Dentro la pandemia – VOCI DALL’ANTROPOCENE #15 – 16/03/20
Mentre l’Italia è completamente bloccata da un’intera settimana e non si vede minimamente la fine di questa chiusura quasi totale ci pare utile sottolineare che siamo di fronte a un “fatto sociale totale” e che il contagio è diventato una sorta di incubo da cui non ci si sveglia.
Dal mondo le reazioni sono diverse. Da una parte si registra il ritardo e l’esitazione nel bloccare la vita economica degli stati-nazione, dall’altro le resistenze che cedono con l’avanzare del contagio.
La gamma delle reazioni politiche possibili sembra polarizzata tra la soluzione cinese e quella britannica. La prima imperniata sopra un’ideologia che vuole il paese come un corpo unico che come tale si difende. La seconda è l’incarnazione più coerente del darwinismo sociale, dove la società come diceva la Tatcher non esiste… non è che una somma di i individui con interessi divergenti in competizione tra loro e si valuta il lockdown come inaccettabile sotto il piano del rapporto costi (sterline) / benefici (vite umane).
Così, l’epidemia, come ogni momento straordinario, ha finito col distillare più verità su come funzionino le nostre società, di qualunque normalità. L’incubo del controllo digitale che è ormai la norma delle nostre comunicazioni, tutte mediate da piattaforme che tendono a schedare, quando va bene, le nostre abitudini di consumo… le carceri che esplodono mostrano che quelle discariche sociali sovraffollate sono uno dei massimi regolatori della nostra normalità, l’individuo che scopre nell’isolamento materiale di aver bisogno degli altri, che non ce la può fare da solo e contemporaneamente dagli altri è inesorabilmente separato, la politica che cerca di riprendersi il suo spazio a discapito dell’economico ma quello spazio, che potremmo dire istituzionale, è al momento disponibile solo per governare l’emergenza non certo per imporre alla cose un corso differente… quella sarà la partita, a partire da una nuova consapevolezza dei propri bisogni che contraddittoriamente emerge è che al momento è impossibilitata a diventare “sociale”.
Ci chiediamo cosa resterà dello shock emotivo e dei suoi effetti, resta un grande punto interrogativo sulla capacità di tenuta delle classi meno attrezzate. Sappiamo che sono molteplici oggi le categorie a risparmio 0. Quanto tempo può passare prima che emergano queste contraddizioni sotto il refrain abbastanza abusato della concordia e della solidarietà nazionale? Quanto tempo si può resistere senza lavorare, senza che entrino soldi in casa? A certi livelli della gerarchia sociale, lo sappiamo, molto poco.
La pandemia prosegue il suo corso inesorabile, si tratta solo di diluire il contagio più possibile e la retorica da “stato di guerra”, dovuto al rapido riempirsi degli ospedali e al possibile collasso delle terapie intensive, impedisce, in nome dell’unità e della mobilitazione totale, di levare la voce per dire che NON siamo di fronte a una catastrofe naturale inevitabile e che un mondo organizzato su altre priorità che non siano i profitti ad ogni costo avrebbe più chance di fronte ai nuovi virus, che tra l’altro sarebbero meno e circolerebbero meno facilmente, oltre che sulla risposta che siamo in grado di mettere in campo per salvare più vite possibile.