","Le donne di Mosul","post",1501008416,[65,66,67,68,69,70,71],"http://radioblackout.org/tag/donne-di-mosul/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/mosul/","http://radioblackout.org/tag/sciiti/","http://radioblackout.org/tag/sunniti/",[73,26,15,18,21,74,75],"donne di mosul","sciiti","sunniti",{"post_content":77,"post_title":81,"tags":84},{"matched_tokens":78,"snippet":79,"value":80},[21],"La battaglia di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> è finita. La parte ovest","La battaglia di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> è finita. La parte ovest della città è un cumulo di macerie: tra la polvere e i calcinacci marciscono i cadaveri e i resti della vita quotidiana ai tempi del Califfato.\r\n\r\nFrancesca Mannocchi, giornalista free lance, che ha seguito la guerra, ci racconta che negli ultimi giorni, quando il primo ministro iracheno aveva già annunciato la propria vittoria. Ma ancora, nel cuore della città vecchia, infuriava l'ultima battaglia, quella senza più alcuna speranza.\r\n\r\nIn quei giorni, per la prima volta, i giornalisti sono stati tenuti lontani dalla prima linea. Un segnale inequivocabile che quello che stava succedendo non doveva essere ripreso, fotografato, raccontato, lasciato in dono agli storici di domani.\r\nProbabilmente l'esercito di Baghdad aveva l'ordine di non fare prigionieri. E prigioniere.\r\nIntrappolati nella città vecchia di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> c'erano i combattenti dell'Isis e le loro famiglie.\r\nAnche le donne hanno imbracciato le armi e le hanno usate, altre si sono fatte esplodere in strada.\r\nDipinte sempre come vittime, le donne della Jihad del Califfo, sono state anche combattenti. Non tutte ovviamente. Difficile anche capire se ci fosse un confine tra costrizione e convinzione.\r\n\r\n \r\n\r\nSul numero di questa settimana dell'Espresso è uscito un articolo di Mannocchi sulle donne di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, di cui vi riportiamo di seguito ampi stralci.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta con Francesca Mannocchi:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 07 35 iraq mannocchi\r\n\r\n \r\n\r\n“Il soldato di Hasd al Shabi, la milizia sciita che ha combattuto l’Isis a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> accanto all’esercito iracheno, mostra il pugnale con orgoglio e parla con sarcasmo: «Io taglio le teste», dice, «e ieri ho ammazzato quattro donne. Erano le loro donne, non c’era motivo di tenerle vive».\r\n\r\n \r\n\r\nGià, le donne di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, le donne dell’Iraq. Sono l’altra metà di questa guerra, vittime più di tutti. Prima, sotto il Califfato, che le sottometteva e le umiliava. E anche adesso che la città è stata liberata e subiscono la vendetta dei vincitori.\r\n\r\n \r\n\r\nSiamo nella parte occidentale di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, praticamente tutta distrutta: non c’è un solo edificio che non sia stato toccato dai combattimenti e dai bombardamenti. L’odore di corpi in putrefazione riempie l’aria torrida di luglio. Nelle macerie i resti di armi, pallottole, di oggetti strappati alle vite quotidiane. E di corpi sepolti dai detriti. Le donne in fuga sono stremate, i loro bambini hanno i volti scavati dalla fame, sono scalzi, feriti, devono camminare per ore per raggiungere una zona sicura.\r\n\r\n \r\n\r\nUn’anziana cade a terra, ha il viso rigato di sangue. «Aiutatemi!», implora di fronte ai soldati. Spiega di aver bevuto solo la sua urina negli ultimi giorni per cercare di non morire: «Ci hanno chiusi negli scantinati, donne e bambini, urlavamo e nessuno poteva aiutarci, nessuno ci è venuto in soccorso per settimane. Hanno circondato le case di fili elettrici per far saltare in aria chi provava a scappare».\r\n\r\n \r\n\r\nGli uomini, in queste ore non si vedono. I pochi che ancora cercano di uscire dalla città vengono legati, trattenuti e di loro si perdono le tracce. Difficile dire se siano nelle mani dei servizi segreti o vengano uccisi, la conta di chi manca all’appello non è ancora cominciata. Ma la vendetta si abbatte anche sulle donne. Due giorni prima della fine della guerra il generale Fadel Barwary della Golden Division, le forze speciali dell’esercito iracheno, lo ha detto chiaramente: «Per noi chiunque sia rimasto dentro \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> finora è complice e merita la morte, uomini o donne non importa». E dal suo tablet ha mostrato le immagini di donne in battaglia, donne combattenti, donne armate di kalashnikov a fianco dei loro uomini nelle ultime ore del Califfato iracheno: «Queste donne stanno combattendo con accanto i loro figli, senza esitazione. Sono addestrate come gli uomini, determinate come loro».\r\n\r\n \r\n\r\nUsama, un giovane soldato, estrae dalla tasca sinistra un cellulare. «Apparteneva a uno di Daesh», ci dice mostrando le decine di fotografie salvate nella memoria. Istantanee di vita quotidiana e familiare in quella che era la capitale dell’Isis. Il telefono apparteneva un giovane miliziano che avrà avuto poco più di vent’anni, la barba e i capelli lunghi, un bambino che lo abbraccia e lo bacia con affetto. Una donna senza velo, in casa, sorride e imbraccia le armi insieme a lui, alle loro spalle le bandiere nere.\r\n\r\n \r\n\r\nSì, ci sono le donne dell’Isis, le donne del Califfato, le spose del jihad. Ma ce ne sono migliaia di altre che con Daesh non hanno avuto nulla a che fare o che sono state costrette ad aderire per aver salva la vita, propria e dei familiari. Ora arrivano negli ospedali da campo nei loro niqab sporchi di terra: donne in fuga in mezzo ad altre donne, come i loro figli, in fuga in mezzo ad altri bambini.\r\n\r\n \r\n\r\n(...)\r\n\r\n \r\n\r\nLa sconfitta dello Stato Islamico a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> mette fine solo a una battaglia, non alla guerra e rischia di riportare l’organizzazione terroristica agli albori, ad attacchi casuali e violenti, soprattutto perché le divisioni settarie sono lontane dall’essere risolte e il rischio di ritorsioni tra sunniti e sciiti è all’ordine del giorno.\r\n\r\n \r\n\r\nPer questo, dopo la riconquista della città, la sfida è gestire gli interessi dei sunniti che la abitano, ricostruire la città, le infrastrutture, una parvenza di vita quotidiana per i civili traumatizzati da tre anni di violenza.\r\n\r\n \r\n\r\nRiparare i danni, che solo per le infrastrutture sono stimati per oltre un miliardo di dollari, sarà l’unico modo per contrastare l’insorgenza di nuove forme di fondamentalismo perché «aver sconfitto l’Isis a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, non significa aver distrutto le sue radici, le ragioni profonde che l’hanno generato», ci dice Asma, nella sua casa del quartiere Jadida, \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> ovest. Le strade intorno casa sua sono piene di macerie, non c’è acqua, non c’è elettricità. Vive con il marito e i suoi otto figli, erano nove prima dell’arrivo in città dei pick up con le bandiere nere, simbolo dell’Isis. «Hanno ammazzato mio figlio dopo dieci giorni, impiccato. Perché era il barbiere delle polizia irachena, qui a \u003Cmark>Mosul»\u003C/mark>. Asma mostra le sue foto, che tiene nascoste in un cassetto e piange, con pudore, per non farsi vedere dai figli più piccoli che hanno troppo da dimenticare: “Non c’è una donna a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> che non abbia perso un caro amato, un figlio, un marito ucciso da quegli assassini. Ognuna di noi piange il suo dramma in silenzio per non pesare sugli altri». Per questo racconta Asma, a volte le donne del quartiere si ritrovano in casa, insieme, per sostenersi raccontando i ricordi dei loro cari, la giovinezza perduta di figli che non potranno vedere da adulti.\r\n«Quando la guerra è arrivata qui hanno catturato i miei figli e li hanno costretti ad aprire buchi nelle pareti per scappare senza essere visti, portando con loro tutti noi, donne, bambini, famiglie intere tenute in ostaggio. Chi provava a fuggire era impiccato ai pali della luce, cadaveri lasciati lì, per impaurire tutti gli altri.».\r\n\r\n \r\n\r\nAsma oggi ha lo sguardo fiero di chi può ricominciare a vivere. All’entrata di casa sua ci sono i barili per l’acqua, si mette in fila in attesa del suo turno per riempirne uno, poi cammina lentamente verso la distribuzione alimentare, una massa di donne in nero come lei. Le donne urlano alla distribuzione alimentare, aspettano ore al sole, ai cinquanta gradi iracheni, sono decine ammassate contro la porta di un magazzino, i soldati gridano loro di fare silenzio ma la fame e la disperazione sono difficili da gestire.\r\n\r\n \r\n\r\nUna di loro col volto coperto dal niqab mostra i documenti di identità di suo marito: «L’hanno arrestato i soldati dell’esercito e non me l’hanno ridato più, dicevano che era membro di Isis ma era un uomo buono. Io sono sola con quattro figli e non ho niente da mangiare», grida mentre la più piccola dei bambini si nasconde nel nero del suo vestito.\r\n\r\n \r\n\r\nIl soldato chiude le porte. Gli aiuti alimentari non arrivano, dice loro di andare a casa, le loro grida restano un’eco inascoltata nelle vie distrutte della città.\r\n\r\n \r\n\r\n«Ho chiesto ai miei figli di perdonare e di andare avanti, ho detto ai miei figli che supereremo questa tragedia solo lasciandocela alle spalle ma ogni giorno trovo più rabbia nei loro occhi», dice ancora Asma. Che con le immagini della guerra e dei morti ancora vivide nella memoria prova a spiegare a suo figlio Mohammad che deve perdonare i bambini come lui che sono figli dell’Isis, che non è loro la colpa dei padri.\r\n\r\n \r\n\r\nMa Mohammad scuote la testa, dice che non perdonerà, e che quei bambini saranno peggio dei padri.”\r\n\r\n ",{"matched_tokens":82,"snippet":83,"value":83},[21],"Le donne di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>",[85,89,91,93,95,98,100],{"matched_tokens":86,"snippet":88},[87],"mosul","donne di \u003Cmark>mosul\u003C/mark>",{"matched_tokens":90,"snippet":26},[],{"matched_tokens":92,"snippet":15},[],{"matched_tokens":94,"snippet":18},[],{"matched_tokens":96,"snippet":97},[21],"\u003Cmark>Mosul\u003C/mark>",{"matched_tokens":99,"snippet":74},[],{"matched_tokens":101,"snippet":75},[],[103,109,112],{"field":39,"indices":104,"matched_tokens":105,"snippets":108},[23,51],[106,107],[21],[87],[97,88],{"field":110,"matched_tokens":111,"snippet":83,"value":83},"post_title",[21],{"field":113,"matched_tokens":114,"snippet":79,"value":80},"post_content",[21],578730123365712000,{"best_field_score":117,"best_field_weight":118,"fields_matched":30,"num_tokens_dropped":51,"score":119,"tokens_matched":120,"typo_prefix_score":51},"1108091339008",13,"578730123365711979",1,{"document":122,"highlight":149,"highlights":180,"text_match":115,"text_match_info":190},{"cat_link":123,"category":124,"comment_count":51,"id":125,"is_sticky":51,"permalink":126,"post_author":54,"post_content":127,"post_date":128,"post_excerpt":57,"post_id":125,"post_modified":129,"post_thumbnail":130,"post_thumbnail_html":131,"post_title":132,"post_type":62,"sort_by_date":133,"tag_links":134,"tags":143},[48],[50],"38352","http://radioblackout.org/2016/11/mosul-titolo/","A due settimane dall'inizio dell'offensiva contro lo Stato Islamico a Mosul, dichiarata il 17 ottobre dal premier iracheno Haydar al-‘Abadi, arrivano aggiornamenti dal fronte che annunciano un'effettiva entrata dei soldati iracheni a Mosul nel tardo pomeriggio di ieri per lanciare quella che secondo il capo dell'anti-terrorismo iracheno \"è l'inizio della vera liberazione di Mosul\".\r\nGli interessi della missione della Coalizione Internazionale a guida Usa - che vede impegnate sul terreno soprattutto truppe dell’esercito iracheno, le milizie sciite irachene Hashd al- Shaabi e i peshmerga curdi - sono molti e vanno ben oltre quello della semplice lotta al terrorismo. All'interno dello scenario si mischiano ovviamente questioni geopolitiche ed economiche di ben altra portata e gli interessi in gioco non sono solo quelli del governo di Baghdad ma anche quelli di Turchia, Russia e Iran.\r\n \r\nUn primo approfondimento era stato svolto il 19 ottobre 2016 con una diretta con Chiara Cruciati, corrispondente de il Manifesto e caporedattrice di Nena News Agency\r\nmosul_chiara-cruciati\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nNella giornata di oggi abbiamo raggiunto ai nostri microfoni Michele Giorgio, corrispondente dal Medioriente per il Manifesto\r\nUn estratto dall'articolo di Michele Giorgio per Il Manifesto di oggi (mercoledì 2 novembre 2016)\r\nLa battaglia strada per strada, casa per casa di Mosul è sempre più vicina. Unità speciali delle forze armate irachene lunedì notte sono entrate prima a Gojali e poi a Karama, sobborghi della “capitale” dello Stato islamico in Iraq, spingendosi all’interno per circa 5 chilometri. 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La vittoria però resta lontana e la riconquista della città potrebbe trasformarsi in un enorme bagno di sangue, di cui i civili sarebbero le prime vittime.\r\n\r\nmosul_michelegiorgio","2 Novembre 2016","2016-11-04 18:15:56","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/mideast-iraq-mosul-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/mideast-iraq-mosul-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/mideast-iraq-mosul-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/mideast-iraq-mosul.jpg 620w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","L'esercito iracheno entra a Mosul: l'operazione e gli interessi in campo",1478089059,[135,136,67,68,137,138,69,139,140,141,142],"http://radioblackout.org/tag/daesh/","http://radioblackout.org/tag/iran/","http://radioblackout.org/tag/medioriente/","http://radioblackout.org/tag/michele-giorgio/","http://radioblackout.org/tag/russia/","http://radioblackout.org/tag/stato-islamico/","http://radioblackout.org/tag/turchia/","http://radioblackout.org/tag/usa/",[31,34,15,18,144,145,21,146,147,28,148],"medioriente","michele giorgio","russia","stato islamico","USA",{"post_content":150,"post_title":154,"tags":157},{"matched_tokens":151,"snippet":152,"value":153},[21],"contro lo Stato Islamico a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, dichiarata il 17 ottobre dal","A due settimane dall'inizio dell'offensiva contro lo Stato Islamico a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, dichiarata il 17 ottobre dal premier iracheno Haydar al-‘Abadi, arrivano aggiornamenti dal fronte che annunciano un'effettiva entrata dei soldati iracheni a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> nel tardo pomeriggio di ieri per lanciare quella che secondo il capo dell'anti-terrorismo iracheno \"è l'inizio della vera liberazione di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>\".\r\nGli interessi della missione della Coalizione Internazionale a guida Usa - che vede impegnate sul terreno soprattutto truppe dell’esercito iracheno, le milizie sciite irachene Hashd al- Shaabi e i peshmerga curdi - sono molti e vanno ben oltre quello della semplice lotta al terrorismo. 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Molte fonti informative riportano un abbandono massiccio dei combattenti dello Stato Islamico dal terreno di scontro. Certo, nella guerra la prima vittima è un'informazione trasparente ed è inoltre difficile oggi dire con certezza se (l'apparente?) silenzio delle prime ore corrisponderà ad una recrudescenza del futuro prossimo con l'uso di kamikaze, cecchine o altre sorprese. Quello che sappiamo è che stamattina i peshmerga di Massud’arzani (formazioni kurde del nord Irak, storicamente alleate agli stati Uniti e in non brutti rapporti con la Turchia di Erdogan) hanno lanciato dalle prime luci dell'alba un’offensiva su larga scala nella parte settentrionale e orientale della città. L’esercito irachenoha invece attaccato la città irachena, roccaforte del gruppo Stato islamico, da sud.\r\n\r\nMa il vero problema, a questo punto, non sarà tanto la liberazione (forse) quando la gestione del post, a causa della partecipazione composita e divergente negli interessi di medio-lungo periodo degli attori che partecipano all'operazione di guerra: curdi-iracheni, iracheni-sciiti legati all'Iran, Turchi, Americani. L'esercito iracheno, in particolare, riflette in maniera abbastanza fedele le spaccature etniche e confessionali che attraversano quello che non si sa nemmeno più se definire stato. I turchi giocano a tutti i costo la loro partita qui ed è impressionante che le più tenaci proteste arrivino dall'esercito regolare iracheno piuttosto che dai peshmerga. Questo riflette le spaccature verticali che attraversano la questione curda ma fa capire anche quanto sia imprescindibile per l'occidente il ruolo della Turchia visto che la crisi umanitaria conseguente alla battaglia di Mosul aprirà una nuova pesante partita dei profughi.\r\n\r\nIntanto la Turchia gioca pesante, approfittando dell'attenzione mondiale sulla roccaforte dell'Isis per regolare un po' di conti con quelli che considera i suoi più temibili nemici: dei raid aerei hanno avuto luogo questa mattina contro i curdi nel nordovest della Siria. Ankara ha condotto bombardamenti aerei uccidendo, stando alle dichiarazioni ufficiali quasi duecento miliziani del Partito dei lavoratori curdi (Pkk) e del Partito dell’Unione democratica (Pyd)\r\n\r\nDi tutto questo abbiamo parlato con Gastone Breccia, professore di storia bizantina all'università di Pavia, autore di Guerra all'ISIS. Diario dal fronte curdo.\r\n\r\nAl professore abbiamo anche posto domande più specifiche sulla sua esperienza in Rojava, sul fascino di quell'esperienza politico-militare e sullo sviluppo iper-capitalistico che vede al centro la città curdo-irachena di Erbil.\r\n\r\nbreccia\r\n\r\n ","20 Ottobre 2016","2016-10-25 17:33:33","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/91995768_mosul_recapture_624map_v03_english-200x110.png","\u003Cimg width=\"296\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/91995768_mosul_recapture_624map_v03_english-296x300.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/91995768_mosul_recapture_624map_v03_english-296x300.png 296w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/91995768_mosul_recapture_624map_v03_english.png 624w\" sizes=\"auto, (max-width: 296px) 100vw, 296px\" />","Battaglia di Mosul: il problema è il dopo",1476986303,[205,66,67,68,206,69,141],"http://radioblackout.org/tag/geopolitica/","http://radioblackout.org/tag/kurdi/",[38,26,15,18,208,21,28],"Kurdi",{"post_content":210,"post_title":214,"tags":217},{"matched_tokens":211,"snippet":212,"value":213},[21],"La battaglia di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> si sta rivelando più veloce","La battaglia di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> si sta rivelando più veloce è semplice del previsto. 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Diario dal fronte curdo.\r\n\r\nAl professore abbiamo anche posto domande più specifiche sulla sua esperienza in Rojava, sul fascino di quell'esperienza politico-militare e sullo sviluppo iper-capitalistico che vede al centro la città curdo-irachena di Erbil.\r\n\r\nbreccia\r\n\r\n ",{"matched_tokens":215,"snippet":216,"value":216},[21],"Battaglia di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>: il problema è il dopo",[218,220,222,224,226,228,230],{"matched_tokens":219,"snippet":38},[],{"matched_tokens":221,"snippet":26},[],{"matched_tokens":223,"snippet":15},[],{"matched_tokens":225,"snippet":18},[],{"matched_tokens":227,"snippet":208},[],{"matched_tokens":229,"snippet":97},[21],{"matched_tokens":231,"snippet":28},[],[233,238,240],{"field":39,"indices":234,"matched_tokens":235,"snippets":237},[20],[236],[21],[97],{"field":110,"matched_tokens":239,"snippet":216,"value":216},[21],{"field":113,"matched_tokens":241,"snippet":212,"value":213},[21],{"best_field_score":117,"best_field_weight":118,"fields_matched":30,"num_tokens_dropped":51,"score":119,"tokens_matched":120,"typo_prefix_score":51},{"document":244,"highlight":268,"highlights":296,"text_match":115,"text_match_info":307},{"cat_link":245,"category":246,"comment_count":51,"id":247,"is_sticky":51,"permalink":248,"post_author":54,"post_content":249,"post_date":250,"post_excerpt":57,"post_id":247,"post_modified":251,"post_thumbnail":252,"post_thumbnail_html":253,"post_title":254,"post_type":62,"sort_by_date":255,"tag_links":256,"tags":262},[48],[50],"37989","http://radioblackout.org/2016/10/fronte-mosul-lavanzata-dai-mille-volti/"," \r\nÈ cominciata domenica sera l'offensiva finale per la riconquista di Mosul, seconda città più grande dell'Iraq, attuale baluardo dello Stato Islamico. Le forze in gioco nei pressi dell'area di dominio del califfato sono incredibilmente variegate e le alleanze instauratesi per l'occasione a dir poco traballanti. Sullo scacchiere ci sono differenti attori politici, che hanno in comune solo la necessità di contrastare Daesh, rafforzando la propria influenza militare e politica sul territorio. Oggi, in quell'area Daesh non serve nemmeno a chi in passato l'aveva sostenuta.\r\nIl governo iracheno, presieduto dal premier Haydar al-'Abadi, si serve delle milizie sciite, dotate di una forza militare di cui egli non è in possesso, cercando in questo modo di riottenere, e di conseguenza consolidare, una posizione di forte egemonia sciita su tutto il territorio. L'Iraq, alleato da una parte con le forze iraniane e dall'altra con quelle statunitensi, può dunque sentirsi libero di muoversi all'interno della regione. La Russia di Vladimir Putin, invece, guarda con interesse il susseguirsi degli eventi, essendo presente nella zona siriana ed essendo inoltre storica alleata dell'Iran, che ultimamente ha aperto il dialogo con gli Stati Uniti. La Siria, sotto il regime di Assad, è sostenuta attivamente governo russo, mentre la Turchia, anch'essa in marcia verso la città di Mosul, viene fortemente osteggiata dal governo iracheno che preferirebbe limitare la propensione espansionistica di quest'ultima a Nord dell'Iraq. All'interno di queste dinamiche si inseriscono anche i Peshmerga del Kurdistan iracheno, i quali, sotto la direzione del presidente curdo Mas'ud Barzani, pare che non disdegnino affatto una certa vicinanza con lo stato turco. Radicalmente differente è invece la questione che coinvolge i curdi provenienti dall'esperienza del confederalismo democratico in Siria; mossi da scopi opposti a quelli della Turchia e dei suoi alleati turcomanni, optano per un intervento in un momento estremamente delicato per la sopravvivenza stessa delll'esperienza del confederalismo democratico. Le forze turche sono sia nei pressi della città di Kobane che nel sud-est della regione del Rojava, minacciando da vicino l'area del Kurdistan siriano.\r\nIn questo contesto, intricato quanto di cruciale importanza, si inserisce l'inquietante prospettiva di un assedio che potrebbe protrarsi per mesi, se non addirittura per anni, causando il massacro di una consistente parte della popolazione civile di Mosul, confermato dalle sempre più ricorrenti \"necessità\" strategiche che portano al ricorso ai raid aerei, prassi del sistema di supporto bellico occidentale.\r\nNe abbiamo parlato con Stefano, un compagno torinese esperto di geopolitica.\r\nAscolta la diretta:\r\n2016-10-18-stefano-mosul\r\nUn ulteriore approfondimento è stato svolto oggi (19 ottobre 2016) con Chiara Cruciati, corrispondente del Manifesto e caporedattrice di Nena News Agency\r\nmosul_chiara-cruciati\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","19 Ottobre 2016","2016-10-21 12:07:08","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/mosul-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/mosul-300x200.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/mosul-300x200.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/10/mosul.jpeg 626w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","[aggiornamento] Fronte Mosul. 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Le spese per gli indispensabili contractors per la sua difesa drenerebbero buona parte dei due miliardi di dollari del valore del contratto, quindi risulta decisiva la scelta del governo Renzi di accollarsi la spesa inviando 450 militari con quello scopo in una zona di guerra, dove soltanto ieri ci sono stati assalti del Daesh, piombato in forze sulle postazioni curde di Mosul.\r\n\r\nLa guerra si sviluppa con un andamento strategico insolito, dove è importante anche e soprattutto l'immagine che si dà al mondo del proprio coinvolgimento, al di là degli inteeressi economici e di traffici più o meno leciti con le forze in campo, per cui non deve stupire l'annuncio - che probabilmente non porterà a nessuna reale operazione militare da parte dell'Arabia Saudita contro lo Stato Islamico, quanto piuttosto è il risultato dle tenativo dei sauditi di uscire dal conflitto yemenita, aprendosi a nuovi orizzonti internazionali.\r\n\r\nUltima tappa di questo breve excursus sulla situazione nei territori minacciati dalla guerra coloniale e dalle scoribande del Daesh è il puzzle composito di quello che era il territorio libico e ora è un mosaico disaggregato di tribù, Tuareg, milizie di Misurata, islamisti di Ansar al-Sharia, oltre al Daesh che controlla il gofo di Sirte, su cui né il parlamento di Tobruk, riconosciuto internazionalmente dalle forze occidentali, né quello di Tripoli, collegato alla fratellanza musulmana e quindi inviso agli egiziani, possono assicurare un controllo reale, nemmeno se riuscissero a unire le forze in un governo di unità nazionale, come previsto dagli accordi di ieri, sottoscritti solo dai vicepresidenti dei due parlamenti e respinti dai presidenti stessi. 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Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. 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Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. 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Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. 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Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. 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Finalmente sono partito dall'Italia eccitato, curioso e un po' frustrato.\" Così comincia \"La donna, la luna e il serpente\" con cui Stefano Carini racconta la sua esperienza in Iraq tra maggio 2014 e settembre 2015 e che sarà ospite ai microfoni di Radio Black Out. Andava a lavorare con l'unica agenzia fotografica indipendente in Iraq. Ci sono Matt, un ex militare inglese che porta avanti un progetto sulle mine anti-uomo, Liz, studentessa di fotografia, ventenne olandese, che ha dovuto pagarsi il biglietto aereo, Bahar, grassoccio, mezzo arabo e mezzo turkmeno. Un mese dopo Mosul cade nelle mani dei militanti di ISIS che in tre giorni arrivano alle porte di Bagdad, sfollando più di un milione di persone e causando una delle più grandi catastrofi umanitarie dalla seconda guerra mondiale. Da quel momento si vive e si lavora giorno per giorno. \"Mancano i soldi e non so come fare. Alcune organizzazioni umanitarie dovrebbero mandarci dei fondi per tirare avanti fino a quando saremo di nuovo in grado di lavorare.\" Per tutto il mondo l'Iraq è battaglie, attentati e campi-profughi, ma Stefano pensa ci sia altro meno fotogenico ma altrettanto vero, lo cerca e lo trova. \"Ho visto quello che dovevo vedere. Dietro quei servizi televisivi, dietro quelle migliaia di immagini, ci sono davvero persone fatte di carne, ossa, emozioni, paure e desidieri. Spesso ce lo dimentichiamo o facciamo finta di niente, perché così é più facile.\" Kamaran Najm, il direttore dell'agenzia che aveva invitato Stefano, fu rapito da ISIS e di lui non si seppe più nulla. 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Andava a lavorare con l'unica agenzia fotografica indipendente in Iraq. Ci sono Matt, un ex militare inglese che porta avanti un progetto sulle mine anti-uomo, Liz, studentessa di fotografia, ventenne olandese, che ha dovuto pagarsi il biglietto aereo, Bahar, grassoccio, mezzo arabo e mezzo turkmeno. Un mese dopo \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> cade nelle mani dei militanti di ISIS che in tre giorni arrivano alle porte di Bagdad, sfollando più di un milione di persone e causando una delle più grandi catastrofi umanitarie dalla seconda guerra mondiale. Da quel momento si vive e si lavora giorno per giorno. \"Mancano i soldi e non so come fare. Alcune organizzazioni umanitarie dovrebbero mandarci dei fondi per tirare avanti fino a quando saremo di nuovo in grado di lavorare.\" Per tutto il mondo l'Iraq è battaglie, attentati e campi-profughi, ma Stefano pensa ci sia altro meno fotogenico ma altrettanto vero, lo cerca e lo trova. \"Ho visto quello che dovevo vedere. 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Buon ascolto.\r\n\r\nPer chi vuole sapere di più su Stefano Carini e cosa fa: darstprojects.com",[463],{"field":113,"matched_tokens":464,"snippet":460,"value":461},[21],{"best_field_score":401,"best_field_weight":43,"fields_matched":120,"num_tokens_dropped":51,"score":402,"tokens_matched":120,"typo_prefix_score":51},{"document":467,"highlight":497,"highlights":503,"text_match":399,"text_match_info":506},{"comment_count":51,"id":468,"is_sticky":51,"permalink":469,"podcastfilter":470,"post_author":411,"post_content":471,"post_date":472,"post_excerpt":57,"post_id":468,"post_modified":473,"post_thumbnail":474,"post_title":475,"post_type":453,"sort_by_date":476,"tag_links":477,"tags":489},"42536","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-16-giugno-normale-violenza-di-polizia-la-guerra-in-casa-aria-di-pogrom-porrajmos-casseruolata-contro-sgomberi-e-fascisti/",[411],"Come ogni venerdì, anche il 16 giugno, dalle 10,45 alle 12,45, sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout, siamo scesi con la nostra navicella su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\n \r\n\r\nAscolta il podcast:\r\n2017 06 16 anarres1\r\n2017 06 16 anarres2\r\n2017 06 16 anarres3\r\n\r\n \r\n\r\nIn questa puntata:\r\n\r\n \r\nPestaggi, abusi e ricatti. Alcune storie di normale violenza di polizia\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri\r\nLa grande paura di piazza San Carlo\r\n\r\nProbabilmente non sapremo mai cosa sia successo, quale scintilla abbia innescato le tre grandi ondate di panico, che hanno trasformato il salotto buono di Torino nell’anticamera di Kabul, Aleppo, Baghdad, Mosul…\r\n\r\nIn fondo conta poco, molto poco.\r\n\r\nSappiamo però che piazza San Carlo è lo specchio del nostro vivere, di un tempo, dove la guerra, che si finge non ci sia, ha infiltrato l'immaginario, colonizzandolo. Nei prossimi mesi il governo ci ruberà un altro pezzo di libertà, per proteggerci dalla paura di una guerra che non si deve nominare.\r\n\r\nI semi della paura hanno attecchito nel profondo del corpo sociale. L’uomo con il mitra non c’era, nessuno ha sparato, ma il bilancio è quello di qualsiasi battaglia: morti e feriti.\r\n\r\nAria di pogrom\r\n\r\nCasa Pound prova a cavalcare il disagio della gente di Barriera Nord per i fuochi che ogni tanto si levano dal campo. Da anni, in questa zona dove ci sono numerose fabbriche che emettono fumi che olezzano di uova marce, la destra punta l’indice contro i rom della baraccopoli di via Germagnano.\r\nFermati i fascisti al campo rom. Cariche e fermi\r\nQui la cronaca della risposta di anarchici e rom al presidio fascista del 10 giugno\r\nForza Nuova il sei giugno ha promosso una marcia contro il campo di strada dell'aeroporto finita con lancio di fiaccole sulle baracche, panico, fuggi fuggi, bambini dispersi per ore.\r\nIl prossimo lunedì Forza Nuova e comitati saranno di fronte al Comune per chiedere ad Appendino di mantenere le promesse, distruggendo le baraccopoli e buttando la gente in strada.\r\nCi saranno anche anarchici ed antirazzisti. Qui il volantino distribuito ai mercati in questi giorni. \r\nIl Porrajmos, lo sterminio di rom e sinti nell'Italia fascista.\r\n\r\nCon Paolo Finzi di A rivista\r\nProssimi appuntamenti:\r\n \r\nSabato 17 giugno\r\nore 10,30 / 13 punto info itinerante tra il Balon e San Pietro in Vincoli contro sgomberi, razzismo e attacchi fascisti alle baraccopoli \r\ndi via Germagnano e strada dell'Aeroporto\r\nLunedì 19 giugno\r\nore 15,30 / 18,30\r\nCacerolazo antifascista antirazzista contro lo sgombero dei campi rom e i pogrom\r\nin via Garibaldi angolo piazza Palazzo di città contro il presidio dei fascisti di Forza Nuova e dei Comitati razzisti\r\nAppuntamenti fissi:\r\nLe riunioni della federazione anarchica torinese, aperte a tutti gli interessati, sono in corso Palermo 46 ogni giovedì alle 21\r\nwww.anarresinfo.noblogs.org","16 Giugno 2017","2018-10-17 22:58:48","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/06/mariposas-200x110.jpg","Anarres del 16 giugno. 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E lo sguardo pruriginoso dei media occidentali sulle guerrigliere curde.\r\n“Donne vendute al bazar per cinque dollari. Esposte come buoi, con il cartellino del prezzo al collo, condannate a essere oggetto sessuali per i militari dell’Isis: schiave del Califfato”. È la denuncia di Nursel Kilic, rappresentante internazionale del Movimento delle donne Curde. “Secondo le stime ufficiali le donne rapite e vendute nei bazar sono 3,000, in realtà sono molte di più. 1200 poi giacciono nelle prigioni nella zona di Mosul e lì vengono violentate, torturate, subiscono ogni genere di violenza.”\r\n\"Il genocidio in atto colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e la libertà delle donne. Come è già avvenuto in altri recenti conflitti, dal Kosovo al Rwanda, le pratiche di genocidio includono atti sempre più visibili ed estesi di violenza nei confronti delle donne come gruppo. I femminicidi di massa perpetrati da ISIS possono essere considerati crimini di guerra e contro l'umanità, non solo perché costituiscono una strategia politica dello “Stato islamico”, ma anche perché sono rivolti a colpire in maniera specifica e sistematica donne e bambini. Gli atti di femminicidio sono utilizzati dalle milizie dell'ISIS come strumento di dominio patriarcale e come arma di guerra, funzionale allo sterminio delle minoranze etniche e religiose e per la distruzione del modello del Rojava\". Barbara Spinelli\r\nUno straordinario esperimento di comunità altra che da più di due anni il popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria – sta portando avanti, liberando il proprio territorio e sperimentando una vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal basso, l'uguaglianza tra uomini e donne e il rispetto dell'ambiente.\r\nLa carta del Rojava è un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza e di «ricerca di un equilibrio ecologico». Nel Rojava il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. E l’autogoverno, pur tra mille contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. E ancora: coerentemente con la svolta anti-nazionalista del Pkk di Öcalan, a cui le Ypg/Ypj sono collegate, netto è il rifiuto non solo di ogni assolutismo etnico e di ogni fondamentalismo religioso, ma della stessa declinazione nazionalistica della lotta del popolo kurdo. Basta ascoltare le parole dei guerriglieri e delle guerrigliere dell’Ypg/Ypj, per capire che questi ragazzi e queste ragazze hanno preso le armi per difendere la loro terra, ma soprattutto per affermare e difendere questo modo di vivere e di cooperare.\r\nLotta contro il patriarcato e contro il capitalismo/fascismo finalmente insieme. Lotta di genere e lotta di classe che camminano insieme, simultaneamente. Non dopo, non poi, ma qui e ora, si sperimenta una comunità altra, nuova, rivoluzionaria, nel farsi e nel darsi della lotta quotidiana. Questo ci pare essere l'elemento di assoluta rilevanza di questa resistenza, che vede le donne curde in prima linea a combattere, a difendere la propria terra e il proprio popolo, ma soprattutto ad affermare un principio di autodeterminazione personale e politica in totale conflitto con l'esistente.\r\nE sulle guerrigliere si posa lo sguardo dei media occidentali, pronti a spingere un trend che fa innalzare le vendite delle tutine mimetiche messe prontamente in commercio dalla multinazionale H&M e a trasformare il protagonismo delle donne in gossip da cartoline patinate. La storia è lunga a questo proposito e la conosciamo bene. Dalle partigiane della guerra al nazifascismo, passando per le donne che parteciparono alla lotta armata, fino alle compagne NoTav della Valsusa. L'attenzione dei media si concentra troppo spesso e non a caso sull'estetica, su fatti privati e sulla narrazione da rotocalco, mistificando e togliendo senso e sostanza al protagonismo e alla capacità di autodeterminazione di queste donne.\r\nAl fianco delle donne del Rojava.\r\nPer riascoltare la puntata:\r\nil colpo della strega_13ottobre2014_primaparte\r\nil colpo della strega_13ottobre2014_secondaparte","13 Ottobre 2014","2018-10-24 17:35:27","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/10/adesivo-il-colpo-della-strega-new-copy-e1413229678451-200x110.jpg","I podcast de Il colpo della strega: 13ottobre2014",1413238724,[520,521,522,523,68,524,525,526,527,528,529,530,531,532,533,534,535,536],"http://radioblackout.org/tag/autodeterminazione/","http://radioblackout.org/tag/colonialismo/","http://radioblackout.org/tag/donne/","http://radioblackout.org/tag/fascismo/","http://radioblackout.org/tag/islam/","http://radioblackout.org/tag/kurdistan/","http://radioblackout.org/tag/lotta-delle-donne/","http://radioblackout.org/tag/mgf/","http://radioblackout.org/tag/mutilazioni-genitali-femminili/","http://radioblackout.org/tag/partigiane/","http://radioblackout.org/tag/patriarcato/","http://radioblackout.org/tag/resistenza/","http://radioblackout.org/tag/rojava/","http://radioblackout.org/tag/storie-di-donne/","http://radioblackout.org/tag/stupri/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-genere/","http://radioblackout.org/tag/violenza-sessuale/",[538,539,540,541,18,424,542,543,421,438,544,545,546,36,547,426,548,549],"autodeterminazione","colonialismo","donne","fascismo","Kurdistan","lotta delle donne","partigiane","patriarcato","resistenza","storie di donne","violenza di genere","violenza sessuale",{"post_content":551},{"matched_tokens":552,"snippet":553,"value":554},[21],"nelle prigioni nella zona di \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> e lì vengono violentate, torturate,","La carta del Rojava come primo bersaglio delle milizie dell'Isis. 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Mercoledì 6 agosto c'é stato un blackout totale. A Tripoli internet, la rete dei cellulari e l'acqua funzionano a singhiozzo.\r\nAnche l'assistenza sanitaria è a rischio, perché il governo filippino ha chiesto ai 13mila lavoratori immigrati nel paese di lasciare la Libia. Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti al potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il governo Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. Già nel 2011, dopo mesi alla finestra il governo italiano decise di intervenire in Libia, rompendo l'alleanza con il governo di Muammar Gheddafi, per contrastare il piano franco inglese di sostituire l'Italia sia nerll'interscambio commerciale sia nel ruolo di referente privilegiato in Europa.\r\nL'Italia riuscì in quell'occasione a mantenere i contratti dell'ENI, ma, nonostante le assicurazioni delle nuove autorità libiche, non è mai riuscita ad ottenere l'outsourcing della repressione dell'immigrazione già garantito da Gheddafi. In questi giorni il governo moltiplica gli allarmi sull'emergenza immigrati, ma, nei fatti la crisi libica rende difficile richiudere la frontiera sud.\r\n\r\nPer profughi e migranti la situazione nel paese è terribile. L'Alto commissariato Onu per i rifiugati, che ha lasciato Tripoli a causa degli scontri, segnala che circa 30mila persone hanno passato il confine con la Tunisia la scorsa settimana, mentre ogni giorno 3.000 uomini attraversano la frontiera con l'Egitto; sono soprattutto egiziani che lavoravano in Libia, ma anche libici che possono permettersi la fuga. Tuttavia, la condizione peggiore è quella dei rifugiati provenienti dall'Africa subsahariana. \"Sono quasi 37mila - spiega l'agenzia Onu - le persone che abbiamo registrato; nella sola Tripoli, più di 150 persone provenienti da Eritrea e Somalia hanno chiamato il nostro numero verde per richiedere medicinali o un luogo più sicuro dove stare. Stiamo anche ricevendo chiamate da molti siriani e palestinesi che si trovano a Bengasi e che hanno un disperato bisogno di assistenza\".\r\n\r\nGli africani neri rischiano la pelle. Uomini delle milizie entrano nelle case che danno rifugio ai profughi, che vengono derubati di ogni cosa e spesso uccisi. Molti maschi vengono rapiti e ridotti in schiavitù: vengono obbligati a fare i facchini durante gli spostamenti, le donne vengono invece sistematicamente stuprate. Nelle carceri, dove i migranti subsahariani sono detenuti finché pagano un riscatto, la situazione è peggiorata: oltre ai \"consueti\" abusi ai prigionieri è negato anche il cibo.\r\n\r\nLe divisioni storiche tra Tripolitania, Cirenaica, e Fezzan sono divenute esplosive. Al di là della partita politica c'é la lotta senza quartiere per il controllo delle risorse, in primis il petrolio.\r\nDopo la caduta di Moammar Gheddafi tre estati fa, i vari governi che si sono succeduti non sono riusciti a imporsi sui circa 140 gruppi tribali che compongono la Libia. Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata Al Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando Mosul e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia di Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie di Misurata e di alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo di un deposito di carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno di un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese di origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore di quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia","7 Agosto 2014","2018-10-17 22:59:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/08/libia-200x110.jpg","Libia. 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Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti al potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il governo Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. Già nel 2011, dopo mesi alla finestra il governo italiano decise di intervenire in Libia, rompendo l'alleanza con il governo di Muammar Gheddafi, per contrastare il piano franco inglese di sostituire l'Italia sia nerll'interscambio commerciale sia nel ruolo di referente privilegiato in Europa.\r\nL'Italia riuscì in quell'occasione a mantenere i contratti dell'ENI, ma, nonostante le assicurazioni delle nuove autorità libiche, non è mai riuscita ad ottenere l'outsourcing della repressione dell'immigrazione già garantito da Gheddafi. In questi giorni il governo moltiplica gli allarmi sull'emergenza immigrati, ma, nei fatti la crisi libica rende difficile richiudere la frontiera sud.\r\n\r\nPer profughi e migranti la situazione nel paese è terribile. L'Alto commissariato Onu per i rifiugati, che ha lasciato Tripoli a causa degli scontri, segnala che circa 30mila persone hanno passato il confine con la Tunisia la scorsa settimana, mentre ogni giorno 3.000 uomini attraversano la frontiera con l'Egitto; sono soprattutto egiziani che lavoravano in Libia, ma anche libici che possono permettersi la fuga. Tuttavia, la condizione peggiore è quella dei rifugiati provenienti dall'Africa subsahariana. \"Sono quasi 37mila - spiega l'agenzia Onu - le persone che abbiamo registrato; nella sola Tripoli, più di 150 persone provenienti da Eritrea e Somalia hanno chiamato il nostro numero verde per richiedere medicinali o un luogo più sicuro dove stare. Stiamo anche ricevendo chiamate da molti siriani e palestinesi che si trovano a Bengasi e che hanno un disperato bisogno di assistenza\".\r\n\r\nGli africani neri rischiano la pelle. Uomini delle milizie entrano nelle case che danno rifugio ai profughi, che vengono derubati di ogni cosa e spesso uccisi. Molti maschi vengono rapiti e ridotti in schiavitù: vengono obbligati a fare i facchini durante gli spostamenti, le donne vengono invece sistematicamente stuprate. Nelle carceri, dove i migranti subsahariani sono detenuti finché pagano un riscatto, la situazione è peggiorata: oltre ai \"consueti\" abusi ai prigionieri è negato anche il cibo.\r\n\r\nLe divisioni storiche tra Tripolitania, Cirenaica, e Fezzan sono divenute esplosive. Al di là della partita politica c'é la lotta senza quartiere per il controllo delle risorse, in primis il petrolio.\r\nDopo la caduta di Moammar Gheddafi tre estati fa, i vari governi che si sono succeduti non sono riusciti a imporsi sui circa 140 gruppi tribali che compongono la Libia. Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata Al Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia di Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie di Misurata e di alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo di un deposito di carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno di un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese di origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore di quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia",[582],{"field":113,"matched_tokens":583,"snippet":579,"value":580},[21],{"best_field_score":401,"best_field_weight":43,"fields_matched":120,"num_tokens_dropped":51,"score":402,"tokens_matched":120,"typo_prefix_score":51},6636,{"collection_name":453,"first_q":21,"per_page":17,"q":21},["Reactive",588],{},["Set"],["ShallowReactive",591],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fam0gP-hVAC_RouaOiF0Pocv4gcbVtsN83JMQK0aAglY":-1},true,"/search?query=Mosul"]