","L'onda rosa. Il grande corteo delle donne a Roma","post",1480438526,[64,65,66,67,68,69],"http://radioblackout.org/tag/assemblea-femminista/","http://radioblackout.org/tag/corteo-non-una-di-meno-roma/","http://radioblackout.org/tag/femminismo/","http://radioblackout.org/tag/sciopero-delle-donne/","http://radioblackout.org/tag/torino/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-genere-sulle-donne/",[71,72,20,73,15,74],"assemblea femminista","corteo \"non una di meno\" roma","sciopero delle donne","violenza di genere sulle donne",{"post_content":76,"post_title":82,"tags":85},{"matched_tokens":77,"snippet":80,"value":81},[78,79],"donne","di","essere difesa” da uomini (e \u003Cmark>donne\u003C/mark>) in divisa, \u003Cmark>di\u003C/mark> chi sa che la propria","Quando la marea sale nei paesi affacciati sull'Oceano, comincia piano, piano, piano. Poi diventa impetuosa e in breve copre tutto.\r\n\r\nIn questi mesi prima del corteo del 26 novembre abbiamo visto la marea salire. Sembrava una quieta marea mediterranea, destinata ad allontanare \u003Cmark>di\u003C/mark> qualche metro il bagnasciuga. Poi, passo dopo passo, assemblea dopo assemblea chi ha attraversato il percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> “non una \u003Cmark>di\u003C/mark> meno” ha visto crescere una marea forte, \u003Cmark>di\u003C/mark> quelle che mutano il profilo della costa, assediando le roccaforti del potere ancorate a terra.\r\n\r\nA Roma è dilagata come solo l'Oceano sa fare. 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Questo momento di piazza, organizzato in contemporanea in varie città d’Italia, vuole essere una risposta alla forte mobilitazione intorno a questi temi che ha caratterizzato il 25 novembre e le scorse settimane. Al contempo, la piazza di sabato vuole essere un invito a iniziare a mobilitarsi verso lo sciopero transfemminista dell’8 marzo, praticando forme di sciopero e protesta ogni giorno.\r\n\r\nA Torino, l’appuntamento è a Piazza Castello a partire dalle 14:30. È previsto un corteo lungo il quale si affronteranno i temi della violenza economica e del lavoro, della violenza patriarcale nell’istruzione e nel sistema della salute. Ne abbiamo parlato con Bea che ci racconta più nel dettaglio cosa si è deciso di mettere in campo e insieme a Francesca, rappresentante sindacale CUB e lavoratrice in lotta del RSA Il Porto. Per lei e le sue colleghe la giornata di mobilitazione inizia già al mattino (sempre in piazza Castello) e si muoverà, anche insieme a Non Una di Meno, per denunciare le dure condizioni di lavoro ed avanzare richieste specifiche per un miglioramento delle condizioni contrattuali e lavorative nel settore RSA, di cui si stanno facendo portatrici oggi. 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Lì verrà fatta una s-conferenza stampa, una conferenza stampa al contrario.\r\n\r\nLe attiviste di Non Una di Meno non “chiedono” alla stampa di ascoltare e diffondere la loro narrazione, ma intendono raccontare le violenze subite quotidianamente all'interno degli ingranaggi sociali, economici, politici e culturali, che tengono in scacco le loro vite. I media relegano nella sfera privata, sentimentale, personale la violenza senza coglierne la dimensione reattiva, che caratterizza chi vuole imporre con la forza la sottomissione alla norma patriarcale.\r\n\r\nL'appuntamento è per mercoledì 1° marzo ore 16 per il presidio/s-conferenza stampa nei pressi del quotidiano Repubblica, in via Bruno Buozzi angolo via Roma\r\n\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Bia della Rete Non Una di Meno Torino.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2017 02 28 bia sconferenza\r\n\r\nDi seguito il loro comunicato:\r\n\r\nL'assemblea della Rete Non Una di Meno di Torino ha deciso di non fare una conferenza stampa per presentare lo sciopero generale dell'8 marzo. Abbiamo scelto di fare un presidio nel centro della città, nei pressi di uno dei tre maggiori quotidiani cittadini, per proporre una narrazione della violenza di genere diversa da quella di gran parte dei media nazionali ed internazionali. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, una collocazione che ne nega la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\n\r\n\r\nLa libertà che le donne si sono conquistate ha incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l'ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà e dell'autonomia femminile è ancora molto lunga. E in salita. \r\n\r\nLa narrazione della violenza proposta da tanti media rende questa salita più ripida.\r\n\r\n\r\nI media di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nascondendo l’esplicita intenzione disciplinante e punitiva.\r\n\r\n\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. \r\nI media descrivono le donne come vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale di rinforzare l’opinione che le donne siano intrinsecamente deboli.\r\n\r\n\r\nNoi non siamo vittime, non accettiamo che la libertà e la sicurezza delle donne possa divenire alibi per moltiplicare la pressione disciplinare, i dispositivi securitari e repressivi, il crescere del controllo poliziesco sul territorio.\r\n\r\n\r\nLe donne libere stanno creando reti solidali, che le rendono più forti individualmente e collettivamente. Disprezziamo la violenza e chi la usa contro di noi, ma quando è necessario sappiamo difenderci da chi ci attacca, nella consapevolezza che chi tocca una, tocca tutte. \r\n\r\n\r\nI media usano la violenza sulle donne come strumento per rinforzare il razzismo nei confronti dei migranti: la violenza di genere è raccontata in modo molto diverso se i protagonisti sono nati qui o altrove. La violenza verso le donne migranti viene spesso minimizzata, perché considerata “intrinseca” alla loro cultura. Parimenti se il violento è uno straniero la stessa argomentazione viene usata per invocare la chiusura delle frontiere ed espulsioni di massa.\r\nIl moltiplicarsi dei femminicidi agiti da uomini italiani verso donne italiane dimostra che la violenza di genere è senza frontiere. Come lo sciopero femminista del prossimo otto marzo. \r\n\r\n\r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. Decenni di femminismo e di storia della libertà femminile vengono deliberatamente ignorati.\r\n\r\n\r\nI media negano identità e dignità alle persone, quando scrivono di “trans uccisi”, senza nulla sapere delle loro vite.\r\nIl genere non è un destino, né una condanna, ma un percorso che ciascun* attraversa per trovare se stess*, fuori da stereotipi e ruoli imposti. \r\n\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne, la violenza di genere. \r\n\r\n\r\nPer questa ragione la nostra presentazione dello sciopero internazionale dell'8 marzo sarà un presidio di informazione e di lotta. \r\n\r\n\r\nAbbiamo scelto la sede di Repubblica, ma idealmente saremo di fronte alle sedi dei tanti, troppi, altri quotidiani, emittenti televisive e radio, che, propongono una visione privata, personale, impolitica della violenza maschile sulle donne, della violenza di genere, della violenza che cerca di piegare il nostro insopprimibile desiderio di libertà, i nostri percorsi di autonomia, la nostra storia di persone che lottano per se e per tutt*.\r\n\r\n\r\nNoi non ci stiamo!\r\n\r\nRacconteremo in strada la marea femminista che sta dilagando ai quattro angoli del pianeta. \r\n\r\n\r\nMercoledì 1° marzo ore 16 \r\n\r\ns-conferenza stampa nei pressi del quotidiano Repubblica, in via Bruno Buozzi angolo via Roma\r\n\r\n\r\nNon Una di Meno Torino\r\n\r\n\r\nnonunadimenotorino@gmail.com","28 Febbraio 2017","La narrazione della violenza contro le donne, prevalente sui media, ne nega la valenza politica, contribuendo ad alimentare l'immaginario che la genera e la giustifica. \r\nMercoledì primo marzo la Rete Non Una di Meno di Torino ha deciso di portare la narrazione femminista, intersezionale sulla violenza di genere di fronte al quotidiano Repubblica. Lì verrà fatta una s-conferenza stampa, una conferenza stampa al contrario. \r\nLe attiviste di Non Una di Meno non “chiedono” alla stampa di ascoltare e diffondere la loro narrazione, ma intendono raccontare le violenze subite quotidianamente all'interno degli ingranaggi sociali, economici, politici e culturali, che tengono in scacco le loro vite. 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Decenni di femminismo e di storia della libertà femminile vengono deliberatamente ignorati.\r\n\r\nI media negano identità e dignità alle persone, quando scrivono di “trans uccisi”, senza nulla sapere delle loro vite.\r\nIl genere non è un destino, né una condanna, ma un percorso che ciascun* attraversa per trovare se stess*, fuori da stereotipi e ruoli imposti. \r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne, la violenza di genere. \r\n\r\nPer questa ragione la nostra presentazione dello sciopero internazionale dell'8 marzo sarà un presidio di informazione e di lotta. \r\n\r\nAbbiamo scelto la sede di Repubblica, ma idealmente saremo di fronte alle sedi dei tanti, troppi, altri quotidiani, emittenti televisive e radio, che, propongono una visione privata, personale, impolitica della violenza maschile sulle donne, della violenza di genere, della violenza che cerca di piegare il nostro insopprimibile desiderio di libertà, i nostri percorsi di autonomia, la nostra storia di persone che lottano per se e per tutt*.\r\n\r\nNoi non ci stiamo!\r\nRacconteremo in strada la marea femminista che sta dilagando ai quattro angoli del pianeta. \r\n\r\nMercoledì 1° marzo ore 16 \r\ns-conferenza stampa nei pressi del quotidiano Repubblica, in via Bruno Buozzi angolo via Roma\r\n\r\nNon Una di Meno Torino\r\n\r\nnonunadimenotorino@gmail.com ","2017-03-03 12:12:31","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/non-una-di-meno-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"286\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/non-una-di-meno-286x300.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/non-una-di-meno-286x300.jpg 286w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/non-una-di-meno-768x805.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/non-una-di-meno.jpg 916w\" sizes=\"auto, (max-width: 286px) 100vw, 286px\" />","S-conferenza stampa sulla violenza di genere di Non Una di Meno Torino",1488295412,[66,189,190,191,192,193,194],"http://radioblackout.org/tag/media/","http://radioblackout.org/tag/narrazione-della-violenza/","http://radioblackout.org/tag/non-una-di-meno-torino/","http://radioblackout.org/tag/otto-marzo/","http://radioblackout.org/tag/primo-marzo/","http://radioblackout.org/tag/s-conferenza-stampa/",[20,196,197,37,198,199,200],"media","narrazione della violenza","otto marzo","primo marzo","s-conferenza stampa",{"post_content":202,"post_title":206,"tags":209},{"matched_tokens":203,"snippet":204,"value":205},[100,102,78,100,79,101,100,79],"personale, impolitica della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>, della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che cerca \u003Cmark>di\u003C/mark>","La narrazione della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>, prevalente sui media, ne nega la valenza politica, contribuendo ad alimentare l'immaginario che la genera e la giustifica.\r\nMercoledì primo marzo la Rete Non Una \u003Cmark>di\u003C/mark> Meno \u003Cmark>di\u003C/mark> Torino ha deciso \u003Cmark>di\u003C/mark> portare la narrazione femminista, intersezionale sulla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte al quotidiano Repubblica. Lì verrà fatta una s-conferenza stampa, una conferenza stampa al contrario.\r\n\r\nLe attiviste \u003Cmark>di\u003C/mark> Non Una \u003Cmark>di\u003C/mark> Meno non “chiedono” alla stampa \u003Cmark>di\u003C/mark> ascoltare e diffondere la loro narrazione, ma intendono raccontare le violenze subite quotidianamente all'interno degli ingranaggi sociali, economici, politici e culturali, che tengono in scacco le loro vite. I media relegano nella sfera privata, sentimentale, personale la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> senza coglierne la dimensione reattiva, che caratterizza chi vuole imporre con la forza la sottomissione alla norma patriarcale.\r\n\r\nL'appuntamento è per mercoledì 1° marzo ore 16 per il presidio/s-conferenza stampa nei pressi del quotidiano Repubblica, in via Bruno Buozzi angolo via Roma\r\n\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Bia della Rete Non Una \u003Cmark>di\u003C/mark> Meno Torino.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2017 02 28 bia sconferenza\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito il loro comunicato:\r\n\r\nL'assemblea della Rete Non Una \u003Cmark>di\u003C/mark> Meno \u003Cmark>di\u003C/mark> Torino ha deciso \u003Cmark>di\u003C/mark> non fare una conferenza stampa per presentare lo sciopero generale dell'8 marzo. Abbiamo scelto \u003Cmark>di\u003C/mark> fare un presidio nel centro della città, nei pressi \u003Cmark>di\u003C/mark> uno dei tre maggiori quotidiani cittadini, per proporre una narrazione della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> diversa da quella \u003Cmark>di\u003C/mark> gran parte dei media nazionali ed internazionali. \r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> è confinata nelle pagine della cronaca nera, una collocazione che ne nega la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> delinquenza comune, in questioni private. \r\n\r\n\r\nLa libertà che le \u003Cmark>donne\u003C/mark> si sono conquistate ha incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l'ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà e dell'autonomia femminile è ancora molto lunga. E in salita. \r\n\r\nLa narrazione della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> proposta da tanti media rende questa salita più ripida.\r\n\r\n\r\nI media \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano \u003Cmark>di\u003C/mark> privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nascondendo l’esplicita intenzione disciplinante e punitiva.\r\n\r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus \u003Cmark>di\u003C/mark> follia, eccessi \u003Cmark>di\u003C/mark> sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. \r\nI media descrivono le \u003Cmark>donne\u003C/mark> come vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale \u003Cmark>di\u003C/mark> rinforzare l’opinione che le \u003Cmark>donne\u003C/mark> siano intrinsecamente deboli.\r\n\r\n\r\nNoi non siamo vittime, non accettiamo che la libertà e la sicurezza delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> possa divenire alibi per moltiplicare la pressione disciplinare, i dispositivi securitari e repressivi, il crescere del controllo poliziesco sul territorio.\r\n\r\n\r\nLe \u003Cmark>donne\u003C/mark> libere stanno creando reti solidali, che le rendono più forti individualmente e collettivamente. Disprezziamo la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> e chi la usa contro \u003Cmark>di\u003C/mark> noi, ma quando è necessario sappiamo difenderci da chi ci attacca, nella consapevolezza che chi tocca una, tocca tutte. \r\n\r\n\r\nI media usano la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> come strumento per rinforzare il razzismo nei confronti dei migranti: la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> è raccontata in modo molto diverso se i protagonisti sono nati qui o altrove. La \u003Cmark>violenza\u003C/mark> verso le \u003Cmark>donne\u003C/mark> migranti viene spesso minimizzata, perché considerata “intrinseca” alla loro cultura. 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Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione di garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati di base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato di cancellare lo sciopero.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative di lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, di rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari statunitensi in tempo di epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma di opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana di informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria di Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una di meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli di genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua del marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira di un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia di Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nDi seguito la cronaca della settimana di lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al di là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere di più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione di un’immagine femminile che si adegui a modelli di seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\nDi seguito l’appello per l’8 marzo di NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia di rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione di libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio di violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione di violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi di violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza di chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale di rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e del militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo di coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro di cura di anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione di reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti di una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano di stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto di essere in piazza contro chi cerca di imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”","10 Marzo 2020","2020-03-10 13:34:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1536x1024.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Otto marzo di lotta da Torino a Livorno",1583847293,[253,66,254,255,68,256],"http://radioblackout.org/tag/8-marzo/","http://radioblackout.org/tag/livorno/","http://radioblackout.org/tag/nudm-livorno/","http://radioblackout.org/tag/wild-c-a-t/",[28,20,258,259,15,260],"livorno","Nudm Livorno","Wild C.A.T.",{"post_content":262,"post_title":266},{"matched_tokens":263,"snippet":264,"value":265},[100,102,78,79,101],"Lo sciopero femminista contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, si articola come diserzione dal","L’otto marzo ai tempi del Covid 19. Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione \u003Cmark>di\u003C/mark> garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati \u003Cmark>di\u003C/mark> base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. 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La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia \u003Cmark>di\u003C/mark> Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito la cronaca della settimana \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta \u003Cmark>di\u003C/mark> vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto \u003Cmark>sulle\u003C/mark> difficoltà crescenti per le \u003Cmark>donne\u003C/mark> che decidono \u003Cmark>di\u003C/mark> abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria \u003Cmark>di\u003C/mark> gravidanza, sia stata una grande conquista delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti \u003Cmark>di\u003C/mark> forza all'interno \u003Cmark>di\u003C/mark> una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione \u003Cmark>di\u003C/mark> governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, la disobbedienza esplicita \u003Cmark>di\u003C/mark> alcune \u003Cmark>di\u003C/mark> loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame \u003Cmark>di\u003C/mark> psicologi e medici, a sottostare alle decisioni \u003Cmark>di\u003C/mark> genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare \u003Cmark>di\u003C/mark> praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta alle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma \u003Cmark>di\u003C/mark> assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte \u003Cmark>di\u003C/mark> referendum e iniziative legislative, la strategia \u003Cmark>di\u003C/mark> chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio \u003Cmark>sulle\u003C/mark> ambiguità \u003Cmark>di\u003C/mark> questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico \u003Cmark>di\u003C/mark> un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia \u003Cmark>di\u003C/mark> maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità \u003Cmark>di\u003C/mark> accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> patriarcale contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>.\r\nDue scatole, contenenti articoli \u003Cmark>di\u003C/mark> giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato \u003Cmark>di\u003C/mark> zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> patriarcale contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> disegnano un vero bollettino \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\n\u003Cmark>Donne\u003C/mark> come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano \u003Cmark>di\u003C/mark> segno alla \u003Cmark>violenza\u003C/mark>. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe \u003Cmark>di\u003C/mark> avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>, in quando \u003Cmark>donne\u003C/mark>, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce \u003Cmark>violenza\u003C/mark>, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà, per giustificare la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile, per annullare la libertà delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, colpevoli \u003Cmark>di\u003C/mark> non essere prudenti, \u003Cmark>di\u003C/mark> non accettare come “normale” il rischio della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che le colpisce in quanto \u003Cmark>donne\u003C/mark>. \r\nLo stereotipo \u003Cmark>di\u003C/mark> “quelle che se la cercano”, che si tratti \u003Cmark>di\u003C/mark> sex worker o \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> che non vestono abiti simili a gabbie \u003Cmark>di\u003C/mark> stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano \u003Cmark>di\u003C/mark> privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus \u003Cmark>di\u003C/mark> follia, eccessi \u003Cmark>di\u003C/mark> sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale \u003Cmark>di\u003C/mark> via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito \u003Cmark>di\u003C/mark> contenuti un intenso pomeriggio \u003Cmark>di\u003C/mark> comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante \u003Cmark>donne\u003C/mark> che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante \u003Cmark>donne\u003C/mark> che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> ciascun* \u003Cmark>di\u003C/mark> noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza \u003Cmark>di\u003C/mark> chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali \u003Cmark>di\u003C/mark> Torino, tra i principali luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> produzione e consumo.\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori \u003Cmark>di\u003C/mark> cura, dai lavori domestici e dai ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione \u003Cmark>di\u003C/mark> logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nSiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso \u003Cmark>di\u003C/mark> produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche \u003Cmark>di\u003C/mark> auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono \u003Cmark>sulle\u003C/mark> spalle delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, \u003Cmark>di\u003C/mark> mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra \u003Cmark>di\u003C/mark> moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, specie quelle povere, è parte del processo \u003Cmark>di\u003C/mark> asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le \u003Cmark>donne\u003C/mark> subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso \u003Cmark>di\u003C/mark> partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle \u003Cmark>donne\u003C/mark> viene imposto \u003Cmark>di\u003C/mark> essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle \u003Cmark>donne\u003C/mark> viene chiesto \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis \u003Cmark>di\u003C/mark> piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta \u003Cmark>di\u003C/mark> vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto \u003Cmark>sulle\u003C/mark> difficoltà crescenti per le \u003Cmark>donne\u003C/mark> che decidono \u003Cmark>di\u003C/mark> abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria \u003Cmark>di\u003C/mark> gravidanza, sia stata una grande conquista delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti \u003Cmark>di\u003C/mark> forza all'interno \u003Cmark>di\u003C/mark> una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione \u003Cmark>di\u003C/mark> governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, la disobbedienza esplicita \u003Cmark>di\u003C/mark> alcune \u003Cmark>di\u003C/mark> loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame \u003Cmark>di\u003C/mark> psicologi e medici, a sottostare alle decisioni \u003Cmark>di\u003C/mark> genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare \u003Cmark>di\u003C/mark> praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta alle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma \u003Cmark>di\u003C/mark> assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte \u003Cmark>di\u003C/mark> referendum e iniziative legislative, la strategia \u003Cmark>di\u003C/mark> chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio \u003Cmark>sulle\u003C/mark> ambiguità \u003Cmark>di\u003C/mark> questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico \u003Cmark>di\u003C/mark> un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia \u003Cmark>di\u003C/mark> maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità \u003Cmark>di\u003C/mark> accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> patriarcale contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>.\r\nDue scatole, contenenti articoli \u003Cmark>di\u003C/mark> giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato \u003Cmark>di\u003C/mark> zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> patriarcale contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> disegnano un vero bollettino \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\n\u003Cmark>Donne\u003C/mark> come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano \u003Cmark>di\u003C/mark> segno alla \u003Cmark>violenza\u003C/mark>. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe \u003Cmark>di\u003C/mark> avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>, in quando \u003Cmark>donne\u003C/mark>, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi \u003Cmark>di\u003C/mark> un immaginario, che giustifica ed alimenta la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce \u003Cmark>violenza\u003C/mark>, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà, per giustificare la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile, per annullare la libertà delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, colpevoli \u003Cmark>di\u003C/mark> non essere prudenti, \u003Cmark>di\u003C/mark> non accettare come “normale” il rischio della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che le colpisce in quanto \u003Cmark>donne\u003C/mark>. \r\nLo stereotipo \u003Cmark>di\u003C/mark> “quelle che se la cercano”, che si tratti \u003Cmark>di\u003C/mark> sex worker o \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> che non vestono abiti simili a gabbie \u003Cmark>di\u003C/mark> stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano \u003Cmark>di\u003C/mark> privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus \u003Cmark>di\u003C/mark> follia, eccessi \u003Cmark>di\u003C/mark> sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale \u003Cmark>di\u003C/mark> via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito \u003Cmark>di\u003C/mark> contenuti un intenso pomeriggio \u003Cmark>di\u003C/mark> comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante \u003Cmark>donne\u003C/mark> che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante \u003Cmark>donne\u003C/mark> che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> ciascun* \u003Cmark>di\u003C/mark> noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza \u003Cmark>di\u003C/mark> chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali \u003Cmark>di\u003C/mark> Torino, tra i principali luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi \u003Cmark>di\u003C/mark> produzione e consumo.\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori \u003Cmark>di\u003C/mark> cura, dai lavori domestici e dai ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione \u003Cmark>di\u003C/mark> logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia \u003Cmark>di\u003C/mark> Covid 19.\r\nSiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso \u003Cmark>di\u003C/mark> produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche \u003Cmark>di\u003C/mark> auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono \u003Cmark>sulle\u003C/mark> spalle delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, \u003Cmark>di\u003C/mark> mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra \u003Cmark>di\u003C/mark> moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra \u003Cmark>di\u003C/mark> politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, specie quelle povere, è parte del processo \u003Cmark>di\u003C/mark> asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le \u003Cmark>donne\u003C/mark> subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso \u003Cmark>di\u003C/mark> partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle \u003Cmark>donne\u003C/mark> viene imposto \u003Cmark>di\u003C/mark> essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle \u003Cmark>donne\u003C/mark> viene chiesto \u003Cmark>di\u003C/mark> mettere al lavoro i loro corpi al \u003Cmark>di\u003C/mark> là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere \u003Cmark>di\u003C/mark> più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un’immagine femminile che si adegui a modelli \u003Cmark>di\u003C/mark> seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito l’appello per l’8 marzo \u003Cmark>di\u003C/mark> NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia \u003Cmark>di\u003C/mark> rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> quotidiana contro \u003Cmark>donne\u003C/mark> e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>violenza\u003C/mark> denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>violenza\u003C/mark> quotidiana che alimenta i singoli episodi \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>violenza\u003C/mark> e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale \u003Cmark>di\u003C/mark> rinuncia e obbedienza; la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> delle guerre e del militarismo; la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> dei tribunali e delle sentenze contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>; la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> economica, che impone alle \u003Cmark>donne\u003C/mark> più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo \u003Cmark>di\u003C/mark> coronavirus è \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura \u003Cmark>di\u003C/mark> anziani e bambini, è \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione \u003Cmark>di\u003C/mark> reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti \u003Cmark>di\u003C/mark> una \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che alimenta il ripetersi quotidiano \u003Cmark>di\u003C/mark> stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto \u003Cmark>di\u003C/mark> essere in piazza contro chi cerca \u003Cmark>di\u003C/mark> imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”",{"matched_tokens":267,"snippet":268,"value":268},[79],"Otto marzo \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta da Torino a Livorno",[270,272],{"field":114,"matched_tokens":271,"snippet":264,"value":265},[100,102,78,79,101],{"field":117,"matched_tokens":273,"snippet":268,"value":268},[79],2893615515131969500,{"best_field_score":276,"best_field_weight":172,"fields_matched":233,"num_tokens_dropped":50,"score":277,"tokens_matched":22,"typo_prefix_score":50},"5523317194752","2893615515131969650",{"document":279,"highlight":305,"highlights":330,"text_match":274,"text_match_info":338},{"cat_link":280,"category":281,"comment_count":50,"id":282,"is_sticky":50,"permalink":283,"post_author":53,"post_content":284,"post_date":285,"post_excerpt":56,"post_id":282,"post_modified":286,"post_thumbnail":287,"post_thumbnail_html":288,"post_title":289,"post_type":61,"sort_by_date":290,"tag_links":291,"tags":298},[47],[49],"46474","http://radioblackout.org/2018/03/8-marzo-cronache-e-riflessioni/","Lo sciopero femminista globale ha investito decine di paesi. 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Una marea nero-fucsia ha riempito le piazze da nord a sud.\r\nNe abbiamo parlato con due compagne, Chiara di Non una di meno Torino e Patrizia di Non una di meno Livorno.\r\nCi hanno proposto una cronaca delle iniziative a Torino, a Livorno e Pisa.\r\n\r\nPatrizia ci ha raccontato le iniziative svoltesi nella sua città in mattinata e il corteo pomeridiano a Pisa cui hanno partecipato anche le livornesi.\r\nAl centro della giornata le violenze in divisa, il lavoro, la precarietà.\r\nCon Patrizia abbiamo fatto un bilancio di un percorso che è riuscito a mantenere, a parole e nei fatti, la propria autonomia, senza farsi sedurre dalle tante sirene elettorali.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 03 13 patrizia nudm liv\r\n\r\nChiara ci ha raccontato l’8 marzo torinese, una grande giornata di lotta.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 03 13 chiara nudm to\r\n\r\n\r\nDi seguito una cronaca della giornata:\r\n“Un alito di primavera ha accompagnato un lungo 8 marzo di lotta all’ombra della Mole.\r\nIn piazza Castello sin dal mattino è un fiorire di matrioske, cartelli, colori e suoni. In testa lo striscione “Scioperiamo dal lavoro di cura. Lottiamo insieme!”\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si è articolato come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nLa prima tappa è al centro della piazza. Lunghi fili vengono tirati tra i pali: con pinze da bucato sono stesi pannolini, grembiuli, strofinacci… Tutti oggetti simbolo del lavoro di cura.\r\nUn camioncino prova senza successo a forzare il blocco, che si allarga sulla piazza. Un nucleo dell’antisommossa, schierato a pochi passi da una carrozzina con un neonat*, chiede a gran voce rinforzi. La digos si affanna al cellulare. Si parte in corteo verso via Po. Per l’intera mattinata si svolgono blocchi con slogan e comizi volanti ai principali incroci.\r\nIn corso Regina il corteo viene raggiunto dalle studentesse, che in mattinata avevano bloccato le lezioni al campus. La mattinata si conclude a Palazzo Nuovo, l’altra sede delle facoltà umanistiche.\r\n\r\nNel pomeriggio piazza XVIII dicembre, la piazza che ricorda i martiri della camera del lavoro, si riempie velocemente. Parrucche rosa, fucsia e viola sul nero degli abiti, tanti striscioni, tulle, cartelli. Il corteo si dipana per il centro. Saremo tremila, forse più.\r\nLa prima sosta è davanti alla caserma dei carabinieri Cernaia. Viene appeso uno striscione contro la violenza dei tribunali, in solidarietà alle donne stuprate, picchiate e offese che nelle aule di giustizia diventano imputate, chiamate a rispondere della propria vita, dei propri abiti, dei propri gusti, del proprio no alla violenza. Vengono lette alcune delle domande fatte in tribunale alle due studentesse statunitensi stuprate da due carabinieri la scorsa estate a Firenze. Domande di una violenza terribile.\r\nIn Italia viene ammazzata una donna ogni due giorni.\r\nSpesso gli assassini usano le pistole d’ordinanza, che hanno il diritto di portare perché fanno parte dell’elite poliziesca e militare, che detiene per conto dello Stato il monopolio legale della violenza.\r\nGli spazi di autonomia che le donne si sono conquistate hanno incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà femminile è ancora molto lunga. Il crescere della marea femminista è la risposta ad una violenza che ha i caratteri espliciti di una guerra planetaria alla libertà delle donne, alla libertà dei generi, alla libertà dai generi.\r\nNelle aule dei tribunali la violenza maschile viene declinata come affare privato, personale, accidentale, nascondendone il carattere disciplinare, punitivo, politico.\r\nLe lotte femministe ne fanno riemergere l’intrinseca politicità affinché divenga parte del discorso pubblico, in tutta la propria deflagrante potenza, mettendo in soffitta il paternalismo ipocrita delle quote rosa, delle pari opportunità, dei parcheggi riservati alle donne.\r\nTra i temi di questo 8 marzo di sciopero e lotta, la ferma volontà di rompere il silenzio e l’indifferenza, per sostenere un percorso di libertà, mutuo aiuto e autodifesa contro chi ci vorrebbe inchiodare nel ruolo di vittime.\r\nForte è il rifiuto che la difesa delle donne diventi l’alibi per politiche securitarie, che usino i nostri corpi per giustificare strette disciplinari sull’intera società.\r\n\r\n“Nello stato fiducia non ne abbiamo, la difesa ce la autogestiamo!”\r\n“Lo stupratore non è malato, è il figlio prediletto del patriarcato”\r\n“Siamo la voce potente e feroce di tutte le donne che più non hanno voce!” Questi slogan riempiono la piazza, deflagrano per il corteo.\r\n\r\nTra i tanti interventi quello di una ragazza curda, che ricorda la lotta delle donne di Afrin contro l’invasione turca e il patriarcato. Una studentessa sviluppa una critica alla scuola, dove lo sguardo femminista è quasi sempre assente.\r\n\r\nIn piazza Castello su uno dei tanti monumenti militaristi della città, quello dedicato al duca d’Aosta, in braccio ad uno dei soldati raffigurati viene messa una scopa, uno strofinaccio, un pezzo di tulle rosa.\r\nL’azione è accompagnata da un lungo intervento dal camion.\r\nÉ il momento per parlare delle donne stuprate in guerra, prede e strumento del conflitto. In guerra la logica patriarcale sottesa a torture e stupri è meno dissimulata che in tempi di pace.\r\nDahira nel 1993 aveva 23 anni. Dahira già conosceva il sapore amaro dell’essere donna in una società patriarcale. Era stata ripudiata dal marito, perché non riusciva a dargli dei figli. Una cosa inutile, priva di valore. Ma per lei il peggio doveva ancora venire. In una notte di maggio di 25 anni fa venne spogliata, legata sul cassone di un camion con le braccia e le gambe immobilizzate e stuprata con un razzo illuminante. I torturatori e violentatori erano paracadutisti della Folgore, in missione umanitaria in Somalia. Con cruda ironia la missione Nato, cui l’Italia partecipò si chiamava “Restore hope – restituire la speranza”.\r\nGli stessi parà stanno per sbarcare in Niger per una nuova missione. Questa volta l’obiettivo sono i migranti in viaggio verso l’Europa.\r\nAltri militari saranno in Libia, dove le milizie di Sabratha e Zawija, pagate dallo Stato italiano rinchiudono uomini, donne e bambini in prigioni per migranti, dove tutte le donne vengono stuprate. Gli esecutori sono in Libia, i mandanti sono sulle poltrone del governo italiano.\r\n\r\nIl corteo imbocca via Po e si ferma davanti alla chiesa della SS Annunziata, legata a Comunione e Liberazione. Lì viene appeso uno striscione con la scritta “Preti ed obiettori tremate. Le streghe son tornate!” Prezzemolo e ferri da calza sono lasciati di fronte all’ingresso, per ricordare i tempi dell’aborto clandestino, quando le donne povere abortivano con decotti e ferri da calza, rischiando di morire.\r\nLa chiesa cattolica vorrebbe che le donne che decidono di non avere figli muoiano o vengano trattate da criminali. A quarant’anni dalla legge che ha depenalizzato l’aborto, ma lo ha sottoposto ad una rigida regolamentazione, in molte città italiane abortire è diventato impossibile, perché il 100% dei medici si dichiara obiettore.\r\nPreti ed obiettori vorrebbero inchiodarci al ruolo di madri e mogli. Quest’8 marzo ci trova più agguerrite che mai nella lotta per una maternità libera e consapevole.\r\n\r\nNelle piazze torinesi si è affermato un femminismo capace di obiettivi radicali e pratiche libertarie, vincendo la scommessa non facile dello sciopero femminista, con la buriana elettorale appena dietro le spalle, nel netto rifiuto di essere usate come trampolino per carriere politiche tinte di fucsia.\r\nIn quest’8 marzo è emerso l’intreccio potente tra la dominazione patriarcale e la violenza dello Stato, del capitalismo, delle frontiere, delle religioni.\r\nDi questi tempi non è poco. Un sasso nello stagno, che si allarga e moltiplica le pozze.\r\n\r\nIl corteo vibra dello slogan urlato da tutte “Ma quale Stato, ma quale dio, sul mio corpo decido io!”\r\n\r\nLa marea dilaga in piazza Vittorio dove viene disegnata una matrioska gigante al cui interno vengono lasciate scope, detersivi, grembiuli e strofinacci.\r\n\r\nUn grido potente riempie la piazza “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione!”. 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Una marea nero-fucsia ha riempito le piazze da nord a sud.\r\nNe abbiamo parlato con due compagne, Chiara \u003Cmark>di\u003C/mark> Non una \u003Cmark>di\u003C/mark> meno Torino e Patrizia \u003Cmark>di\u003C/mark> Non una \u003Cmark>di\u003C/mark> meno Livorno.\r\nCi hanno proposto una cronaca delle iniziative a Torino, a Livorno e Pisa.\r\n\r\nPatrizia ci ha raccontato le iniziative svoltesi nella sua città in mattinata e il corteo pomeridiano a Pisa cui hanno partecipato anche le livornesi.\r\nAl centro della giornata le violenze in divisa, il lavoro, la precarietà.\r\nCon Patrizia abbiamo fatto un bilancio \u003Cmark>di\u003C/mark> un percorso che è riuscito a mantenere, a parole e nei fatti, la propria autonomia, senza farsi sedurre dalle tante sirene elettorali.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 03 13 patrizia nudm liv\r\n\r\nChiara ci ha raccontato l’8 marzo torinese, una grande giornata \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 03 13 chiara nudm to\r\n\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito una cronaca della giornata:\r\n“Un alito \u003Cmark>di\u003C/mark> primavera ha accompagnato un lungo 8 marzo \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta all’ombra della Mole.\r\nIn piazza Castello sin dal mattino è un fiorire \u003Cmark>di\u003C/mark> matrioske, cartelli, colori e suoni. In testa lo striscione “Scioperiamo dal lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura. Lottiamo insieme!”\r\nLo sciopero femminista contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, si è articolato come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori \u003Cmark>di\u003C/mark> cura, dai lavori domestici e dai ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione \u003Cmark>di\u003C/mark> logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> per la propria autonomia.\r\nLa prima tappa è al centro della piazza. Lunghi fili vengono tirati tra i pali: con pinze da bucato sono stesi pannolini, grembiuli, strofinacci… Tutti oggetti simbolo del lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura.\r\nUn camioncino prova senza successo a forzare il blocco, che si allarga sulla piazza. Un nucleo dell’antisommossa, schierato a pochi passi da una carrozzina con un neonat*, chiede a gran voce rinforzi. La digos si affanna al cellulare. Si parte in corteo verso via Po. Per l’intera mattinata si svolgono blocchi con slogan e comizi volanti ai principali incroci.\r\nIn corso Regina il corteo viene raggiunto dalle studentesse, che in mattinata avevano bloccato le lezioni al campus. La mattinata si conclude a Palazzo Nuovo, l’altra sede delle facoltà umanistiche.\r\n\r\nNel pomeriggio piazza XVIII dicembre, la piazza che ricorda i martiri della camera del lavoro, si riempie velocemente. Parrucche rosa, fucsia e viola sul nero degli abiti, tanti striscioni, tulle, cartelli. Il corteo si dipana per il centro. Saremo tremila, forse più.\r\nLa prima sosta è davanti alla caserma dei carabinieri Cernaia. Viene appeso uno striscione contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> dei tribunali, in solidarietà alle \u003Cmark>donne\u003C/mark> stuprate, picchiate e offese che nelle aule \u003Cmark>di\u003C/mark> giustizia diventano imputate, chiamate a rispondere della propria vita, dei propri abiti, dei propri gusti, del proprio no alla \u003Cmark>violenza\u003C/mark>. Vengono lette alcune delle domande fatte in tribunale alle due studentesse statunitensi stuprate da due carabinieri la scorsa estate a Firenze. Domande \u003Cmark>di\u003C/mark> una \u003Cmark>violenza\u003C/mark> terribile.\r\nIn Italia viene ammazzata una donna ogni due giorni.\r\nSpesso gli assassini usano le pistole d’ordinanza, che hanno il diritto \u003Cmark>di\u003C/mark> portare perché fanno parte dell’elite poliziesca e militare, che detiene per conto dello Stato il monopolio legale della \u003Cmark>violenza\u003C/mark>.\r\nGli spazi \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia che le \u003Cmark>donne\u003C/mark> si sono conquistate hanno incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà femminile è ancora molto lunga. Il crescere della marea femminista è la risposta ad una \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che ha i caratteri espliciti \u003Cmark>di\u003C/mark> una guerra planetaria alla libertà delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, alla libertà dei generi, alla libertà dai generi.\r\nNelle aule dei tribunali la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile viene declinata come affare privato, personale, accidentale, nascondendone il carattere disciplinare, punitivo, politico.\r\nLe lotte femministe ne fanno riemergere l’intrinseca politicità affinché divenga parte del discorso pubblico, in tutta la propria deflagrante potenza, mettendo in soffitta il paternalismo ipocrita delle quote rosa, delle pari opportunità, dei parcheggi riservati alle \u003Cmark>donne\u003C/mark>.\r\nTra i temi \u003Cmark>di\u003C/mark> questo 8 marzo \u003Cmark>di\u003C/mark> sciopero e lotta, la ferma volontà \u003Cmark>di\u003C/mark> rompere il silenzio e l’indifferenza, per sostenere un percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà, mutuo aiuto e autodifesa contro chi ci vorrebbe inchiodare nel ruolo \u003Cmark>di\u003C/mark> vittime.\r\nForte è il rifiuto che la difesa delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> diventi l’alibi per politiche securitarie, che usino i nostri corpi per giustificare strette disciplinari sull’intera società.\r\n\r\n“Nello stato fiducia non ne abbiamo, la difesa ce la autogestiamo!”\r\n“Lo stupratore non è malato, è il figlio prediletto del patriarcato”\r\n“Siamo la voce potente e feroce \u003Cmark>di\u003C/mark> tutte le \u003Cmark>donne\u003C/mark> che più non hanno voce!” Questi slogan riempiono la piazza, deflagrano per il corteo.\r\n\r\nTra i tanti interventi quello \u003Cmark>di\u003C/mark> una ragazza curda, che ricorda la lotta delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> Afrin contro l’invasione turca e il patriarcato. Una studentessa sviluppa una critica alla scuola, dove lo sguardo femminista è quasi sempre assente.\r\n\r\nIn piazza Castello su uno dei tanti monumenti militaristi della città, quello dedicato al duca d’Aosta, in braccio ad uno dei soldati raffigurati viene messa una scopa, uno strofinaccio, un pezzo \u003Cmark>di\u003C/mark> tulle rosa.\r\nL’azione è accompagnata da un lungo intervento dal camion.\r\nÉ il momento per parlare delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> stuprate in guerra, prede e strumento del conflitto. In guerra la logica patriarcale sottesa a torture e stupri è meno dissimulata che in tempi \u003Cmark>di\u003C/mark> pace.\r\nDahira nel 1993 aveva 23 anni. Dahira già conosceva il sapore amaro dell’essere donna in una società patriarcale. Era stata ripudiata dal marito, perché non riusciva a dargli dei figli. Una cosa inutile, priva \u003Cmark>di\u003C/mark> valore. Ma per lei il peggio doveva ancora venire. In una notte \u003Cmark>di\u003C/mark> maggio \u003Cmark>di\u003C/mark> 25 anni fa venne spogliata, legata sul cassone \u003Cmark>di\u003C/mark> un camion con le braccia e le gambe immobilizzate e stuprata con un razzo illuminante. I torturatori e violentatori erano paracadutisti della Folgore, in missione umanitaria in Somalia. Con cruda ironia la missione Nato, cui l’Italia partecipò si chiamava “Restore hope – restituire la speranza”.\r\nGli stessi parà stanno per sbarcare in Niger per una nuova missione. Questa volta l’obiettivo sono i migranti in viaggio verso l’Europa.\r\nAltri militari saranno in Libia, dove le milizie \u003Cmark>di\u003C/mark> Sabratha e Zawija, pagate dallo Stato italiano rinchiudono uomini, \u003Cmark>donne\u003C/mark> e bambini in prigioni per migranti, dove tutte le \u003Cmark>donne\u003C/mark> vengono stuprate. Gli esecutori sono in Libia, i mandanti sono \u003Cmark>sulle\u003C/mark> poltrone del governo italiano.\r\n\r\nIl corteo imbocca via Po e si ferma davanti alla chiesa della SS Annunziata, legata a Comunione e Liberazione. Lì viene appeso uno striscione con la scritta “Preti ed obiettori tremate. Le streghe son tornate!” Prezzemolo e ferri da calza sono lasciati \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte all’ingresso, per ricordare i tempi dell’aborto clandestino, quando le \u003Cmark>donne\u003C/mark> povere abortivano con decotti e ferri da calza, rischiando \u003Cmark>di\u003C/mark> morire.\r\nLa chiesa cattolica vorrebbe che le \u003Cmark>donne\u003C/mark> che decidono \u003Cmark>di\u003C/mark> non avere figli muoiano o vengano trattate da criminali. A quarant’anni dalla legge che ha depenalizzato l’aborto, ma lo ha sottoposto ad una rigida regolamentazione, in molte città italiane abortire è diventato impossibile, perché il 100% dei medici si dichiara obiettore.\r\nPreti ed obiettori vorrebbero inchiodarci al ruolo \u003Cmark>di\u003C/mark> madri e mogli. Quest’8 marzo ci trova più agguerrite che mai nella lotta per una maternità libera e consapevole.\r\n\r\nNelle piazze torinesi si è affermato un femminismo capace \u003Cmark>di\u003C/mark> obiettivi radicali e pratiche libertarie, vincendo la scommessa non facile dello sciopero femminista, con la buriana elettorale appena dietro le spalle, nel netto rifiuto \u003Cmark>di\u003C/mark> essere usate come trampolino per carriere politiche tinte \u003Cmark>di\u003C/mark> fucsia.\r\nIn quest’8 marzo è emerso l’intreccio potente tra la dominazione patriarcale e la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> dello Stato, del capitalismo, delle frontiere, delle religioni.\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> questi tempi non è poco. Un sasso nello stagno, che si allarga e moltiplica le pozze.\r\n\r\nIl corteo vibra dello slogan urlato da tutte “Ma quale Stato, ma quale dio, sul mio corpo decido io!”\r\n\r\nLa marea dilaga in piazza Vittorio dove viene disegnata una matrioska gigante al cui interno vengono lasciate scope, detersivi, grembiuli e strofinacci.\r\n\r\nUn grido potente riempie la piazza “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione!”. 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L’uccisione di una donna in quanto donna ha un significato intrinsecamente politico. Per paradosso il femminicidio è un atto politico, proprio perché ne viene nascosta, dissimulata, negata la politicità.\r\nSui corpi delle donne si giocano continue battaglie di civiltà. Sia che le si voglia “tutelare”, sia che le si voglia “asservire” la logica di fondo è la stessa. Resta al “tuo” posto. Torna al “tuo” posto. Penso io a te, penso io a proteggerti, a punirti, a disciplinarti.\r\n\r\nAmmettere la natura intrinsecamente politica dei femminicidi e, in genere, della violenza maschile sulle donne aprirebbe una crepa difficilmente colmabile, perché renderebbe visibile una guerra non dichiarata ma brutale. Per questo motivo l’uccisione di una donna in quanto donna viene considerato un fatto privato. Un fatto che assurge a visibilità pubblica solo nelle pagine di “nera” dei quotidiani.\r\nFemminicidi, torture e stupri diventano pubblici quando sono agiti in strada, fuori dagli spazi domestici, familiari o di relazione, quando i profili di chi uccide e violenta si prestano ad alimentare il discorso securitario, favorendo un aumento della militarizzazione, la crescita della canea razzista, nuove e più dure leggi.\r\nLa guerra contro le migrazioni ha bisogno di trasformare in nemico chi viaggia. I corpi delle donne diventano il luogo sul quale si gioca la contrapposizione tra chi “tutela” le donne e chi le attacca. La “civiltà” dell’Occidente contro gli estranei, stranieri, diversi, nemici. Quelli da tenere fuori, perché tutto sia in ordine.\r\nBen diverso è lo sguardo verso le immigrate, che abitano le nostre case e si occupano degli anziani, dei bambini, della casa, verso le ragazze di ogni dove sui marciapiedi in attesa di clienti. 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La narrazione della violenza come follia o criminalità agita da pochi soggetti estranei, rende invisibile la guerra contro le donne per la ri-affermazione di una relazione di tipo patriarcale.\r\n\r\nLo sguardo patriarcale si impone nelle istituzioni, che negano il carattere sistemico della violenza di genere, si esplicita nei media, deflagra nel dibattito pubblico sui social, dove la veloce interattività e la solitudine di chi scrive facilitano un linguaggio più crudo, non mitigato dal politicamente corretto.\r\n\r\nLa rete femminista Non Una di Meno si articola intorno alla necessità che nella guerra contro la libertà femminile si moltiplichino le relazioni, il mutuo soccorso, gli intrecci solidali per battere un nemico subdolo, annidato in ogni spazio che viviamo.\r\nNon Una di Meno propone altresì uno sguardo transfemmnista e intersezionale, uno sguardo situato, che intreccia le varie forme dell’oppressione e dello sfruttamento.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Sara di Non Una di Meno Trieste.\r\nCon lei abbiamo parlato anche del lavoro, che, sempre più precario e sottopagato per tutt*, lo è ancor più per le donne. Pagate meno e sfruttate di più, spesso obbligate a mettere al lavoro la propria stessa immagine.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 06 03 nudm sara\r\n\r\nQuest’anno a Torino ci saranno due appuntamenti.\r\n\r\nAlle 10,30 in piazza Castello angolo via Garibaldi\r\n\r\nper una mattinata di azioni\r\n\r\nQuest’anno uno dei focus della giornata sarà il lavoro di cura.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare. \r\n La riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\n Lo sciopero femminista scardina questo puntello e rimette al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\n\r\n“In occasione della giornata di sciopero femminista globale contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, scioperiamo non solo dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici (che ancora gravano soprattutto sulle donne) e dai ruoli di genere imposti.\r\nRendiamo visibile il lavoro invisibile, uscendo in strada portando con noi gli oggetti simbolo delle attività e dei lavori da cui l'8 marzo vogliamo scioperare.”\r\n\r\nOre 16,30 piazza 18 dicembre\r\n Corteo cittadino sino in piazza Vittorio.\r\n\r\nDello sciopero e delle iniziative torinesi ci ha parlato Bia di Non Una di Meno Torino\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 06 03 nudm bia","6 Marzo 2018","2018-03-09 12:58:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/8m-to-corteo-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"168\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/8m-to-corteo-300x168.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","8 marzo. 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Pagate meno e sfruttate \u003Cmark>di\u003C/mark> più, spesso obbligate a mettere al lavoro la propria stessa immagine.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 06 03 nudm sara\r\n\r\nQuest’anno a Torino ci saranno due appuntamenti.\r\n\r\nAlle 10,30 in piazza Castello angolo via Garibaldi\r\n\r\nper una mattinata \u003Cmark>di\u003C/mark> azioni\r\n\r\nQuest’anno uno dei focus della giornata sarà il lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro \u003Cmark>di\u003C/mark> cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente alla erosione del welfare. \r\n La riaffermazione \u003Cmark>di\u003C/mark> logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\n Lo sciopero femminista scardina questo puntello e rimette al centro le lotte delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> per la propria autonomia.\r\n\r\n“In occasione della giornata \u003Cmark>di\u003C/mark> sciopero femminista globale contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> e le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>, scioperiamo non solo dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori \u003Cmark>di\u003C/mark> cura, dai lavori domestici (che ancora gravano soprattutto \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>) e dai ruoli \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> imposti.\r\nRendiamo visibile il lavoro invisibile, uscendo in strada portando con noi gli oggetti simbolo delle attività e dei lavori da cui l'8 marzo vogliamo scioperare.”\r\n\r\nOre 16,30 piazza 18 dicembre\r\n Corteo cittadino sino in piazza Vittorio.\r\n\r\nDello sciopero e delle iniziative torinesi ci ha parlato Bia \u003Cmark>di\u003C/mark> Non Una \u003Cmark>di\u003C/mark> Meno Torino\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 06 03 nudm bia",[362,364,366,368,370],{"matched_tokens":363,"snippet":28},[],{"matched_tokens":365,"snippet":20},[],{"matched_tokens":367,"snippet":219},[79],{"matched_tokens":369,"snippet":303},[],{"matched_tokens":371,"snippet":372},[100],"\u003Cmark>violenza\u003C/mark> patriarcale",[374,376],{"field":114,"matched_tokens":375,"snippet":359,"value":360},[100,102,78,79,101],{"field":38,"indices":377,"matched_tokens":378,"snippets":381},[233,27],[379,380],[79],[100],[219,372],{"best_field_score":276,"best_field_weight":172,"fields_matched":233,"num_tokens_dropped":50,"score":277,"tokens_matched":22,"typo_prefix_score":50},6646,{"collection_name":61,"first_q":74,"per_page":385,"q":74},6,16,{"facet_counts":388,"found":428,"hits":429,"out_of":754,"page":107,"request_params":755,"search_cutoff":39,"search_time_ms":756},[389,404],{"counts":390,"field_name":402,"sampled":39,"stats":403},[391,394,396,398,400],{"count":392,"highlighted":393,"value":393},20,"il colpo del strega",{"count":19,"highlighted":395,"value":395},"anarres",{"count":107,"highlighted":397,"value":397},"Spot",{"count":107,"highlighted":399,"value":399},"frittura mista",{"count":107,"highlighted":401,"value":401},"defendkurdistan","podcastfilter",{"total_values":22},{"counts":405,"field_name":38,"sampled":39,"stats":426},[406,408,411,414,416,418,419,421,423,425],{"count":407,"highlighted":30,"value":30},18,{"count":409,"highlighted":410,"value":410},10,"violenza maschile sulle donne",{"count":412,"highlighted":413,"value":413},9,"stupro",{"count":14,"highlighted":415,"value":415},"autodeterminazione",{"count":14,"highlighted":417,"value":417},"violenza maschile contro le donne",{"count":19,"highlighted":299,"value":299},{"count":19,"highlighted":420,"value":420},"violenza sessuale",{"count":34,"highlighted":422,"value":422},"patriarcato",{"count":34,"highlighted":424,"value":424},"centri antiviolenza",{"count":34,"highlighted":25,"value":25},{"total_values":427},184,31,[430,503,534,627,655,717],{"document":431,"highlight":461,"highlights":489,"text_match":499,"text_match_info":500},{"comment_count":50,"id":432,"is_sticky":50,"permalink":433,"podcastfilter":434,"post_author":435,"post_content":436,"post_date":437,"post_excerpt":56,"post_id":432,"post_modified":438,"post_thumbnail":439,"post_title":440,"post_type":441,"sort_by_date":442,"tag_links":443,"tags":454},"24154","http://radioblackout.org/podcast/i-podcast-de-il-colpo-della-strega-7luglio2014/",[393],"dj","*** I centriantiviolenza e i finanziamenti promessi dal Decreto Femminicidio e dal Governo Renzi: per la prima volta i soldi verranno destinate alle Regioni che emetteranno un bando per cui si dovrà presentare un progetto. Per le associazioni rimane dunque l'incertezza finanziaria, perché non è detto che l'anno successivo i fondi vengano riconfermati; questo sistema inoltre apre alla gestione clientelare dei vari partiti e delle varie lobbies e amplifica il carattere di discrezionalità causando un pullulare di associazioni varie d'ogni tipo ed ideologia, stimolato dalla prospettiva del business della violenza sulle donne, in concorrenza tra loro e con i vari enti. Altre criticità che abbiamo evidenziato riguardano poi la natura stessa di questi luoghi e il fatto che non si risolva alla radice il problema fondamentale che le donne devono affrontare in questi casi, ovvero la questione economica. Le condizioni materiali di vita continuano a essere una discriminante essenziale per poter essere libere di scegliere. Molto spesso le donne, pur maltrattate, non se ne vanno di casa perchè dipendono economicamente dal marito/compagno o dalla famiglia in generale. Renderle autonome da questo punto di vista, dovrebbe essere il primo passo per aiutarle a liberarsi dalla violenza. Senza autonomia non c'è alcuna possibilità di scelta per poter cambiare vita e allontanarsi dalla situazione di violenza e maltrattamenti. Anche con l'inserimento nelle case rifugio o nei percorsi dei centri antiviolenza, questo problema non viene mai risolto. E quindi di fatto non si risolva la situazione alla radice. Altro dato, la natura stessa di questi luoghi, spesso più simili a dei collegi che non a delle case che dovrebbero ospitare donne adulte, anche con figli. Orari di rientro molto rigidi, impossibilità di ricevere ospiti, mancanza di privacy, la sensazione insomma di essere sotto controllo e sotto osservazione costante. Le donne spesso si sentono vittimizzate e sentono strette le condizioni di vita all'interno, tanto da preferire di tornarsene a casa, tra le stesse mura in cui avevano subito la violenza e in cui la violenza si ripresenterà senza sconti. Allora forse andrebbero ripensati anche questi luoghi e le prospettive di uscita dalla violenza che si offrono alle donne. Prospettive che definiremmo pauperistiche-cattoliche e che poco hanno a che fare con un percorso/progetto di emancipazione e autonomia.\r\n\r\n***Beatrice Rinaudo è presidente dell’Associazione italiana vittime della violenza: avvocato torinese, trentanove anni, è iscritta al foro di Palermo, dove ha il suo studio legale. Se il cognome suona noto non è per caso: suo padre è Antonio Rinaudo, pubblico ministero -insieme ad Andrea Padalino- nei processi penali ad attivisti notav. Candidata con Fratelli d’Italia alle recenti elezioni per la regione Piemonte, non è stata eletta. Al centro della sua battaglia politica avrebbe dovuto esserci la lotta alla violenza di genere, come lei stessa ha dichiarato in un’intervista al Fatto Quotidiano e nel video in cui ha annunciato la propria candidatura. Quest’impegno al fianco delle donne (“per i loro diritti e i loro doveri”, tiene a precisare sul suo profilo twitter, non le impedisce di patrocinare in giudizio - in qualità di difensore di fiducia - imputati di reati sessuali e di farlo con una convinzione e una veemenza che non è da tutti! Lo scorso 12 giugno si è concluso al tribunale di Pavia il primo grado di un processo che ha visto l’avvocato torinese difendere una persona imputata, fra l’altro, di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e tentativo di induzione alla prostituzione. Nulla di ingiusto in questo patrocinio, si diceva. Di tutta la sua attività processuale, a colpire è stata soprattutto l’arringa conclusiva. 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Si parla di generiche vittime di omicidio volontario...la violenza non ha mai un soggetto che la definisce. Non si parla dunque di violenza maschile sulle donne, ma di violenza tout court...nella sezione “le nostre storie” ci sono solo però storie di femminicidi, 4 per la precisione...la parola femminicidio però sul sito non viene usata, si parla di delitti di genere. Tra gli obiettivi dell'associazione...\"prevenire gli atti di violenza attraverso la più stretta collaborazione possibile con le forze dell’ordine nel rispetto delle norme dell’Ordinamento Giuridico della Repubblica\".\r\n\r\n***Per la rubrica \"Storie di donne\", l'istituzione dei consultori famigliari pubblici attraverso le legge nazionale del 29 luglio 1975 (quella regionale è datata invece luglio 1976). Siamo partite dal periodo precedente, ovvero dai consultori autogestiti, proponendovi un'intervista a Franca, compagna che ha partecipato negli Anni Settanta all'esperienza dei primi consultori autogestiti a Torino, in particolare all'occupazione e allo sviluppo del progetto di un consultorio autogestito nella zona dei Mercati Generali. Nella prossima puntata ci occuperemo della storia delle legge, che analizzeremo nelle sue criticità, e della trasformazione - o meglio, del declino - dei consultori con la loro istituzionalizzazione.\r\n\r\n***Per la rubrica \"Malerbe\", Silvia ci ha parlato della raccolta, dell'uso e delle proprietà dell'iperico.\r\n\r\nPer riascoltare la puntata:\r\n\r\nil colpo della strega_7luglio2014_primaparte\r\n\r\nil colpo della strega_7luglio2014_secondaparte\r\n\r\nil colpo della strega_7luglio2014_terzaparte\r\n\r\n \r\n\r\n ","8 Luglio 2014","2018-10-24 17:35:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/03/medea-strega-200x110.jpg","I podcast de Il colpo della strega: 7luglio2014","podcast",1404837762,[444,445,446,447,448,449,450,451,452,453],"http://radioblackout.org/tag/anni-settanta/","http://radioblackout.org/tag/autodeterminazione/","http://radioblackout.org/tag/beatrice-rinaudo/","http://radioblackout.org/tag/centri-antiviolenza/","http://radioblackout.org/tag/consultori/","http://radioblackout.org/tag/consultori-autogestiti/","http://radioblackout.org/tag/decreto-femminicidio/","http://radioblackout.org/tag/malerbe/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-genere/","http://radioblackout.org/tag/violenza-maschile-sulle-donne/",[455,415,456,424,457,458,459,460,30,410],"anni settanta","beatrice rinaudo","consultori","consultori autogestiti","decreto femminicidio","malerbe",{"post_content":462,"tags":466},{"matched_tokens":463,"snippet":464,"value":465},[79,100,102,78,79,100],"definisce. 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Nella prossima puntata ci occuperemo della storia delle legge, che analizzeremo nelle sue criticità, e della trasformazione - o meglio, del declino - dei consultori con la loro istituzionalizzazione.\r\n\r\n***Per la rubrica \"Malerbe\", Silvia ci ha parlato della raccolta, dell'uso e delle proprietà dell'iperico.\r\n\r\nPer riascoltare la puntata:\r\n\r\nil colpo della strega_7luglio2014_primaparte\r\n\r\nil colpo della strega_7luglio2014_secondaparte\r\n\r\nil colpo della strega_7luglio2014_terzaparte\r\n\r\n \r\n\r\n ",[467,469,471,473,475,477,479,481,483,486],{"matched_tokens":468,"snippet":455,"value":455},[],{"matched_tokens":470,"snippet":415,"value":415},[],{"matched_tokens":472,"snippet":456,"value":456},[],{"matched_tokens":474,"snippet":424,"value":424},[],{"matched_tokens":476,"snippet":457,"value":457},[],{"matched_tokens":478,"snippet":458,"value":458},[],{"matched_tokens":480,"snippet":459,"value":459},[],{"matched_tokens":482,"snippet":460,"value":460},[],{"matched_tokens":484,"snippet":485,"value":485},[100,79,101],"\u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark>",{"matched_tokens":487,"snippet":488,"value":488},[100,102,78],"\u003Cmark>violenza\u003C/mark> maschile \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>",[490,492],{"field":114,"matched_tokens":491,"snippet":464,"value":465},[79,100,102,78,79,100],{"field":38,"indices":493,"matched_tokens":494,"snippets":497,"values":498},[14,412],[495,496],[100,79,101],[100,102,78],[485,488],[485,488],2891363715855155000,{"best_field_score":501,"best_field_weight":172,"fields_matched":233,"num_tokens_dropped":50,"score":502,"tokens_matched":22,"typo_prefix_score":50},"4423805829120","2891363715855155314",{"document":504,"highlight":516,"highlights":525,"text_match":530,"text_match_info":531},{"comment_count":50,"id":505,"is_sticky":50,"permalink":506,"podcastfilter":507,"post_author":435,"post_content":508,"post_date":509,"post_excerpt":510,"post_id":505,"post_modified":511,"post_thumbnail":56,"post_title":512,"post_type":441,"sort_by_date":513,"tag_links":514,"tags":515},"11036","http://radioblackout.org/podcast/17-e-18-novembre-contro-la-violenza-sulle-donne-e-sulla-terra/",[]," \r\n\r\n\r\n\r\nIl 17 e 18 Novembre, in vista della giornata contro la violenza sulle donne, un gruppo di donne NoTav DonneInMovimento, organizza due giorni di appuntamenti a Bussoleno e Chiomonte, per tracciare una linea di continuità tra la difesa del territorio dalla violenza dello Stato e del Capitale e la difesa dalla violenza di genere.\r\n\r\nAscolta l'audio dell'intervista con Ermelinda:\r\n\r\n[audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/11/Ermelinda17-18Nov.mp3|titles=Intervista a Ermelinda]\r\n\r\n \r\n\r\nSabato 17 novembre\r\n- ore 10.00-17.00 - Bussoleno, via W. Fontan: esposizioni artistiche, fotografiche, artigianali e banchetti informativi (in caso di pioggia le esposizioni verrano allestite presso la sala del Dopolavoro Ferroviario);\r\n- ore 17.00 – Bussoleno – Sala Consigliare, Via Traforo 62: Assemblea Pubblica; interverranno: Nicoletta Poidimani di RE-FE (Relazioni Femministe); Collettivo Medea; Elina Colongo, Soccorso Violenza Sessuale Ospedale S. Anna di Torino.\r\n- ore 22.00 – Chianocco – Birreria Il Cotonificio: Live Music Show Rock al Femminile con LE RIVOLTELLE.\r\n\r\nDomenica 18 novembre:\r\n- ore 11.00 – Chiomonte: Passeggiata Chiomonte – Clarea e ritorno","11 Novembre 2012","Il 17 e 18 Novembre, in vista della giornata contro la violenza sulle donne, un gruppo di donne NoTav DonneInMovimento, organizza due giorni di appuntamenti a Bussoleno e Chiomonte, per tracciare una linea di continuità tra la difesa del territorio dalla violenza dello Stato e del Capitale e la difesa dalla violenza di genere. 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Un'occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di \"contenimento\", marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nQui di seguito gli appuntamenti all'interno del palinsesto di Blackout di questo percorso radiofonico, a cui strada facendo aggiungeremo i podcast realizzati dalle varie trasmissioni. Buon ascolto!\r\n\r\nVENERDì 30 MAGGIO: presentazione della due giorni valsusina a cura della Redazione. Ai microfoni Pat, attivista NoTav\r\n\r\npat_valle_3005014\r\n\r\nLUNEDì 2 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa storia di Malika. Era il 2004 quando a Firenze una donna di origine marocchine veniva sfrattata dal suo appartamento. Un solerte ufficiale giudiziario, ammaestrato ad anteporre la passione per la proprietà ad ogni altro sentimento, richiedeva un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei confronti di una donna incinta, comprensibilmente arrabbiata, ridotta a corpo da sedare e rimuovere. Arriva un’ambulanza e, nonostante la donna mostri un certificato medico che le prescrive riposo per il rischio di\r\naborto, viene bloccata in un angolo da cinque uomini, gettata sul letto e, una volta immobilizzata, le vengono praticate due iniezioni. Quell'intervento a base di coercizione e antipsicotici procurò danni cerebrali irreversibili alla figlia che Malika portava in grembo. A distanza di 9 anni, nonostante la connivenza tra i diversi ingranaggi istituzionali e giuridici impegnati a tutelarsi vicendevolmente e a silenziarla, tra cartelle cliniche contraffatte e querele per calunnia, Malika non si arrende e continua a lottare.\r\n\r\nprima parte: la storia di malika_primaparte\r\n\r\nseconda parte: la storia di malika_secondparte\r\n\r\nVENERDì 6 GIUGNO: 19.59 (h13-15)\r\n\r\nPuntata dedicata agli omicidi di Giorgiana Masi e di Walter Rossi, con un approfondimento sulla Legge Reale.\r\n\r\ngiorgiana e walter\r\n\r\nlegge reale\r\n\r\nDOMENICA 8 GIUGNO: INTERFERENZE (h16-17)\r\n\r\nPartiremo dal caso di Marta di quest'estate in Valle per ragionare sulla rappresentazione mediatica che viene data della violenza (in particolare di quella sulle donne), allargando poi lo sguardo a una serie di esperienza di lotta che rifuggano dalle invocazioni securitarie provando invece a costruire un discorso diverso (ad esempio le slut walk e le passeggiate contro la violenza che stanno organizzando in questi mesi le cagne sciolte a roma). Una delle voci di donne che abbiamo intervistato come contributo alla riflessione è Simona De Simoni, con cui abbiamo parlato del cosiddetto decreto 93 formulato e poi approvato nell'agosto 2013. Il decreto, tristemente famoso come “decreto femminicidio”, è un caso paradigmatico di pinkwashing ovvero dell'utilizzo di tematiche di genere con finalità politiche strumentali. In questo caso specifico si utilizza la presunta retorica di difesa delle donne con finalità politiche strumentali volte alla criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare del movimento NO TAV. Durante l'intervista si problematizza, inoltre, il ruolo quantomai problematico e ambiguo di uno Stato che vorrebbe professarsi come garante della sicurezza delle donne. Si replica DOMENICA 15 GIUGNO - stessa ora.\r\n\r\naudio intereferenze \r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa morte di Alberico di Noia. Il 14 gennaio 2014, Alberico Di Noia 38 anni, è stato trovato impiccato nel carcere di Lucera (Foggia). Alberico attendeva il trasferimento in un altra struttura e si trovava in cella di isolamento (definita di osservazione) per una lite verbale con una guardia che gli aveva impedito di donare una caramella al figlio, venuto con la moglie l colloquio. Quando il corpo è stato trovato senza vita era vestito e pronto per la partenza che sarebbe dovuta avvenire in poche ore. Anche in questo caso, come in molti analoghi, i familiari si sono scontrati con la resistenza della direzione carceraria nel mostrare il corpo: inizialmente il decesso era stato addirittura etichettato come \"arresto cardiaco\", per evitare l'apertura d'ufficio di un'inchiesta per \"suicidio\". I parenti sono stati avvertiti solo 24 ore dopo la morte di Alberico e un compagno di cella lo descrive come una persona per niente depressa, mentre racconta dei pestaggi subiti per aver dato del \"pezzo di merda\" a una guardia. Di questa storia di carcere assassino parleremo con l'avvocato che sta affiancando la famiglia Di Noia nella loro lotta affinché lo Stato ammetta le proprie responsabilità.\r\n\r\nprima parte: dinoia_primaparte\r\n\r\nseconda parte: dinoia_secondaparte\r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: IL COLPO DELLA STREGA (h18.30-20)\r\n\r\nUn'approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l'arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l'esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l'esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Racconteremo tante storie di donne, analizzeremo le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraverseremo il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del buon poliziotto che ci propinano le fiction tv. Non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nprima parte: il colpo della strega_primaparte\r\n\r\nseconda parte: il colpo della strega_secondaparte\r\n\r\nMARTEDì 10 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nCaso Uva. Per il procuratore Isnardi non è omicidio. Chi riponeva speranze nella decisione del Procuratore di Varese di avocare a sé il procedimento sulla morte di Giuseppe Uva rimarrà probabilmente molto deluso. La Procura di Varese ha infatti chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati dei carabinieri e dei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva, l’artigiano di 43 anni morto nel giugno 2008. Grande sorpresa da parte del legale dei familiari della vittima. “E’ una cosa inaspettata. Non se lo aspettavano – ha ribadito l’avvocato – neanche gli imputati”. Uva morì nel giugno di sei anni fa, dopo essere stato portato in caserma dai carabinieri. La sorella di lui, Lucia, che è stata presente a tutte le udienze del processo, è apparsa visibilmente scossa dalla decisione e non ha voluto rilasciare dichiarazioni.\r\n\r\nSull’argomento abbiamo sentito l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva\r\n\r\navvocato_Uva\r\n\r\nGIOVEDì 12 GIUGNO: RADIO BORROKA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa violenza di Stato, nei Paesi Baschi, significa la violenza di uno stato autoritario e oppressore, che da secoli ha cercato di assimilare, rendere docile e ubbidiente un popolo, quello basco, che da sempre rivendica il proprio diritto all'autodeterminazione. La violenza di Stato, quello spagnolo in particolar modo, sempre con la complicità di quello francese, altro stato che rinchiude nelle proprie frontiere il popolo e la cultura basca, e il benestare degli altri stati europei e capitalisti, si è perpetrata negli anni nelle forme tanto classiche quanto brutali degli stati occupanti. \r\n\r\n\r\nFra queste, sicuramente, la più odiosa e vigliacca, è sicuramente la tortura, con il quale tante e tanti baschi hanno dovuto sopportare nei penitenziari e nelle celle di sicurezza della guardia civil. Nella nostra trasmissione, che da qualche anno ormai sulle libere frequenze di Radio BlackOut da voce alla lotta dei popoli in lotta per l'autodeterminazione e il diritto a vivere una terra che sia libera dall'oppressione e del profitto, all'interno del percorso radiofonico contro le violenze di Stato, vi racconteremo le storie di alcune giovani donne militante della sinistra indipendentista basca, che la violenza di stato e la violenza machista l'hanno toccata con mano, e che con forza e dignità denunciano e combattono, giorno dopo giorno, per le strade della loro Euskal Herria.\r\n\r\nVENERDì 13 GIUGNO: ANARRES (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa normalità del male. Qualche volta, grazie alla tenacia di una madre, di un padre, di una sorella, di amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti di Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la violenza incisa sui corpi di persone vive e sane prime di cadere nelle mani di poliziotti, carabinieri, psichiatri, militari.\r\nI corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre di nubi che copre la violenza degli uomini e delle donne in divisa, in camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.\r\nMa restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto di quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.\r\nI corpi straziati di Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza di una normalità che ammette rare eccezioni.\r\nLa normalità quotidiana della violenza di Stato, della violenza degli uomini e donne dello Stato sulle strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 06 13 robertino violenza di stato\r\n\r\n\r\nMARTEDì 17 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nLa violenza dell'esilio. Il fenomeno, come fenomeno collettivo ovviamente, comincia nell’80, quando sbarcano in Francia i reduci di Prima Linea in tremenda rotta davanti ai numerosi arresti, ma la loro sorte non è delle più favorevoli. Quelli che vengono presi sono estradati rapidamente. Gli altri intanto, che continuano ad aumentare in modo esponenziale, cercano allora altri paesi, perlopiù America latina, qualche paese africano, Brasile. Alcuni si muovono secondo le aree di appartenenza, è il caso dei compagni di Rosso, altri individualmente o per piccoli gruppi.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nA seguito della elezione di François Mitterrand abbiamo un'impennata di fughe verso la Francia di vaste aree di movimento italiane, in sostanza compagni che rischiano condanne non enormi, e che procedono a mettersi in regola per quanto possibile. Teniamo in conto che allora la maggior parte era ancora in possesso di documenti validi. Quelli con accuse più gravi, non molti in realtà, poiché la loro presenza non era particolarmente vista di buon occhio, vivono più isolati, cercando di evitare l’arresto.\r\n\r\nDiciamo che il fenomeno ha interessato nel momento più alto circa un migliaio di individui, fra quelli con un mandato di cattura sulla testa e altri allora solo indagati. Una cifra importante, in un computo complessivo che in quegli anni, per reati politici, toccò 60.000 indagati in Italia, dovuti molto prima che alle capacità investigative poliziesche a una pratica che si allarga a macchia d’olio, quella della delazione. Pratica che non solo fornisce agli inquirenti nomi e identità ma anche luoghi, case, reti di appoggio.\r\n\r\nIntanto in Francia la cosiddetta dottrina Mitterrand viene invocata a protezione dei fuoriusciti italiani, ma contestualmente si opera una selezione sulle persone da mettere in regola, molti ottengono i permessi di soggiorno, ma è tutto aleatorio, instabile. Si favorisce magari chi ha assunto in Francia una posizione più o meno dissociativa, oppure chi ha condanne non gravi… di fatto si formano le cosiddette liste, appoggiate in prefettura da un gruppo di avvocati di movimento. Intanto il mare si restringe sempre più intorno agli altri che rimangono irregolari sino praticamente al 2000, quando il primo ministro Jospin si dichiara favorevole alla loro regolarizzazione.\r\n\r\nTradotto vuol dire che dall’81, al 2000, in centinaia hanno vissuto lavorando in nero, in condizioni di difficile sopravvivenza, senza alcuna certezza, sparendo dalla circolazione ogni volta che per una ragione o per un'altra, da un versante o dall'altro delle Alpi, qualcuno auspicasse la consegna degli irregolari all'Italia\r\n\r\nIl tempo passa, cominciano a fioccare, dall'Italia, le prescrizioni che riducono di molto il numero iniziale degli irregolari, per arrivare ai giorni nostri, quando meno di una decina di persone ha ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da anni; si tratta dei casi con le pene più gravi, in effetti quasi tutti condannati all’ergastolo, quindi suscettibili di essere oggetto di estradizioni nel caso di mutamenti politici.\r\n\r\nIn questo piccolo gruppo viene ad inserirsi il caso di Enrico Villimburgo, che oltre ad essere condannato all’ergastolo per appartenenza alle BR romane, si trova a dover combattere da solo una battaglia non più legale, ma una lotta contro una malattia devastante.Questi fuoriusciti sono partiti insieme, ma sono tornati in molti singolarmente. Alcuni non avranno più alcuna possibilità di tornare. Per fortuna, Enrico è ancora qui, e una solidarietà manifesta nei suoi confronti, lo aiuta più della chemio.\r\n\r\nCon Gianni, compagno che è stato per molti anni esule in Francia, affrontiamo il nodo politico e umano dell’esilio, la questione del pentitismo che di fatto creò il fenomeno, e la storia drammatica di un compagno, Enrico Vilimburgo, la cui salute è stata devastata da una vita braccata con un ergastolo sulla testa.\r\n\r\n Per sostenere Enrico: IBAN IT04P0503437750000000000577 intestato a Manuela Villimburgo. \r\n\r\nSpecificare nella causale: “per Enrico”\r\nc/o BANCO POPOLARE – FILIALE DI BORGO SAN LORENZO (FI) - VIA L. DA VINCI, 42\r\nGianni","3 Giugno 2014","2018-10-24 17:46:18","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/06/still_not_loving_police_1-200x110.jpg","Percorso radiofonico contro la violenza di stato",1401796980,[546,547,548,549,550,551,552,553,554,452,555,453,556],"http://radioblackout.org/tag/antipsichiatria/","http://radioblackout.org/tag/bello-come-una-prigione-che-brucia/","http://radioblackout.org/tag/carcere/","http://radioblackout.org/tag/controllo/","http://radioblackout.org/tag/ergastolo/","http://radioblackout.org/tag/esuli/","http://radioblackout.org/tag/omicidi-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/repressione/","http://radioblackout.org/tag/tso/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/violenza-sulle-donne/",[558,559,560,561,562,563,564,565,566,30,567,410,25],"antipsichiatria","bello come una prigione che brucia","carcere","controllo","ergastolo","esuli","omicidi di stato","repressione","TSO","violenza di stato",{"post_content":569,"post_title":573,"tags":576},{"matched_tokens":570,"snippet":571,"value":572},[100,79,102,78],"mediatica che viene data della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> (in particolare \u003Cmark>di\u003C/mark> quella \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>), allargando poi lo sguardo a","In occasione della due giorni organizzata in Valsusa da un gruppo \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> sul tema della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> stato - a questo link trovate tutte le informazioni sul programma e l'organizzazione - i redattori e le redattrici \u003Cmark>di\u003C/mark> Radio Blackout hanno deciso \u003Cmark>di\u003C/mark> contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, in tutte le sue sfaccettature.\r\n\r\nDalle violenze in Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, in Italia come altrove, dagli abusi in divisa agiti contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark> alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. Un'occasione per ragionare sul monopolio statale della \u003Cmark>violenza\u003C/mark>, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> legittimata dalle istituzioni come forma \u003Cmark>di\u003C/mark> controllo sociale e dispositivo \u003Cmark>di\u003C/mark> \"contenimento\", marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche \u003Cmark>di\u003C/mark> tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nQui \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito gli appuntamenti all'interno del palinsesto \u003Cmark>di\u003C/mark> Blackout \u003Cmark>di\u003C/mark> questo percorso radiofonico, a cui strada facendo aggiungeremo i podcast realizzati dalle varie trasmissioni. Buon ascolto!\r\n\r\nVENERDì 30 MAGGIO: presentazione della due giorni valsusina a cura della Redazione. Ai microfoni Pat, attivista NoTav\r\n\r\npat_valle_3005014\r\n\r\nLUNEDì 2 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa storia \u003Cmark>di\u003C/mark> Malika. Era il 2004 quando a Firenze una donna \u003Cmark>di\u003C/mark> origine marocchine veniva sfrattata dal suo appartamento. Un solerte ufficiale giudiziario, ammaestrato ad anteporre la passione per la proprietà ad ogni altro sentimento, richiedeva un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) nei confronti \u003Cmark>di\u003C/mark> una donna incinta, comprensibilmente arrabbiata, ridotta a corpo da sedare e rimuovere. Arriva un’ambulanza e, nonostante la donna mostri un certificato medico che le prescrive riposo per il rischio \u003Cmark>di\u003C/mark>\r\naborto, viene bloccata in un angolo da cinque uomini, gettata sul letto e, una volta immobilizzata, le vengono praticate due iniezioni. Quell'intervento a base \u003Cmark>di\u003C/mark> coercizione e antipsicotici procurò danni cerebrali irreversibili alla figlia che Malika portava in grembo. A distanza \u003Cmark>di\u003C/mark> 9 anni, nonostante la connivenza tra i diversi ingranaggi istituzionali e giuridici impegnati a tutelarsi vicendevolmente e a silenziarla, tra cartelle cliniche contraffatte e querele per calunnia, Malika non si arrende e continua a lottare.\r\n\r\nprima parte: la storia \u003Cmark>di\u003C/mark> malika_primaparte\r\n\r\nseconda parte: la storia \u003Cmark>di\u003C/mark> malika_secondparte\r\n\r\nVENERDì 6 GIUGNO: 19.59 (h13-15)\r\n\r\nPuntata dedicata agli omicidi \u003Cmark>di\u003C/mark> Giorgiana Masi e \u003Cmark>di\u003C/mark> Walter Rossi, con un approfondimento sulla Legge Reale.\r\n\r\ngiorgiana e walter\r\n\r\nlegge reale\r\n\r\nDOMENICA 8 GIUGNO: INTERFERENZE (h16-17)\r\n\r\nPartiremo dal caso \u003Cmark>di\u003C/mark> Marta \u003Cmark>di\u003C/mark> quest'estate in Valle per ragionare sulla rappresentazione mediatica che viene data della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> (in particolare \u003Cmark>di\u003C/mark> quella \u003Cmark>sulle\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>), allargando poi lo sguardo a una serie \u003Cmark>di\u003C/mark> esperienza \u003Cmark>di\u003C/mark> lotta che rifuggano dalle invocazioni securitarie provando invece a costruire un discorso diverso (ad esempio le slut walk e le passeggiate contro la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> che stanno organizzando in questi mesi le cagne sciolte a roma). Una delle voci \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> che abbiamo intervistato come contributo alla riflessione è Simona De Simoni, con cui abbiamo parlato del cosiddetto decreto 93 formulato e poi approvato nell'agosto 2013. Il decreto, tristemente famoso come “decreto femminicidio”, è un caso paradigmatico \u003Cmark>di\u003C/mark> pinkwashing ovvero dell'utilizzo \u003Cmark>di\u003C/mark> tematiche \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>genere\u003C/mark> con finalità politiche strumentali. In questo caso specifico si utilizza la presunta retorica \u003Cmark>di\u003C/mark> difesa delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> con finalità politiche strumentali volte alla criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare del movimento NO TAV. Durante l'intervista si problematizza, inoltre, il ruolo quantomai problematico e ambiguo \u003Cmark>di\u003C/mark> uno Stato che vorrebbe professarsi come garante della sicurezza delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>. Si replica DOMENICA 15 GIUGNO - stessa ora.\r\n\r\naudio intereferenze \r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa morte \u003Cmark>di\u003C/mark> Alberico \u003Cmark>di\u003C/mark> Noia. Il 14 gennaio 2014, Alberico \u003Cmark>Di\u003C/mark> Noia 38 anni, è stato trovato impiccato nel carcere \u003Cmark>di\u003C/mark> Lucera (Foggia). Alberico attendeva il trasferimento in un altra struttura e si trovava in cella \u003Cmark>di\u003C/mark> isolamento (definita di osservazione) per una lite verbale con una guardia che gli aveva impedito \u003Cmark>di\u003C/mark> donare una caramella al figlio, venuto con la moglie l colloquio. Quando il corpo è stato trovato senza vita era vestito e pronto per la partenza che sarebbe dovuta avvenire in poche ore. Anche in questo caso, come in molti analoghi, i familiari si sono scontrati con la resistenza della direzione carceraria nel mostrare il corpo: inizialmente il decesso era stato addirittura etichettato come \"arresto cardiaco\", per evitare l'apertura d'ufficio \u003Cmark>di\u003C/mark> un'inchiesta per \"suicidio\". I parenti sono stati avvertiti solo 24 ore dopo la morte \u003Cmark>di\u003C/mark> Alberico e un compagno \u003Cmark>di\u003C/mark> cella lo descrive come una persona per niente depressa, mentre racconta dei pestaggi subiti per aver dato del \"pezzo \u003Cmark>di\u003C/mark> merda\" a una guardia. Di questa storia \u003Cmark>di\u003C/mark> carcere assassino parleremo con l'avvocato che sta affiancando la famiglia \u003Cmark>Di\u003C/mark> Noia nella loro lotta affinché lo Stato ammetta le proprie responsabilità.\r\n\r\nprima parte: dinoia_primaparte\r\n\r\nseconda parte: dinoia_secondaparte\r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: IL COLPO DELLA STREGA (h18.30-20)\r\n\r\nUn'approfondimento sulla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> in divisa agita contro le \u003Cmark>donne\u003C/mark>. \u003Cmark>Violenza\u003C/mark> maschile che assume un elemento \u003Cmark>di\u003C/mark> caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l'arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l'esercizio \u003Cmark>di\u003C/mark> un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto \u003Cmark>di\u003C/mark> subordinazione o \u003Cmark>di\u003C/mark> fragilità, pensiamo alla relazione con un datore \u003Cmark>di\u003C/mark> lavoro che ci pone in una posizione \u003Cmark>di\u003C/mark> estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore \u003Cmark>di\u003C/mark> amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l'esercizio \u003Cmark>di\u003C/mark> potere e \u003Cmark>di\u003C/mark> controllo sociale sui corpi delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>. Racconteremo tante storie \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark>, analizzeremo le leggi paternalistiche \u003Cmark>di\u003C/mark> uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome \u003Cmark>di\u003C/mark> discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraverseremo il discorso sulla \u003Cmark>violenza\u003C/mark> in divisa da un punto \u003Cmark>di\u003C/mark> vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità \u003Cmark>di\u003C/mark> autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del buon poliziotto che ci propinano le fiction tv. Non si tratta \u003Cmark>di\u003C/mark> mele marce ma \u003Cmark>di\u003C/mark> una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano \u003Cmark>violenza\u003C/mark>, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nprima parte: il colpo della strega_primaparte\r\n\r\nseconda parte: il colpo della strega_secondaparte\r\n\r\nMARTEDì 10 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nCaso Uva. Per il procuratore Isnardi non è omicidio. Chi riponeva speranze nella decisione del Procuratore \u003Cmark>di\u003C/mark> Varese \u003Cmark>di\u003C/mark> avocare a sé il procedimento sulla morte \u003Cmark>di\u003C/mark> Giuseppe Uva rimarrà probabilmente molto deluso. La Procura \u003Cmark>di\u003C/mark> Varese ha infatti chiesto il proscioglimento dall’accusa \u003Cmark>di\u003C/mark> omicidio preterintenzionale e altri reati dei carabinieri e dei poliziotti imputati per la morte \u003Cmark>di\u003C/mark> Giuseppe Uva, l’artigiano \u003Cmark>di\u003C/mark> 43 anni morto nel giugno 2008. Grande sorpresa da parte del legale dei familiari della vittima. “E’ una cosa inaspettata. Non se lo aspettavano – ha ribadito l’avvocato – neanche gli imputati”. Uva morì nel giugno \u003Cmark>di\u003C/mark> sei anni fa, dopo essere stato portato in caserma dai carabinieri. La sorella \u003Cmark>di\u003C/mark> lui, Lucia, che è stata presente a tutte le udienze del processo, è apparsa visibilmente scossa dalla decisione e non ha voluto rilasciare dichiarazioni.\r\n\r\nSull’argomento abbiamo sentito l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva\r\n\r\navvocato_Uva\r\n\r\nGIOVEDì 12 GIUGNO: RADIO BORROKA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato, nei Paesi Baschi, significa la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> uno stato autoritario e oppressore, che da secoli ha cercato \u003Cmark>di\u003C/mark> assimilare, rendere docile e ubbidiente un popolo, quello basco, che da sempre rivendica il proprio diritto all'autodeterminazione. La \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato, quello spagnolo in particolar modo, sempre con la complicità \u003Cmark>di\u003C/mark> quello francese, altro stato che rinchiude nelle proprie frontiere il popolo e la cultura basca, e il benestare degli altri stati europei e capitalisti, si è perpetrata negli anni nelle forme tanto classiche quanto brutali degli stati occupanti. \r\n\r\n\r\nFra queste, sicuramente, la più odiosa e vigliacca, è sicuramente la tortura, con il quale tante e tanti baschi hanno dovuto sopportare nei penitenziari e nelle celle \u003Cmark>di\u003C/mark> sicurezza della guardia civil. Nella nostra trasmissione, che da qualche anno ormai \u003Cmark>sulle\u003C/mark> libere frequenze \u003Cmark>di\u003C/mark> Radio BlackOut da voce alla lotta dei popoli in lotta per l'autodeterminazione e il diritto a vivere una terra che sia libera dall'oppressione e del profitto, all'interno del percorso radiofonico contro le violenze \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato, vi racconteremo le storie \u003Cmark>di\u003C/mark> alcune giovani \u003Cmark>donne\u003C/mark> militante della sinistra indipendentista basca, che la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> stato e la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> machista l'hanno toccata con mano, e che con forza e dignità denunciano e combattono, giorno dopo giorno, per le strade della loro Euskal Herria.\r\n\r\nVENERDì 13 GIUGNO: ANARRES (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa normalità del male. Qualche volta, grazie alla tenacia \u003Cmark>di\u003C/mark> una madre, \u003Cmark>di\u003C/mark> un padre, \u003Cmark>di\u003C/mark> una sorella, \u003Cmark>di\u003C/mark> amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> incisa sui corpi \u003Cmark>di\u003C/mark> persone vive e sane prime \u003Cmark>di\u003C/mark> cadere nelle mani \u003Cmark>di\u003C/mark> poliziotti, carabinieri, psichiatri, militari.\r\nI corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre \u003Cmark>di\u003C/mark> nubi che copre la \u003Cmark>violenza\u003C/mark> degli uomini e delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> in divisa, in camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.\r\nMa restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto \u003Cmark>di\u003C/mark> quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.\r\nI corpi straziati \u003Cmark>di\u003C/mark> Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza \u003Cmark>di\u003C/mark> una normalità che ammette rare eccezioni.\r\nLa normalità quotidiana della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato, della \u003Cmark>violenza\u003C/mark> degli uomini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> dello Stato \u003Cmark>sulle\u003C/mark> strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 06 13 robertino \u003Cmark>violenza\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> stato\r\n\r\n\r\nMARTEDì 17 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nLa \u003Cmark>violenza\u003C/mark> dell'esilio. Il fenomeno, come fenomeno collettivo ovviamente, comincia nell’80, quando sbarcano in Francia i reduci \u003Cmark>di\u003C/mark> Prima Linea in tremenda rotta davanti ai numerosi arresti, ma la loro sorte non è delle più favorevoli. Quelli che vengono presi sono estradati rapidamente. Gli altri intanto, che continuano ad aumentare in modo esponenziale, cercano allora altri paesi, perlopiù America latina, qualche paese africano, Brasile. Alcuni si muovono secondo le aree \u003Cmark>di\u003C/mark> appartenenza, è il caso dei compagni \u003Cmark>di\u003C/mark> Rosso, altri individualmente o per piccoli gruppi.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nA seguito della elezione \u003Cmark>di\u003C/mark> François Mitterrand abbiamo un'impennata \u003Cmark>di\u003C/mark> fughe verso la Francia \u003Cmark>di\u003C/mark> vaste aree \u003Cmark>di\u003C/mark> movimento italiane, in sostanza compagni che rischiano condanne non enormi, e che procedono a mettersi in regola per quanto possibile. Teniamo in conto che allora la maggior parte era ancora in possesso \u003Cmark>di\u003C/mark> documenti validi. Quelli con accuse più gravi, non molti in realtà, poiché la loro presenza non era particolarmente vista \u003Cmark>di\u003C/mark> buon occhio, vivono più isolati, cercando \u003Cmark>di\u003C/mark> evitare l’arresto.\r\n\r\nDiciamo che il fenomeno ha interessato nel momento più alto circa un migliaio \u003Cmark>di\u003C/mark> individui, fra quelli con un mandato \u003Cmark>di\u003C/mark> cattura sulla testa e altri allora solo indagati. Una cifra importante, in un computo complessivo che in quegli anni, per reati politici, toccò 60.000 indagati in Italia, dovuti molto prima che alle capacità investigative poliziesche a una pratica che si allarga a macchia d’olio, quella della delazione. Pratica che non solo fornisce agli inquirenti nomi e identità ma anche luoghi, case, reti \u003Cmark>di\u003C/mark> appoggio.\r\n\r\nIntanto in Francia la cosiddetta dottrina Mitterrand viene invocata a protezione dei fuoriusciti italiani, ma contestualmente si opera una selezione \u003Cmark>sulle\u003C/mark> persone da mettere in regola, molti ottengono i permessi \u003Cmark>di\u003C/mark> soggiorno, ma è tutto aleatorio, instabile. Si favorisce magari chi ha assunto in Francia una posizione più o meno dissociativa, oppure chi ha condanne non gravi… \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto si formano le cosiddette liste, appoggiate in prefettura da un gruppo \u003Cmark>di\u003C/mark> avvocati \u003Cmark>di\u003C/mark> movimento. Intanto il mare si restringe sempre più intorno agli altri che rimangono irregolari sino praticamente al 2000, quando il primo ministro Jospin si dichiara favorevole alla loro regolarizzazione.\r\n\r\nTradotto vuol dire che dall’81, al 2000, in centinaia hanno vissuto lavorando in nero, in condizioni \u003Cmark>di\u003C/mark> difficile sopravvivenza, senza alcuna certezza, sparendo dalla circolazione ogni volta che per una ragione o per un'altra, da un versante o dall'altro delle Alpi, qualcuno auspicasse la consegna degli irregolari all'Italia\r\n\r\nIl tempo passa, cominciano a fioccare, dall'Italia, le prescrizioni che riducono \u003Cmark>di\u003C/mark> molto il numero iniziale degli irregolari, per arrivare ai giorni nostri, quando meno \u003Cmark>di\u003C/mark> una decina \u003Cmark>di\u003C/mark> persone ha ottenuto il rinnovo del permesso \u003Cmark>di\u003C/mark> soggiorno scaduto da anni; si tratta dei casi con le pene più gravi, in effetti quasi tutti condannati all’ergastolo, quindi suscettibili \u003Cmark>di\u003C/mark> essere oggetto di estradizioni nel caso \u003Cmark>di\u003C/mark> mutamenti politici.\r\n\r\nIn questo piccolo gruppo viene ad inserirsi il caso \u003Cmark>di\u003C/mark> Enrico Villimburgo, che oltre ad essere condannato all’ergastolo per appartenenza alle BR romane, si trova a dover combattere da solo una battaglia non più legale, ma una lotta contro una malattia devastante.Questi fuoriusciti sono partiti insieme, ma sono tornati in molti singolarmente. Alcuni non avranno più alcuna possibilità \u003Cmark>di\u003C/mark> tornare. Per fortuna, Enrico è ancora qui, e una solidarietà manifesta nei suoi confronti, lo aiuta più della chemio.\r\n\r\nCon Gianni, compagno che è stato per molti anni esule in Francia, affrontiamo il nodo politico e umano dell’esilio, la questione del pentitismo che \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto creò il fenomeno, e la storia drammatica \u003Cmark>di\u003C/mark> un compagno, Enrico Vilimburgo, la cui salute è stata devastata da una vita braccata con un ergastolo sulla testa.\r\n\r\n Per sostenere Enrico: IBAN IT04P0503437750000000000577 intestato a Manuela Villimburgo. \r\n\r\nSpecificare nella causale: “per Enrico”\r\nc/o BANCO POPOLARE – FILIALE \u003Cmark>DI\u003C/mark> BORGO SAN LORENZO (FI) - VIA L. 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La famiglia eterosessuale con figli è tornata ad essere al centro della società, senza essersene mai allontanata realmente. Smontarla è un percorso politico cruciale.\r\n\r\nAttacco al Rojava.\r\nDopo l’attentato di Instanbul, che il governo turco ha attribuito al PKK, nonostante le secche smentite del Partito dei lavoratori del Kurdistan, Erdogan ha scatenato un duro attacco a Kobane, città simbolo della guerra all’Isis, bombardando la città e l’intera regione. Quest’attacco si somma a quelli in corso da mesi nei confronti delle aree del confederalismo democratico in Iraq e alle basi del PKK sulle montagne irachene.\r\nCe ne ha parlato con Massimo Varengo dell’Ateneo Libertario di Milano\r\n\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nVenerdì 2 dicembre \r\nsciopero generale lanciato dai sindacati di base\r\nore 10 corteo da piazza Carlo Felice\r\nSpezzone antimilitarista\r\n\r\nSabato 3 dicembre\r\nore 15 piazza Castello\r\nmanifestazione contro l’attacco turco alle aree del confederalismo democratico in Rojava - Siria del Nord - e nel Bashur – Iraq.\r\n\r\nGiovedì 8 dicembre\r\nMarcia popolare No Tav da Bussoleno a San Didero\r\nAppuntamento ore 11 in piazza del mercato\r\n\r\nVenerdì 16 dicembre\r\nCena antinatalizia\r\nore 20 in corso Palermo 46\r\nCibo vegano, buon vino, esposizione spettacolare del nostrro pres-empio: porta la tua statuetta che lo costruiamo insieme\r\nDa ciascuno come può, più che può... \r\nBenefit lotte antimilitariste\r\n\r\nContatti:\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 21\r\nContatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org\r\n\r\n\r\n ","2 Dicembre 2022","2022-12-02 10:30:01","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/12/stillhiring-bis-col-200x110.jpg","Anarres del 25 novembre. 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