","Lunigiana: abusi e violenze sistematiche dei carabinieri","post",1488456946,[62,63,64,65,66],"http://radioblackout.org/tag/abusi-in-divisa/","http://radioblackout.org/tag/acab/","http://radioblackout.org/tag/carabinieri/","http://radioblackout.org/tag/lunigiana/","http://radioblackout.org/tag/pestaggi/",[17,20,68,69,70],"carabinieri","Lunigiana","pestaggi",{"post_content":72,"post_title":77,"tags":80},{"matched_tokens":73,"snippet":75,"value":76},[74],"abusi","pagine nazionali. Una storia di \u003Cmark>abusi\u003C/mark> e violenze perpetrati da decine","Apprendiamo dai giornali locali della Lunigiana una storia che ancora non è arrivata, e non è detto che lo faccia, alla ribalta delle pagine nazionali. Una storia di \u003Cmark>abusi\u003C/mark> e violenze perpetrati da decine di carabinieri con corredo di falsificazioni di verbali e atti di ufficio. 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Da oltre sei anni ACAD affronta il tema dei soprusi commessi dalle forze dell’ordine fuori e dentro le galere, offrendo supporto immediato alle richieste di aiuto, svolgendo controinformazione e seguendo direttamente una ventina di processi in corso. Di recente anche a Torino e a Genova sono nati dei 'punti ACAD' sostenuti da una rete di avvocati già presente da anni a Roma, Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Padova e Alessandria. 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Dalle violenze in Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, in Italia come altrove, dagli abusi in divisa agiti contro le donne alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. Un’occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di “contenimento”, marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nAnche noi abbiamo partecipato al percorso radiofonico con un approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. 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E a ribadire quanto la violenza contro le donne non sia fatto eccezionale ed episodico, la teoria e l’esperienza femministe ci insegnano che la violenza commessa contro le donne in tempo di guerra replica e perpetua la violenza contro le donne in tempo di pace.\r\n\r\nPer la rassegna stampa invece, abbiamo raccolto alcuni casi, pochi rispetto ai numerosissimi fatti riportati dalle cronache....abbiamo scelto quelli che ci sembrano più emblematici per le dinamiche che mettono in campo. Si tratta sempre di violenze e abusi agiti da uomini in divisa. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, soldati, militari...ma anche vigili urbani e perchè no preti e sacerdoti.\r\n\r\nAbbiamo inoltre ricordato che per lo striscione “Nei centri di espulsione la polizia stupra” a Milano, il 25 novembre del 2009, le compagne vennero pesantemente caricate e prese a mazzate: quella verità non doveva emergere, non doveva essere esplicitata. Quando si esplicitano queste violenze, le si nomina, le divise si innervosiscono in maniera particolare, Anche quando siamo andate all'udienza per Marta, la compagna pisana molestata durante un fermo di polizia in valsusa, eravamo fuori dal tribunale di Torino in presidio, abbiamo cercato di appendere uno striscione dai toni molto simili, la celere ci ha bloccate, caricate ferendo alcune di noi e in una decina siamo state pure denunciate.\r\n\r\nInsomma, tutte le volte che come compagne abbiamo alzato la voce sulle violenze in divisa agite sulle donne, dall'altra parte c'è sempre stata una reazione forte e chiara, questo forse ci indica e significa che in quei momenti eravamo sulla giusta strada. La strada della reazione, dell'autodeterminazione. Trasformiamo la paura in rabbia, la rabbia in forza, la forza in lotta, recita uno slogan che ci ha accompagnato in tante manifestazioni femministe e di donne degli ultimi anni. Probabilmente il nodo è tutto lì.\r\n\r\nNon avere paura di reagire, non sentirsi colpevoli. Scardinare i luoghi comuni che vogliono le donne deboli, vittime, sempre e comunque pacifiche e nonviolente. Mettere in campo la nostra forza per contrastare la paura in cui e con cui ci vorrebbero rinchiudere. Imparare ad difenderci, ad autodifenderci in maniera collettiva e autonoma. Imparare a reagire e ad autodeterminarci. E soprattutto non pensare di poter delegare a questi personaggi la nostra sicurezza e la tutela dei nostri corpi. Potrebbe essere la strada giusta contro la violenza maschile, una volta in più se questa indossa una divisa, rappresenta e viene legittimata dalle istituzioni statali.\r\n\r\nPer la rubrica MALERBE, con Silvia, la nostra esperta, abbiamo parlato di arnica: come e quando raccoglierla, come trasformarla e quando utilizzarla.\r\n\r\nQui la prima parte della trasmissione:\r\n\r\nil colpo della strega_9giugno2014_primaparte\r\n\r\ne qui potete riascoltare la seconda:\r\n\r\nil colpo della strega_9giugno2014_secondaparte\r\n\r\n ","10 Giugno 2014","2018-10-24 17:36:12","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/03/medea-strega-200x110.jpg","I podcast de Il colpo della strega (9giugno2014)","podcast",1402360560,[62,63,356,357,358,359,360,361,362,363,364,365],"http://radioblackout.org/tag/autodeterminazione/","http://radioblackout.org/tag/autodifesa/","http://radioblackout.org/tag/cie/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/sicurezza/","http://radioblackout.org/tag/stupro/","http://radioblackout.org/tag/valsusa/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-genere/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/violenza-maschile-sulle-donne/",[17,20,367,335,368,369,370,331,333,324,322,326],"autodeterminazione","cie","guerra","sicurezza",{"post_content":372,"tags":376},{"matched_tokens":373,"snippet":374,"value":375},[83,74,83,84],"\u003Cmark>in\u003C/mark> Italia come altrove, dagli \u003Cmark>abusi\u003C/mark> \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark> agiti contro le donne alla","\u003Cmark>In\u003C/mark> occasione della due giorni organizzata \u003Cmark>in\u003C/mark> Valsusa da un gruppo di donne sul tema della violenza di stato i redattori e le redattrici di Radio Blackout hanno deciso di contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, \u003Cmark>in\u003C/mark> tutte le sue sfaccettature. 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Quando si esplicitano queste violenze, le si nomina, le divise si innervosiscono \u003Cmark>in\u003C/mark> maniera particolare, Anche quando siamo andate all'udienza per Marta, la compagna pisana molestata durante un fermo di polizia \u003Cmark>in\u003C/mark> valsusa, eravamo fuori dal tribunale di Torino \u003Cmark>in\u003C/mark> presidio, abbiamo cercato di appendere uno striscione dai toni molto simili, la celere ci ha bloccate, caricate ferendo alcune di noi e \u003Cmark>in\u003C/mark> una decina siamo state pure denunciate.\r\n\r\nInsomma, tutte le volte che come compagne abbiamo alzato la voce sulle violenze \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark> agite sulle donne, dall'altra parte c'è sempre stata una reazione forte e chiara, questo forse ci indica e significa che \u003Cmark>in\u003C/mark> quei momenti eravamo sulla giusta strada. La strada della reazione, dell'autodeterminazione. Trasformiamo la paura \u003Cmark>in\u003C/mark> rabbia, la rabbia \u003Cmark>in\u003C/mark> forza, la forza \u003Cmark>in\u003C/mark> lotta, recita uno slogan che ci ha accompagnato \u003Cmark>in\u003C/mark> tante manifestazioni femministe e di donne degli ultimi anni. Probabilmente il nodo è tutto lì.\r\n\r\nNon avere paura di reagire, non sentirsi colpevoli. Scardinare i luoghi comuni che vogliono le donne deboli, vittime, sempre e comunque pacifiche e nonviolente. Mettere \u003Cmark>in\u003C/mark> campo la nostra forza per contrastare la paura \u003Cmark>in\u003C/mark> cui e con cui ci vorrebbero rinchiudere. Imparare ad difenderci, ad autodifenderci \u003Cmark>in\u003C/mark> maniera collettiva e autonoma. Imparare a reagire e ad autodeterminarci. E soprattutto non pensare di poter delegare a questi personaggi la nostra sicurezza e la tutela dei nostri corpi. 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Un'occasione per ragionare sul monopolio statale della violenza, sul legame tra apparato repressivo, magistratura e media mainstream, sulla violenza legittimata dalle istituzioni come forma di controllo sociale e dispositivo di \"contenimento\", marginalizzazione e repressione non solo delle lotte sociali e politiche ma anche di tutti quei comportamenti ritenuti antisociali, disturbanti, non normabili, in qualche modo eccedenti rispetto ad una norma sociale sempre più rigida e aggressiva.\r\n\r\nQui di seguito gli appuntamenti all'interno del palinsesto di Blackout di questo percorso radiofonico, a cui strada facendo aggiungeremo i podcast realizzati dalle varie trasmissioni. Buon ascolto!\r\n\r\nVENERDì 30 MAGGIO: presentazione della due giorni valsusina a cura della Redazione. Ai microfoni Pat, attivista NoTav\r\n\r\npat_valle_3005014\r\n\r\nLUNEDì 2 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa storia di Malika. 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Una delle voci di donne che abbiamo intervistato come contributo alla riflessione è Simona De Simoni, con cui abbiamo parlato del cosiddetto decreto 93 formulato e poi approvato nell'agosto 2013. Il decreto, tristemente famoso come “decreto femminicidio”, è un caso paradigmatico di pinkwashing ovvero dell'utilizzo di tematiche di genere con finalità politiche strumentali. In questo caso specifico si utilizza la presunta retorica di difesa delle donne con finalità politiche strumentali volte alla criminalizzazione dei movimenti sociali, in particolare del movimento NO TAV. Durante l'intervista si problematizza, inoltre, il ruolo quantomai problematico e ambiguo di uno Stato che vorrebbe professarsi come garante della sicurezza delle donne. Si replica DOMENICA 15 GIUGNO - stessa ora.\r\n\r\naudio intereferenze \r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa morte di Alberico di Noia. Il 14 gennaio 2014, Alberico Di Noia 38 anni, è stato trovato impiccato nel carcere di Lucera (Foggia). Alberico attendeva il trasferimento in un altra struttura e si trovava in cella di isolamento (definita di osservazione) per una lite verbale con una guardia che gli aveva impedito di donare una caramella al figlio, venuto con la moglie l colloquio. Quando il corpo è stato trovato senza vita era vestito e pronto per la partenza che sarebbe dovuta avvenire in poche ore. Anche in questo caso, come in molti analoghi, i familiari si sono scontrati con la resistenza della direzione carceraria nel mostrare il corpo: inizialmente il decesso era stato addirittura etichettato come \"arresto cardiaco\", per evitare l'apertura d'ufficio di un'inchiesta per \"suicidio\". I parenti sono stati avvertiti solo 24 ore dopo la morte di Alberico e un compagno di cella lo descrive come una persona per niente depressa, mentre racconta dei pestaggi subiti per aver dato del \"pezzo di merda\" a una guardia. Di questa storia di carcere assassino parleremo con l'avvocato che sta affiancando la famiglia Di Noia nella loro lotta affinché lo Stato ammetta le proprie responsabilità.\r\n\r\nprima parte: dinoia_primaparte\r\n\r\nseconda parte: dinoia_secondaparte\r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: IL COLPO DELLA STREGA (h18.30-20)\r\n\r\nUn'approfondimento sulla violenza in divisa agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la divisa e incarna l'arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l'esercizio di un potere che la divisa amplifica. Questo potere si rafforza infatti in ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone in una posizione di estrema ricattabilità. La divisa dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l'esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Racconteremo tante storie di donne, analizzeremo le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza in nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraverseremo il discorso sulla violenza in divisa da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del buon poliziotto che ci propinano le fiction tv. Non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! In ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni in divisa ogniqualvolta queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nprima parte: il colpo della strega_primaparte\r\n\r\nseconda parte: il colpo della strega_secondaparte\r\n\r\nMARTEDì 10 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nCaso Uva. Per il procuratore Isnardi non è omicidio. Chi riponeva speranze nella decisione del Procuratore di Varese di avocare a sé il procedimento sulla morte di Giuseppe Uva rimarrà probabilmente molto deluso. La Procura di Varese ha infatti chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati dei carabinieri e dei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva, l’artigiano di 43 anni morto nel giugno 2008. Grande sorpresa da parte del legale dei familiari della vittima. “E’ una cosa inaspettata. Non se lo aspettavano – ha ribadito l’avvocato – neanche gli imputati”. Uva morì nel giugno di sei anni fa, dopo essere stato portato in caserma dai carabinieri. La sorella di lui, Lucia, che è stata presente a tutte le udienze del processo, è apparsa visibilmente scossa dalla decisione e non ha voluto rilasciare dichiarazioni.\r\n\r\nSull’argomento abbiamo sentito l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva\r\n\r\navvocato_Uva\r\n\r\nGIOVEDì 12 GIUGNO: RADIO BORROKA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa violenza di Stato, nei Paesi Baschi, significa la violenza di uno stato autoritario e oppressore, che da secoli ha cercato di assimilare, rendere docile e ubbidiente un popolo, quello basco, che da sempre rivendica il proprio diritto all'autodeterminazione. La violenza di Stato, quello spagnolo in particolar modo, sempre con la complicità di quello francese, altro stato che rinchiude nelle proprie frontiere il popolo e la cultura basca, e il benestare degli altri stati europei e capitalisti, si è perpetrata negli anni nelle forme tanto classiche quanto brutali degli stati occupanti. \r\n\r\n\r\nFra queste, sicuramente, la più odiosa e vigliacca, è sicuramente la tortura, con il quale tante e tanti baschi hanno dovuto sopportare nei penitenziari e nelle celle di sicurezza della guardia civil. Nella nostra trasmissione, che da qualche anno ormai sulle libere frequenze di Radio BlackOut da voce alla lotta dei popoli in lotta per l'autodeterminazione e il diritto a vivere una terra che sia libera dall'oppressione e del profitto, all'interno del percorso radiofonico contro le violenze di Stato, vi racconteremo le storie di alcune giovani donne militante della sinistra indipendentista basca, che la violenza di stato e la violenza machista l'hanno toccata con mano, e che con forza e dignità denunciano e combattono, giorno dopo giorno, per le strade della loro Euskal Herria.\r\n\r\nVENERDì 13 GIUGNO: ANARRES (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa normalità del male. Qualche volta, grazie alla tenacia di una madre, di un padre, di una sorella, di amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti di Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la violenza incisa sui corpi di persone vive e sane prime di cadere nelle mani di poliziotti, carabinieri, psichiatri, militari.\r\nI corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre di nubi che copre la violenza degli uomini e delle donne in divisa, in camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.\r\nMa restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto di quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.\r\nI corpi straziati di Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza di una normalità che ammette rare eccezioni.\r\nLa normalità quotidiana della violenza di Stato, della violenza degli uomini e donne dello Stato sulle strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 06 13 robertino violenza di stato\r\n\r\n\r\nMARTEDì 17 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nLa violenza dell'esilio. Il fenomeno, come fenomeno collettivo ovviamente, comincia nell’80, quando sbarcano in Francia i reduci di Prima Linea in tremenda rotta davanti ai numerosi arresti, ma la loro sorte non è delle più favorevoli. Quelli che vengono presi sono estradati rapidamente. Gli altri intanto, che continuano ad aumentare in modo esponenziale, cercano allora altri paesi, perlopiù America latina, qualche paese africano, Brasile. Alcuni si muovono secondo le aree di appartenenza, è il caso dei compagni di Rosso, altri individualmente o per piccoli gruppi.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nA seguito della elezione di François Mitterrand abbiamo un'impennata di fughe verso la Francia di vaste aree di movimento italiane, in sostanza compagni che rischiano condanne non enormi, e che procedono a mettersi in regola per quanto possibile. Teniamo in conto che allora la maggior parte era ancora in possesso di documenti validi. Quelli con accuse più gravi, non molti in realtà, poiché la loro presenza non era particolarmente vista di buon occhio, vivono più isolati, cercando di evitare l’arresto.\r\n\r\nDiciamo che il fenomeno ha interessato nel momento più alto circa un migliaio di individui, fra quelli con un mandato di cattura sulla testa e altri allora solo indagati. Una cifra importante, in un computo complessivo che in quegli anni, per reati politici, toccò 60.000 indagati in Italia, dovuti molto prima che alle capacità investigative poliziesche a una pratica che si allarga a macchia d’olio, quella della delazione. Pratica che non solo fornisce agli inquirenti nomi e identità ma anche luoghi, case, reti di appoggio.\r\n\r\nIntanto in Francia la cosiddetta dottrina Mitterrand viene invocata a protezione dei fuoriusciti italiani, ma contestualmente si opera una selezione sulle persone da mettere in regola, molti ottengono i permessi di soggiorno, ma è tutto aleatorio, instabile. Si favorisce magari chi ha assunto in Francia una posizione più o meno dissociativa, oppure chi ha condanne non gravi… di fatto si formano le cosiddette liste, appoggiate in prefettura da un gruppo di avvocati di movimento. Intanto il mare si restringe sempre più intorno agli altri che rimangono irregolari sino praticamente al 2000, quando il primo ministro Jospin si dichiara favorevole alla loro regolarizzazione.\r\n\r\nTradotto vuol dire che dall’81, al 2000, in centinaia hanno vissuto lavorando in nero, in condizioni di difficile sopravvivenza, senza alcuna certezza, sparendo dalla circolazione ogni volta che per una ragione o per un'altra, da un versante o dall'altro delle Alpi, qualcuno auspicasse la consegna degli irregolari all'Italia\r\n\r\nIl tempo passa, cominciano a fioccare, dall'Italia, le prescrizioni che riducono di molto il numero iniziale degli irregolari, per arrivare ai giorni nostri, quando meno di una decina di persone ha ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da anni; si tratta dei casi con le pene più gravi, in effetti quasi tutti condannati all’ergastolo, quindi suscettibili di essere oggetto di estradizioni nel caso di mutamenti politici.\r\n\r\nIn questo piccolo gruppo viene ad inserirsi il caso di Enrico Villimburgo, che oltre ad essere condannato all’ergastolo per appartenenza alle BR romane, si trova a dover combattere da solo una battaglia non più legale, ma una lotta contro una malattia devastante.Questi fuoriusciti sono partiti insieme, ma sono tornati in molti singolarmente. Alcuni non avranno più alcuna possibilità di tornare. Per fortuna, Enrico è ancora qui, e una solidarietà manifesta nei suoi confronti, lo aiuta più della chemio.\r\n\r\nCon Gianni, compagno che è stato per molti anni esule in Francia, affrontiamo il nodo politico e umano dell’esilio, la questione del pentitismo che di fatto creò il fenomeno, e la storia drammatica di un compagno, Enrico Vilimburgo, la cui salute è stata devastata da una vita braccata con un ergastolo sulla testa.\r\n\r\n Per sostenere Enrico: IBAN IT04P0503437750000000000577 intestato a Manuela Villimburgo. \r\n\r\nSpecificare nella causale: “per Enrico”\r\nc/o BANCO POPOLARE – FILIALE DI BORGO SAN LORENZO (FI) - VIA L. DA VINCI, 42\r\nGianni","3 Giugno 2014","2018-10-24 17:46:18","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/06/still_not_loving_police_1-200x110.jpg","Percorso radiofonico contro la violenza di stato",1401796980,[423,424,425,426,427,428,429,181,430,363,364,365,431],"http://radioblackout.org/tag/antipsichiatria/","http://radioblackout.org/tag/bello-come-una-prigione-che-brucia/","http://radioblackout.org/tag/carcere/","http://radioblackout.org/tag/controllo/","http://radioblackout.org/tag/ergastolo/","http://radioblackout.org/tag/esuli/","http://radioblackout.org/tag/omicidi-di-stato/","http://radioblackout.org/tag/tso/","http://radioblackout.org/tag/violenza-sulle-donne/",[433,434,435,436,437,329,438,15,439,324,322,326,338],"antipsichiatria","bello come una prigione che brucia","carcere","controllo","ergastolo","omicidi di stato","TSO",{"post_content":441},{"matched_tokens":442,"snippet":374,"value":443},[83,74,83,84],"\u003Cmark>In\u003C/mark> occasione della due giorni organizzata \u003Cmark>in\u003C/mark> Valsusa da un gruppo di donne sul tema della violenza di stato - a questo link trovate tutte le informazioni sul programma e l'organizzazione - i redattori e le redattrici di Radio Blackout hanno deciso di contribuire con un percorso radiofonico che attraversi e interroghi questo tema, più che mai attuale, \u003Cmark>in\u003C/mark> tutte le sue sfaccettature.\r\n\r\nDalle violenze \u003Cmark>in\u003C/mark> Valsusa, alle torture sui detenuti e le detenute politiche, \u003Cmark>in\u003C/mark> Italia come altrove, dagli \u003Cmark>abusi\u003C/mark> \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark> agiti contro le donne alla repressione contro chi partecipò alla lotta armata, dagli stupri nei Cie fino alle aggressioni contro comuni cittadini e cittadine. 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Una delle voci di donne che abbiamo intervistato come contributo alla riflessione è Simona De Simoni, con cui abbiamo parlato del cosiddetto decreto 93 formulato e poi approvato nell'agosto 2013. Il decreto, tristemente famoso come “decreto femminicidio”, è un caso paradigmatico di pinkwashing ovvero dell'utilizzo di tematiche di genere con finalità politiche strumentali. \u003Cmark>In\u003C/mark> questo caso specifico si utilizza la presunta retorica di difesa delle donne con finalità politiche strumentali volte alla criminalizzazione dei movimenti sociali, \u003Cmark>in\u003C/mark> particolare del movimento NO TAV. Durante l'intervista si problematizza, inoltre, il ruolo quantomai problematico e ambiguo di uno Stato che vorrebbe professarsi come garante della sicurezza delle donne. Si replica DOMENICA 15 GIUGNO - stessa ora.\r\n\r\naudio intereferenze \r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: BELLO COME UNA PRIGIONE CHE BRUCIA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa morte di Alberico di Noia. Il 14 gennaio 2014, Alberico Di Noia 38 anni, è stato trovato impiccato nel carcere di Lucera (Foggia). Alberico attendeva il trasferimento in un altra struttura e si trovava \u003Cmark>in\u003C/mark> cella di isolamento (definita di osservazione) per una lite verbale con una guardia che gli aveva impedito di donare una caramella al figlio, venuto con la moglie l colloquio. Quando il corpo è stato trovato senza vita era vestito e pronto per la partenza che sarebbe dovuta avvenire \u003Cmark>in\u003C/mark> poche ore. Anche \u003Cmark>in\u003C/mark> questo caso, come \u003Cmark>in\u003C/mark> molti analoghi, i familiari si sono scontrati con la resistenza della direzione carceraria nel mostrare il corpo: inizialmente il decesso era stato addirittura etichettato come \"arresto cardiaco\", per evitare l'apertura d'ufficio di un'inchiesta per \"suicidio\". I parenti sono stati avvertiti solo 24 ore dopo la morte di Alberico e un compagno di cella lo descrive come una persona per niente depressa, mentre racconta dei pestaggi subiti per aver dato del \"pezzo di merda\" a una guardia. Di questa storia di carcere assassino parleremo con l'avvocato che sta affiancando la famiglia Di Noia nella loro lotta affinché lo Stato ammetta le proprie responsabilità.\r\n\r\nprima parte: dinoia_primaparte\r\n\r\nseconda parte: dinoia_secondaparte\r\n\r\nLUNEDì 9 GIUGNO: IL COLPO DELLA STREGA (h18.30-20)\r\n\r\nUn'approfondimento sulla violenza \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark> agita contro le donne. Violenza maschile che assume un elemento di caratterizzazione ulteriore quando indossa la \u003Cmark>divisa\u003C/mark> e incarna l'arroganza criminale legittimata dallo stato. Non si tratta soltanto del rapporto uomo/donna attraverso l'esercizio di un potere che la \u003Cmark>divisa\u003C/mark> amplifica. Questo potere si rafforza infatti \u003Cmark>in\u003C/mark> ogni contesto di subordinazione o di fragilità, pensiamo alla relazione con un datore di lavoro che ci pone \u003Cmark>in\u003C/mark> una posizione di estrema ricattabilità. La \u003Cmark>divisa\u003C/mark> dunque non è solo fattore di amplificazione, ma rappresenta le istituzioni e l'esercizio di potere e di controllo sociale sui corpi delle donne. Racconteremo tante storie di donne, analizzeremo le leggi paternalistiche di uno stato che ci vittimizza e oggettivizza \u003Cmark>in\u003C/mark> nome di discorsi securitari che non ci appartengono e ci indeboliscono, attraverseremo il discorso sulla violenza \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark> da un punto di vista femminista e anticapitalista per ritrovare nuova capacità di autodeterminazione e autodifesa collettiva.\r\n\r\nDallo stupro come arma di guerra alle violenze nei Cie. Dalle violenze sessuali dei militari nei territori militarizzati (Vicenza, L'Aquila) alla rappresentazione mediatica del buon poliziotto che ci propinano le fiction tv. Non si tratta di mele marce ma di una prassi consolidata! \u003Cmark>In\u003C/mark> ogni caso, lo stato si autoassolve ribadendo l’immunità e l’impunità delle istituzioni \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark> ogniqualvolta queste agiscano violenza, immunità ed impunità che fanno parte dell’insieme dei privilegi che i “tutori dell’ordine” hanno come contropartita dei loro servigi.\r\n\r\nprima parte: il colpo della strega_primaparte\r\n\r\nseconda parte: il colpo della strega_secondaparte\r\n\r\nMARTEDì 10 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nCaso Uva. Per il procuratore Isnardi non è omicidio. Chi riponeva speranze nella decisione del Procuratore di Varese di avocare a sé il procedimento sulla morte di Giuseppe Uva rimarrà probabilmente molto deluso. La Procura di Varese ha infatti chiesto il proscioglimento dall’accusa di omicidio preterintenzionale e altri reati dei carabinieri e dei poliziotti imputati per la morte di Giuseppe Uva, l’artigiano di 43 anni morto nel giugno 2008. Grande sorpresa da parte del legale dei familiari della vittima. “E’ una cosa inaspettata. Non se lo aspettavano – ha ribadito l’avvocato – neanche gli imputati”. Uva morì nel giugno di sei anni fa, dopo essere stato portato \u003Cmark>in\u003C/mark> caserma dai carabinieri. La sorella di lui, Lucia, che è stata presente a tutte le udienze del processo, è apparsa visibilmente scossa dalla decisione e non ha voluto rilasciare dichiarazioni.\r\n\r\nSull’argomento abbiamo sentito l’avvocato Anselmo, legale della famiglia Uva\r\n\r\navvocato_Uva\r\n\r\nGIOVEDì 12 GIUGNO: RADIO BORROKA (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa violenza di Stato, nei Paesi Baschi, significa la violenza di uno stato autoritario e oppressore, che da secoli ha cercato di assimilare, rendere docile e ubbidiente un popolo, quello basco, che da sempre rivendica il proprio diritto all'autodeterminazione. La violenza di Stato, quello spagnolo \u003Cmark>in\u003C/mark> particolar modo, sempre con la complicità di quello francese, altro stato che rinchiude nelle proprie frontiere il popolo e la cultura basca, e il benestare degli altri stati europei e capitalisti, si è perpetrata negli anni nelle forme tanto classiche quanto brutali degli stati occupanti. \r\n\r\n\r\nFra queste, sicuramente, la più odiosa e vigliacca, è sicuramente la tortura, con il quale tante e tanti baschi hanno dovuto sopportare nei penitenziari e nelle celle di sicurezza della guardia civil. Nella nostra trasmissione, che da qualche anno ormai sulle libere frequenze di Radio BlackOut da voce alla lotta dei popoli \u003Cmark>in\u003C/mark> lotta per l'autodeterminazione e il diritto a vivere una terra che sia libera dall'oppressione e del profitto, all'interno del percorso radiofonico contro le violenze di Stato, vi racconteremo le storie di alcune giovani donne militante della sinistra indipendentista basca, che la violenza di stato e la violenza machista l'hanno toccata con mano, e che con forza e dignità denunciano e combattono, giorno dopo giorno, per le strade della loro Euskal Herria.\r\n\r\nVENERDì 13 GIUGNO: ANARRES (h10.45-12.45)\r\n\r\nLa normalità del male. Qualche volta, grazie alla tenacia di una madre, di un padre, di una sorella, di amici e compagni capita che il sudario che avvolge le morti di Stato venga strappato, mostrando nella sua crudezza la violenza incisa sui corpi di persone vive e sane prime di cadere nelle mani di poliziotti, carabinieri, psichiatri, militari.\r\nI corpi straziati esposti alla luce impietosa degli obitori, sezionati dalle autopsie, escono dall’ombra, per raccontarci storie tutte diverse e tutte uguali. Storie che a volte agguantano i media, bucano la fitta coltre di nubi che copre la violenza degli uomini e delle donne \u003Cmark>in\u003C/mark> \u003Cmark>divisa\u003C/mark>, \u003Cmark>in\u003C/mark> camice bianco, tra siringhe, botte, manganelli.\r\nMa restano sempre un poco false, perché la retorica delle mele marce nel cesto di quelle sane, dell’eccezione ignobile ma rara, della democrazia che sa curare se stessa, violano una verità che nessun media main stream racconta mai.\r\nI corpi straziati di Federico, Francesco, Giuseppe, Carlo… sono la testimonianza di una normalità che ammette rare eccezioni.\r\nLa normalità quotidiana della violenza di Stato, della violenza degli uomini e donne dello Stato sulle strade e nelle caserme, nei repartini e nelle carceri, nei CIE e nei luoghi dove alzare la testa è sovversione.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 06 13 robertino violenza di stato\r\n\r\n\r\nMARTEDì 17 GIUGNO: REDAZIONALE (h9.15-10.45)\r\n\r\nLa violenza dell'esilio. Il fenomeno, come fenomeno collettivo ovviamente, comincia nell’80, quando sbarcano \u003Cmark>in\u003C/mark> Francia i reduci di Prima Linea \u003Cmark>in\u003C/mark> tremenda rotta davanti ai numerosi arresti, ma la loro sorte non è delle più favorevoli. Quelli che vengono presi sono estradati rapidamente. Gli altri intanto, che continuano ad aumentare \u003Cmark>in\u003C/mark> modo esponenziale, cercano allora altri paesi, perlopiù America latina, qualche paese africano, Brasile. Alcuni si muovono secondo le aree di appartenenza, è il caso dei compagni di Rosso, altri individualmente o per piccoli gruppi.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nA seguito della elezione di François Mitterrand abbiamo un'impennata di fughe verso la Francia di vaste aree di movimento italiane, \u003Cmark>in\u003C/mark> sostanza compagni che rischiano condanne non enormi, e che procedono a mettersi \u003Cmark>in\u003C/mark> regola per quanto possibile. Teniamo \u003Cmark>in\u003C/mark> conto che allora la maggior parte era ancora \u003Cmark>in\u003C/mark> possesso di documenti validi. Quelli con accuse più gravi, non molti \u003Cmark>in\u003C/mark> realtà, poiché la loro presenza non era particolarmente vista di buon occhio, vivono più isolati, cercando di evitare l’arresto.\r\n\r\nDiciamo che il fenomeno ha interessato nel momento più alto circa un migliaio di individui, fra quelli con un mandato di cattura sulla testa e altri allora solo indagati. Una cifra importante, \u003Cmark>in\u003C/mark> un computo complessivo che \u003Cmark>in\u003C/mark> quegli anni, per reati politici, toccò 60.000 indagati \u003Cmark>in\u003C/mark> Italia, dovuti molto prima che alle capacità investigative poliziesche a una pratica che si allarga a macchia d’olio, quella della delazione. Pratica che non solo fornisce agli inquirenti nomi e identità ma anche luoghi, case, reti di appoggio.\r\n\r\nIntanto \u003Cmark>in\u003C/mark> Francia la cosiddetta dottrina Mitterrand viene invocata a protezione dei fuoriusciti italiani, ma contestualmente si opera una selezione sulle persone da mettere \u003Cmark>in\u003C/mark> regola, molti ottengono i permessi di soggiorno, ma è tutto aleatorio, instabile. Si favorisce magari chi ha assunto \u003Cmark>in\u003C/mark> Francia una posizione più o meno dissociativa, oppure chi ha condanne non gravi… di fatto si formano le cosiddette liste, appoggiate \u003Cmark>in\u003C/mark> prefettura da un gruppo di avvocati di movimento. Intanto il mare si restringe sempre più intorno agli altri che rimangono irregolari sino praticamente al 2000, quando il primo ministro Jospin si dichiara favorevole alla loro regolarizzazione.\r\n\r\nTradotto vuol dire che dall’81, al 2000, \u003Cmark>in\u003C/mark> centinaia hanno vissuto lavorando \u003Cmark>in\u003C/mark> nero, \u003Cmark>in\u003C/mark> condizioni di difficile sopravvivenza, senza alcuna certezza, sparendo dalla circolazione ogni volta che per una ragione o per un'altra, da un versante o dall'altro delle Alpi, qualcuno auspicasse la consegna degli irregolari all'Italia\r\n\r\nIl tempo passa, cominciano a fioccare, dall'Italia, le prescrizioni che riducono di molto il numero iniziale degli irregolari, per arrivare ai giorni nostri, quando meno di una decina di persone ha ottenuto il rinnovo del permesso di soggiorno scaduto da anni; si tratta dei casi con le pene più gravi, \u003Cmark>in\u003C/mark> effetti quasi tutti condannati all’ergastolo, quindi suscettibili di essere oggetto di estradizioni nel caso di mutamenti politici.\r\n\r\n\u003Cmark>In\u003C/mark> questo piccolo gruppo viene ad inserirsi il caso di Enrico Villimburgo, che oltre ad essere condannato all’ergastolo per appartenenza alle BR romane, si trova a dover combattere da solo una battaglia non più legale, ma una lotta contro una malattia devastante.Questi fuoriusciti sono partiti insieme, ma sono tornati \u003Cmark>in\u003C/mark> molti singolarmente. Alcuni non avranno più alcuna possibilità di tornare. Per fortuna, Enrico è ancora qui, e una solidarietà manifesta nei suoi confronti, lo aiuta più della chemio.\r\n\r\nCon Gianni, compagno che è stato per molti anni esule \u003Cmark>in\u003C/mark> Francia, affrontiamo il nodo politico e umano dell’esilio, la questione del pentitismo che di fatto creò il fenomeno, e la storia drammatica di un compagno, Enrico Vilimburgo, la cui salute è stata devastata da una vita braccata con un ergastolo sulla testa.\r\n\r\n Per sostenere Enrico: IBAN IT04P0503437750000000000577 intestato a Manuela Villimburgo. \r\n\r\nSpecificare nella causale: “per Enrico”\r\nc/o BANCO POPOLARE – FILIALE DI BORGO SAN LORENZO (FI) - VIA L. 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