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Eccoli! No: Dj Post Pony è ancora sperso nelle valli delle talpe giganti; Ing. Sollazzi è lì ............ per l'occasione accompagnato da Dj O' Vero aka Dj Brodo Di Giuggiule aka Dj Gerbole Di Volvera aka Dj Is Over aka La Festa della Rane. Un'ora e qualcosa di psichedelia notturna, dischi rotti che vengono gettati via, malinconia di fine estate. Un finale tutto da scrivere con ottoni sfiatati e strumenti di plastica, una canzone della buonanotte.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/17092024.mp3\"][/audio]","17 Settembre 2024","2024-09-17 12:50:51","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/09/photo_2024-09-17_12-30-22-e1726569085934-200x110.jpg","Matinée XXL #50 - 17.09.2024","podcast",1726577451,[],[],{"post_content":145},{"matched_tokens":146,"snippet":147,"value":148},[58],"dischi rotti che vengono gettati \u003Cmark>via\u003C/mark>, malinconia di fine estate. 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Ovunque. \r\nIntroduce la serata Nicola Valentino, autore, tra gli altri, di “Istituzioni post manicomiali”\r\nOrganizza il collettivo antipsichiatrico “Francesco Mastrogiovanni”\r\n\r\nPrimo maggio anarchico\r\n Spezzone rosso e nero al corteo – ore 8,30 piazza Vittorio\r\n Pranzo del Primo Maggio in corso Palermo 46\r\n\r\nDomenica 6 maggio\r\nore 17,30\r\nin corso Palermo 46\r\nAnarchia e \u003Cmark>canzone\u003C/mark> d’autore da Brassens a Ferrè\r\n Parole e musica di Alessio Lega\r\n\r\nLe riunioni della Federazione Anarchica Torinese, aperte a tutti gli interessati, si fanno ogni giovedì dalle 21 in corso Palermo 46\r\n\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org",[214],{"field":82,"matched_tokens":215,"snippet":211,"value":212},[58],{"best_field_score":154,"best_field_weight":155,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":35,"score":156,"tokens_matched":88,"typo_prefix_score":88},{"document":218,"highlight":251,"highlights":256,"text_match":152,"text_match_info":259},{"comment_count":35,"id":219,"is_sticky":35,"permalink":220,"podcastfilter":221,"post_author":98,"post_content":222,"post_date":223,"post_excerpt":41,"post_id":219,"post_modified":224,"post_thumbnail":225,"post_title":226,"post_type":140,"sort_by_date":227,"tag_links":228,"tags":242},"46882","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-6-aprile-la-spartizione-della-siria-barilla-ferrero-leonardo-e-turchia-storie-di-frontiera-aborto-cattolici-allassalto-francia-scioperi-blocchi-occupazioni/",[98],"Notizie da Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nSui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. 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Tanto per chi ha tanto, poco per chi ha poco, molto poco per chi ha pochissimo.\r\nInsomma, da ognuno come può, più che può.\r\nper prenotare scrivete pure a fai_torino@autistici.org\r\noppure chiamate/inviate un messaggio al numero 327 7929559\r\n\r\nLunedì 16 aprile\r\nore 19,30 presso il Gabrio in via Millio\r\nLe frontiere invisibili\r\nCon l’avvocato Gianluca Vitale, e alcuni attivisti di Chez Jesus, un locale della chiesa occupato a Claviere, divenuto posto tappa per la gente in viaggio verso la Francia.\r\nA cura di Breaktheborder\r\n\r\nMercoledì 18 aprile\r\nore 18\r\npresidio contro le frontiere\r\ndavanti all’ingresso principale della stazione di Porta Nuova. \r\n\r\nVenerdì 20 aprile\r\nore 21\r\nalla Fat in corso Palermo 46\r\nAnarchici contro il fascismo. 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Ogni lavoro commentato ha avuto il suo recensore, ogni titolo è un link ma soprattutto, ogni scarrafone è bello a mamma sua. Per insulti, prese di posizione in disaccordo, denunce per diffamazione fare riferimento al TDM. Sommersi e salvati, fallimenti, recuperi e altre improbabili leggende di questo 2014. Iniziamo dai migliori....cosa salvare?\r\nPER LA SECONDA PARTE, CLICCA QUI!\r\nPER JAZZ, FUNK E BLACKNESS, CLICCA QUI!\r\nPER SAPERE CHI SONO I PEGGIORI, CLICCA QUI!\r\n \r\nHans Hassler – Hassler (Intakt)\r\nJazz e musiche da camera compresse in una stuba alpina dove il folklore diventa canzone (anche grazie alla grappa). Questo è l’altro mondo di Mr. Hassler, raffinato e ubriacone, melanconico e sguaiato, dolcissimo e stonato. Dalla baita nei grigioni guardano l’Europa dall’alto: Hans Hassler allo schwarzerorgeli è una bevuta in compagnia, qualcuno che conosci da sempre. Insuperabile (9)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=AZfbvdK5Mzw[/embed]\r\nCarla bozulich – Boy (Constellation Records)\r\nUn po’ meno punk, molto più soul. Anima nera come il catrame, la bozulich ha fondato una estetica del post, ragionando sulla condizione della donna, dimenandosi per uscire da facili stereotipi “rriot”. Inafferrabile disco notturno, si fregia dell’apparato ritmico a bassa velocità di Andrea Belfi. Cresce sottopelle, come un fungo sul cemento. Riesce ad incantare, inchiodandoti alle notti di dentro, che Carla sa raccontare così, con poesia. Bello, bello. (8)\r\nSteve Gunn & Mike Cooper – Cantos de Lisboa (RVNG ltd)\r\nSi incontrano a Lisbona Steve Gunn (il presente e il futuro) e Mike Cooper (una buona fetta di passato con l’impronta sul futuro). Sono artisti totali, capaci di fondere sensibilità anche extra-musicali in maniera non comune. Cantos de Lisboa è una pagina aperta sulla feroce contemporaneità di un mediterraneo diviso, tomba di uomini e donne, posto della crisi. Ne viene fuori un lavoro asciutto ma sufficientemente “libero”, dove slide e corde libere raccontano una carriera di 40 anni per Cooper con la levità di un giovane come Gunn. Essenziale (9)\r\nAa.Vv – Guruguru Brainwash (Guruguru Brainwash)\r\nIl nuovo suono del giappone moderno. Immagini da un presente complicato che la musica tende a seguire lungo i suoi tortuosi sentieri verso l’illuminazione, con una specificità “local” che trasuda dai dettagli. Per costruire futuro è necessario immagazzinare il passato, questo lavoro è motivo d’invidia nel ben più conosciuto mondo al di là del pacifico. (8)\r\nHarry Dean Stanton – Partly Fiction (Omnivore Recordings)\r\nStanton faccia da fuorilegge ci ha fatto piangere, ridere e bestemmiare in più di 200 film in una carriera ultra cinquantenne. 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La voce di Noura, la chitarra di suo marito, la glitterbeat dietro questa operazione ci mette il giusto di pulizia sonora, soffiando via un po’ della polvere che il vento spinge sull’immenso tavoliere dell’hammada. Desertico, melodico, ritmico, sprizza vita. Sono usciti troppi dischi “etno” che non sapevano veramente di nulla. Qui si studia la vita, tra urla di gioia e momenti di pura psichedelia del deserto. (9)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=jENMcnDs5yo[/embed]\r\nKhun Narin – Khun Narin’s Electric Phin Band (Innovative Leisure)\r\nIl Phin è una specie di chitarra elettrica della giungla thailandese che viene sparata attraverso un soundsystem pieno di riverbero. Gli amici della tribe si dedicano alla sezione ritmica di questo blues dell’estremo oriente, troppo diverso eppure troppo uguale. Caracolla, per carità, perchè qui non ci sono professionisti della musica. Solo gente che la veicola direttamente, acida come succo di mango e alcolica come whiskey di riso. File under Luk-thung in a funky way. Attendiamo seguiti, per ora (8)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=IYGl-l0Toig[/embed]\r\nValerio Cosi – Plays Popol Vuh (Dreamsheep)\r\nUno dei “nostri” (ma che senso ha??) più promettenti musicisti di area vagamente jazz lascia un po’ da parte il sax per dedicarsi in una immersione totale nel suono VUH. Cosi rilegge, con l’attenzione devota del discepolo un canzoniere impossibile da raccontare diversamente dalla reinterpretazione totale. Sceglie gli ingredienti giusti, quelli che hanno segnato il tempo: drone, minimalismo, spirtitualità, corrente elettrica, rombi analogici.(8)\r\nAkira Sakata/Giovanni di Domenico – Iruman (Mbari) e in aggiunta... Sakata/Berthling/Nillsen-Love – Arashi (Trost Records)\r\nIl mio biologo marino preferito in uno dei suoi anni migliori, ritorna a parlare con la mente, dialogando su dettagli minimi in compagnia di questo giovane pianista italiano. Se Sakata è uno dei migliori “urlatori” del temibile manipoli free-jazz giapponese, è anche vero che il suo rovescio è sui clarinetti, nella voce (nel canto) e nella comunione ordinata degli opposti. Materia cullante ma mai assopita, viene scolpita da Sakata, un maestro assoluto, un uomo fatto di carne e spirito. (9)\r\nSe nel duo abbiamo scherzato, questo temibile trio ricorda molto da vicino la combo di Sakata dei tardi 70, una creatura free degli abissi marini che aveva il suo Berthling in Hideaki Mochizuki, e Nillsen-Love era Shota Koyama. Precisione chirurgica, razionalità del caos, il sax di Sakata che fa l’anguilla elettrica in un mare ritmicamente in tempesta, elevandosi come un mostro degli abissi profondi. 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Ne viene fuori un lavoro asciutto ma sufficientemente “libero”, dove slide e corde libere raccontano una carriera di 40 anni per Cooper con la levità di un giovane come Gunn. Essenziale (9)\r\nAa.Vv – Guruguru Brainwash (Guruguru Brainwash)\r\nIl nuovo suono del giappone moderno. Immagini da un presente complicato che la musica tende a seguire lungo i suoi tortuosi sentieri verso l’illuminazione, con una specificità “local” che trasuda dai dettagli. Per costruire futuro è necessario immagazzinare il passato, questo lavoro è motivo d’invidia nel ben più conosciuto mondo al di là del pacifico. (8)\r\nHarry Dean Stanton – Partly Fiction (Omnivore Recordings)\r\nStanton faccia da fuorilegge ci ha fatto piangere, ridere e bestemmiare in più di 200 film in una carriera ultra cinquantenne. Ma la sua anima è nella musica, nei localini di messicani lungo Mulholland East, nei ricordi di una vita passata a rincorrere il successo delle grandi platee rimanendo sempre dietro ai protagonisti. Qui viene ritratto in salotto, mentre ciancia tra un bicchiere e l’altro, cantando le più belle di una vita. Raccomandato da David Lynch e Angelo Badalamenti: se non vi commuove allora avete una pietra fredda al posto del cuore. (9)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=tpm_uzXS8AI[/embed]\r\nIrmler & Liebezeit – Flut (Klangbad)\r\nL’uno (Irmler) suona l’organo, l’altro Liebzeit la batteria. Con una estetica less is more, che tra l’altro cade nel 50mo del minimalismo, riescono a riannodare tutti i fili e in molti episodi di questo disco indicano le prossime vie. Per chi non c’era, per chi non ha ascoltato ma anche per tutti quelli che sapevano e credevano che fosse finita lì. doctor faust meets Can. Mostri sacri. (8)\r\nNoura Mint Seymaly – Tzenni (Glitterbeat)\r\nMauritania, deserto. La voce di Noura, la chitarra di suo marito, la glitterbeat dietro questa operazione ci mette il giusto di pulizia sonora, soffiando \u003Cmark>via\u003C/mark> un po’ della polvere che il vento spinge sull’immenso tavoliere dell’hammada. Desertico, melodico, ritmico, sprizza vita. Sono usciti troppi dischi “etno” che non sapevano veramente di nulla. Qui si studia la vita, tra urla di gioia e momenti di pura psichedelia del deserto. (9)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=jENMcnDs5yo[/embed]\r\nKhun Narin – Khun Narin’s Electric Phin Band (Innovative Leisure)\r\nIl Phin è una specie di chitarra elettrica della giungla thailandese che viene sparata attraverso un soundsystem pieno di riverbero. Gli amici della tribe si dedicano alla sezione ritmica di questo blues dell’estremo oriente, troppo diverso eppure troppo uguale. Caracolla, per carità, perchè qui non ci sono professionisti della musica. Solo gente che la veicola direttamente, acida come succo di mango e alcolica come whiskey di riso. File under Luk-thung in a funky way. Attendiamo seguiti, per ora (8)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=IYGl-l0Toig[/embed]\r\nValerio Cosi – Plays Popol Vuh (Dreamsheep)\r\nUno dei “nostri” (ma che senso ha??) più promettenti musicisti di area vagamente jazz lascia un po’ da parte il sax per dedicarsi in una immersione totale nel suono VUH. Cosi rilegge, con l’attenzione devota del discepolo un canzoniere impossibile da raccontare diversamente dalla reinterpretazione totale. Sceglie gli ingredienti giusti, quelli che hanno segnato il tempo: drone, minimalismo, spirtitualità, corrente elettrica, rombi analogici.(8)\r\nAkira Sakata/Giovanni di Domenico – Iruman (Mbari) e in aggiunta... Sakata/Berthling/Nillsen-Love – Arashi (Trost Records)\r\nIl mio biologo marino preferito in uno dei suoi anni migliori, ritorna a parlare con la mente, dialogando su dettagli minimi in compagnia di questo giovane pianista italiano. Se Sakata è uno dei migliori “urlatori” del temibile manipoli free-jazz giapponese, è anche vero che il suo rovescio è sui clarinetti, nella voce (nel canto) e nella comunione ordinata degli opposti. Materia cullante ma mai assopita, viene scolpita da Sakata, un maestro assoluto, un uomo fatto di carne e spirito. (9)\r\nSe nel duo abbiamo scherzato, questo temibile trio ricorda molto da vicino la combo di Sakata dei tardi 70, una creatura free degli abissi marini che aveva il suo Berthling in Hideaki Mochizuki, e Nillsen-Love era Shota Koyama. Precisione chirurgica, razionalità del caos, il sax di Sakata che fa l’anguilla elettrica in un mare ritmicamente in tempesta, elevandosi come un mostro degli abissi profondi. Se pensate che ci sia qualcosa di sgraziato nelle urla, non avete mai avuto occasione di apprezzare da vicino i lavori di questo piccolo grande uomo (9)\r\n[embed]https://www.youtube.com/watch?v=X9KXeg5eP_c[/embed]\r\n\r\n ",[280],{"field":82,"matched_tokens":281,"snippet":277,"value":278},[173],{"best_field_score":154,"best_field_weight":155,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":35,"score":156,"tokens_matched":88,"typo_prefix_score":88},{"document":284,"highlight":300,"highlights":305,"text_match":152,"text_match_info":308},{"comment_count":35,"id":285,"is_sticky":35,"permalink":286,"podcastfilter":287,"post_author":98,"post_content":288,"post_date":289,"post_excerpt":41,"post_id":285,"post_modified":290,"post_thumbnail":291,"post_title":292,"post_type":140,"sort_by_date":293,"tag_links":294,"tags":298},"20099","http://radioblackout.org/podcast/forconi-a-torino-i-figli-del-deserto-2/",[98],"Decodificare quanto è accaduto a Torino nell’ultima settimana non è facile. Specie se lo si fa con lo sguardo interessato di chi sceglie un punto di vista di classe, di chi ha l’attitudine alla partecipazione diretta, di chi mira alla costruzione di esperienze di autogoverno territoriale fuori tutela statale, definendo uno spazio e un tempo capaci di attraversare l’immaginario sociale, facendosi pratica concreta.\r\n\r\nAnarres ne ha discusso con Pietro e con Stefano, uno di Genova, l'altro di Torino per cercare di capire quello che stava succedendo nelle piazze ed il dibattito che ne era scaturito in città, tra fascinazioni e ripulse.\r\nNe è scaturito un dibatto intenso, sovente intervallato dagli sms dei nostri ascoltatori.\r\nVe lo proponiamo nella sua interezza, auspicando che possa innervare un ulteriore riflessione.\r\nDi seguito anche una nostra valutazione.\r\nBuon ascolto e buona lettura.\r\n\r\nAscolta la diretta con Pietro:\r\n\r\n2013 12 13 pietro 9 dic\r\n\r\ne i commenti arrivati:\r\n\r\n2013 12 13 pietro 9 dic commenti\r\n\r\nAscolta la lunga chiacchierata con Stefano e i commenti arrivati.\r\nPrima parte:\r\n\r\n2013 12 13 stafano parte prima\r\n\r\nSeconda parte:\r\n\r\n2013 12 13 stefano parte seconda\r\n\r\nNella sinistra civilizzata e di governo c’è da decenni un netto disprezzo per l’Italia a cavallo tra Drive in e il presidente operaio e puttaniere. L’Italia che si è affidata per vent’anni ad un partito capace di attuare politiche ultraliberiste, garantendo altresì la sopravvivenza di figure sociali che altrove la globalizzazione ha spazzato via: commercianti, artigiani, padroncini, agricoltori su scala familiare o con pochi dipendenti.\r\n\r\nLa settimana precedente quella del 9 dicembre, il governo, intuendo la miscela esplosiva che si stava preparando, ha concesso tutto quello che volevano alle organizzazioni degli autotrasportatori, mentre la moderatissima Coldiretti ha organizzato la manifestazione al Brennero, dove venivano bloccati e perquisiti i camion con la benedizione del ministro. Dopo i blocchi e le “perquisizioni” sulla A32 durante l’estate No Tav, Alfano ordinò cariche, arresti e l’invio di altri 250 militari in Clarea. Evidentemente questo governo, soprattutto nella sua componente di destra, mira a evitare lo strappo con alcuni dei propri settori sociali di riferimento, concedendo spazi di manovra negati ad altri.\r\nLa sinistra civilizzata, nei brevi periodi in cui è riuscita a saltare in sella al destriero governativo ha garantito la vita facile alla grande industria, facilitando la demolizione mattone su mattone di ogni forma di tutela per il lavoratori dipendenti e collaborando attivamente nella trasformazione di tanti di loro in lavoratori indipendenti ma di fatto subordinati. In tempi di crisi il popolo delle partite IVA si ritrova nella stessa condizione dei mercatari torinesi cui il comune chiede 500 euro al mese per la pulizia dei mercati. A tutti questi si aggiungono i tanti giovani – uno su quattro dicono le statistiche - che non hanno né un lavoro né un percorso formativo. Per non dire dei ragazzi degli istituti professionali che sanno di essere parcheggiati in attesa di disoccupazione.\r\n\r\nNelle piazze torinesi animate dal popolo delle periferie, quello cresciuto tra facebook e il bar sport, si sono ritrovati quelli dei banchi dei mercati, qualche disoccupato, i ragazzi degli istituti professionali.\r\n\r\n Nella sinistra intorno alle giornate di lotta indette dal “coordinamento 9 dicembre” si è sviluppato un dibattito molto ampio, spesso anche aspro.\r\n\r\nDi fronte all’ampiezza della partecipazione, alcuni hanno osservato che era difficile che il mestolo stesse in mano alla destra cittadina. A Torino sia la Destra istituzionale – Fratelli d’Italia – sia chi – come Forza Nuova e Casa Pound - vive nel limbo tra istituzioni e velleità rivoluzionarie – non avrebbero un peso ed una capacità organizzativa tali da poterlo fare.\r\n\r\nUn fatto è certo: nelle piazze di Torino e dintorni i rappresentanti di queste formazioni si sono fatti vedere più volte accolti dagli applausi della gente. Come è certo che buona parte delle tifoserie torinesi, ben presenti nei giorni più caldi, siano ormai da lunghi anni egemonizzate dall’estrema destra. In almeno un caso un esponente di “Alba Dorata” è stato cacciato dal blocco di piazza Derna grazie alla presenza di esponenti di sinistra, che avevano deciso di partecipare all’iniziativa. È tuttavia un caso isolato che non cambia il quadro. Anche la favola dei profughi africani, accolti con un applauso da quelli del “coordinamento 9 dicembre” è stata è stata ampiamente sfatata da resoconti circolati successivamente.\r\nLa questione è comunque mal posta. Qualunque sia stato il peso della destra, nelle sue varie componenti, la domanda vera è un’altra. Il movimento che si è espresso nelle piazze in un garrir di tricolori, inviti alla polizia a fraternizzare, richiami all’unità della nazione contro la casta corrotta e asservita ai diktat dell’Europa delle banche è un movimento di destra o no?\r\nNoi pensiamo di si.\r\n\r\nI resoconti fatti girare dalla sinistra radicale torinese hanno privilegiato l’immagine di piazze ambiguamente acefale: prive di capi, prive di organizzazione, prive di reale comprensione delle ragioni che li avevano condotti lì. Una sorta di creta che chiunque avrebbe potuto plasmare e dirigere. Una descrizione a mio avviso inconsapevolmente intrisa di orgoglio intellettuale e del mai sopito sogno di poter governare o alimentarsi delle jacquerie. Alcuni ne hanno assunto il mero contenuto antisistema, nella vecchia convinzione che il nemico del tuo nemico è un tuo amico. Una mostruosità ideologica che abbiamo visto annegare nel sangue tra Baghdad e Kabul ma sinora non ci aveva toccato da vicino.\r\n\r\nBisogna guardare in faccia la realtà. Una realtà che certo non ci piace, ma il mero desiderio di vederla diversa non si concreta, se non la si sa vedere per quello che è. I protagonisti di questi giorni di blocchi e serrate sono i figli del deserto sociale degli ultimi trent'anni. Gente che credeva di avere ancoraggi e certezze e oggi si trova sospesa sul nulla. \r\nL’analisi della composizione di classe di questo movimento, della sua natura popolare, periferica,perché avvertivamo forte la necessità di capire ed intervenire per poter fermare l’onda lunga di destra che ha messo a loro disposizione un lessico comune, una chiave di lettura ed un orizzonte progettuale.\r\n\r\nSiamo andati nelle piazze e nei bar ad ascoltare e capire il vento che stava cambiando, perché in periferia, tra i mercati e le strade attraversate dai cortei per l'ordine e la legalità, tra la gente che fatica a campare e non vede prospettive, ci siamo da anni. Da anni sappiamo che l'incapacità di parlare con gli italiani poveri, quelli che guardano con simpatia alla destra xenofoba e razzista, quelli che avevano qualcosa e ora hanno solo paura, avrebbe aperto la strada a chi predica il governo forte, la polizia ovunque, la nazione contro la globalizzazione, l'unione degli italiani, sfruttati e sfruttatori contro il grande complotto internazionale delle banche. Oggi lo chiamano signoraggio: non puntano il dito sugli ebrei ma la melodia della canzone è la stessa dagli anni Trenta del secolo scorso. Gli stranieri di seconda generazione che sventolavano il tricolore con i loro colleghi del mercato, sebbene in realtà pochini rispetto la realtà dei banchi, non ci stupiscono: li abbiamo visti inveire contro altri stranieri, ultimi arrivati che “delinquono”. Molti di loro assumono giovani connazionali poveri e li sfruttano senza pietà così come gli italiani doc. Il gioco del capitalismo piace ad ogni latitudine.\r\n\r\nI protagonisti di questi tre/quattro giorni di blocchi e iniziative sono ceti impoveriti e rancorosi: l’Italia delle clientele prima democristiane e socialiste, poi forza italiote, oggi piegata dalla crisi, dalla pressione fiscale, dall’indebolirsi della compagine berlusconiana e della Lega, partiti politici di riferimento per oltre vent’anni.\r\n\r\nIl loro programma – esplicitamente delineato nei volantini tricolori distribuiti in ogni dove – è chiaro: far cadere il governo, sostituirlo con un esecutivo forte e onesto, capace di traghettare l’Italia fuori dall’euro, fuori dall’Europa delle banche, garantendo significative misure protezioniste.\r\nIl tutto all’insegna di una deriva identitaria di segno nazionalista dove la nazione è descritta e vissuta come un corpo sano attaccato da agenti esterni che si ricompone intorno all’alleanza interclassista dei produttori.\r\nQuesto è un programma di destra. Di destra radicale.\r\n\r\nNon sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”. La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.\r\n\r\nÈ ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c'è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.\r\n\r\nIn questo “tutti a casa” c'è chi ha sentito l'eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell'istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.\r\n\r\nSappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.\r\nL’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all'eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. \r\n\r\nNell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.\r\n\r\nL’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.\r\n\r\nVedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.\r\n\r\nArticolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà e lotta con gli altri settori popolari.\r\n\r\n Se poi l'immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l'orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.\r\n\r\nA Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.\r\n\r\n Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell'andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.\r\nQuando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da calcio ma all'eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.\r\nChi a sinistra sottovaluta l'importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l'autunno ed il più gelido degli inverni.\r\nChi frequenta i bar di periferia sa che sesso, calcio, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l'idea che “così va il mondo”. Talora capita che qualcuno si lasci andare a dichiarazioni roboanti, all'insegna del fuoco e dello spaccar tutto. Poi il bar chiude e la rivoluzione dei rivoluzionari dell'aperitivo viene rimandata al giorno successivo.\r\n\r\nSe capita che quelli del bar sport escano davvero in strada è un segnale che sarebbe miope non vedere. Ma sarebbe ancora più miope leggere la realtà con gli occhi tristi degli orfani del soggetto sociale.\r\n\r\nQualcuno a Torino ha scritto che bisogna affondare le mani nella merda perché dai diamanti dell'ideologia non nasce nulla. Siamo d'accordo. Purché non ci si illuda che fare a mattonate contro la polizia tra chi sventola tricolori possa essere il grimaldello che apre il vaso di Pandora dei propri desideri.","17 Dicembre 2013","2018-10-17 22:59:36","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/12/torino-piazza-castello-9-dic-200x110.jpg","Forconi a Torino. 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Di destra radicale.\r\n\r\nNon sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”. La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.\r\n\r\nÈ ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c'è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.\r\n\r\nIn questo “tutti a casa” c'è chi ha sentito l'eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell'istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.\r\n\r\nSappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.\r\nL’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all'eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. \r\n\r\nNell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.\r\n\r\nL’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.\r\n\r\nVedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.\r\n\r\nArticolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà e lotta con gli altri settori popolari.\r\n\r\n Se poi l'immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l'orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.\r\n\r\nA Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.\r\n\r\n Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell'andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.\r\nQuando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da calcio ma all'eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.\r\nChi a sinistra sottovaluta l'importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l'autunno ed il più gelido degli inverni.\r\nChi frequenta i bar di periferia sa che sesso, calcio, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l'idea che “così va il mondo”. Talora capita che qualcuno si lasci andare a dichiarazioni roboanti, all'insegna del fuoco e dello spaccar tutto. Poi il bar chiude e la rivoluzione dei rivoluzionari dell'aperitivo viene rimandata al giorno successivo.\r\n\r\nSe capita che quelli del bar sport escano davvero in strada è un segnale che sarebbe miope non vedere. Ma sarebbe ancora più miope leggere la realtà con gli occhi tristi degli orfani del soggetto sociale.\r\n\r\nQualcuno a Torino ha scritto che bisogna affondare le mani nella merda perché dai diamanti dell'ideologia non nasce nulla. Siamo d'accordo. 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