","Mattarella al Quirinale: un commento fuori dal coro","post",1422880737,[60,61,62,63],"http://radioblackout.org/tag/angelo-dorsi/","http://radioblackout.org/tag/democrazia-cristiana/","http://radioblackout.org/tag/mattarella/","http://radioblackout.org/tag/quirinale/",[29,33,65,21],"Mattarella",{"post_title":67,"tags":70},{"matched_tokens":68,"snippet":69,"value":69},[21],"Mattarella al \u003Cmark>Quirinale\u003C/mark>: un commento fuori dal coro",[71,73,75,77],{"matched_tokens":72,"snippet":29},[],{"matched_tokens":74,"snippet":33},[],{"matched_tokens":76,"snippet":65},[],{"matched_tokens":78,"snippet":79},[21],"\u003Cmark>Quirinale\u003C/mark>",[81,87],{"field":34,"indices":82,"matched_tokens":84,"snippets":86},[83],3,[85],[21],[79],{"field":88,"matched_tokens":89,"snippet":69,"value":69},"post_title",[21],578730123365712000,{"best_field_score":92,"best_field_weight":93,"fields_matched":94,"num_tokens_dropped":46,"score":95,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":46},"1108091339008",13,2,"578730123365711978",{"document":97,"highlight":123,"highlights":128,"text_match":132,"text_match_info":133},{"cat_link":98,"category":99,"comment_count":46,"id":100,"is_sticky":46,"permalink":101,"post_author":49,"post_content":102,"post_date":103,"post_excerpt":52,"post_id":100,"post_modified":104,"post_thumbnail":105,"post_thumbnail_html":106,"post_title":107,"post_type":57,"sort_by_date":108,"tag_links":109,"tags":116},[43],[45],"58020","http://radioblackout.org/2020/03/la-solidarieta-non-va-in-quarantena/","Lo Stato italiano prova a convincerci che rinunciare ad ogni libertà ci salverà dall’epidemia. Un buon modo per mettere a tacere preventivamente ogni voce fuori dal coro e per spostare la responsabilità del disastro dal governo ai singoli individui, isolati e atomizzati.\r\nManca tutto: mascherine, tamponi, posti letto, medici, infermieri, laboratori analisi. In questi anni i governi che si sono succeduti hanno tagliato la spesa per la sanità, favorendo gli interessi dei privati.\r\nI responsabili della diffusione del Covid 19 e della carenza di cure e prevenzione siedono sui banchi del governo.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli, autore di un articolo uscito su Umanità Nova, che vi proponiamo di seguito:\r\n\r\nAscolta la diretta con Dario:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-dario-la-lotta-non-va-in-quarantena.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\n“La solidarietà non va in quarantena\r\n\r\nNelle ultime settimane molte e molti di noi si stanno chiedendo come portare avanti l’attività politica, sindacale sociale nei contesti che viviamo. Ci siamo già trovati a prendere decisioni non facili, annullare o meno iniziative, manifestazioni, scioperi, presidi, assemblee e incontri pubblici, anche sotto la minaccia di un possibile divieto da parte delle autorità. Quello che sta succedendo può incidere significativamente sulla realtà che viviamo, di pari passo con gli effettivi rischi per la salute il processo emergenziale in corso attorno alla questione del coronavirus pone delle questioni molto importanti in termini politici.\r\n\r\nFino dalle prime notizie riguardo alla diffusione del virus in Cina i principali esponenti dei partiti che siedono in parlamento hanno iniziato a cavalcare l’emergenza, strumentalizzando la situazione. Non è una novità. È la cosiddetta “politica dell’emergenza”, il condensarsi del confronto politico attorno a questioni urgenti che dominano le testate dei giornali e danno vita agli hashtag più popolari, con sensazionalismo, con un linguaggio violento, proponendo soluzioni totali e impossibili. Il dibattito pubblico si muove di emergenza in emergenza, c’è quella del terremoto e quella della sicurezza, c’è l’emergenza freddo e quella dei rifiuti, c’è l’emergenza delle buche in strada e infine quella del coronavirus. A volte sono problemi reali a volte sono artefatti, ma non è importante, perché questi politici non vogliono certo risolvere davvero i problemi delle persone. Vogliono creare invece i temi scottanti su cui battere gli avversari e consolidare consensi. Ma attenzione, non è una questione di cialtroneria, incapacità, ignoranza, è una lotta per il potere.\r\n\r\nPerché la comunicazione spesso è solo un terreno di scontro, e l’emergenza, specie quando non è solo raccontata ma è anche formalmente riconosciuta dalla legge, come nel caso di alluvioni, terremoti, disastri e emergenze sanitarie, crea delle grandi “opportunità”. Con commissariati straordinari, appalti, consulenze, finanziamenti, snellimento delle procedure, provvedimenti fiscali, bonus, ammortizzatori sociali, si creano posizioni di potere molto appetibili sul piano economico e politico. Ogni stato di emergenza impone una maggiore concentrazione del potere, e per questo si accompagna ad un’intensificazione della lotta per il potere e la sua spartizione.\r\n\r\nProprio nelle scorse settimane c’è stato un duro scontro tra il governo centrale e le regioni guidate dal centrodestra che avevano immediatamente applicato misure drastiche. Un braccio di ferro sul piano delle competenze e dei provvedimenti che ha toccato anche aspetti costituzionali. Conte è arrivato a dire il 24 febbraio di essere pronto a togliere i poteri alle regioni in materia di sanità, possibile in casi straordinari in base all’articolo 120 della costituzione. Mentre il giorno successivo le tensioni avevano quasi fatto saltare la “cabina di regia” tra governo e regioni. In questo contesto, mentre i giornali parlavano di un possibile governo di unità nazionale Salvini-Renzi, proprio Salvini il 27 febbraio è salito al Quirinale per incontrare Mattarella e richiedere l’intervento del Presidente della Repubblica. Già il giorno dopo Renzi smentiva questa possibilità. Evidentemente era stato trovato un qualche accordo politico per affrontare questa prima fase. Questo teatrino, a colpi di dichiarazioni roboanti, provvedimenti draconiani, appelli all’unità, più che essere dettato da necessità sanitarie sembra esser mosso principalmente da esigenze politiche.\r\n\r\nDalla settimana successiva, il 4 marzo, con l’aumento effettivo dei casi e la diffusione del contagio anche fuori dalle regioni del nord Italia viene emesso un primo di una serie di decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri che hanno nell’arco di pochi giorni inasprito fortemente le restrizioni, andando ovviamente anche a toccare la libertà di manifestazione e di riunione. Il DPCM 4 marzo 2020, prevede misure restrittive valide per tutto il territorio nazionale fino al 3 aprile e tra le altre cose sospende “le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato, che comportano affollamento di persone tale da non consentire il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”\r\n\r\nQuesto provvedimento segue due comunicazioni della Commissione di Garanzia Sciopero che sospendono di fatto il diritto di sciopero per l’emergenza coronavirus. La prima comunicazione del 24 febbraio è un invito generale a sospendere gli scioperi dal 25 febbraio al 31 marzo che ha fatto saltare gli attesi scioperi della scuola del 6 marzo. La seconda del 28 febbraio invitava esplicitamente a sospendere gli scioperi generali convocati per il 9 marzo per le giornate globali di lotta femminista dell’8 e del 9 marzo. Si tratta di fatto di un divieto di sciopero specifico per la giornata del 9 marzo, che ha costretto gran parte dei sindacati a ritirare l’indizione, solo lo Slai Cobas ha mantenuto in piedi lo sciopero con rischio di pesanti sanzioni per l’organizzazione sindacale e gli scioperanti.\r\n\r\nNella notte tra il 7 e l’8 marzo viene emesso il DPCM 8 marzo 2020 con effetto immediato che dispone misure rigidissime. Con l’articolo 1 si estende la cosiddetta “Zona rossa” prevedendo anche il divieto di entrata e uscita e di spostamento – tranne che per emergenze e ovviamente per lavoro – all’interno del territorio dell’intera Regione Lombardia e di 14 provincie del Piemonte, dell’Emilia Romagna, del Veneto e delle Marche. Con l’articolo 2 si aumentano le misure restrittive sul territorio nazionale, vietando in modo totale le manifestazioni: “Sono sospese le manifestazioni, gli eventi e gli spettacoli di qualsiasi natura, ivi inclusi quelli cinematografici e teatrali, svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato.”\r\n\r\nTra il 9 e il 10 marzo infine è stato emesso un nuovo decreto, il DPCM 9 maro 2020, che ha esteso a tutto il territorio nazionale comprese le isole tutte le restrizioni, incluse le limitazioni agli spostamenti, ammessi solo per iderogabili e comprovati motivi di lavoro, per emergenza sanitaria e per necessità. Inoltre “su tutto il territorio nazionale è vietata ogni forma di assembramento di persone in luogo pubblico o aperto al pubblico”.\r\n\r\nSe con il DPCM 4 marzo eravamo letteralmente a un metro dalla sospensione delle libertà di riunione e manifestazione, con il potere discrezionale di questori e prefetti di vietare ogni iniziativa, con il più recente DPCM 9 marzo siamo arrivati invece al divieto totale per ogni forma di assembramento fino al 3 aprile. Una formulazione così ambigua, che impiega “assembramento” anziché “manifestazione”, lascia ampio margine di interpretazione alle autorità incaricate dell’ordine pubblico. Inoltre dopo decenni di provvedimenti antisciopero siamo giunti alla definitiva sospensione del diritto di sciopero. Questi decreti hanno avuto subito un effetto devastante, già il primo del 4 marzo, a una manciata giorni dalle manifestazioni dell’8 marzo organizzate in moltissime città dai nodi locali di NonUnaDiMeno e da altre realtà femministe aveva creato estrema confusione. In molte città di fronte a una situazione già segnata dalla paura alimentata dai media attorno all’emergenza coronavirus e dai reali timori per i rischi sanitari, che rendevano più difficile la partecipazione alle iniziative, il provvedimento del governo ha portato le assemblee locali ad annullare molte manifestazioni e momenti di piazza. In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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In molte località comunque anche se non è stato possibile mantenere i cortei sono stati organizzati momenti di piazza rimodulati, resistendo in qualche modo ai provvedimenti e alla paura.\r\n\r\nQueste norme potrebbero cambiare già nelle prossime ore, essere ulteriormente inasprite, o essere affiancate da nuovi provvedimenti, la situazione è ancora abbastanza confusa, ad ogni modo in questo momento fino al 3 aprile sono vietate in modo arbitrario tutte le forme di manifestazione e riunione, con la giustificazione inappellabile della salute pubblica, e sono punibili tutti gli spostamenti considerati non necessari. Cosa succederà alle tante lotte territoriali, alle vertenze lavorative, alle proteste locali, alle mobilitazioni più radicali, se già queste misure hanno avuto un effetto così forte sulle manifestazioni dell’8 marzo, in una giornata di mobilitazione a livello internazionale che in questi anni ha saputo affermare una propria legittimità? Come è possibile in un simile contesto per chi deve continuare a lavorare, per chi è rinchiuso nelle carceri, per chi al di là del coronavirus deve ricorrere a cure mediche, per chi non ha casa o accesso a servizi igenici, per chi vive in alloggi malsani o precari, per tutti coloro che subiscono prepotenze e taglieggiamenti di speculatori e approfittatori, organizzarsi, far valere i propri diritti, ottenere condizioni decenti, creare forme di solidarietà? Siamo in una situazione in cui lo stato di emergenza conferisce al governo maggiore potere, in cui il Presidente della repubblica chiede “disciplina” e “responsabilità”, in cui le manifestazioni e le riunioni possono essere vietate in modo quasi arbitrario, in cui il diritto di sciopero è sospeso. È una situazione molto pericolosa.\r\n\r\nBasta pensare all’approccio militare che è stato scelto per affrontare la situazione delle carceri, le rivolte scoppiate in 27 penitenziari in tutta Italia rendono evidente che una parte della popolazione di questo paese, quasi 61000 persone vivono costretti in condizioni di sovraffollamento e igieniche disastrose. Per questo chiedono in questa situazione una cosa sola, libertà, attraverso un indulto o un amnistia. Per ora lo Stato ha risposto con i reparti antisommossa, i famigerati GOM, e con l’esercito. Ci sono al momento 11 morti tra i carcerati tra Modena e Rieti, per cause ancora da accertare, ma su cui appare evidente la responsabilità dello Stato e dei suoi apparati. Fuori dalle carceri c’erano anche familiari dei detenuti e realtà solidali, queste semplici presenze per i decreti di emergenza del governo possono essere considerate illegali.\r\n\r\nÈ bene notare che fin dalle prime settimane dell’emergenza si è iniziato a parlare di recessione, di crisi economica. In effetti molti settori produttivi in Italia e nel mondo sono colpiti dalle conseguenze dell’emergenza coronavirus, ed ora alcuni amministratori locali propongono un arresto temporaneo delle attività produttive. Ma sappiamo bene cosa significa il ritornello della recessione per milioni di lavoratrici e lavoratori sia precari che “garantiti”, sono già partiti dei licenziamenti, molti contratti a termine non saranno rinnovati, chi lavora a prestazione o in nero non percepisce stipendio, si richiedono sacrifici, si impongono le ferie, quando va bene c’è la cassa integrazione. Ma non è tutto, c’è chi già si sfrega le mani e vorrebbe cogliere l’occasione per intervenire più in profondità sui rapporti di lavoro, con “sperimentazioni” volte a restringere diritti e libertà di chi lavora. In un articolo di Repubblica del 24 febbraio, Mariano Corso responsabile dell'Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano afferma: “oltre al coronavirus, bisogna anche debellare un virus che è la nostra incapacità di lavorare in maniera efficiente, superando il pensiero che solo la presenza in ufficio sia garanzia di risultato”. Se da una parte quindi sono sospesi scioperi e manifestazioni non sono certo sospesi i licenziamenti né si frenano le pretese dei manager. Anzi loro possono dire che “Milano non si ferma” mentre chiedono altri soldi pubblici e lasciano a casa qualche migliaio di precari.\r\n\r\nFu proprio con lo stesso ritornello della recessione che meno di dieci anni fa il Governo guidato da Monti decise uno dei più pesanti tagli degli ultimi decenni ai finanziamenti per la sanità pubblica, e in 10 anni sono stato sottratti al Servizio Sanitario Nazionale 37 miliardi di euro. C’è il concreto rischio che la crisi economica legata all’emergenza coronavirus porti a una nuova stagione di “sacrifici”.\r\n\r\nQuando ci chiedono di essere responsabili di fare un passo indietro in nome della responsabilità collettiva ci prendono solo in giro. Chi è responsabile dello smantellamento della sanità pubblica che oltre a eliminare molte delle strutture incaricate della prevenzione, ha drasticamente ridotto i posti letto negli ospedali, e addirittura portato alla chiusura di distretti sanitari e presidi ospedalieri? Chi è responsabile della diffusione di malattie respiratorie causate dal grave inquinamento dell’aria, dalle produzioni nocive e da condizioni di vita e di lavoro malsane? Chi è responsabile del fatto che molte persone considerabili a rischio per il coronavirus sono ancora costrette a lavorare e non possono andare in pensione?\r\n\r\nSono le istituzioni, i partiti e gli industriali che hanno distrutto il nostro servizio sanitario, che hanno provocato l’aumento di malattie respiratorie croniche, che ci tengono nella disoccupazione o inchiodati al lavoro fino alla vecchiaia, sono loro che adesso ci chiedono di essere responsabili, di fare altri sacrifici e di non protestare.\r\n\r\nUn altro aspetto di questa emergenza da considerare è la traccia che lascerà nella società. Improvvisamente un paese come l’Italia si è trovato immerso in un clima “di guerra”. Non solo e non tanto per la militarizzazione delle aree sottoposte a quarantena ma per la martellante comunicazione politica e mediatica che ha tenuto banco sin dai primi giorni e che ha polarizzato l’attenzione su tutto il territorio del paese. I bollettini quotidiani che alla sera presentavano il conto dei morti, dei contagiati e dei guariti della giornata sono diventati presto una routine, accompagnati dalle notizie sui provvedimenti del governo e dagli appelli alla disciplina, al rispetto delle raccomandazioni igieniche, alla responsabilità, dai numeri di telefono tramite i quali segnalare possibili casi. Se alcune implicazioni di questo periodo si vedranno solo più avanti, altre sono già evidenti. In questo contesto lo Stato sembra essere l’unico garante della salute pubblica, contro il contagio, contro la morte, contro il caos. Questa immagine viene ancora più enfatizzata da chi esalta il modello cinese, o rispolvera addirittura Hobbes per richiamare alla necessità se non di una dittatura quantomeno di uno Stato forte come unica soluzione. In realtà lo Stato ha presieduto allo smantellamento della struttura sanitaria pubblica e per sua natura si preoccupa più di soddisfare le richieste degli industriali e dei grandi proprietari che di tutelare la salute dei cittadini. Inoltre al di là della questione dell’effettiva efficacia dei provvedimenti restrittivi finalizzati a limitare il contagio, su cui non ho alcuna competenza per esprimermi, l’approccio autoritario condotto con provvedimenti drastici applicati ciecamente e acriticamente può risultare disastroso in caso di errori di valutazione. Al contempo il ritornello “state chiusi in casa che ci pensiamo noi” attiva un processo di deresponsabilizzazione e infantilizzazione nella società molto pericoloso. Il senso di impotenza e impossibilità di incidere di fronte all’emergenza fa trascurare l’importanza delle scelte e delle iniziative individuali e collettive dal basso. Questi provvedimenti possono contribuire a disgregare ulteriormente il tessuto sociale, demolendo ogni forma di autodifesa individuale e collettiva, facendo perdere ogni fiducia nella capacità di reazione a livello sociale. L’autoritarismo non può sostituire la solidarietà, la consapevolezza, la responsabilità individuale, il confronto collettivo che in queste situazioni possono rappresentare delle indispensabili forme di prevenzione. Basti pensare al fatto che possono essere considerate illegali anche le forme di autorganizzazione che in molte città stanno emergendo, quali forme di solidarietà per la consegna dei generi alimentari, per il sostegno a chi perde il lavoro o non riceve lo stipendio, o altre attività semplici ma importanti per la sopravvivenza.\r\n\r\nLa responsabilità che preme in questo momento non è quella di attendere, disciplinatamente, chiusi in sé stessi, che il governo risolva tutto, andando magari comunque a lavoro perché la recessione è dietro l’angolo. Ma è quella di tenere vive e rafforzare le reti di solidarietà in modo che possano essere strumenti per tutti gli sfruttati e gli oppressi in questo contesto, a livello sanitario, sociale e politico.\r\n\r\nÈ bene quindi confrontarsi e riflettere sulla situazione, sia per saper affrontare collettivamente, consapevolmente e in modo solidale il rischio sanitario, sia per impedire che approfittando dell’emergenza venga veramente silenziata ogni forma di opposizione di piazza e ogni forma di attività sindacale. In una fase come questa è importante riaffermare la libertà di sciopero, di manifestazione e di riunione contro i provvedimenti repressivi del governo. Perché è importante, senza trascurare i rischi sanitari, mantenere gli spazi di libertà e agibilità politica, e rafforzare le reti di solidarietà e mutuo appoggio esistenti. 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Nel frattempo permangono grossi problemi legati non solo alla viabilità ma anche alla vita quotidiana e al lavoro di moltissime persone.\r\n\r\nIeri il testo del decreto è arrivato al ministero dell’Economia per l’ultimo esame prima del passaggio al presidente della Repubblica ma ha sollevato i dubbi della Ragioneria di Stato, secondo cui mancavano indicazioni sulle risorse economiche a copertura delle misure stabilite dal provvedimento. Dopo il timore di un ennesimo stop, in serata è arrivata la replica della presidenza del Consiglio, secondo cui i soldi ci sarebbero e il decreto sarebbe in direttura d'arrivo al Quirinale. Oggi il ministro delle Infrastrutture, Toninelli, ha affermato che al massimo entro venerdì il testo verrà firmato.\r\n\r\nNel frattempo ieri al Tribunale di Genova è iniziato l'incidente probatorio nell’inchiesta sul crollo del ponte Morandi, che servirà a prendere atto delle attuali condizioni del ponte e a individuare i primi elementi di prova su cui poi si incentrerà il seguito dell’inchiesta. All'esterno del Palazzo di Giustizia un nutrito presidio di cittadini, sfollati e parenti delle vittime ha accompagnato l'udienza per chiedere verità e giustizia.\r\n\r\nAbbiamo commentato la situazione con Nicola Giordanella, giornalista freelance di Genova:\r\n\r\ndecretoGenova\r\n\r\n ","26 Settembre 2018","2018-10-03 10:27:34","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/29.0.278255070-kH6D-U30306444892096l-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"224\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/29.0.278255070-kH6D-U30306444892096l-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443-300x224.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/29.0.278255070-kH6D-U30306444892096l-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443-300x224.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/09/29.0.278255070-kH6D-U30306444892096l-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443.jpg 593w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Crollo del ponte Morandi, ancora fermo il \"decreto Genova\"",1537972771,[151,152],"http://radioblackout.org/tag/genova/","http://radioblackout.org/tag/ponte-morandi/",[154,155],"Genova","ponte morandi",{"post_content":157},{"matched_tokens":158,"snippet":159,"value":160},[21],"sarebbe in direttura d'arrivo al \u003Cmark>Quirinale\u003C/mark>. 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Al sit in hanno partecipato circa 500 manifestanti a partire dalle ore 11.\r\nA Roma è stato messo in atto uno straordinario dispositivo di sicurezza.\r\n\r\nIl presidio si è svolto in largo Triboniano vicino Castel S.Angelo, a poche centinaia di metri da S.Pietro. Alla fine del presidio i manifestanti, nonostante polizia a cavallo, finanza e sommozzatori sotto al fiume Tevere, hanno cercato di partire in corteo fino alla basilica di S. Pietro. Ci sono stati un pò di scontri con almeno tre feriti ed un fermo.\r\nLa tesione non si allentata sino al pomeriggio, perché i manifestanti sono stati circondati e non hanno potuto lasciare la piazza.\r\nRamazan, l’uomo fermato durante la carica, è stato rilasciato con denuncia poco più tardi\r\n\r\nAscolta la diretta con Norma del Comitato di solidarietà:\r\n\r\n2018 02 06 norma curd roma\r\n\r\nIl presidio indetto a Torino in occasione della visita di Erdogan al papa-re dello Stato Vaticano e ai capi di stato e di governo italiano si è trasformato in un corteo terminato di fronte alla sede Rai.\r\nDa oltre 10 giorni il potentissimo esercito turco bombarda il cantone di Afrin in Siria. L’operazione “Ramoscello d’ulivo” mira a distruggere la rivoluzione libertaria e femminista della Siria del nord, dove si sperimenta il confederalismo democratico.\r\nGli uomini e le donne di questa rivoluzione hanno sconfitto l’Isis, protetta e sponsorizzata dagli islamisti turchi di Recep Erdogan.\r\nL’Europa, l’Italia in prima fila, ha pagato la Turchia perché fermasse i profughi siriani.\r\nGli interessi italiani in Turchia sono enormi. Oggi pomeriggio, dopo le visite a Bergoglio, Gentiloni e Mattarella, Erdogan ha incontrato gli AD delle maggiori industrie italiane.\r\nIl bagno di sangue ad Afrin è merito anche di armi made in Italy.\r\n\r\nI governi europei , la Russia e gli Stati Uniti, dopo aver usato le milizie del Rojava per sconfiggere l’Isis, ora appoggiano o giustificano l’attacco al confederalismo democratico in Rojava.\r\nIl governo turco ha massacrato i resistenti delle città insorte nelle aree curdofone, ha raso al suolo città e quartieri, obbligando la popolazione a prendere la via dell’esilio, della grande diaspora curda.\r\nMigliaia di oppositori politici sono in galera, migliaia di insegnanti e dipendenti pubblici hanno perso il posto. Decine di giornali sono stati chiusi e i giornalisti arrestati.\r\nLa Turchia è una dittatura democratica e confessionale che bussa alle porte dell’Europa, mentre massacra la gente di Afrin.\r\n\r\nIl giorno prima un gruppo di attivist* era entrato nella chiesa di via San Tommaso, chiedendo di leggere un comunicato. Al diniego del prete hanno srotolato uno striscione e letto il comunicato.\r\nAlcuni partecipanti alla messa hanno aggredito i manifestanti.\r\nLa polizia, allertata dal prete, ha intercettato alcuni attivisti a qualche centinaio di metri dalla chiesa e li ha trattenuti in questura sino al pomeriggio, quando sono stati rilasciati con l’accusa di “interruzione di cerimonia religiosa”.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Paolo – Pachino – Andolina, ex combattente dell’Antifa Tabur\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 02 06 pachino curd to\r\n\r\nCon Stefano Capello abbiamo parlato degli interessi che legano l’Italia alla Turchia. Interessi al centro dell’incontro di ieri pomeriggio tra la delegazione turca e i rappresentanti delle maggiori imprese italiane, non ultime quelle armiere, che riforniscono di elicotteri e aerei da guerra l’aviazione di Erdogan, che in questi 15 giorni ha bombardato il cantone di Efrin.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 02 06 stefanone ita turc\r\n\r\nProssimo appuntamento a Torino:\r\n\r\nDomenica 11 febbraio\r\ncorteo defendAfrin a Torino\r\nore 14 piazza Carlo Felice – Porta Nuova\r\n\r\n ","6 Febbraio 2018","2018-02-07 12:09:59","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/01-manifestazione-per-Afrin-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/01-manifestazione-per-Afrin-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/01-manifestazione-per-Afrin-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/01-manifestazione-per-Afrin-768x576.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/01-manifestazione-per-Afrin.jpg 960w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Da Roma a Torino. 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Nella versione definitiva del testo approvato dal Quirinale e in arrivo al Parlamento per la discussione, infatti, non c’è traccia dell’articolo che destinava finanziamenti per 13 milioni di euro per il 2017 a due progetti legati alla chiusura della fiera milanese: uno destinato al trasloco delle facoltà scientifiche dell’università statale di Milano sui terreni dell’esposizione, l’altro necessario a consentire la liquidazione della società Expo.\r\nSaltati dunque gli 8 milioni di euro che le ultime bozze della legge prevedevano di prelevare da fondi dedicati alla ricerca per consentire l’avvio dei lavori per la costruzione del nuovo Campus universitario e i 9,5 milioni di euro (4,8 per il 2017) con cui il ministero dell’Economia dovrebbe rifinanziare la società Expo (soldi, questi, necessari per ultimare entro il 2021 il progetto di liquidazione della società, che altrimenti dovrà portare i libri in tribunale).\r\nRestano invece nella versione finale della legge di Bilancio le autorizzazioni di spesa per lo Human Technopole, il centro di ricerca che dovrebbe fare da volano allo sviluppo delle aree Expo e che, nei progetti del governo, dovrebbe sorgere proprio accanto al campus della statale.\r\nAl netto delle ripetute promesse del governo Renzi e delle martellanti retoriche \"expo-ottimiste\" con cui si è tentato di nascondere il disastroso bilancio economico (e giudiziario...) del grande evento, a distanza di un anno dalla chiusura dell'esposizione rimane dunque grande incertezza sul futuro dell'area.\r\nAbbiamo commentato la notizia con Abo del collettivo OffTopic:\r\n\r\nabo_postexpo","2 Novembre 2016","2016-11-04 18:16:10","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/padiglione-italia-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"234\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/padiglione-italia-300x234.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/padiglione-italia-300x234.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/padiglione-italia-768x600.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/padiglione-italia.jpg 1000w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Cancellati dalla legge di Bilancio i fondi per il post-Expo",1478088610,[219,220,221,222],"http://radioblackout.org/tag/expo/","http://radioblackout.org/tag/expo2015/","http://radioblackout.org/tag/milano/","http://radioblackout.org/tag/renzi/",[15,19,224,225],"milano","renzi",{"post_content":227},{"matched_tokens":228,"snippet":229,"value":230},[21],"definitiva del testo approvato dal \u003Cmark>Quirinale\u003C/mark> e in arrivo al Parlamento","Il capitolo post-Expo2015 sparisce (o quasi) dalla legge di Bilancio. 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Nel 1979 invece condanna l’invasione sovietica dell’Afghanistan, avvenuta per sostenere il governo comunista del partito del popolo dalla ribellione di mujaheddin e integralisti islamici (tra i quali è annoverato il giovane Osama Bin Laden).\r\n\r\n- Nel 1978 è il primo dirigente del PCI a ottenere il visto per gli Stati Uniti. 10 anni dopo su interessamento di Andreotti sarà il primo politico PCI ad andare in visita ufficiale negli USA.\r\n\r\n- Nel 1991, nel pieno dell’aggressione americana all’Iraq, va un viaggio di apertura politica in Israele.\r\n\r\n- Il 2 febbraio 1993 in piena Tangentopoli nega ai finanzieri incaricati dal giudice Colombo l’autorizzazione ad accedere a Montecitorio per indagare sui bilanci dei partiti.\r\n\r\n- Nel 1998, da primo ex comunista ministro dell’interno, vara con Livia Turco la legge che introduce in Italia i CPT, poi CIE.\r\n\r\n- Il 28 aprile 1998 mentre Napolitano è ministro dell’Interno la Cassazione condanna Licio Gelli per depistaggio e strage e il giorno stesso questi fugge indisturbato all’estero.\r\n\r\n- Nel 2007 equipara o quasi antisemitismo e antisionismo, affermando che lo stato di Israele ha diritto di vivere in pace e sicurezza in quanto stato ebraico. 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