ai fantomatici bonus che non arrivano.\r\nSta peggiorando il tenore di vita. Nell’ultimo anno, cinque milioni di persone nel “bel paese” hanno avuto difficoltà a mettere in tavola un pasto decente, e il 60% teme di poter perdere il lavoro o il reddito nel prossimo periodo. I poveri diventano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. Per garantire i profitti di pochi, anzi pochissimi, sulle spalle della miseria dei tanti, lo Stato deve usare sempre di più il bastone. Il nemico siamo noi! Avere a che fare con sanzioni, denunce, processi, ovvero con il braccio armato dello Stato e dei ricchi, è purtroppo sempre più la normalità. Faccio alcuni esempi: dal 2017, per chi ha la sventura di non avere quel poco di garanzie che rimangono con un contratto di lavoro e deve campare accettando lavoretti in nero (chi non si è mai trovato in questa situazione?!), a rischiare non è il padrone, che è passibile di multa (per chi ha un’azienda la cosa è gestibile, non certo un dramma) è soprattutto la lavoratrice o il lavoratore poiché “accetta” di lavorare a tali condizioni – come se avesse una scelta! Al di là delle multe è anche prevista la reclusione fino a due anni, e ad essere titolari di una misera indennità di disoccupazione, la reclusione rischia di aumentare fino a tre anni. La pandemia è stata un apripista per ulteriori giri di vite, con misure la cui unica utilità è addestrare il singolo all’obbedienza, non certo a proteggersi dal contagio di un virus – basti pensare al coprifuoco, vera e propria misura di guerra. Inoltre, a lottare per migliorare le proprie condizioni lavorative, o perché la gente non muoia più nel tentativo di attraversare una frontiera, addirittura a ribadire verità tragicamente reali come il fatto che in carcere si muore o che chi vende le armi alimenta la guerra, si rischia sempre più spesso di essere accusati di associazione a delinquere, favoreggiamento, istigazione, diffamazione… basti nominare l’azione repressiva contro i portuali di Genova per via delle loro lotte antimilitariste, ma non è purtroppo l’unica. D’altra parte, giusto per fare un esempio, se sei il proprietario della Caffaro o dell’Ilva ed hai ammazzato persone avvelenando le città per i tuoi profitti, non rischi nemmeno lontanamente di farti 12 anni di galera. Ma nemmeno un giorno. La tortura del carcere non si augura a nessuno ma è comunque singolare fare questa “constatazione”.\r\nL’epidemia di covid ha reso palese un progetto che mira a privarci di tutto ciò che ci rende umani, è la costruzione della società dell’isolamento. Mentre Stato e imprenditori impongono la necessità di produrre (noi) per farli guadagnare a rischio della (nostra) vita, il cosiddetto distanziamento sociale differenzia i rapporti familiari da quelli “evitabili”. Viene definito e decretato cosa loro intendano per vita: produrre e consumare, mentre le cose veramente importanti e belle come la libertà, l’imprevisto e la socialità vengono gettate nella clandestinità e bollate come malsane, sospettose, patogene.\r\nIl distanziamento sociale non viene pensato come temporaneo, ma viene dato per inevitabile un mondo di persone isolate, collegate fra loro unicamente dall’informatica. Quanto sarà malata una vita così? Alla base di questo futuro prossimo c’è l’inquinamento elettromagnetico, la distruzione degli habitat micro-biologici del pianeta (con la probabilità di future epidemie), lo sfruttamento aberrante del lavoro e la guerra fra stati per la spartizione del mondo così da accaparrarsi quei metalli rari necessari alle nuove tecnologie smart e green. Così vanno le cose in questo mondo. La farsa del recovery fund ne è un tragico esempio: una pioggia di investimenti su quei processi e opere (digitalizzazione, grandi infrastrutture) che rafforzano le condizioni di vita malsane che hanno aperto la strada all’epidemia globale e all’impossibilità di affrontarla. Sono queste le cose necessarie per chi ci governa.\r\nVedo anche che le procure non proseguono mai nelle inchieste per i fondi illeciti ai partiti, per i morti ammazzati in mare, per le tangenti o il genocidio di una generazione anziana a causa della malasanità. Chissà perché, mi domando. Va bene, è indubbio che per la “giustizia” prendersela seriamente con politici e potenti non è cosa facile, c’è rischio di stipendio e carriera a pestare i piedi ai propri capi. Meglio prendersela con i poveracci, è più sicuro! Ma c’è dell’altro. Forse lo Stato quello che una persona come me può ritenere giusto non lo capisce, come può non capire di cos’hanno bisogno gli sfruttati per vivere bene. O forse, banalmente, non gli interessa. “A pensare male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca”, diceva Andreotti. Insomma, se non sono stupidi, significa che stanno prendendoci per il naso.\r\nE allora, cari signori, potete obbligarci a fare una vita difficile e pesante perché voi possiate arricchirvi sulle nostre spalle, godendovi il privilegio di poter fare ogni schifezza, ogni capriccio che vi passi per la testa. Potete prenderci in giro, lasciarci senza casa, senza un soldo, senza medico, potete accusare chi prova a ribellarsi, potete trovare o inventare “prove” per distruggere la vita di qualcuno e delle sue persone care. Potete, con accuse infamanti quali quella di terrorismo, vendicarvi come e quando volete, potete lasciare milioni di persone nella povertà, nella guerra, nell’ignoranza, raccontando bugie sempre più assurde e stravaganti. Come i re di un tempo, pensate che nessuno vi dirà mai nulla e che “il popolo è bue”, e così ci trattate. E agli sfruttati, immiseriti, spaventati e schiacciati, state cercando ancora una volta di far credere che i malvagi non sono i tiranni, gli affamatori e gli sgherri in divisa che li proteggono, ma le persone che vogliono rivoltarsi dinanzi a questo schifo. E che i nemici della povera gente siamo noi anarchici. Il problema reale per voi sono le idee e le azioni generose e risolute di persone che vogliono vivere libere e che vogliono farla finita con questo mondo di terrore e povertà, prima che per tutte le classi sociali non abbienti ci sia solo la galera.\r\nIo sono anche un anarchico, e sono orgoglioso di esserlo, ma sono soprattutto uno sfruttato nato in un ceto basso e figlio di operai, e sono stufo di essere preso in giro e di dover far finta di credere a tutte le vostre menzogne, tra l’altro raccontate molto male. E poi andiamo, non c’entro nulla, ma proprio nulla con voi. Non ho una carriera da costruire sulle spalle della povera gente, non ho una villa da comprare facendo il burocrate, tradimenti da attuare per far carriera, persone da incarcerare, piedi da calpestare, magagne da nascondere, balle da raccontare… insomma non ho, non ho mai avuto né vorrei avere una vita “avventurosa” come la vostra. E per fortuna, penso, guardando a cosa avviene nel mondo o nella nostra piccola città, che dite di essere il bene. Non oso nemmeno immaginare cosa accadrebbe se vi diceste malvagi ed egoisti!\r\nAnche io non sono un santo è vero, e a mio modo risulto ridicolo agli occhi delle persone – niente di grave. Insomma, se faccio qualcosa di male è un male relativo, cioè… non uccido persone per i miei tornaconti personali o per il mio portafogli, non inquino i fiumi e l’acqua corrente nei paesi, non chiudo ambulatori medici e non mi arricchisco sulle spalle degli altri. Né tanto meno butto fuori la gente da casa, non licenzio nessuno né prometto a famiglie intere che avranno dei bonus o la cassa integrazione per poi lasciarli senza nulla, non strangolo la gente con le tasse per fare la guerra, le indagini fuffa, ecc. Insomma, non ho il vostro generoso “altruismo”, chissà come fate a vivere senza rimorsi o sensi di colpa. Mah. Per quel che mi riguarda non parteciperò al vostro teatrino mediatico e tanto meno potrò mai ammettere che siete il bene, o che va tutto bene. Sarebbe come ammettere davanti all’inquisizione che la terra è piatta, o come affermare che Luigi XVI fosse bello, bravo e buono. Davanti ai poveri come me gli unici argomenti che avete sono la forza e la paura. E per questo motivo vi sentite insicuri nelle nefandezze e nei loschi affari, soprattutto in un periodo storico come questo in cui accade che le persone si sveglino e siano stufe di tirare la cinghia, di avere paura, di essere prese in giro. Insomma, rivoltarsi e dire basta contro questo mondo di tenebre è semplicemente giusto, per chi ha un cuore ogni atto di rivolta è giusto, davanti al male che perseguite.\r\nUn mondo nuovo è necessario. Un’azione può essere condivisibile o meno da parte della povera gente, ma è sempre etica di fronte alle ingiustizie, per chi ha un cuore che batte per un’umanità ed un mondo migliore. Con la speranza che la rivoluzione, come sempre e in ogni epoca, sia contagiosa. Dite che gli anarchici sono un pericolo: non penso proprio. Forse ci imprigionate e perseguitate perché temete che persone come noi possano essere di esempio per gli sfruttati, non comprendendo che da sempre è quando i poveri dicono basta e si ribellano che sono un esempio per noi, e che noi siamo da sempre parte e figli loro.\r\nHo quasi finito, volevo dire queste parole. Non sono capace di cose più profonde, né voglio dire altro: per chi come me, non ha soldi per domestici, vacanze ai tropici, sogni di carriere e stipendi elevati, la vita ruota attorno al lavoro, a tirare a fine giornata e ai propri cari. La vita, insomma, è dura e non ho il “buon tempo” come voi di costruire castelli in aria e far terrore alla povera gente. Fra le svariate imputazioni a mio carico manca naturalmente quella relativa all’unico crimine di cui come accusato mi sono effettivamente macchiato e di cui continuerò a macchiarmi, e che rivendico con orgoglio: quello di considerare la dignità un sentimento che non accetta intimidazioni di stampo mafioso. Un crimine semplice che non mi stancherò mai di commettere.\r\nManu","24 Giugno 2021","2021-06-24 11:53:34","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/06/moon-200x110.jpg","A.C.A.B. - Riflessioni con Manu sull’imperitura indagine sull’azione contro la scuola di polizia del 2015","podcast",1624535614,[217,218,219,220],"http://radioblackout.org/tag/a-c-a-b/","http://radioblackout.org/tag/dna/","http://radioblackout.org/tag/juan/","http://radioblackout.org/tag/manu/",[200,194,198,196],{"post_content":223},{"matched_tokens":224,"snippet":225,"value":226},[73],"accuse infamanti quali quella di \u003Cmark>terrorismo\u003C/mark>, vendicarvi come e quando volete,","In collegamento telefonico, Manu ci aggiorna rispetto al lento procedere delle indagini della procura di Brescia sull’azione contro la scuola di polizia del 2015, il cui ultimo atto è la richiesta di un ulteriore prelievo di DNA per lui e per Juan.\r\n\r\nEntriamo nei particolari di questa vicenda, per molti versi emblematica e perfettamente inserita nella cornice repressiva degli ultimi anni: dal susseguirsi di incidenti probatori sempre più tecnologici e costosi all'accanimento della Procura e i suoi giochi sporchi, dalla \"colpa d'autore\" al ruolo del Dipartimento Antimafia, dal 2015 trasformato in Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/06/manu.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nDi seguito, un suo scritto (https://ilrovescio.info/2021/05/15/va-mia-be-nigot-non-va-bene-nulla/):\r\nVa mia be nigot\r\n(Non va bene nulla)\r\nRiflessioni sull’imperitura indagine della procura di Brescia sull’azione contro la scuola di polizia del 2015, cui ultimo atto è la richiesta di un ulteriore prelievo di DNA per me e per Juan\r\nCi risiamo. A distanza di oltre cinque anni e dopo un numero infinito di analisi, indagini, pedinamenti, intercettazioni, perizie ecc. che hanno portato a nulla, la procura di Brescia non molla e decide di spendere ancora energie alla ricerca di un capro espiatorio. Davanti a tale zelo, che ormai è semplicemente accanimento, viene da sorridere con tanta tristezza e rabbia: per qualsiasi persona dotata di un briciolo buon senso questo sperperare risorse ingenti a fronte della crisi economica, dell’epidemia globale, fra nuove e vecchie povertà e miserie generalizzate, è un evidente oltraggio, verso la popolazione bresciana e non solo. È infatti assurdo, per chiunque sia minimamente onesto, che tali cose vengano reputate più importanti da parte della “giustizia” rispetto all’inquinamento delle acque, alle morti negli ospedali e nelle rsa, alla distruzione della medicina di base, ai posti di lavoro persi, agli sfratti e alle persone senza casa che aumentano, ai mancati investimenti alle scuole del territorio, alle casse integrazioni e ai fantomatici bonus che non arrivano.\r\nSta peggiorando il tenore di vita. Nell’ultimo anno, cinque milioni di persone nel “bel paese” hanno avuto difficoltà a mettere in tavola un pasto decente, e il 60% teme di poter perdere il lavoro o il reddito nel prossimo periodo. I poveri diventano sempre più poveri, i ricchi sempre più ricchi. Per garantire i profitti di pochi, anzi pochissimi, sulle spalle della miseria dei tanti, lo Stato deve usare sempre di più il bastone. Il nemico siamo noi! Avere a che fare con sanzioni, denunce, processi, ovvero con il braccio armato dello Stato e dei ricchi, è purtroppo sempre più la normalità. Faccio alcuni esempi: dal 2017, per chi ha la sventura di non avere quel poco di garanzie che rimangono con un contratto di lavoro e deve campare accettando lavoretti in nero (chi non si è mai trovato in questa situazione?!), a rischiare non è il padrone, che è passibile di multa (per chi ha un’azienda la cosa è gestibile, non certo un dramma) è soprattutto la lavoratrice o il lavoratore poiché “accetta” di lavorare a tali condizioni – come se avesse una scelta! Al di là delle multe è anche prevista la reclusione fino a due anni, e ad essere titolari di una misera indennità di disoccupazione, la reclusione rischia di aumentare fino a tre anni. La pandemia è stata un apripista per ulteriori giri di vite, con misure la cui unica utilità è addestrare il singolo all’obbedienza, non certo a proteggersi dal contagio di un virus – basti pensare al coprifuoco, vera e propria misura di guerra. Inoltre, a lottare per migliorare le proprie condizioni lavorative, o perché la gente non muoia più nel tentativo di attraversare una frontiera, addirittura a ribadire verità tragicamente reali come il fatto che in carcere si muore o che chi vende le armi alimenta la guerra, si rischia sempre più spesso di essere accusati di associazione a delinquere, favoreggiamento, istigazione, diffamazione… basti nominare l’azione repressiva contro i portuali di Genova per via delle loro lotte antimilitariste, ma non è purtroppo l’unica. D’altra parte, giusto per fare un esempio, se sei il proprietario della Caffaro o dell’Ilva ed hai ammazzato persone avvelenando le città per i tuoi profitti, non rischi nemmeno lontanamente di farti 12 anni di galera. Ma nemmeno un giorno. La tortura del carcere non si augura a nessuno ma è comunque singolare fare questa “constatazione”.\r\nL’epidemia di covid ha reso palese un progetto che mira a privarci di tutto ciò che ci rende umani, è la costruzione della società dell’isolamento. Mentre Stato e imprenditori impongono la necessità di produrre (noi) per farli guadagnare a rischio della (nostra) vita, il cosiddetto distanziamento sociale differenzia i rapporti familiari da quelli “evitabili”. Viene definito e decretato cosa loro intendano per vita: produrre e consumare, mentre le cose veramente importanti e belle come la libertà, l’imprevisto e la socialità vengono gettate nella clandestinità e bollate come malsane, sospettose, patogene.\r\nIl distanziamento sociale non viene pensato come temporaneo, ma viene dato per inevitabile un mondo di persone isolate, collegate fra loro unicamente dall’informatica. Quanto sarà malata una vita così? Alla base di questo futuro prossimo c’è l’inquinamento elettromagnetico, la distruzione degli habitat micro-biologici del pianeta (con la probabilità di future epidemie), lo sfruttamento aberrante del lavoro e la guerra fra stati per la spartizione del mondo così da accaparrarsi quei metalli rari necessari alle nuove tecnologie smart e green. Così vanno le cose in questo mondo. La farsa del recovery fund ne è un tragico esempio: una pioggia di investimenti su quei processi e opere (digitalizzazione, grandi infrastrutture) che rafforzano le condizioni di vita malsane che hanno aperto la strada all’epidemia globale e all’impossibilità di affrontarla. Sono queste le cose necessarie per chi ci governa.\r\nVedo anche che le procure non proseguono mai nelle inchieste per i fondi illeciti ai partiti, per i morti ammazzati in mare, per le tangenti o il genocidio di una generazione anziana a causa della malasanità. Chissà perché, mi domando. Va bene, è indubbio che per la “giustizia” prendersela seriamente con politici e potenti non è cosa facile, c’è rischio di stipendio e carriera a pestare i piedi ai propri capi. Meglio prendersela con i poveracci, è più sicuro! Ma c’è dell’altro. Forse lo Stato quello che una persona come me può ritenere giusto non lo capisce, come può non capire di cos’hanno bisogno gli sfruttati per vivere bene. O forse, banalmente, non gli interessa. “A pensare male si fa peccato ma quasi sempre ci si azzecca”, diceva Andreotti. Insomma, se non sono stupidi, significa che stanno prendendoci per il naso.\r\nE allora, cari signori, potete obbligarci a fare una vita difficile e pesante perché voi possiate arricchirvi sulle nostre spalle, godendovi il privilegio di poter fare ogni schifezza, ogni capriccio che vi passi per la testa. Potete prenderci in giro, lasciarci senza casa, senza un soldo, senza medico, potete accusare chi prova a ribellarsi, potete trovare o inventare “prove” per distruggere la vita di qualcuno e delle sue persone care. Potete, con accuse infamanti quali quella di \u003Cmark>terrorismo\u003C/mark>, vendicarvi come e quando volete, potete lasciare milioni di persone nella povertà, nella guerra, nell’ignoranza, raccontando bugie sempre più assurde e stravaganti. Come i re di un tempo, pensate che nessuno vi dirà mai nulla e che “il popolo è bue”, e così ci trattate. E agli sfruttati, immiseriti, spaventati e schiacciati, state cercando ancora una volta di far credere che i malvagi non sono i tiranni, gli affamatori e gli sgherri in divisa che li proteggono, ma le persone che vogliono rivoltarsi dinanzi a questo schifo. E che i nemici della povera gente siamo noi anarchici. Il problema reale per voi sono le idee e le azioni generose e risolute di persone che vogliono vivere libere e che vogliono farla finita con questo mondo di terrore e povertà, prima che per tutte le classi sociali non abbienti ci sia solo la galera.\r\nIo sono anche un anarchico, e sono orgoglioso di esserlo, ma sono soprattutto uno sfruttato nato in un ceto basso e figlio di operai, e sono stufo di essere preso in giro e di dover far finta di credere a tutte le vostre menzogne, tra l’altro raccontate molto male. E poi andiamo, non c’entro nulla, ma proprio nulla con voi. Non ho una carriera da costruire sulle spalle della povera gente, non ho una villa da comprare facendo il burocrate, tradimenti da attuare per far carriera, persone da incarcerare, piedi da calpestare, magagne da nascondere, balle da raccontare… insomma non ho, non ho mai avuto né vorrei avere una vita “avventurosa” come la vostra. E per fortuna, penso, guardando a cosa avviene nel mondo o nella nostra piccola città, che dite di essere il bene. Non oso nemmeno immaginare cosa accadrebbe se vi diceste malvagi ed egoisti!\r\nAnche io non sono un santo è vero, e a mio modo risulto ridicolo agli occhi delle persone – niente di grave. Insomma, se faccio qualcosa di male è un male relativo, cioè… non uccido persone per i miei tornaconti personali o per il mio portafogli, non inquino i fiumi e l’acqua corrente nei paesi, non chiudo ambulatori medici e non mi arricchisco sulle spalle degli altri. Né tanto meno butto fuori la gente da casa, non licenzio nessuno né prometto a famiglie intere che avranno dei bonus o la cassa integrazione per poi lasciarli senza nulla, non strangolo la gente con le tasse per fare la guerra, le indagini fuffa, ecc. Insomma, non ho il vostro generoso “altruismo”, chissà come fate a vivere senza rimorsi o sensi di colpa. Mah. Per quel che mi riguarda non parteciperò al vostro teatrino mediatico e tanto meno potrò mai ammettere che siete il bene, o che va tutto bene. Sarebbe come ammettere davanti all’inquisizione che la terra è piatta, o come affermare che Luigi XVI fosse bello, bravo e buono. Davanti ai poveri come me gli unici argomenti che avete sono la forza e la paura. E per questo motivo vi sentite insicuri nelle nefandezze e nei loschi affari, soprattutto in un periodo storico come questo in cui accade che le persone si sveglino e siano stufe di tirare la cinghia, di avere paura, di essere prese in giro. Insomma, rivoltarsi e dire basta contro questo mondo di tenebre è semplicemente giusto, per chi ha un cuore ogni atto di rivolta è giusto, davanti al male che perseguite.\r\nUn mondo nuovo è necessario. Un’azione può essere condivisibile o meno da parte della povera gente, ma è sempre etica di fronte alle ingiustizie, per chi ha un cuore che batte per un’umanità ed un mondo migliore. Con la speranza che la rivoluzione, come sempre e in ogni epoca, sia contagiosa. Dite che gli anarchici sono un pericolo: non penso proprio. Forse ci imprigionate e perseguitate perché temete che persone come noi possano essere di esempio per gli sfruttati, non comprendendo che da sempre è quando i poveri dicono basta e si ribellano che sono un esempio per noi, e che noi siamo da sempre parte e figli loro.\r\nHo quasi finito, volevo dire queste parole. Non sono capace di cose più profonde, né voglio dire altro: per chi come me, non ha soldi per \u003Cmark>domestici\u003C/mark>, vacanze ai tropici, sogni di carriere e stipendi elevati, la vita ruota attorno al lavoro, a tirare a fine giornata e ai propri cari. La vita, insomma, è dura e non ho il “buon tempo” come voi di costruire castelli in aria e far terrore alla povera gente. Fra le svariate imputazioni a mio carico manca naturalmente quella relativa all’unico crimine di cui come accusato mi sono effettivamente macchiato e di cui continuerò a macchiarmi, e che rivendico con orgoglio: quello di considerare la dignità un sentimento che non accetta intimidazioni di stampo mafioso. Un crimine semplice che non mi stancherò mai di commettere.\r\nManu",[228],{"field":99,"matched_tokens":229,"snippet":225,"value":226},[73],1155199603042156500,{"best_field_score":232,"best_field_weight":138,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":233,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":14},"1112352751616","1155199603042156657",6637,{"collection_name":214,"first_q":34,"per_page":181,"q":34},["Reactive",237],{},["Set"],["ShallowReactive",240],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fJuCezT-9nhF_B_0zHU-e3_LqK22jrw1jWhHpJt3Ev6Y":-1},true,"/search?query=terrorismo+domestico"]