Epidemia – VOCI DALL’ANTROPOCENE #13 – 24/02/20
L’Italia ai tempi del Coronavirus. Qualche informazione di base, qualche divagazione e una riflessione profonda, a partire da quest’articolo di Ottavio Marzocca, ordinario di filosofia etico-politica all’Università di Bari. A sentire gli esperti la questione di sostanza sarebbe ritardare il contagio in modo che la potenza del virus risulti progressivamente diminuita. Guadagnare tempo ed evitare che le complicanze facciano collassare le strutture sanitarie per il numero di casi troppo elevato. Forse non c’è già più l’illusione di bloccarlo. Almeno negli scienziati non sembra esserci. La politica continua a mimare questa possibilità per ovvie ragioni.
Il punto non ci sembra essere la particolare pericolosità di questo virus (è probabile che quel 20% di complicanze sia un dato sovrastimato). Piuttosto, è da almeno un ventennio che gli epidemiologici ci preparano a epidemie causate da virus che abbiano compiuto il salto di specie e che si propaghino tra gli esseri umani. Siamo sempre a un passo. Non dobbiamo farci confondere dagli interessi, a volte davvero sordidi, che gravitano attorno a questo genere di questioni, perché sono qualcosa di intrinseco. Tra l’altro proprio la ricercatrice Ilaria Capua, che ora sta in Florida al riparo degli strali della magistratura italiana e viene spesso chiamata in causa come figura eminente dell’infettivologia europea, era stata inquisita insieme al marito per molti reati tra cui quello di aver lucrato sulla vendita di vaccini anti-Sars in combutta con grandi società farmaceutiche multinazionali. Ma ciò che occorre comprendere è che davvero gli esperti temono che prima o poi si verifichi una pandemia letale. Virus che saltano la specie (eventualità sempre più frequente anche a causa di equilibri eco-sistemici mutati o danneggiati), le stesse condizioni di vita contemporanee, caratterizzate da rapidità e quantità di spostamenti, da una sorta di iperconnessione tra ogni luogo della terra, ampia presenza di metropoli e megalopoli in aree del globo del tutto impreparate ad affrontare emergenze sanitarie di questa portata.
Una questione tuttora aperta è perché l’Italia, che si è distinta per zelo nell’accogliere le indicazioni dell’OMS in materia di prevenzione (tanto da essere rimbrottata dai cinesi per la chiusura dei voli, misura rivelatasi inutile e controproducente) abbia finito con essere il primo focolaio europeo e il terzo paese di diffusione del virus. La narrazione maggioritaria dice che succede perché siamo i più alacri nel ricercare i casi di infezione. Ma se così fosse bisognerebbe ammettere che la situazione europea è del tutto diversa da quella che ci prospettano e dunque lo scenario sarebbe quello di migliaia di casi ignorati qua e là. Oppure l’Italia è stata negligente nel rispetto dei protocolli di emergenza negli ospedali interessati dai focolai. Oppure la cosa è del tutto o parzialmente casuale e ci istruisce su quanto sia complicato contenere un’epidemia in società organizzate come le nostre, con numerosi scambi intercontinentali quasi just in time e luoghi attraversati da folle enormi e cosmopolite. E forse non è un caso che il contagio sia partito dal cuore produttivo del Paese.