","Le donne di Mosul","post",1501008416,[62,63,64,65,66,67,68],"http://radioblackout.org/tag/donne-di-mosul/","http://radioblackout.org/tag/guerra/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/isis/","http://radioblackout.org/tag/mosul/","http://radioblackout.org/tag/sciiti/","http://radioblackout.org/tag/sunniti/",[70,24,17,15,71,72,73],"donne di mosul","Mosul","sciiti","sunniti",{"post_content":75,"post_title":81,"tags":84},{"matched_tokens":76,"snippet":79,"value":80},[77,78,77,71,77,77],"di","donne","un articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Mannocchi sulle \u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, \u003Cmark>di\u003C/mark> cui vi riportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark>","La battaglia \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> è finita. La parte ovest della città è un cumulo \u003Cmark>di\u003C/mark> macerie: tra la polvere e i calcinacci marciscono i cadaveri e i resti della vita quotidiana ai tempi del Califfato.\r\n\r\nFrancesca Mannocchi, giornalista free lance, che ha seguito la guerra, ci racconta che negli ultimi giorni, quando il primo ministro iracheno aveva già annunciato la propria vittoria. Ma ancora, nel cuore della città vecchia, infuriava l'ultima battaglia, quella senza più alcuna speranza.\r\n\r\nIn quei giorni, per la prima volta, i giornalisti sono stati tenuti lontani dalla prima linea. Un segnale inequivocabile che quello che stava succedendo non doveva essere ripreso, fotografato, raccontato, lasciato in dono agli storici \u003Cmark>di\u003C/mark> domani.\r\nProbabilmente l'esercito \u003Cmark>di\u003C/mark> Baghdad aveva l'ordine \u003Cmark>di\u003C/mark> non fare prigionieri. E prigioniere.\r\nIntrappolati nella città vecchia \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> c'erano i combattenti dell'Isis e le loro famiglie.\r\nAnche le \u003Cmark>donne\u003C/mark> hanno imbracciato le armi e le hanno usate, altre si sono fatte esplodere in strada.\r\nDipinte sempre come vittime, le \u003Cmark>donne\u003C/mark> della Jihad del Califfo, sono state anche combattenti. Non tutte ovviamente. Difficile anche capire se ci fosse un confine tra costrizione e convinzione.\r\n\r\n \r\n\r\nSul numero \u003Cmark>di\u003C/mark> questa settimana dell'Espresso è uscito un articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Mannocchi sulle \u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, \u003Cmark>di\u003C/mark> cui vi riportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito ampi stralci.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta con Francesca Mannocchi:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 07 35 iraq mannocchi\r\n\r\n \r\n\r\n“Il soldato \u003Cmark>di\u003C/mark> Hasd al Shabi, la milizia sciita che ha combattuto l’Isis a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> accanto all’esercito iracheno, mostra il pugnale con orgoglio e parla con sarcasmo: «Io taglio le teste», dice, «e ieri ho ammazzato quattro \u003Cmark>donne\u003C/mark>. Erano le loro \u003Cmark>donne\u003C/mark>, non c’era motivo \u003Cmark>di\u003C/mark> tenerle vive».\r\n\r\n \r\n\r\nGià, le \u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, le \u003Cmark>donne\u003C/mark> dell’Iraq. Sono l’altra metà \u003Cmark>di\u003C/mark> questa guerra, vittime più \u003Cmark>di\u003C/mark> tutti. Prima, sotto il Califfato, che le sottometteva e le umiliava. E anche adesso che la città è stata liberata e subiscono la vendetta dei vincitori.\r\n\r\n \r\n\r\nSiamo nella parte occidentale \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, praticamente tutta distrutta: non c’è un solo edificio che non sia stato toccato dai combattimenti e dai bombardamenti. L’odore \u003Cmark>di\u003C/mark> corpi in putrefazione riempie l’aria torrida \u003Cmark>di\u003C/mark> luglio. Nelle macerie i resti \u003Cmark>di\u003C/mark> armi, pallottole, \u003Cmark>di\u003C/mark> oggetti strappati alle vite quotidiane. E \u003Cmark>di\u003C/mark> corpi sepolti dai detriti. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> in fuga sono stremate, i loro bambini hanno i volti scavati dalla fame, sono scalzi, feriti, devono camminare per ore per raggiungere una zona sicura.\r\n\r\n \r\n\r\nUn’anziana cade a terra, ha il viso rigato \u003Cmark>di\u003C/mark> sangue. «Aiutatemi!», implora \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte ai soldati. Spiega \u003Cmark>di\u003C/mark> aver bevuto solo la sua urina negli ultimi giorni per cercare \u003Cmark>di\u003C/mark> non morire: «Ci hanno chiusi negli scantinati, \u003Cmark>donne\u003C/mark> e bambini, urlavamo e nessuno poteva aiutarci, nessuno ci è venuto in soccorso per settimane. Hanno circondato le case \u003Cmark>di\u003C/mark> fili elettrici per far saltare in aria chi provava a scappare».\r\n\r\n \r\n\r\nGli uomini, in queste ore non si vedono. I pochi che ancora cercano \u003Cmark>di\u003C/mark> uscire dalla città vengono legati, trattenuti e \u003Cmark>di\u003C/mark> loro si perdono le tracce. Difficile dire se siano nelle mani dei servizi segreti o vengano uccisi, la conta \u003Cmark>di\u003C/mark> chi manca all’appello non è ancora cominciata. Ma la vendetta si abbatte anche sulle \u003Cmark>donne\u003C/mark>. Due giorni prima della fine della guerra il generale Fadel Barwary della Golden Division, le forze speciali dell’esercito iracheno, lo ha detto chiaramente: «Per noi chiunque sia rimasto dentro \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> finora è complice e merita la morte, uomini o \u003Cmark>donne\u003C/mark> non importa». E dal suo tablet ha mostrato le immagini \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> in battaglia, \u003Cmark>donne\u003C/mark> combattenti, \u003Cmark>donne\u003C/mark> armate \u003Cmark>di\u003C/mark> kalashnikov a fianco dei loro uomini nelle ultime ore del Califfato iracheno: «Queste \u003Cmark>donne\u003C/mark> stanno combattendo con accanto i loro figli, senza esitazione. Sono addestrate come gli uomini, determinate come loro».\r\n\r\n \r\n\r\nUsama, un giovane soldato, estrae dalla tasca sinistra un cellulare. «Apparteneva a uno \u003Cmark>di\u003C/mark> Daesh», ci dice mostrando le decine \u003Cmark>di\u003C/mark> fotografie salvate nella memoria. Istantanee \u003Cmark>di\u003C/mark> vita quotidiana e familiare in quella che era la capitale dell’Isis. Il telefono apparteneva un giovane miliziano che avrà avuto poco più \u003Cmark>di\u003C/mark> vent’anni, la barba e i capelli lunghi, un bambino che lo abbraccia e lo bacia con affetto. Una donna senza velo, in casa, sorride e imbraccia le armi insieme a lui, alle loro spalle le bandiere nere.\r\n\r\n \r\n\r\nSì, ci sono le \u003Cmark>donne\u003C/mark> dell’Isis, le \u003Cmark>donne\u003C/mark> del Califfato, le spose del jihad. Ma ce ne sono migliaia \u003Cmark>di\u003C/mark> altre che con Daesh non hanno avuto nulla a che fare o che sono state costrette ad aderire per aver salva la vita, propria e dei familiari. Ora arrivano negli ospedali da campo nei loro niqab sporchi \u003Cmark>di\u003C/mark> terra: \u003Cmark>donne\u003C/mark> in fuga in mezzo ad altre \u003Cmark>donne\u003C/mark>, come i loro figli, in fuga in mezzo ad altri bambini.\r\n\r\n \r\n\r\n(...)\r\n\r\n \r\n\r\nLa sconfitta dello Stato Islamico a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> mette fine solo a una battaglia, non alla guerra e rischia \u003Cmark>di\u003C/mark> riportare l’organizzazione terroristica agli albori, ad attacchi casuali e violenti, soprattutto perché le divisioni settarie sono lontane dall’essere risolte e il rischio \u003Cmark>di\u003C/mark> ritorsioni tra sunniti e sciiti è all’ordine del giorno.\r\n\r\n \r\n\r\nPer questo, dopo la riconquista della città, la sfida è gestire gli interessi dei sunniti che la abitano, ricostruire la città, le infrastrutture, una parvenza \u003Cmark>di\u003C/mark> vita quotidiana per i civili traumatizzati da tre anni \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza.\r\n\r\n \r\n\r\nRiparare i danni, che solo per le infrastrutture sono stimati per oltre un miliardo \u003Cmark>di\u003C/mark> dollari, sarà l’unico modo per contrastare l’insorgenza \u003Cmark>di\u003C/mark> nuove forme \u003Cmark>di\u003C/mark> fondamentalismo perché «aver sconfitto l’Isis a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, non significa aver distrutto le sue radici, le ragioni profonde che l’hanno generato», ci dice Asma, nella sua casa del quartiere Jadida, \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> ovest. Le strade intorno casa sua sono piene \u003Cmark>di\u003C/mark> macerie, non c’è acqua, non c’è elettricità. Vive con il marito e i suoi otto figli, erano nove prima dell’arrivo in città dei pick up con le bandiere nere, simbolo dell’Isis. «Hanno ammazzato mio figlio dopo dieci giorni, impiccato. Perché era il barbiere delle polizia irachena, qui a \u003Cmark>Mosul»\u003C/mark>. Asma mostra le sue foto, che tiene nascoste in un cassetto e piange, con pudore, per non farsi vedere dai figli più piccoli che hanno troppo da dimenticare: “Non c’è una donna a \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> che non abbia perso un caro amato, un figlio, un marito ucciso da quegli assassini. Ognuna \u003Cmark>di\u003C/mark> noi piange il suo dramma in silenzio per non pesare sugli altri». Per questo racconta Asma, a volte le \u003Cmark>donne\u003C/mark> del quartiere si ritrovano in casa, insieme, per sostenersi raccontando i ricordi dei loro cari, la giovinezza perduta \u003Cmark>di\u003C/mark> figli che non potranno vedere da adulti.\r\n«Quando la guerra è arrivata qui hanno catturato i miei figli e li hanno costretti ad aprire buchi nelle pareti per scappare senza essere visti, portando con loro tutti noi, \u003Cmark>donne\u003C/mark>, bambini, famiglie intere tenute in ostaggio. Chi provava a fuggire era impiccato ai pali della luce, cadaveri lasciati lì, per impaurire tutti gli altri.».\r\n\r\n \r\n\r\nAsma oggi ha lo sguardo fiero \u003Cmark>di\u003C/mark> chi può ricominciare a vivere. All’entrata \u003Cmark>di\u003C/mark> casa sua ci sono i barili per l’acqua, si mette in fila in attesa del suo turno per riempirne uno, poi cammina lentamente verso la distribuzione alimentare, una massa \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>donne\u003C/mark> in nero come lei. Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> urlano alla distribuzione alimentare, aspettano ore al sole, ai cinquanta gradi iracheni, sono decine ammassate contro la porta \u003Cmark>di\u003C/mark> un magazzino, i soldati gridano loro \u003Cmark>di\u003C/mark> fare silenzio ma la fame e la disperazione sono difficili da gestire.\r\n\r\n \r\n\r\nUna \u003Cmark>di\u003C/mark> loro col volto coperto dal niqab mostra i documenti \u003Cmark>di\u003C/mark> identità \u003Cmark>di\u003C/mark> suo marito: «L’hanno arrestato i soldati dell’esercito e non me l’hanno ridato più, dicevano che era membro \u003Cmark>di\u003C/mark> Isis ma era un uomo buono. Io sono sola con quattro figli e non ho niente da mangiare», grida mentre la più piccola dei bambini si nasconde nel nero del suo vestito.\r\n\r\n \r\n\r\nIl soldato chiude le porte. Gli aiuti alimentari non arrivano, dice loro \u003Cmark>di\u003C/mark> andare a casa, le loro grida restano un’eco inascoltata nelle vie distrutte della città.\r\n\r\n \r\n\r\n«Ho chiesto ai miei figli \u003Cmark>di\u003C/mark> perdonare e \u003Cmark>di\u003C/mark> andare avanti, ho detto ai miei figli che supereremo questa tragedia solo lasciandocela alle spalle ma ogni giorno trovo più rabbia nei loro occhi», dice ancora Asma. Che con le immagini della guerra e dei morti ancora vivide nella memoria prova a spiegare a suo figlio Mohammad che deve perdonare i bambini come lui che sono figli dell’Isis, che non è loro la colpa dei padri.\r\n\r\n \r\n\r\nMa Mohammad scuote la testa, dice che non perdonerà, e che quei bambini saranno peggio dei padri.”\r\n\r\n ",{"matched_tokens":82,"snippet":83,"value":83},[78,77,71],"Le \u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>",[85,89,91,93,95,98,100],{"matched_tokens":86,"snippet":88},[78,77,87],"mosul","\u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>mosul\u003C/mark>",{"matched_tokens":90,"snippet":24},[],{"matched_tokens":92,"snippet":17},[],{"matched_tokens":94,"snippet":15},[],{"matched_tokens":96,"snippet":97},[71],"\u003Cmark>Mosul\u003C/mark>",{"matched_tokens":99,"snippet":72},[],{"matched_tokens":101,"snippet":73},[],[103,110,113],{"field":36,"indices":104,"matched_tokens":106,"snippets":109},[48,105],4,[107,108],[78,77,87],[71],[88,97],{"field":111,"matched_tokens":112,"snippet":83,"value":83},"post_title",[78,77,71],{"field":114,"matched_tokens":115,"snippet":79,"value":80},"post_content",[77,78,77,71,77,77],1736172819517538300,{"best_field_score":118,"best_field_weight":119,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":48,"score":120,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"3315704398080",13,"1736172819517538411",{"document":122,"highlight":148,"highlights":153,"text_match":156,"text_match_info":157},{"cat_link":123,"category":124,"comment_count":48,"id":125,"is_sticky":48,"permalink":126,"post_author":51,"post_content":127,"post_date":128,"post_excerpt":54,"post_id":125,"post_modified":129,"post_thumbnail":130,"post_thumbnail_html":131,"post_title":132,"post_type":59,"sort_by_date":133,"tag_links":134,"tags":141},[45],[47],"38323","http://radioblackout.org/2016/11/torino-niente-pace-per-chi-fa-guerra/","L'assemblea antimilitarista ha indetto una settimana di iniziative in occasione del 4 novembre, festa delle forze armate italiane.\r\nLa settimana si è aperta il 29 otobre con un presidio, poi diventato itinerante per le strade del Balon e di Porta Palazzo.\r\nLe prossime iniziative sono:\r\n\r\nMercoledì 2 novembre ore 21 alla FAT, in corso Palermo 46 “Bombe, muri e frontiere. Giochi di potenza dal Mediterraneo all'Eufrate. Dal nuovo secolo americano al tutti contro tutti”\r\nInterverrà Stefano Capello, autore, tra gli altri, di \"Oltre il giardino\"\r\n\r\n\r\nVenerdì 4 novembre ore 17\r\nParata dei disertori durante la cerimonia militarista per la “festa” delle forze armate\r\nAppuntamento in piazza Castello angolo via Garibaldi\r\n\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Domenico, un compagno novarese, attivo nel movimento contro gli F35.\r\nCon lui abbiamo approfondito i temi dell'appello dell'Assemblea Antimilitarista, che vi riportiamo di seguito.\r\n\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-11-01-antimili-dome\r\nIl 4 novembre è la festa delle forze armate. Viene celebrata nel giorno della “vittoria” nella prima guerra mondiale, un immane massacro per spostare un confine.\r\nIl 4 novembre è la festa degli assassini. La divisa e la ragion di stato trasformano chi uccide, occupa, bombarda, in eroe.\r\nCent'anni fa, a rischio della vita, disertarono a migliaia la guerra, consapevoli che le frontiere tra gli Stati sono le righe che demarcano il territorio di chi governa, ma non hanno nessun significato per chi abita uno o l'altro versante di una montagna, l'una o l'altra riva di un fiume, dove nuotano gli stessi pesci, dove crescono le stesse piante, dove vivono uomini e donne che si riconoscono uguali di fronte ai padroni che si fanno ricchi sul loro lavoro. \r\n\r\nCent'anni dopo, quelle trincee impastate di sangue, sudore, fango e rabbia la retorica patriottica, il garrire di bandiere e le parate militari nascondono i massacri, i pescecani che si arricchivano, le “decimazioni”, gli stupri di massa. E ancora nessuno parla delle rivolte, delle “tregue spontanee”, dell'odio per gli ufficiali. Ne resta traccia nelle canzoni, che tenaci sono passate di bocca in bocca e riecheggiano nelle labbra di chi oggi lotta contro eserciti, guerre, stati e frontiere.\r\n\r\nIn questi anni lungo i confini d'Italia si sta combattendo una guerra feroce contro la gente in viaggio, contro chi fugge conflitti dove le truppe italiane sono in prima fila.\r\nIn Iraq battaglioni d'élite dell'esercito tricolore partecipano all'assedio di Mosul, per cacciare i jihadisti dello Stato Islamico.\r\nSono in Iraq da mesi per difendere gli interessi della Trevi, la ditta italiana che si è aggiudicata i lavori alla diga di Mosul, uno snodo strategico per chi intende fare buoni affari nel paese.\r\nI governi alleati dell'Italia hanno finanziato e protetto i soldati della jihad prima in Afganistan, poi in Siria. A Mosul si sta consumando in nostro nome un altro immane massacro di uomini, donne e bambini, pedine di un gioco feroce di potenza.\r\nAd Aleppo si muore da anni nel silenzio fragoroso dei più. Le lacrime ipocrite per i bimbi morti non hanno fermato le bombe.\r\nIn Rojava, dove dal 2012 la popolazione ha deciso di attuare un percorso di autonomia politica, di solidarietà e di mutuo appoggio, nella cornice del confederalismo democratico, il governo turco bombarda le città nel silenzio fragoroso di chi, proprio sulle milizie maschili e femminili della regione a maggioranza curda della Siria, ha fatto leva per fermare l'avanzata dell'Isis. La rivoluzione democratica in Rojava apre una crepa nelle logiche di potere che caratterizzano le grandi potenze che si contendono il controllo del Mediterraneo all'Eufrate.\r\n\r\nSin dalla seconda guerra mondiale muoiono nei conflitti armati più civili e sempre meno militari. I soldati sono professionisti super addestrati, strumenti costosi e preziosi da preservare, mentre le persone senza divisa diventano obiettivi bellici di primaria importanza in conflitti che giocano la carta del terrore, per piegare la resistenza delle popolazioni che serve sottomettere, per realizzare i propri obiettivi di dominio. La propaganda di guerra all'Isis marchia come terroristi i militari della jihad, ma usa gli stessi mezzi. Solo la narrazione è diversa. Torture, rapimenti extragiudiziali, detenzioni senza processo, sono normali ovunque. L'Isis ama di più lo spettacolo e lo usa per dimostrare la propria forza e attrarre a se nuovi adepti. Al di là del palcoscenico la macelleria di Abu Graib, di Guantanamo, della School of Americas è la medesima esibita a Raqqa, Ninive, Senjal.\r\nAl riparo delle loro basi, a dieci minuti di auto dalle loro case, i piloti dei droni, osservano in uno schermo le possibili vittime, le puntano e le colpiscono come in un videogioco. La guerra virtuale diventa reale, ma accresce la distante onnipotenza di chi dispensa morte da una base lontana migliaia di chilometri dal sangue, dalle feci, dagli arti straziati, dall'inenarrabile dolore di chi vede morire i propri figli, amici, genitori.\r\nQuesti giocattoli letali costano molto meno di un bombardiere. Un Predator armato costa 4 milioni di dollari contro i 137 di un F35.\r\n\r\nL’Italia è in guerra da decenni ma la chiama pace.\r\nÈ una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.\r\nLa guerra diventa filantropia planetaria, le bombe mezzi di soccorso.\r\nGli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa, sono nel Mediterraneo e sulle frontiere fatte di nulla, che imprigionano uomini, donne e bambini.\r\nGuerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Le sostiene la stessa propaganda: le questioni sociali, coniugate in termini di ordine pubblico, sono il perno su cui fa leva la narrazione militarista.\r\n\r\nTorino è uno dei principali centri dell’industria aerospaziale bellica.\r\nSono cinque le aziende piemontesi, leader nel settore: Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica Actuation Systems / UTC. 280 SMEs.\r\nL’industria di guerra è un buon business, che non va mai in crisi. L’industria bellica italiana fa affari con chiunque. I soldi non puzzano di sangue e il made in Italy va alla grande.\r\nL'Europa ha pagato miliardi il governo turco perché trattenesse i profughi che lo scorso anno premevano alle frontiere chiuse. Li ha allontanati dalla vista e se ne è lavata le mani: nelle cerimonie ufficiali il ministro di turno spende retorica su chi muore in mare o in fondo a un tir. La verità cruda ma banale è che in Siria, in Iraq, in Afganistan, in Libia si combatte con armi che spesso sono costruite a due passi dalle nostre case.\r\nA Torino e Caselle c’è l’Alenia, la sua “missione” è fare aerei militari. Nello stabilimento di Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.\r\nUn business milionario. Un business di morte.\r\nLo Stato italiano investe ogni ora due milioni e mezzo di euro in spese militari, di cui mezzo milione solo per comprare nuove bombe e missili, cacciabombardieri, navi da guerra e carri armati. Gli altri servono per le missioni militari all'estero, per il mantenimento del militari e delle strutture. Si tratta, per il 2016, di 48 milioni di euro al giorno. Il governo nei prossimi anni ha deciso di spenderne ancora di più. Alla faccia di chi si ammala e muore perché non riesce ad accedere a esami specialistici e cure mediche.\r\nNel nuovo Documento programmatico pluriennale della Difesa - 2016-2018 - sono previsti: 13,36 miliardi di spese nel 2016 (carabinieri esclusi), l’1,3 per cento in più rispetto all’anno scorso. Cifra che sale a 17,7 miliardi (contro i 17,5 del 2015) se si considerano i finanziamenti del ministero dell’Economia e delle Finanze alle missioni militari (1,27 miliardi, contro gli 1,25 miliardi dell’anno precedente) e quelli del ministero per lo Sviluppo Economico ai programmi di riarmo (2,54 miliardi, nel 2015 erano 2,50).\r\n\r\nFinanziamenti, quelli del Mise, che anche quest’anno garantiscono alla Difesa una continuità di budget per l’acquisto di nuovi armamenti per un totale di 4,6 miliardi di euro (contro i 4,7 del 2015). Le spese maggiori per quest’anno riguardano i cacciabombardieri Eurofighter (677 milioni), gli F-35 (630 milioni), la nuova portaerei Trieste e le nuove fregate Ppa (472 milioni), le fregate Fremm (389 milioni), gli elicotteri Nh-90 (289 milioni), il programma di digitalizzazione dell’Esercito Forza Nec (203 milioni), i nuovi carri Freccia (170 milioni), i nuovi elicotteri Ch-47f (155 milioni), i caccia M-346 (125 milioni), i sommergibili U-212 (113 milioni).\r\nLa vocazione umanitaria delle forze armate italiane ha fame di nuovi costosissimi giocattoli.\r\nIn tutto il paese ci sono aeroporti militari, poligoni, centri di controllo satellitare, postazioni di lancio dei droni.\r\nLe prove generali dei conflitti di questi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia.\r\nLa rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.\r\nNegli ultimi anni sono maturate esperienze che provano a saldare il rifiuto della guerra con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi, gli antimilitaristi sardi che lottano contro poligoni ed esercitazioni. Anche nelle strade delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono ricette universali, c’è chi non accetta di vivere da schiavo, c'è chi si oppone alla militarizzazione delle periferie, ai rastrellamenti, alle deportazioni.\r\nPer fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.\r\n\r\nContro tutti gli eserciti, contro tutte le guerre!\r\n\r\nAssemblea Antimilitarista\r\nantimilitarista@inventati.org","1 Novembre 2016","2016-11-02 12:12:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/drooker_slingshot-vs-tank-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"260\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/drooker_slingshot-vs-tank-300x260.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/drooker_slingshot-vs-tank-300x260.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/11/drooker_slingshot-vs-tank.jpg 461w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Torino. 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Giochi \u003Cmark>di\u003C/mark> potenza dal Mediterraneo all'Eufrate. Dal nuovo secolo americano al tutti contro tutti”\r\nInterverrà Stefano Capello, autore, tra gli altri, \u003Cmark>di\u003C/mark> \"Oltre il giardino\"\r\n\r\n\r\nVenerdì 4 novembre ore 17\r\nParata dei disertori durante la cerimonia militarista per la “festa” delle forze armate\r\nAppuntamento in piazza Castello angolo via Garibaldi\r\n\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Domenico, un compagno novarese, attivo nel movimento contro gli F35.\r\nCon lui abbiamo approfondito i temi dell'appello dell'Assemblea Antimilitarista, che vi riportiamo \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito.\r\n\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-11-01-antimili-dome\r\nIl 4 novembre è la festa delle forze armate. Viene celebrata nel giorno della “vittoria” nella prima guerra mondiale, un immane massacro per spostare un confine.\r\nIl 4 novembre è la festa degli assassini. La divisa e la ragion \u003Cmark>di\u003C/mark> stato trasformano chi uccide, occupa, bombarda, in eroe.\r\nCent'anni fa, a rischio della vita, disertarono a migliaia la guerra, consapevoli che le frontiere tra gli Stati sono le righe che demarcano il territorio \u003Cmark>di\u003C/mark> chi governa, ma non hanno nessun significato per chi abita uno o l'altro versante \u003Cmark>di\u003C/mark> una montagna, l'una o l'altra riva \u003Cmark>di\u003C/mark> un fiume, dove nuotano gli stessi pesci, dove crescono le stesse piante, dove vivono uomini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> che si riconoscono uguali \u003Cmark>di\u003C/mark> fronte ai padroni che si fanno ricchi sul loro lavoro. \r\n\r\nCent'anni dopo, quelle trincee impastate \u003Cmark>di\u003C/mark> sangue, sudore, fango e rabbia la retorica patriottica, il garrire \u003Cmark>di\u003C/mark> bandiere e le parate militari nascondono i massacri, i pescecani che si arricchivano, le “decimazioni”, gli stupri \u003Cmark>di\u003C/mark> massa. E ancora nessuno parla delle rivolte, delle “tregue spontanee”, dell'odio per gli ufficiali. Ne resta traccia nelle canzoni, che tenaci sono passate \u003Cmark>di\u003C/mark> bocca in bocca e riecheggiano nelle labbra \u003Cmark>di\u003C/mark> chi oggi lotta contro eserciti, guerre, stati e frontiere.\r\n\r\nIn questi anni lungo i confini d'Italia si sta combattendo una guerra feroce contro la gente in viaggio, contro chi fugge conflitti dove le truppe italiane sono in prima fila.\r\nIn Iraq battaglioni d'élite dell'esercito tricolore partecipano all'assedio \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, per cacciare i jihadisti dello Stato Islamico.\r\nSono in Iraq da mesi per difendere gli interessi della Trevi, la ditta italiana che si è aggiudicata i lavori alla diga \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, uno snodo strategico per chi intende fare buoni affari nel paese.\r\nI governi alleati dell'Italia hanno finanziato e protetto i soldati della jihad prima in Afganistan, poi in Siria. A \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> si sta consumando in nostro nome un altro immane massacro \u003Cmark>di\u003C/mark> uomini, \u003Cmark>donne\u003C/mark> e bambini, pedine \u003Cmark>di\u003C/mark> un gioco feroce \u003Cmark>di\u003C/mark> potenza.\r\nAd Aleppo si muore da anni nel silenzio fragoroso dei più. Le lacrime ipocrite per i bimbi morti non hanno fermato le bombe.\r\nIn Rojava, dove dal 2012 la popolazione ha deciso \u003Cmark>di\u003C/mark> attuare un percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia politica, \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà e \u003Cmark>di\u003C/mark> mutuo appoggio, nella cornice del confederalismo democratico, il governo turco bombarda le città nel silenzio fragoroso \u003Cmark>di\u003C/mark> chi, proprio sulle milizie maschili e femminili della regione a maggioranza curda della Siria, ha fatto leva per fermare l'avanzata dell'Isis. La rivoluzione democratica in Rojava apre una crepa nelle logiche \u003Cmark>di\u003C/mark> potere che caratterizzano le grandi potenze che si contendono il controllo del Mediterraneo all'Eufrate.\r\n\r\nSin dalla seconda guerra mondiale muoiono nei conflitti armati più civili e sempre meno militari. I soldati sono professionisti super addestrati, strumenti costosi e preziosi da preservare, mentre le persone senza divisa diventano obiettivi bellici \u003Cmark>di\u003C/mark> primaria importanza in conflitti che giocano la carta del terrore, per piegare la resistenza delle popolazioni che serve sottomettere, per realizzare i propri obiettivi \u003Cmark>di\u003C/mark> dominio. La propaganda \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra all'Isis marchia come terroristi i militari della jihad, ma usa gli stessi mezzi. Solo la narrazione è diversa. Torture, rapimenti extragiudiziali, detenzioni senza processo, sono normali ovunque. L'Isis ama \u003Cmark>di\u003C/mark> più lo spettacolo e lo usa per dimostrare la propria forza e attrarre a se nuovi adepti. Al \u003Cmark>di\u003C/mark> là del palcoscenico la macelleria \u003Cmark>di\u003C/mark> Abu Graib, \u003Cmark>di\u003C/mark> Guantanamo, della School of Americas è la medesima esibita a Raqqa, Ninive, Senjal.\r\nAl riparo delle loro basi, a dieci minuti \u003Cmark>di\u003C/mark> auto dalle loro case, i piloti dei droni, osservano in uno schermo le possibili vittime, le puntano e le colpiscono come in un videogioco. La guerra virtuale diventa reale, ma accresce la distante onnipotenza \u003Cmark>di\u003C/mark> chi dispensa morte da una base lontana migliaia \u003Cmark>di\u003C/mark> chilometri dal sangue, dalle feci, dagli arti straziati, dall'inenarrabile dolore \u003Cmark>di\u003C/mark> chi vede morire i propri figli, amici, genitori.\r\nQuesti giocattoli letali costano molto meno \u003Cmark>di\u003C/mark> un bombardiere. Un Predator armato costa 4 milioni \u003Cmark>di\u003C/mark> dollari contro i 137 \u003Cmark>di\u003C/mark> un F35.\r\n\r\nL’Italia è in guerra da decenni ma la chiama pace.\r\nÈ una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.\r\nLa guerra diventa filantropia planetaria, le bombe mezzi \u003Cmark>di\u003C/mark> soccorso.\r\nGli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle nostre città, sono in Val Susa, sono nel Mediterraneo e sulle frontiere fatte \u003Cmark>di\u003C/mark> nulla, che imprigionano uomini, \u003Cmark>donne\u003C/mark> e bambini.\r\nGuerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Le sostiene la stessa propaganda: le questioni sociali, coniugate in termini \u003Cmark>di\u003C/mark> ordine pubblico, sono il perno su cui fa leva la narrazione militarista.\r\n\r\nTorino è uno dei principali centri dell’industria aerospaziale bellica.\r\nSono cinque le aziende piemontesi, leader nel settore: Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica Actuation Systems / UTC. 280 SMEs.\r\nL’industria \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra è un buon business, che non va mai in crisi. L’industria bellica italiana fa affari con chiunque. I soldi non puzzano \u003Cmark>di\u003C/mark> sangue e il made in Italy va alla grande.\r\nL'Europa ha pagato miliardi il governo turco perché trattenesse i profughi che lo scorso anno premevano alle frontiere chiuse. Li ha allontanati dalla vista e se ne è lavata le mani: nelle cerimonie ufficiali il ministro \u003Cmark>di\u003C/mark> turno spende retorica su chi muore in mare o in fondo a un tir. La verità cruda ma banale è che in Siria, in Iraq, in Afganistan, in Libia si combatte con armi che spesso sono costruite a due passi dalle nostre case.\r\nA Torino e Caselle c’è l’Alenia, la sua “missione” è fare aerei militari. Nello stabilimento \u003Cmark>di\u003C/mark> Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.\r\nUn business milionario. Un business \u003Cmark>di\u003C/mark> morte.\r\nLo Stato italiano investe ogni ora due milioni e mezzo \u003Cmark>di\u003C/mark> euro in spese militari, \u003Cmark>di\u003C/mark> cui mezzo milione solo per comprare nuove bombe e missili, cacciabombardieri, navi da guerra e carri armati. Gli altri servono per le missioni militari all'estero, per il mantenimento del militari e delle strutture. Si tratta, per il 2016, \u003Cmark>di\u003C/mark> 48 milioni \u003Cmark>di\u003C/mark> euro al giorno. Il governo nei prossimi anni ha deciso \u003Cmark>di\u003C/mark> spenderne ancora \u003Cmark>di\u003C/mark> più. Alla faccia \u003Cmark>di\u003C/mark> chi si ammala e muore perché non riesce ad accedere a esami specialistici e cure mediche.\r\nNel nuovo Documento programmatico pluriennale della Difesa - 2016-2018 - sono previsti: 13,36 miliardi \u003Cmark>di\u003C/mark> spese nel 2016 (carabinieri esclusi), l’1,3 per cento in più rispetto all’anno scorso. Cifra che sale a 17,7 miliardi (contro i 17,5 del 2015) se si considerano i finanziamenti del ministero dell’Economia e delle Finanze alle missioni militari (1,27 miliardi, contro gli 1,25 miliardi dell’anno precedente) e quelli del ministero per lo Sviluppo Economico ai programmi \u003Cmark>di\u003C/mark> riarmo (2,54 miliardi, nel 2015 erano 2,50).\r\n\r\nFinanziamenti, quelli del Mise, che anche quest’anno garantiscono alla Difesa una continuità \u003Cmark>di\u003C/mark> budget per l’acquisto \u003Cmark>di\u003C/mark> nuovi armamenti per un totale \u003Cmark>di\u003C/mark> 4,6 miliardi \u003Cmark>di\u003C/mark> euro (contro i 4,7 del 2015). Le spese maggiori per quest’anno riguardano i cacciabombardieri Eurofighter (677 milioni), gli F-35 (630 milioni), la nuova portaerei Trieste e le nuove fregate Ppa (472 milioni), le fregate Fremm (389 milioni), gli elicotteri Nh-90 (289 milioni), il programma \u003Cmark>di\u003C/mark> digitalizzazione dell’Esercito Forza Nec (203 milioni), i nuovi carri Freccia (170 milioni), i nuovi elicotteri Ch-47f (155 milioni), i caccia M-346 (125 milioni), i sommergibili U-212 (113 milioni).\r\nLa vocazione umanitaria delle forze armate italiane ha fame \u003Cmark>di\u003C/mark> nuovi costosissimi giocattoli.\r\nIn tutto il paese ci sono aeroporti militari, poligoni, centri \u003Cmark>di\u003C/mark> controllo satellitare, postazioni \u003Cmark>di\u003C/mark> lancio dei droni.\r\nLe prove generali dei conflitti \u003Cmark>di\u003C/mark> questi anni vengono fatte nelle basi sparse per l’Italia.\r\nLa rivolta morale non basta a fermare la guerra, se non sa farsi resistenza concreta.\r\nNegli ultimi anni sono maturate esperienze che provano a saldare il rifiuto della guerra con l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i no Muos che si battono contro le antenne assassine a Niscemi, gli antimilitaristi sardi che lottano contro poligoni ed esercitazioni. Anche nelle strade delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze sociali sono ricette universali, c’è chi non accetta \u003Cmark>di\u003C/mark> vivere da schiavo, c'è chi si oppone alla militarizzazione delle periferie, ai rastrellamenti, alle deportazioni.\r\nPer fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi, partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che pattugliano le strade.\r\n\r\nContro tutti gli eserciti, contro tutte le guerre!\r\n\r\nAssemblea Antimilitarista\r\nantimilitarista@inventati.org",[154],{"field":114,"matched_tokens":155,"snippet":151,"value":152},[77,71],1733921019837546500,{"best_field_score":158,"best_field_weight":159,"fields_matched":26,"num_tokens_dropped":48,"score":160,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"2216192835584",14,"1733921019837546609",{"document":162,"highlight":184,"highlights":189,"text_match":192,"text_match_info":193},{"cat_link":163,"category":164,"comment_count":48,"id":165,"is_sticky":48,"permalink":166,"post_author":51,"post_content":167,"post_date":168,"post_excerpt":54,"post_id":165,"post_modified":169,"post_thumbnail":54,"post_thumbnail_html":54,"post_title":170,"post_type":59,"sort_by_date":171,"tag_links":172,"tags":181},[45],[47],"24774","http://radioblackout.org/2014/09/oltre-le-frontiere-la-resistenza-delle-comunita-federaliste-e-libertarie-tra-siria-e-iraq/","Mercoledì 3 settembre. La notizia della decapitazione di un giornalista statunitense, il trentunenne Steven Sotloff occupa le prime pagine dei giornali, sia pure con enfasi minore rispetto alla decapitazione del collega James Foley, che metteva in scena per la prima volta, uno spettacolo comunicativo il cui obiettivo è ben al di là della minaccia agli Stati Uniti, per investire direttamente una più vasta platea internazionale, la stessa da cui provengono i miliziani dell'IS.\r\nLa coreografia (la tunica arancio che richiama le tute dei prigionieri di Guantanamo), la demolizione del mito del \"nero\" Obama e le sue promesse mancate, le minacce all'islam sciita, sono messaggi semplici ma potenti, capaci di dare forza all'immaginario dell'islam radicale.\r\nSui media main stream ci sono diversi attori: i feroci seguaci del califfo Al Baghdadi, i \"curdi\", \"l'imbelle\" governo iracheno. Più sullo sfondo il regime dell'alawita Bashar el Hassad, contro il quale gli Stati Uniti hanno armato le formazioni islamiste che concorrono alla conquista del paese, il maggior sponsor di Hassad, la Russia putiniana, la Turchia che ha finanziato l'Is.\r\nIl termine \"curdi\" nasconde più di quanto non riveli. I curdi di cui narrano i media nostrani - diversa è l'informazione negli stessi Stati Uniti - sono quelli della zona dell'Iraq sotto il controllo del PDK di Mas’ud Barzani, alleati con gli Stati Uniti, e \"naturali\" destinatari delle armi promesse anche dal governo italiano.\r\nMai entrate nella scena mediatica le formazioni guerrigliere del Rojava (Siria nord orientale) protagoniste della controffensiva che ha liberato numerose zone occupate dell'IS, che, curiosamente, ha interrotto la propria marcia su Baghdad per attaccare le zone curde controllate dalle formazioni libertarie, federaliste e femministe del Rojava e di alcune zone dello stesso Iraq.\r\nNon per caso nel mirino dell'IS è entrato il campo profughi di Makhmur, che da vent'anni ospita curdi sfuggiti alle persecuzioni contro il PKK in Turchia.\r\n\r\nPer capirne di più ne abbiamo parlato con Daniele Pepino, un compagno che conosce bene le zone curde che stanno sperimentando il confederalismo democratico.\r\n\r\nAscolta l'intervista:\r\n\r\n2014 09 03 daniele guerra is pkk\r\n\r\nDi seguito un lungo articolo di Daniele che ci fornisce il lessico essenziale per meglio capire la partita che si sta giocando tra Siria, Iraq. E non solo.\r\nPer la prima volta da decenni il percorso intrapreso in Rojavà narra una storia che apre prospettive che vanno ben al di là delle montagne curde.\r\n\r\nLe notizie dal Vicino e Medio Oriente si susseguono a un ritmo incalzante. Il Kurdistan si trova, ancora una volta, nell’occhio del ciclone, dilaniato dall’esplodere delle tensioni tra le potenze regionali che si spartiscono il suo territorio.\r\n\r\nNon è semplice, in un simile scenario, fornire un quadro della situazione che non sia immediatamente superato dall’incedere degli eventi. I quintali di notizie, parole, immagini, vomitati dai mass media, invece di chiarire la complessità dello scenario mediorientale, contribuiscono a spargere una confusione che è tutt’altro che casuale.\r\n\r\nPerciò ci sembra prioritario – nei limiti di quanto è possibile fare in un breve articolo – provare a fornire qualche strumento interpretativo utile a comprendere le dinamiche in corso con uno sguardo di più lungo periodo rispetto alla cronaca emergenziale del giorno dopo giorno.\r\n\r\nDa un lato, è necessario ricordare come quel che accade in Kurdistan (e più in generale in Medio Oriente) sia sempre, anche, il precipitato dell’interazione di forze esterne, a cominciare dagli Stati che ne occupano il territorio, ossia la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran (a loro volta, peraltro, veicoli di uno scontro di interessi su scala mondiale).\r\n\r\nDall’altro, è bene sottolineare come ciò non precluda l’esistenza di specifiche dinamiche locali, le quali, anzi, dimostrano sempre più spesso come proprio questi momenti di crisi e disfacimento possano rappresentare le crepe da cui emergono nuovi percorsi di autonomia, rivolta e protagonismo popolare.\r\n\r\nL’immagine costruita dal discorso mediatico dominante racconta, sostanzialmente, di una folle guerra di fanatici terroristi musulmani contro i quali l’Occidente è costretto a intervenire (per ragioni umanitarie, ça va sans dire!) appoggiando le uniche forze al momento in grado di opporvisi, ovvero “i curdi”. Per fornire qualche antidoto alle ambiguità e ai silenzi che caratterizzano tale ricostruzione, ci pare utile, in primo luogo, delineare chi sono realmente le forze in campo, cosa rappresentano, quali identità e progettualità incarnano (in particolare nel campo curdo). In secondo luogo [nella prossima “puntata”], proveremo a sondare i percorsi di autonomia popolare che nonostante tutto – compresa una censura mediatica impressionante – resistono e rappresentano una forza di rottura per niente trascurabile (sia da un punto di vista politico che militare), in particolare nel Kurdistan siriano (Rojava). Infine, cercheremo di abbozzare qualche riflessione di portata più generale sul senso degli eventi in corso\r\n\r\nGli attori in campo\r\n15 agosto 2014. Le televisioni del mondo intero riportano con orrore i massacri, le esecuzioni, i rapimenti di bambini e donne venduti come schiavi, le pulizie etniche e le angherie di ogni tipo dispiegate dalle bande dello “Stato Islamico” (I.S.) in nord Iraq contro minoranze religiose e oppositori, ad esempio contro i curdi yezidi a Sinjar (Şengal in curdo). Tale escalation di violenza settaria sarebbe, ufficialmente, all’origine del sostegno militare che Stati Uniti ed Europa si apprestano a fornire (apertamente) “ai curdi” – dopo averlo fornito a lungo (dietro le quinte) alle milizie “jihadiste”. Peccato però che l’espressione “i curdi” non significhi nulla, essendo “i kurds_mapcurdi” una realtà nient'affatto omogenea. Oltre al fatto – tutt’altro che trascurabile – che il popolo curdo è diviso da circa un secolo dalle frontiere artificiali di Turchia, Siria, Iraq e Iran, nel movimento curdo si sovrappongono, com’è ovvio che sia, profonde divisioni che hanno origini storiche, linguistiche, tribali, religiose, oltre che contrapposizioni politiche talvolta laceranti e foriere di conflitti anche armati. Quando, dunque, gli Stati Uniti parlano di “armare i curdi”, si riferiscono ovviamente ai loro alleati sul campo, ovvero ai filo-americani del PDK, e non certo ai “terroristi” del PKK e ai suoi alleati. E ciò anche se, come emerge sempre più chiaramente dalle fonti sul campo e dalle testimonianze dei sopravvissuti, ad accorrere per aiutare le minoranze aggredite e a organizzare la resistenza armata contro le bande paramilitari di I.S., sono stati proprio quelli che Washington e Bruxelles definiscono “terroristi”, e non i miliziani fedeli a PDK e USA, i quali hanno invece lasciato campo libero all’avanzata di I.S., sostanzialmente spartendosi le spoglie del territorio abbandonato dallo squagliarsi dell’esercito di Baghdad. Del resto, anche i tanto decantati quanto limitati bombardamenti finora sferrati dagli Stati Uniti non sembrano proprio avere l’obbiettivo di stroncare le forze “islamiste”, quanto piuttosto quello di contenerle e indirizzarle (altrimenti, con le tecnologie e le informazioni in mano all’aviazione USA, sarebbe stato un “gioco da ragazzi” annientarne le postazioni e le colonne nel campo aperto del deserto iracheno).\r\n\r\nÈ proprio per cercare di dissipare tali ambiguità che riportiamo qui di seguito, in modo inevitabilmente sintetico e schematico, una descrizione delle organizzazioni coinvolte a vario titolo nel conflitto in corso, una sorta di glossario per aiutare a districarsi nella confusione mediatica.\r\n\r\nPKK – Partito dei lavoratori del Kurdistan (Turchia). Le sue ali militari sono: HPG (Forze di difesa del popolo) e YJA-Star (Unità delle donne libere - Star). Opera nel Kurdistan settentrionale (in curdo “Bakûr”, sud-est della Turchia) da oltre trent’anni, per sostenere l’autodeterminazione e la stessa sopravvivenza del popolo curdo contro l’occupazione militare da parte dello Stato turco. È stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata da USA ed Europa. Dagli anni Novanta, in particolare grazie all’elaborazione teorica del suo presidente Abdullah Öcalan (tuttora detenuto nell’isola-prigione di Imrali in Turchia), il PKK ha superato l’originaria ideologia nazionalista e marxista-leninista attraverso una radicale critica degli stessi concetti di Stato, Nazione, Partito, e abbandonando l’obiettivo della costruzione di uno Stato curdo indipendente. La sua proposta politica, denominata Confederalismo democratico, auspica la costruzione di una federazione di comunità autogovernantisi al di là dei confini nazionali, religiosi, etnici, le cui colonne portanti sono la partecipazione dal basso, la parità di genere e il rispetto della natura. Il suo esercito di guerriglia (HPG e YJA-Star) conta diverse migliaia di uomini e donne nelle montagne del sud-est della Turchia (sui confini con Siria, Iraq e Iran) e sui monti Qandil in territorio iracheno. Attualmente in un precario cessate il fuoco unilaterale con la Turchia, è impegnato nel sostegno dei propri fratelli in Siria (Rojava) e nella difesa della popolazione civile in Iraq contro I.S.\r\n\r\nPYD – Partito dell’unione democratica (Siria). Le sue ali militari sono: YPG (Unità di difesa popolare) e YPJ (Unità di difesa delle donne). È il partito maggioritario nel Kurdistan occidentale (“Rojava”, Siria del nord). Stretto alleato del PKK, sia dal punto di vista militare che politico, ne condivide la proposta del Confederalismo democratico, prospettiva che sta concretizzando nei territori del Rojava. Qui, dall’insurrezione contro il regime siriano, non si è schierato né con il regime di Al-Assad né con i “ribelli siriani”, praticando una “terza via” consistente nel liberare e difendere il proprio territorio per amministrarlo, insieme agli altri partiti e realtà della società civile non solo curda, in una sorta di “democrazia cantonale dal basso”. La sua forza militare (YPG e YPJ) oltre a difendere il Rojava da chiunque l’attacchi (lealisti di Al-Assad, “ribelli” siriani, I.S. e “jihadisti” vari) ha recentemente operato in territorio iracheno contro i tentativi di pulizia etnica di I.S. – in particolare nelle aree di Sinjar, Makhmour (Maxmur, in curdo) –, soccorrendo la popolazione in fuga e organizzando anche lì, come in Siria, una resistenza armata di autodifesa popolare.\r\n\r\nKCK – Raggruppamento delle comunità del Kurdistan. È il coordinamento che raggruppa i vari partiti e organizzazioni della società civile delle quattro parti del Kurdistan per portare avanti il progetto del Confederalismo democratico. Oltre a PKK e PYD, ne fanno parte anche il PÇDK (Iraq) e il PJAK (Iran).\r\n\r\nPÇDK – Partito della soluzione democratica in Kurdistan (Iraq), per il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq); forza attualmente minoritaria anche a causa della repressione che subisce da parte del governo regionale del PDK.\r\n\r\nPJAK – Partito della vita libera del Kurdistan (Iran), per il Kurdistan orientale (“Rojhelat”, nord-ovest dell’Iran). La sua ala militare è composta dalle HRG (Forze di difesa del Kurdistan orientale) e quella femminile dall’YJRK (Unione delle donne del Kurdistan orientale), le cui forze sono anch’esse attualmente impegnate nella resistenza contro l’I.S. in Iraq e in Rojava.\r\n\r\nPDK – Partito democratico del Kurdistan (Iraq). È il partito di Mas’ud Barzani, che governa il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq), divenuto regione autonoma (KRG) in seguito all’invasione americana del 2003 e alla caduta del regime di Saddam Hussein. La famiglia Barzani, leader storici del movimento nazionalista curdo, governa di fatto la regione come un proprio feudo, rappresentando una vera e propria mafia del petrolio, in grado di garantire l’ordine nella regione e perciò sostenuta e armata dagli Stati Uniti, oltre che da Israele e Turchia (con cui ha importanti rapporti economici e a cui vende il petrolio). L’ala militare del PDK è formata dai «peshmerga», in parte integrati nell’esercito regolare iracheno, ma soprattutto nelle milizie che costituiscono le forze di sicurezza del KRG (Governo regionale del Kurdistan). La politica nazionalista e filo-americana del PDK è radicalmente in contrasto con le posizioni di PKK, PYD, KCK, in quanto principale stampella del neo-colonialismo e della balcanizzazione del Medio Oriente. Di fronte all’offensiva di I.S., i peshmerga di Barzani si sono distinti per una politica opportunista, che non ha sostanzialmente ostacolato l’avanzata di I.S. (fortemente sponsorizzata – tra gli altri – dall’amica Turchia) fino a quando non ha toccato i propri interessi, e anzi approfittando del conseguente indebolimento del governo centrale iracheno per allargare i confini del Kurdistan federale (ad esempio occupando la città petrolifera di Kirkuk quando I.S. occupava Mosul). Molteplici testimonianze dei civili scampati ai massacri di I.S., in particolare a Sinjar e a Makhmour, riferiscono di essere stati abbandonati dai miliziani di Barzani e di essersi salvati soltanto grazie all’intervento dei guerriglieri del PKK e del PYD. Diversi analisti inoltre – a proposito dell’immobilismo dei peshmerga del PDK – hanno sottolineato il fatto che mentre le forze del PKK dagli anni Ottanta non hanno mai smesso di combattere e di addestrarsi alla guerriglia, le truppe di Barzani, a oltre dieci anni dalla caduta di Saddam Hussein, si sono trasformate in un apparato burocratico di impiegati più che di guerriglieri.\r\n\r\n«Peshmerga». Significa genericamente «guerrigliero» o «soldato» curdo, ed è quindi il termine che, storicamente, definisce ogni combattente del Kurdistan. Col tempo però (con la formazione di un governo de facto nel nord Iraq e le profonde spaccature nel movimento curdo) questo termine è andato a definire in modo specifico i miliziani del PDK di Barzani, come quelli del PUK di Talabani, di Gorran e degli altri partiti curdi d’Iraq, mentre i partigiani del PKK o del PYD preferiscono definirsi col nome delle proprie organizzazioni (o “gerîlla”, “partîzan”…). La genericità del termine «peshmerga» comunque rimane, ed è anche sulla sua ambiguità che si è costruita molta della confusione diffusa dai media internazionali.\r\n\r\nIn campo avverso, tra i protagonisti del conflitto in corso, il califfato fondato da Abu Bakr Al-Baghdadi nei territori del Bilad ash Sham (a cavallo tra Siria e Iraq) si è ormai affermato come una vera e propria potenza militare, fondata sul terrore nei confronti delle popolazioni civili e dotata di una forza paramilitare più simile a un esercito mercenario che non a una “tradizionale” organizzazione “jihadista”.\r\n\r\nI.S. – Stato islamico. Nasce dall’arcipelago della resistenza islamista sunnita contro l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003, nello specifico dal gruppo “Al-Tawḥīd wa-al-Jihād” fondato dal giordano Abu Musab Al-Zarkawi (ucciso da un bombardamento USA nel 2006), poi divenuto Al Qaida in Iraq (AQI), poi Stato islamico in Iraq (ISI), in Siria (ISIS) e infine Stato islamico (IS). Ha praticato fin dagli esordi una politica ferocemente settaria, attaccando principalmente gli sciiti e le altre minoranze dell’area (ragione del disaccordo e delle continue frizioni con la dirigenza di Al Qaida), riuscendo a serrare le fila sunnite con migliaia di militanti soprattutto stranieri (dimostrando una capacità di attrattiva effettivamente internazionale). Nello scenario della guerra civile siriana, si è distinto per la ferocia dei suoi attacchi (e non solo contro le forze lealiste ma anche e soprattutto contro ogni fazione rivale del fronte dei “ribelli”) riuscendo a imporsi, dal 2013, come principale kurds_vs_Isisforza del campo fondamentalista sunnita (scalzando anche Jabat Al Nusra, ovvero il referente di Al Qaida in Siria). Qui controlla ormai diverse aree nel nord e nell’est del Paese, in particolare nelle zone petrolifere e lungo il corso dell’Eufrate, in guerra aperta contro le forze curde del Rojava. Nel 2014 incomincia l’avanzata in Iraq, dove trova l’appoggio di diverse forze sunnite emarginate e represse dal governo iracheno, il cui esercito a luglio si ritira disordinatamente abbandonando nelle mani dell’I.S. un vero e proprio arsenale (tra cui fucili M4 e M16, lanciagranate, visori notturni, mitragliatrici, artiglieria pesante, missili terra-aria Stinger e Scud, carri armati, veicoli corazzati Humvies, elicotteri Blackhawks, aerei cargo…). È così che l’I.S., sotto la guida di Abu Bakr Al-Baghdadi, si costituisce in Califfato, strutturandosi di fatto come un nuovo Stato che riscuote le tasse, paga i suoi miliziani e dipendenti, amministra centrali elettriche, depositi di grano, dighe, pozzi petroliferi, affrancandosi così anche dalla dipendenza da finanziamenti di Stati stranieri.\r\n\r\nIn questa rapida escalation dello Stato Islamico, l’appoggio logistico, economico, militare fornitogli dalla Turchia perlomeno dall’inizio della “crisi” del regime siriano, insieme all’atteggiamento delle milizie peshmerga di Barzani, e alla “vigile distanza” degli USA, potrebbero far sorgere ai più malfidenti qualche sospetto sull’esistenza di un disegno pro I.S. condiviso da tale “asse”. Ciò anche senza scomodare le voci secondo cui il califfo Al-Baghdadi (che risulta essere stato in un campo di prigionia statunitense in Iraq dal 2004 al 2009, per poi esserne rilasciato ed assumere la leadership di ISIS in seguito all'uccisione del precedente leader da parte di forze statunitensi) sarebbe stato addestrato da Mossad, CIA e MI6. Anche senza bisogno di perdersi nelle immancabili elucubrazioni su complotti e cospirazioni a tavolino, non è affatto impensabile un’alleanza di fatto, una convergenza di interessi (che si saldano nel sollecitare alcune dinamiche, nel non ostacolarne altre…) tra Turchia, USA, PDK (oltre ad Arabia saudita, Qatar…), per “suscitare” e impiantare una presenza fondamentalista sunnita nel cuore del Medio Oriente (uno nuovo Stato, o un Califfato, o un territorio in guerra permanente...) in funzione anti Iran (e dunque anti Al-Assad, Hezbollah… e Russia); qualcosa che – già che c’è – vada a spezzare sul campo ogni tentativo di rivolta, di autogoverno, di gestione diretta, e diversa, del territorio…\r\n\r\nUna controrivoluzione preventiva, insomma, contro quella resistenza popolare che costituisce oggi (fuori dalle menzogne della propaganda) l'unica vera resistenza sul campo contro lo Stato Islamico; una resistenza che vede in prima fila le milizie autorganizzate dalle donne, e in cui stanno confluendo gli abitanti delle regioni sotto attacco rompendo le divisioni etniche, religiose, culturali, in una prospettiva politica che assume un significato universale... Questo movimento, che partendo dai curdi di Rojava rischia di dilagare oltre confini che non tengono più, è qualcosa di dirompente nel panorama mediorientale, comprensibilmente preoccupante per qualsiasi potere con mire di controllo o egemonia nell'area, e proprio perciò, per noi, tanto più interessante.","3 Settembre 2014","2014-09-08 19:44:33","Oltre le frontiere. La resistenza delle comunità federaliste e libertarie tra Siria e Iraq",1409771523,[64,173,174,175,176,177,178,179,180],"http://radioblackout.org/tag/is/","http://radioblackout.org/tag/jpg/","http://radioblackout.org/tag/jpy/","http://radioblackout.org/tag/pkk/","http://radioblackout.org/tag/pyd/","http://radioblackout.org/tag/rojava/","http://radioblackout.org/tag/siria/","http://radioblackout.org/tag/stati-uniti/",[17,27,33,31,182,29,22,19,183],"pkk","Stati Uniti",{"post_content":185},{"matched_tokens":186,"snippet":187,"value":188},[77,78],"massacri, le esecuzioni, i rapimenti \u003Cmark>di\u003C/mark> bambini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> venduti come schiavi, le pulizie","Mercoledì 3 settembre. La notizia della decapitazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un giornalista statunitense, il trentunenne Steven Sotloff occupa le prime pagine dei giornali, sia pure con enfasi minore rispetto alla decapitazione del collega James Foley, che metteva in scena per la prima volta, uno spettacolo comunicativo il cui obiettivo è ben al \u003Cmark>di\u003C/mark> là della minaccia agli Stati Uniti, per investire direttamente una più vasta platea internazionale, la stessa da cui provengono i miliziani dell'IS.\r\nLa coreografia (la tunica arancio che richiama le tute dei prigionieri \u003Cmark>di\u003C/mark> Guantanamo), la demolizione del mito del \"nero\" Obama e le sue promesse mancate, le minacce all'islam sciita, sono messaggi semplici ma potenti, capaci \u003Cmark>di\u003C/mark> dare forza all'immaginario dell'islam radicale.\r\nSui media main stream ci sono diversi attori: i feroci seguaci del califfo Al Baghdadi, i \"curdi\", \"l'imbelle\" governo iracheno. Più sullo sfondo il regime dell'alawita Bashar el Hassad, contro il quale gli Stati Uniti hanno armato le formazioni islamiste che concorrono alla conquista del paese, il maggior sponsor \u003Cmark>di\u003C/mark> Hassad, la Russia putiniana, la Turchia che ha finanziato l'Is.\r\nIl termine \"curdi\" nasconde più \u003Cmark>di\u003C/mark> quanto non riveli. I curdi \u003Cmark>di\u003C/mark> cui narrano i media nostrani - diversa è l'informazione negli stessi Stati Uniti - sono quelli della zona dell'Iraq sotto il controllo del PDK \u003Cmark>di\u003C/mark> Mas’ud Barzani, alleati con gli Stati Uniti, e \"naturali\" destinatari delle armi promesse anche dal governo italiano.\r\nMai entrate nella scena mediatica le formazioni guerrigliere del Rojava (Siria nord orientale) protagoniste della controffensiva che ha liberato numerose zone occupate dell'IS, che, curiosamente, ha interrotto la propria marcia su Baghdad per attaccare le zone curde controllate dalle formazioni libertarie, federaliste e femministe del Rojava e \u003Cmark>di\u003C/mark> alcune zone dello stesso Iraq.\r\nNon per caso nel mirino dell'IS è entrato il campo profughi \u003Cmark>di\u003C/mark> Makhmur, che da vent'anni ospita curdi sfuggiti alle persecuzioni contro il PKK in Turchia.\r\n\r\nPer capirne \u003Cmark>di\u003C/mark> più ne abbiamo parlato con Daniele Pepino, un compagno che conosce bene le zone curde che stanno sperimentando il confederalismo democratico.\r\n\r\nAscolta l'intervista:\r\n\r\n2014 09 03 daniele guerra is pkk\r\n\r\n\u003Cmark>Di\u003C/mark> seguito un lungo articolo \u003Cmark>di\u003C/mark> Daniele che ci fornisce il lessico essenziale per meglio capire la partita che si sta giocando tra Siria, Iraq. E non solo.\r\nPer la prima volta da decenni il percorso intrapreso in Rojavà narra una storia che apre prospettive che vanno ben al \u003Cmark>di\u003C/mark> là delle montagne curde.\r\n\r\nLe notizie dal Vicino e Medio Oriente si susseguono a un ritmo incalzante. Il Kurdistan si trova, ancora una volta, nell’occhio del ciclone, dilaniato dall’esplodere delle tensioni tra le potenze regionali che si spartiscono il suo territorio.\r\n\r\nNon è semplice, in un simile scenario, fornire un quadro della situazione che non sia immediatamente superato dall’incedere degli eventi. I quintali \u003Cmark>di\u003C/mark> notizie, parole, immagini, vomitati dai mass media, invece \u003Cmark>di\u003C/mark> chiarire la complessità dello scenario mediorientale, contribuiscono a spargere una confusione che è tutt’altro che casuale.\r\n\r\nPerciò ci sembra prioritario – nei limiti \u003Cmark>di\u003C/mark> quanto è possibile fare in un breve articolo – provare a fornire qualche strumento interpretativo utile a comprendere le dinamiche in corso con uno sguardo \u003Cmark>di\u003C/mark> più lungo periodo rispetto alla cronaca emergenziale del giorno dopo giorno.\r\n\r\nDa un lato, è necessario ricordare come quel che accade in Kurdistan (e più in generale in Medio Oriente) sia sempre, anche, il precipitato dell’interazione \u003Cmark>di\u003C/mark> forze esterne, a cominciare dagli Stati che ne occupano il territorio, ossia la Turchia, la Siria, l’Iraq e l’Iran (a loro volta, peraltro, veicoli \u003Cmark>di\u003C/mark> uno scontro \u003Cmark>di\u003C/mark> interessi su scala mondiale).\r\n\r\nDall’altro, è bene sottolineare come ciò non precluda l’esistenza \u003Cmark>di\u003C/mark> specifiche dinamiche locali, le quali, anzi, dimostrano sempre più spesso come proprio questi momenti \u003Cmark>di\u003C/mark> crisi e disfacimento possano rappresentare le crepe da cui emergono nuovi percorsi \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia, rivolta e protagonismo popolare.\r\n\r\nL’immagine costruita dal discorso mediatico dominante racconta, sostanzialmente, \u003Cmark>di\u003C/mark> una folle guerra \u003Cmark>di\u003C/mark> fanatici terroristi musulmani contro i quali l’Occidente è costretto a intervenire (per ragioni umanitarie, ça va sans dire!) appoggiando le uniche forze al momento in grado \u003Cmark>di\u003C/mark> opporvisi, ovvero “i curdi”. Per fornire qualche antidoto alle ambiguità e ai silenzi che caratterizzano tale ricostruzione, ci pare utile, in primo luogo, delineare chi sono realmente le forze in campo, cosa rappresentano, quali identità e progettualità incarnano (in particolare nel campo curdo). In secondo luogo [nella prossima “puntata”], proveremo a sondare i percorsi \u003Cmark>di\u003C/mark> autonomia popolare che nonostante tutto – compresa una censura mediatica impressionante – resistono e rappresentano una forza \u003Cmark>di\u003C/mark> rottura per niente trascurabile (sia da un punto \u003Cmark>di\u003C/mark> vista politico che militare), in particolare nel Kurdistan siriano (Rojava). Infine, cercheremo \u003Cmark>di\u003C/mark> abbozzare qualche riflessione \u003Cmark>di\u003C/mark> portata più generale sul senso degli eventi in corso\r\n\r\nGli attori in campo\r\n15 agosto 2014. Le televisioni del mondo intero riportano con orrore i massacri, le esecuzioni, i rapimenti \u003Cmark>di\u003C/mark> bambini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> venduti come schiavi, le pulizie etniche e le angherie \u003Cmark>di\u003C/mark> ogni tipo dispiegate dalle bande dello “Stato Islamico” (I.S.) in nord Iraq contro minoranze religiose e oppositori, ad esempio contro i curdi yezidi a Sinjar (Şengal in curdo). Tale escalation \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza settaria sarebbe, ufficialmente, all’origine del sostegno militare che Stati Uniti ed Europa si apprestano a fornire (apertamente) “ai curdi” – dopo averlo fornito a lungo (dietro le quinte) alle milizie “jihadiste”. Peccato però che l’espressione “i curdi” non significhi nulla, essendo “i kurds_mapcurdi” una realtà nient'affatto omogenea. Oltre al fatto – tutt’altro che trascurabile – che il popolo curdo è diviso da circa un secolo dalle frontiere artificiali \u003Cmark>di\u003C/mark> Turchia, Siria, Iraq e Iran, nel movimento curdo si sovrappongono, com’è ovvio che sia, profonde divisioni che hanno origini storiche, linguistiche, tribali, religiose, oltre che contrapposizioni politiche talvolta laceranti e foriere \u003Cmark>di\u003C/mark> conflitti anche armati. Quando, dunque, gli Stati Uniti parlano \u003Cmark>di\u003C/mark> “armare i curdi”, si riferiscono ovviamente ai loro alleati sul campo, ovvero ai filo-americani del PDK, e non certo ai “terroristi” del PKK e ai suoi alleati. E ciò anche se, come emerge sempre più chiaramente dalle fonti sul campo e dalle testimonianze dei sopravvissuti, ad accorrere per aiutare le minoranze aggredite e a organizzare la resistenza armata contro le bande paramilitari \u003Cmark>di\u003C/mark> I.S., sono stati proprio quelli che Washington e Bruxelles definiscono “terroristi”, e non i miliziani fedeli a PDK e USA, i quali hanno invece lasciato campo libero all’avanzata \u003Cmark>di\u003C/mark> I.S., sostanzialmente spartendosi le spoglie del territorio abbandonato dallo squagliarsi dell’esercito \u003Cmark>di\u003C/mark> Baghdad. Del resto, anche i tanto decantati quanto limitati bombardamenti finora sferrati dagli Stati Uniti non sembrano proprio avere l’obbiettivo \u003Cmark>di\u003C/mark> stroncare le forze “islamiste”, quanto piuttosto quello \u003Cmark>di\u003C/mark> contenerle e indirizzarle (altrimenti, con le tecnologie e le informazioni in mano all’aviazione USA, sarebbe stato un “gioco da ragazzi” annientarne le postazioni e le colonne nel campo aperto del deserto iracheno).\r\n\r\nÈ proprio per cercare \u003Cmark>di\u003C/mark> dissipare tali ambiguità che riportiamo qui \u003Cmark>di\u003C/mark> seguito, in modo inevitabilmente sintetico e schematico, una descrizione delle organizzazioni coinvolte a vario titolo nel conflitto in corso, una sorta \u003Cmark>di\u003C/mark> glossario per aiutare a districarsi nella confusione mediatica.\r\n\r\nPKK – Partito dei lavoratori del Kurdistan (Turchia). Le sue ali militari sono: HPG (Forze \u003Cmark>di\u003C/mark> difesa del popolo) e YJA-Star (Unità delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> libere - Star). Opera nel Kurdistan settentrionale (in curdo “Bakûr”, sud-est della Turchia) da oltre trent’anni, per sostenere l’autodeterminazione e la stessa sopravvivenza del popolo curdo contro l’occupazione militare da parte dello Stato turco. È stato inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata da USA ed Europa. Dagli anni Novanta, in particolare grazie all’elaborazione teorica del suo presidente Abdullah Öcalan (tuttora detenuto nell’isola-prigione \u003Cmark>di\u003C/mark> Imrali in Turchia), il PKK ha superato l’originaria ideologia nazionalista e marxista-leninista attraverso una radicale critica degli stessi concetti \u003Cmark>di\u003C/mark> Stato, Nazione, Partito, e abbandonando l’obiettivo della costruzione \u003Cmark>di\u003C/mark> uno Stato curdo indipendente. La sua proposta politica, denominata Confederalismo democratico, auspica la costruzione \u003Cmark>di\u003C/mark> una federazione \u003Cmark>di\u003C/mark> comunità autogovernantisi al \u003Cmark>di\u003C/mark> là dei confini nazionali, religiosi, etnici, le cui colonne portanti sono la partecipazione dal basso, la parità \u003Cmark>di\u003C/mark> genere e il rispetto della natura. Il suo esercito \u003Cmark>di\u003C/mark> guerriglia (HPG e YJA-Star) conta diverse migliaia \u003Cmark>di\u003C/mark> uomini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> nelle montagne del sud-est della Turchia (sui confini con Siria, Iraq e Iran) e sui monti Qandil in territorio iracheno. Attualmente in un precario cessate il fuoco unilaterale con la Turchia, è impegnato nel sostegno dei propri fratelli in Siria (Rojava) e nella difesa della popolazione civile in Iraq contro I.S.\r\n\r\nPYD – Partito dell’unione democratica (Siria). Le sue ali militari sono: YPG (Unità \u003Cmark>di\u003C/mark> difesa popolare) e YPJ (Unità \u003Cmark>di\u003C/mark> difesa delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>). È il partito maggioritario nel Kurdistan occidentale (“Rojava”, Siria del nord). Stretto alleato del PKK, sia dal punto \u003Cmark>di\u003C/mark> vista militare che politico, ne condivide la proposta del Confederalismo democratico, prospettiva che sta concretizzando nei territori del Rojava. Qui, dall’insurrezione contro il regime siriano, non si è schierato né con il regime \u003Cmark>di\u003C/mark> Al-Assad né con i “ribelli siriani”, praticando una “terza via” consistente nel liberare e difendere il proprio territorio per amministrarlo, insieme agli altri partiti e realtà della società civile non solo curda, in una sorta \u003Cmark>di\u003C/mark> “democrazia cantonale dal basso”. La sua forza militare (YPG e YPJ) oltre a difendere il Rojava da chiunque l’attacchi (lealisti \u003Cmark>di\u003C/mark> Al-Assad, “ribelli” siriani, I.S. e “jihadisti” vari) ha recentemente operato in territorio iracheno contro i tentativi \u003Cmark>di\u003C/mark> pulizia etnica \u003Cmark>di\u003C/mark> I.S. – in particolare nelle aree \u003Cmark>di\u003C/mark> Sinjar, Makhmour (Maxmur, in curdo) –, soccorrendo la popolazione in fuga e organizzando anche lì, come in Siria, una resistenza armata \u003Cmark>di\u003C/mark> autodifesa popolare.\r\n\r\nKCK – Raggruppamento delle comunità del Kurdistan. È il coordinamento che raggruppa i vari partiti e organizzazioni della società civile delle quattro parti del Kurdistan per portare avanti il progetto del Confederalismo democratico. Oltre a PKK e PYD, ne fanno parte anche il PÇDK (Iraq) e il PJAK (Iran).\r\n\r\nPÇDK – Partito della soluzione democratica in Kurdistan (Iraq), per il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq); forza attualmente minoritaria anche a causa della repressione che subisce da parte del governo regionale del PDK.\r\n\r\nPJAK – Partito della vita libera del Kurdistan (Iran), per il Kurdistan orientale (“Rojhelat”, nord-ovest dell’Iran). La sua ala militare è composta dalle HRG (Forze \u003Cmark>di\u003C/mark> difesa del Kurdistan orientale) e quella femminile dall’YJRK (Unione delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> del Kurdistan orientale), le cui forze sono anch’esse attualmente impegnate nella resistenza contro l’I.S. in Iraq e in Rojava.\r\n\r\nPDK – Partito democratico del Kurdistan (Iraq). È il partito \u003Cmark>di\u003C/mark> Mas’ud Barzani, che governa il Kurdistan meridionale (“Başûr”, nord Iraq), divenuto regione autonoma (KRG) in seguito all’invasione americana del 2003 e alla caduta del regime \u003Cmark>di\u003C/mark> Saddam Hussein. La famiglia Barzani, leader storici del movimento nazionalista curdo, governa \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto la regione come un proprio feudo, rappresentando una vera e propria mafia del petrolio, in grado \u003Cmark>di\u003C/mark> garantire l’ordine nella regione e perciò sostenuta e armata dagli Stati Uniti, oltre che da Israele e Turchia (con cui ha importanti rapporti economici e a cui vende il petrolio). L’ala militare del PDK è formata dai «peshmerga», in parte integrati nell’esercito regolare iracheno, ma soprattutto nelle milizie che costituiscono le forze \u003Cmark>di\u003C/mark> sicurezza del KRG (Governo regionale del Kurdistan). La politica nazionalista e filo-americana del PDK è radicalmente in contrasto con le posizioni \u003Cmark>di\u003C/mark> PKK, PYD, KCK, in quanto principale stampella del neo-colonialismo e della balcanizzazione del Medio Oriente. \u003Cmark>Di\u003C/mark> fronte all’offensiva \u003Cmark>di\u003C/mark> I.S., i peshmerga \u003Cmark>di\u003C/mark> Barzani si sono distinti per una politica opportunista, che non ha sostanzialmente ostacolato l’avanzata \u003Cmark>di\u003C/mark> I.S. (fortemente sponsorizzata – tra gli altri – dall’amica Turchia) fino a quando non ha toccato i propri interessi, e anzi approfittando del conseguente indebolimento del governo centrale iracheno per allargare i confini del Kurdistan federale (ad esempio occupando la città petrolifera \u003Cmark>di\u003C/mark> Kirkuk quando I.S. occupava \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>). Molteplici testimonianze dei civili scampati ai massacri \u003Cmark>di\u003C/mark> I.S., in particolare a Sinjar e a Makhmour, riferiscono \u003Cmark>di\u003C/mark> essere stati abbandonati dai miliziani \u003Cmark>di\u003C/mark> Barzani e \u003Cmark>di\u003C/mark> essersi salvati soltanto grazie all’intervento dei guerriglieri del PKK e del PYD. Diversi analisti inoltre – a proposito dell’immobilismo dei peshmerga del PDK – hanno sottolineato il fatto che mentre le forze del PKK dagli anni Ottanta non hanno mai smesso \u003Cmark>di\u003C/mark> combattere e \u003Cmark>di\u003C/mark> addestrarsi alla guerriglia, le truppe \u003Cmark>di\u003C/mark> Barzani, a oltre dieci anni dalla caduta \u003Cmark>di\u003C/mark> Saddam Hussein, si sono trasformate in un apparato burocratico \u003Cmark>di\u003C/mark> impiegati più che \u003Cmark>di\u003C/mark> guerriglieri.\r\n\r\n«Peshmerga». Significa genericamente «guerrigliero» o «soldato» curdo, ed è quindi il termine che, storicamente, definisce ogni combattente del Kurdistan. Col tempo però (con la formazione \u003Cmark>di\u003C/mark> un governo de facto nel nord Iraq e le profonde spaccature nel movimento curdo) questo termine è andato a definire in modo specifico i miliziani del PDK \u003Cmark>di\u003C/mark> Barzani, come quelli del PUK \u003Cmark>di\u003C/mark> Talabani, \u003Cmark>di\u003C/mark> Gorran e degli altri partiti curdi d’Iraq, mentre i partigiani del PKK o del PYD preferiscono definirsi col nome delle proprie organizzazioni (o “gerîlla”, “partîzan”…). La genericità del termine «peshmerga» comunque rimane, ed è anche sulla sua ambiguità che si è costruita molta della confusione diffusa dai media internazionali.\r\n\r\nIn campo avverso, tra i protagonisti del conflitto in corso, il califfato fondato da Abu Bakr Al-Baghdadi nei territori del Bilad ash Sham (a cavallo tra Siria e Iraq) si è ormai affermato come una vera e propria potenza militare, fondata sul terrore nei confronti delle popolazioni civili e dotata \u003Cmark>di\u003C/mark> una forza paramilitare più simile a un esercito mercenario che non a una “tradizionale” organizzazione “jihadista”.\r\n\r\nI.S. – Stato islamico. Nasce dall’arcipelago della resistenza islamista sunnita contro l’occupazione americana dell’Iraq nel 2003, nello specifico dal gruppo “Al-Tawḥīd wa-al-Jihād” fondato dal giordano Abu Musab Al-Zarkawi (ucciso da un bombardamento USA nel 2006), poi divenuto Al Qaida in Iraq (AQI), poi Stato islamico in Iraq (ISI), in Siria (ISIS) e infine Stato islamico (IS). Ha praticato fin dagli esordi una politica ferocemente settaria, attaccando principalmente gli sciiti e le altre minoranze dell’area (ragione del disaccordo e delle continue frizioni con la dirigenza \u003Cmark>di\u003C/mark> Al Qaida), riuscendo a serrare le fila sunnite con migliaia \u003Cmark>di\u003C/mark> militanti soprattutto stranieri (dimostrando una capacità \u003Cmark>di\u003C/mark> attrattiva effettivamente internazionale). Nello scenario della guerra civile siriana, si è distinto per la ferocia dei suoi attacchi (e non solo contro le forze lealiste ma anche e soprattutto contro ogni fazione rivale del fronte dei “ribelli”) riuscendo a imporsi, dal 2013, come principale kurds_vs_Isisforza del campo fondamentalista sunnita (scalzando anche Jabat Al Nusra, ovvero il referente \u003Cmark>di\u003C/mark> Al Qaida in Siria). Qui controlla ormai diverse aree nel nord e nell’est del Paese, in particolare nelle zone petrolifere e lungo il corso dell’Eufrate, in guerra aperta contro le forze curde del Rojava. Nel 2014 incomincia l’avanzata in Iraq, dove trova l’appoggio \u003Cmark>di\u003C/mark> diverse forze sunnite emarginate e represse dal governo iracheno, il cui esercito a luglio si ritira disordinatamente abbandonando nelle mani dell’I.S. un vero e proprio arsenale (tra cui fucili M4 e M16, lanciagranate, visori notturni, mitragliatrici, artiglieria pesante, missili terra-aria Stinger e Scud, carri armati, veicoli corazzati Humvies, elicotteri Blackhawks, aerei cargo…). È così che l’I.S., sotto la guida \u003Cmark>di\u003C/mark> Abu Bakr Al-Baghdadi, si costituisce in Califfato, strutturandosi \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto come un nuovo Stato che riscuote le tasse, paga i suoi miliziani e dipendenti, amministra centrali elettriche, depositi \u003Cmark>di\u003C/mark> grano, dighe, pozzi petroliferi, affrancandosi così anche dalla dipendenza da finanziamenti \u003Cmark>di\u003C/mark> Stati stranieri.\r\n\r\nIn questa rapida escalation dello Stato Islamico, l’appoggio logistico, economico, militare fornitogli dalla Turchia perlomeno dall’inizio della “crisi” del regime siriano, insieme all’atteggiamento delle milizie peshmerga \u003Cmark>di\u003C/mark> Barzani, e alla “vigile distanza” degli USA, potrebbero far sorgere ai più malfidenti qualche sospetto sull’esistenza \u003Cmark>di\u003C/mark> un disegno pro I.S. condiviso da tale “asse”. Ciò anche senza scomodare le voci secondo cui il califfo Al-Baghdadi (che risulta essere stato in un campo \u003Cmark>di\u003C/mark> prigionia statunitense in Iraq dal 2004 al 2009, per poi esserne rilasciato ed assumere la leadership \u003Cmark>di\u003C/mark> ISIS in seguito all'uccisione del precedente leader da parte \u003Cmark>di\u003C/mark> forze statunitensi) sarebbe stato addestrato da Mossad, CIA e MI6. Anche senza bisogno \u003Cmark>di\u003C/mark> perdersi nelle immancabili elucubrazioni su complotti e cospirazioni a tavolino, non è affatto impensabile un’alleanza \u003Cmark>di\u003C/mark> fatto, una convergenza \u003Cmark>di\u003C/mark> interessi (che si saldano nel sollecitare alcune dinamiche, nel non ostacolarne altre…) tra Turchia, USA, PDK (oltre ad Arabia saudita, Qatar…), per “suscitare” e impiantare una presenza fondamentalista sunnita nel cuore del Medio Oriente (uno nuovo Stato, o un Califfato, o un territorio in guerra permanente...) in funzione anti Iran (e dunque anti Al-Assad, Hezbollah… e Russia); qualcosa che – già che c’è – vada a spezzare sul campo ogni tentativo \u003Cmark>di\u003C/mark> rivolta, \u003Cmark>di\u003C/mark> autogoverno, \u003Cmark>di\u003C/mark> gestione diretta, e diversa, del territorio…\r\n\r\nUna controrivoluzione preventiva, insomma, contro quella resistenza popolare che costituisce oggi (fuori dalle menzogne della propaganda) l'unica vera resistenza sul campo contro lo Stato Islamico; una resistenza che vede in prima fila le milizie autorganizzate dalle \u003Cmark>donne\u003C/mark>, e in cui stanno confluendo gli abitanti delle regioni sotto attacco rompendo le divisioni etniche, religiose, culturali, in una prospettiva politica che assume un significato universale... Questo movimento, che partendo dai curdi \u003Cmark>di\u003C/mark> Rojava rischia \u003Cmark>di\u003C/mark> dilagare oltre confini che non tengono più, è qualcosa \u003Cmark>di\u003C/mark> dirompente nel panorama mediorientale, comprensibilmente preoccupante per qualsiasi potere con mire \u003Cmark>di\u003C/mark> controllo o egemonia nell'area, e proprio perciò, per noi, tanto più interessante.",[190],{"field":114,"matched_tokens":191,"snippet":187,"value":188},[77,78],1733921019569111000,{"best_field_score":194,"best_field_weight":159,"fields_matched":26,"num_tokens_dropped":48,"score":195,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"2216192704512","1733921019569111153",{"document":197,"highlight":230,"highlights":236,"text_match":239,"text_match_info":240},{"cat_link":198,"category":199,"comment_count":48,"id":200,"is_sticky":48,"permalink":201,"post_author":51,"post_content":202,"post_date":203,"post_excerpt":54,"post_id":200,"post_modified":204,"post_thumbnail":205,"post_thumbnail_html":206,"post_title":207,"post_type":59,"sort_by_date":208,"tag_links":209,"tags":220},[45],[47],"40535","http://radioblackout.org/2017/02/un-anarchico-torinese-combatte-lisis-in-siria/","L’Antifascist Internationalist Tabur, il Battaglione Antifascista Internazionalista, si costituisce ufficialmente il 20 novembre dello scorso anno. La scelta della data non è casuale, perché coincide con l’ottantesimo anniversario della morte in combattimento dell’anarchico Buenaventura Durruti.\r\nI miliziani internazionali, anche prima della nascita dell’AIT, hanno pagato un forte tributo di sangue. La morte, durante un bombardamento dell’aviazione turca, di Robin e Zana, un anarchico e un comunista, ci viene raccontata con emozione da P. P., un compagno anarchico torinese, dell’Antifa Tabur. “Il loro ricordo ci è stato di sprone nelle tre settimane di gennaio, passate sul fronte di Al Bab.”\r\nP. P. combatte in Siraq – il territorio tra Siria e Iraq – conquistato dall’Isis, conteso dalle maggiori potenze mondiali, tra le quali le milizie del Rojava, ora Confederazione Democratica della Siria del Nord. I miliziani dell’AIT sostengono in armi la lotta della rivoluzione democratica, femminista, internazionalista e non capitalista che, pur tra mille difficoltà, non ultima quella di non farsi schiacciare da nemici ed “amici”, cerca di sopravvivere.\r\n\r\nAlcuni dei membri di quella che diverrà l’AIT avevano partecipato alla durissima battaglia di Manbij. Oggi l’Antifa Tabur partecipa alla campagna per la presa di Raqqa. Il compagno ci racconta dei tanti arabi che si stanno unendo alle milizie del Rojava, dei villaggi abitati da popolazioni arabe, che li accolgono come liberatori. Ci parla dell’ingresso in un paese, dove una donna che si è tolta il velo, liberando i propri capelli, gli rivolge la parola per avere informazioni. Proprio a lui, uomo e straniero. Alle nostre latitudini può parere banale ma nella Siria sotto il dominio dell’Isis e del retaggio patriarcale mai sopito, non lo è affatto. È il segno di quanto i processi rivoluzionari possano accelerare percorsi di libertà in zone dove la sottomissione è ancora la norma cui sono sottoposte le vite delle donne. L’esempio delle milizie femminili, delle donne in armi, spezza l’immaginario e da forza a tutti e tutte.\r\n\r\nAscoltate la lunga chiacchierata con P.:\r\n2017 02 21 pachi siria\r\n\r\nDi seguito un documento dell’AIT sulla situazione in Siraq, fattoci pervenire da P.:\r\n“Rojava: una Rivoluzione in cammino tra ISIS e Turchia\r\nLa liberazione della città Taly Abihad/Gire Spi ha permesso la storica unione dei due cantoni di Kobane e Cizire, ha troncato la famigerata (ma non unica) autostrada della jihad tra gli allora alleati Turchia e ISIS ed ha contemporaneamente impresso una forte accelerazione alla rivoluzione del Rojava. Anche nel 2016, l'anno appena trascorso, molta e' stata la strada percorsa dai popoli che abitano le terre del Nord della Siria. Il doppio binario sul quale si muove la Rivoluzione e' costituito da un lato dall'unione con Efrin, il terzo cantone più occidentale del Rojava e dall'altro dall'attacco a Raqqa la capitale del sedicente Stato Islamico. Per quanto concerne il primo obbiettivo, la liberazione territoriale ha ormai superato le acque del fiume Eufrate con la sanguinosa battaglia di Mambij. Tutte le battaglie sono sanguinose per definizione ma il prezzo pagato dalle compagne e dai compagni è stato particolarmente alto.\r\nConsiderando tutti gli stati che si stanno combattendo direttamente o per procura nel Siraq (il territorio della Siria e dell'Iraq dal confine ormai polverizzato dalla guerra) quella che sta avvenendo in queste terre é de facto una micro Guerra mondiale con alleanze variabili. I nemici della Rivoluzione del Rojava non mancano ma sicuramente il più accanito si chiama Recep Tayp Erdogan, l’attuale presidente della Turchia.\r\nLa politica neo-ottomana della Turchia prevedeva l'espansione sia nel Nord dell'Iraq che nel Nord della Siria contestualmente all'eliminazione di Bashar Al Assad. Per questo progetto imperialista la Rivoluzione del Rojava a forte trazione curda è un incubo strategico: sia perché l'unione territoriale dei tre cantoni Efrin, Kobane e Cizire sigillerebbe il confine turco ponendo fine a qualunque obbiettivo siriano, sia perché il radicamento del confederalismo democratico rappresenta un temibile esempio ed una stabile sponda per i 15 milioni di curdi del Bakur, il Kurdistan turco. La campagna imperialista dello stato turco non sta dando buoni frutti: in Iraq la coalizione per l'assedio a Mosul ha fortemente osteggiato la forza militare turca e l'ha esautorata dall'operazione. Ora Erdogan grazie al suo utile alleato Masud Barzani, presidente del KRG (Kurdistan Regional Governament), il governo regionale del Kurdistan nell'Iraq del Nord, preme su Shengal ed i territori Yazidi cercando di piazzarsi sul confine orientale del Rojava tagliandone le uniche linee di approvvigionamento.\r\nNell'estate del 2016 con un grande tripudio di fanfare e tromboni e' partita l'operazione \"scudo dell'Eufrate\" \"per combattere i terroristi dell'ISIS ed i terroristi curdi dello YPJ/YPG”, secondo la propaganda del governo turco.\r\n\r\nMettendo piede in Siria l'esercito turco ha dato il via all' avventura espansionistica di Erdogan, sancendo un cambio di posizionamento nello scacchiere delle nazioni che si stanno scontrando qui. La Turchia da alleata e sponsor sunnita dell'altrettanto sunnita ISIS e dalla guerra per procura è passata alla guerra in prima linea contro i Daesh (l'acronimo arabo per ISIS), gli amici di ieri.\r\n\r\nI militari turchi, per contrastare l'unione territoriale della Confederazione Democratica della Siria del Nord, denominazione ufficiale della Rivoluzione del Rojava che rappresenta l'alleanza multietnica tra curdi, arabi, assiri, circassi, turkmeni, ecc., hanno prima ottenuto la città di Jarablus, tramite un accordo con l'ISIS e hanno bombardato e colpito duramente la popolazione del cantone di Efrin ed i villaggi intorno Manbiji, spingendosi poi velocemente a sud verso Aleppo, città cardine della Siria.\r\nNon riuscendo ad ottenere risultati con l'FSA, (Free Siryan Army) l'esercito siriano libero, in realtà ormai milizie sotto il comando turco, è stato siglato un patto tra Russia e Turchia, leggi Vladimir Putin e Recep Erdogan. L'FSA e la Turchia hanno lasciato Aleppo ai governativi di Assad, presidente della Siria-filoiraniano ed ormai pedina della Russia, in cambio della completa libertà di azione su Al Bab, attualmente in mano all'ISIS. Al Bab è la città principale che separa ancora Efrin dagli altri due cantoni, per questo motivo l'avanzata delle forze democratiche della Siria si è per ora fermata a meno di 40 chilometri dall'unione. Le notizie che ci arrivano dal fronte di Al Bab raccontano di una battaglia senza sosta tra esercito turco ed Isis e di continui bombardamenti aerei e di artiglieria da terra ma, dopo più di un mese di scontri, le forze turche non sono ancora neanche riuscite a mettere piede nella città di Al Bab.\r\n\r\nUn'altro elemento non trascurabile nello scacchiere del Siraq è stato l'accordo siglato il dicembre scorso tra Russia Iran e Turchia per la spartizione della Siria. Tale accordo prevede una tregua tra le parti che sta sostanzialmente tenendo per la prima volta dai precedenti tentativi dell'ONU; rappresenta inoltre un anticipo per un futuro smembramento del territorio siriano. Da questo triplice accordo sono state escluse le forze rivoluzionarie del Rojava, equiparate all' ISIS, e gli Stati Uniti d'America dopo il tramonto della gestione Obama ed a pochi giorni dall' insediamento del neo presidente eletto Donald Trump (avvenuto il 20 gennaio). Cosa comporterà e quali ricadute avrà la nuova gestione a marchio repubblicano resta ancora un’incognita.\r\n\r\nPer quanto riguarda il secondo obbiettivo della Rivoluzione confederale l'operazione Raqqa, denominata \"Operazione Ira dell'Eufrate\", è partita nel novembre scorso. L'assedio della capitale Daesh con una manovra a tenaglia sta procedendo lentamente ma senza pause villaggio dopo villaggio. L'ultima postazione rilevante liberata è stata quella della cittadina e del castello di Jabar sul cosiddetto lago di Assad. Per quanto riguarda la Turchia non possiamo non ricordare la brutale repressione del popolo curdo nel Bakur e non solo e la sistematica soppressione di qualunque voce discordante nei confronti del capo di stato Erdogan. Sarebbe troppo riduttivo parlarne qui e per questo motivo rimandiamo ad un successivo apposito comunicato sull’argomento.\r\n\r\nMentre il coraggio ed il sacrificio delle Unità di Protezione del Popolo e delle Donne consolidano ed ampliano gli orizzonti della confederazione democratica della Siria del Nord, la società civile sta cambiando, rivoluzionando se stessa anche in tempo di guerra, grazie all'impegno portato avanti negli anni dalle compagne e dai compagni. Molta strada resta da percorrere ma il modello politico confederale, interetnico ed interreligioso, l'utilizzo non capitalistico delle risorse naturali e la Rivoluzione della donna, vera punta di diamante per recidere i lacci di una società patriarcale conservatrice di stampo tribale, rappresentano un patrimonio dell'umanità da difendere, se necessario, anche con le armi.\r\n\r\nCi siamo uniti a questa Rivoluzione in cammino per difendere e diffondere questi valori che crediamo universali.\r\nSilav û rezen soresgeri.\r\n\r\nA.I.T. -Antifascist Internationalist Tabur\r\nBattaglione Antifascista Internazionalista”","22 Febbraio 2017","2017-02-25 00:17:46","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/antifascist-tabur-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/antifascist-tabur-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/antifascist-tabur-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/antifascist-tabur-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/antifascist-tabur-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/antifascist-tabur.jpg 1200w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Un anarchico torinese combatte l’ISIS in Siria",1487751589,[210,211,212,213,214,215,65,216,217,218,179,219],"http://radioblackout.org/tag/ait/","http://radioblackout.org/tag/anarchico-torinese/","http://radioblackout.org/tag/antifascist-tabur/","http://radioblackout.org/tag/battaglione-antifascista-internazionale/","http://radioblackout.org/tag/durruti/","http://radioblackout.org/tag/erdogan/","http://radioblackout.org/tag/membij/","http://radioblackout.org/tag/raqqa/","http://radioblackout.org/tag/siraq/","http://radioblackout.org/tag/turchia/",[221,222,223,224,225,226,15,227,228,35,19,229],"ait","anarchico torinese","antifascist tabur","battaglione antifascista internazionale","durruti","Erdogan","membij","raqqa","Turchia",{"post_content":231},{"matched_tokens":232,"snippet":234,"value":235},[77,233],"Donne","ed il sacrificio delle Unità \u003Cmark>di\u003C/mark> Protezione del Popolo e delle \u003Cmark>Donne\u003C/mark> consolidano ed ampliano gli orizzonti","L’Antifascist Internationalist Tabur, il Battaglione Antifascista Internazionalista, si costituisce ufficialmente il 20 novembre dello scorso anno. 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Ora Erdogan grazie al suo utile alleato Masud Barzani, presidente del KRG (Kurdistan Regional Governament), il governo regionale del Kurdistan nell'Iraq del Nord, preme su Shengal ed i territori Yazidi cercando \u003Cmark>di\u003C/mark> piazzarsi sul confine orientale del Rojava tagliandone le uniche linee \u003Cmark>di\u003C/mark> approvvigionamento.\r\nNell'estate del 2016 con un grande tripudio \u003Cmark>di\u003C/mark> fanfare e tromboni e' partita l'operazione \"scudo dell'Eufrate\" \"per combattere i terroristi dell'ISIS ed i terroristi curdi dello YPJ/YPG”, secondo la propaganda del governo turco.\r\n\r\nMettendo piede in Siria l'esercito turco ha dato il via all' avventura espansionistica \u003Cmark>di\u003C/mark> Erdogan, sancendo un cambio \u003Cmark>di\u003C/mark> posizionamento nello scacchiere delle nazioni che si stanno scontrando qui. La Turchia da alleata e sponsor sunnita dell'altrettanto sunnita ISIS e dalla guerra per procura è passata alla guerra in prima linea contro i Daesh (l'acronimo arabo per ISIS), gli amici \u003Cmark>di\u003C/mark> ieri.\r\n\r\nI militari turchi, per contrastare l'unione territoriale della Confederazione Democratica della Siria del Nord, denominazione ufficiale della Rivoluzione del Rojava che rappresenta l'alleanza multietnica tra curdi, arabi, assiri, circassi, turkmeni, ecc., hanno prima ottenuto la città \u003Cmark>di\u003C/mark> Jarablus, tramite un accordo con l'ISIS e hanno bombardato e colpito duramente la popolazione del cantone \u003Cmark>di\u003C/mark> Efrin ed i villaggi intorno Manbiji, spingendosi poi velocemente a sud verso Aleppo, città cardine della Siria.\r\nNon riuscendo ad ottenere risultati con l'FSA, (Free Siryan Army) l'esercito siriano libero, in realtà ormai milizie sotto il comando turco, è stato siglato un patto tra Russia e Turchia, leggi Vladimir Putin e Recep Erdogan. L'FSA e la Turchia hanno lasciato Aleppo ai governativi \u003Cmark>di\u003C/mark> Assad, presidente della Siria-filoiraniano ed ormai pedina della Russia, in cambio della completa libertà \u003Cmark>di\u003C/mark> azione su Al Bab, attualmente in mano all'ISIS. Al Bab è la città principale che separa ancora Efrin dagli altri due cantoni, per questo motivo l'avanzata delle forze democratiche della Siria si è per ora fermata a meno \u003Cmark>di\u003C/mark> 40 chilometri dall'unione. Le notizie che ci arrivano dal fronte \u003Cmark>di\u003C/mark> Al Bab raccontano \u003Cmark>di\u003C/mark> una battaglia senza sosta tra esercito turco ed Isis e \u003Cmark>di\u003C/mark> continui bombardamenti aerei e \u003Cmark>di\u003C/mark> artiglieria da terra ma, dopo più \u003Cmark>di\u003C/mark> un mese \u003Cmark>di\u003C/mark> scontri, le forze turche non sono ancora neanche riuscite a mettere piede nella città \u003Cmark>di\u003C/mark> Al Bab.\r\n\r\nUn'altro elemento non trascurabile nello scacchiere del Siraq è stato l'accordo siglato il dicembre scorso tra Russia Iran e Turchia per la spartizione della Siria. Tale accordo prevede una tregua tra le parti che sta sostanzialmente tenendo per la prima volta dai precedenti tentativi dell'ONU; rappresenta inoltre un anticipo per un futuro smembramento del territorio siriano. Da questo triplice accordo sono state escluse le forze rivoluzionarie del Rojava, equiparate all' ISIS, e gli Stati Uniti d'America dopo il tramonto della gestione Obama ed a pochi giorni dall' insediamento del neo presidente eletto Donald Trump (avvenuto il 20 gennaio). Cosa comporterà e quali ricadute avrà la nuova gestione a marchio repubblicano resta ancora un’incognita.\r\n\r\nPer quanto riguarda il secondo obbiettivo della Rivoluzione confederale l'operazione Raqqa, denominata \"Operazione Ira dell'Eufrate\", è partita nel novembre scorso. L'assedio della capitale Daesh con una manovra a tenaglia sta procedendo lentamente ma senza pause villaggio dopo villaggio. L'ultima postazione rilevante liberata è stata quella della cittadina e del castello \u003Cmark>di\u003C/mark> Jabar sul cosiddetto lago \u003Cmark>di\u003C/mark> Assad. Per quanto riguarda la Turchia non possiamo non ricordare la brutale repressione del popolo curdo nel Bakur e non solo e la sistematica soppressione \u003Cmark>di\u003C/mark> qualunque voce discordante nei confronti del capo \u003Cmark>di\u003C/mark> stato Erdogan. Sarebbe troppo riduttivo parlarne qui e per questo motivo rimandiamo ad un successivo apposito comunicato sull’argomento.\r\n\r\nMentre il coraggio ed il sacrificio delle Unità \u003Cmark>di\u003C/mark> Protezione del Popolo e delle \u003Cmark>Donne\u003C/mark> consolidano ed ampliano gli orizzonti della confederazione democratica della Siria del Nord, la società civile sta cambiando, rivoluzionando se stessa anche in tempo \u003Cmark>di\u003C/mark> guerra, grazie all'impegno portato avanti negli anni dalle compagne e dai compagni. Molta strada resta da percorrere ma il modello politico confederale, interetnico ed interreligioso, l'utilizzo non capitalistico delle risorse naturali e la Rivoluzione della donna, vera punta \u003Cmark>di\u003C/mark> diamante per recidere i lacci \u003Cmark>di\u003C/mark> una società patriarcale conservatrice \u003Cmark>di\u003C/mark> stampo tribale, rappresentano un patrimonio dell'umanità da difendere, se necessario, anche con le armi.\r\n\r\nCi siamo uniti a questa Rivoluzione in cammino per difendere e diffondere questi valori che crediamo universali.\r\nSilav û rezen soresgeri.\r\n\r\nA.I.T. -Antifascist Internationalist Tabur\r\nBattaglione Antifascista Internazionalista”",[237],{"field":114,"matched_tokens":238,"snippet":234,"value":235},[77,233],1733921019166457900,{"best_field_score":241,"best_field_weight":159,"fields_matched":26,"num_tokens_dropped":48,"score":242,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"2216192507904","1733921019166457969",{"document":244,"highlight":258,"highlights":266,"text_match":271,"text_match_info":272},{"cat_link":245,"category":246,"comment_count":48,"id":247,"is_sticky":48,"permalink":248,"post_author":51,"post_content":249,"post_date":250,"post_excerpt":54,"post_id":247,"post_modified":251,"post_thumbnail":54,"post_thumbnail_html":54,"post_title":252,"post_type":59,"sort_by_date":253,"tag_links":254,"tags":256},[45],[47],"24176","http://radioblackout.org/2014/07/il-califfato-di-siria-e-iraq-e-la-resistenza-del-rojava/","La proclamazione del califfato nelle regioni controllate dall'Isis in Siria e Iraq, dopo i successi militari delle formazioni quaediste, rappresenta una sfida per tutti coloro che lottano per costruire un'alternativa alle derive confessionali delle primavere arabe, sottraendosi nel contempo al controllo di Stati Uniti e Russia nell'area.\r\nIl percorso intrapreso dalle popolazioni della Siria nord occidentale, il Rojava, zona abitata da curdi ma anche da altre minoranze, un percorso di democrazia radicale, basato sull'eguaglianza e sull'accesso egualitario alle risorse come ai processi decisionali, offre un modello, che l'Isis cerca di annegare nel sangue.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Daniele Pepino, attento osservatore delle lotte nelle diverse zone curde tra Siria, Turchia, Iraq e Iran, che ci ha proposto un'analisi politica e sociale, offrendo nel contempo spunti per lo sviluppo di percorsi di solidarietà internazionale.\r\n\r\nE' stata anche occasione per un commento del documento del Forum degli anarchici del Kurdistan dello scorso 18 giugno, di cui vi proponiamo alcuni stralci.\r\n\r\nAscolta la diretta con Daniele:\r\n\r\n2014 07 09 isis rojava daniele\r\n\r\nLa crisi in Iraq risale al regime di Saddam Hussein ed è proseguita con \"l'attuale regime democratico\" dopo l'invasione del 2003. Non c'era libertà, né giustizia sociale; nessuna uguaglianza e pochissime opportunità per coloro che erano indipendenti dai partiti al potere.\r\nOltre alle violenze ed alle discriminazioni contro le donne e la gente comune si è creata una forbice enorme tra i ricchi ed i poveri, con i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più\r\npoveri.La crisi in corso non è molto dissimile da quella precedente. Infatti non è che il protrarsi\r\ndella stessa situazione degli ultimi decenni. La sola differenza sta nei nomi e nella forza dei partiti al potere.\r\n\r\n(...)\r\n\r\nCiò che sta avvenendo in Iraq con \"lo Stato Islamico di Iraq e Levante (Siria), Isis\" non è ciò che viene dipinto dai media. Questi sono i fatti:\r\n\r\n1. L'avanzata di Isis è opera di una piccola minoranza aiutata dalle fazioni sunnite deluse\r\ndal governo sciita a Baghdad: si tratta dei capi tribali sunniti, di esponenti del partito Ba’ath, di ufficiali del vecchio esercito e di fazioni dell'insurrezione precedente, tutti insieme per vedere come dare scacco al primo ministro iracheno Nouri al-Maliki. Quando le truppe dell'Isis si sono messe in marcia verso Mosul, conquistando la terza città del paese, erano che meno di 2.000, mentre in città c'erano almeno 60.000 uomini tra poliziotti, soldati delle forze di intelligence e di sicurezza. Una forza molto ben equipaggiata con aerei da combattimento, carri armati e diversi tipi di armi speciali, ma questo esercito è collassato e si è volatilizzato di fronte all'Isis offrendo una scarsa se non nessuna resistenza.\r\n\r\n2. Quello che sta accadendo è molto probabilmente un piano messo a punto da Turchia, paesi del Golfo e Governo della Regione Curda \"K.R.G\", un piano noto anche a Stati Uniti e Regno Unito.\r\n\r\n3. E' molto difficile prevedere gli esiti del conflitto, perché nella maggior parte dei\r\ncasi questo dipende dagli interessi statunitensi e dei paesi occidentali, i quali valutano ogni insurrezione ed ogni movimento in base ai vantaggi o danni per i loro interessi. Fino ad ora USA e\r\nRegno Unito hanno insistito perché il popolo iracheno fosse unito e vivesse all'interno dello stesso sistema. Ma se dovessero vedere minacciati i loro interessi non avrebbero nessuno scrupolo a\r\ndividere l'Iraq in 3 mezzi-Stati tra Curdi, Sunniti e Sciiti.\r\n\r\n4. Questa situazione ha spinto l'Iraq sull'orlo di una guerra settaria, specialmente dopo la\r\nfatwa emessa dall'Ayatollah Ali Al-Sistani, uno dei più riveriti esponenti del clero sciita, per l'armamento dei cittadini e l'arruolamento nell'esercito.\r\n\r\n5. Per noi uno degli scopi di questa guerra è quella di contenere e strangolare il movimento democratico di massa del popolo curdo che vive nel Kurdistan occidentale (cioè in territorio siriano) e la sua amministrazione locale. Un movimento di massa che ha dimostrato come ci sia un'alternativa allo stato-nazione, al vecchio e nuovo liberismo ed al suo governo. Un movimento che ha dimostrato che non è necessario seguire le \"Primavere Arabe\" che hanno portato all'insediarsi di governi islamici. Inoltre questo movimento ha dimostrato che un popolo può insorgere senza il sostegno degli USA, della UE e dei loro agenti. Ha dimostrato che la rivoluzione sociale\r\ndeve iniziare dal basso e non dall'alto e si può realizzare l'obiettivo costruendo realtà locali che prendono le loro decisioni in autonomia. Questo movimento non è evidentemente utile agli interessi dei politici e del neo-liberismo, per cui la prossima mossa sarà l'attacco al Kurdistan occidentale ed al movimento di massa dei Curdi.\r\n\r\nPer queste ragioni il KAF sostiene che questa guerra è stata scatenata ed imposta al popolo iracheno, crediamo che sia necessario organizzarsi al di fuori dei partiti politici, al di fuori dei sostenitori della guerra, delle istituzioni statali e dei governi; è necessario organizzarsi nei posti di lavoro, nei quartieri, nelle scuole, nelle università e nelle strade per essere uniti e contrastare la guerra, l'ingiustizia, la povertà, la fame, le disuguaglianze e la repressone che viene imposta tramite questo brutale sistema fatto di Stati, imprese capitalistiche, istituzioni finanziarie, mass media neoliberisti e servizi di spionaggio.\r\n\r\nKurdistan Anarchists Forum\r\n\r\n18 giugno 2014","9 Luglio 2014","2014-07-21 14:07:21","Il califfato di Siria e Iraq e la resistenza del Rojava",1404938546,[255,64,65,178,179],"http://radioblackout.org/tag/curdistan/",[257,17,15,22,19],"curdistan",{"post_content":259,"post_title":263},{"matched_tokens":260,"snippet":261,"value":262},[71,77],"sono messe in marcia verso \u003Cmark>Mosul\u003C/mark>, conquistando la terza città del paese, erano che meno \u003Cmark>di\u003C/mark> 2.000, mentre in città c'erano","La proclamazione del califfato nelle regioni controllate dall'Isis in Siria e Iraq, dopo i successi militari delle formazioni quaediste, rappresenta una sfida per tutti coloro che lottano per costruire un'alternativa alle derive confessionali delle primavere arabe, sottraendosi nel contempo al controllo \u003Cmark>di\u003C/mark> Stati Uniti e Russia nell'area.\r\nIl percorso intrapreso dalle popolazioni della Siria nord occidentale, il Rojava, zona abitata da curdi ma anche da altre minoranze, un percorso \u003Cmark>di\u003C/mark> democrazia radicale, basato sull'eguaglianza e sull'accesso egualitario alle risorse come ai processi decisionali, offre un modello, che l'Isis cerca \u003Cmark>di\u003C/mark> annegare nel sangue.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Daniele Pepino, attento osservatore delle lotte nelle diverse zone curde tra Siria, Turchia, Iraq e Iran, che ci ha proposto un'analisi politica e sociale, offrendo nel contempo spunti per lo sviluppo \u003Cmark>di\u003C/mark> percorsi \u003Cmark>di\u003C/mark> solidarietà internazionale.\r\n\r\nE' stata anche occasione per un commento del documento del Forum degli anarchici del Kurdistan dello scorso 18 giugno, \u003Cmark>di\u003C/mark> cui vi proponiamo alcuni stralci.\r\n\r\nAscolta la diretta con Daniele:\r\n\r\n2014 07 09 isis rojava daniele\r\n\r\nLa crisi in Iraq risale al regime \u003Cmark>di\u003C/mark> Saddam Hussein ed è proseguita con \"l'attuale regime democratico\" dopo l'invasione del 2003. 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E lo sguardo pruriginoso dei media occidentali sulle guerrigliere curde.\r\n“Donne vendute al bazar per cinque dollari. Esposte come buoi, con il cartellino del prezzo al collo, condannate a essere oggetto sessuali per i militari dell’Isis: schiave del Califfato”. È la denuncia di Nursel Kilic, rappresentante internazionale del Movimento delle donne Curde. “Secondo le stime ufficiali le donne rapite e vendute nei bazar sono 3,000, in realtà sono molte di più. 1200 poi giacciono nelle prigioni nella zona di Mosul e lì vengono violentate, torturate, subiscono ogni genere di violenza.”\r\n\"Il genocidio in atto colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e la libertà delle donne. Come è già avvenuto in altri recenti conflitti, dal Kosovo al Rwanda, le pratiche di genocidio includono atti sempre più visibili ed estesi di violenza nei confronti delle donne come gruppo. I femminicidi di massa perpetrati da ISIS possono essere considerati crimini di guerra e contro l'umanità, non solo perché costituiscono una strategia politica dello “Stato islamico”, ma anche perché sono rivolti a colpire in maniera specifica e sistematica donne e bambini. Gli atti di femminicidio sono utilizzati dalle milizie dell'ISIS come strumento di dominio patriarcale e come arma di guerra, funzionale allo sterminio delle minoranze etniche e religiose e per la distruzione del modello del Rojava\". Barbara Spinelli\r\nUno straordinario esperimento di comunità altra che da più di due anni il popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria – sta portando avanti, liberando il proprio territorio e sperimentando una vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal basso, l'uguaglianza tra uomini e donne e il rispetto dell'ambiente.\r\nLa carta del Rojava è un testo che parla di libertà, giustizia, dignità e democrazia; di uguaglianza e di «ricerca di un equilibrio ecologico». Nel Rojava il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto di autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. E l’autogoverno, pur tra mille contraddizioni e in condizioni durissime, esprime davvero un principio comune di cooperazione, tra liberi e uguali. E ancora: coerentemente con la svolta anti-nazionalista del Pkk di Öcalan, a cui le Ypg/Ypj sono collegate, netto è il rifiuto non solo di ogni assolutismo etnico e di ogni fondamentalismo religioso, ma della stessa declinazione nazionalistica della lotta del popolo kurdo. Basta ascoltare le parole dei guerriglieri e delle guerrigliere dell’Ypg/Ypj, per capire che questi ragazzi e queste ragazze hanno preso le armi per difendere la loro terra, ma soprattutto per affermare e difendere questo modo di vivere e di cooperare.\r\nLotta contro il patriarcato e contro il capitalismo/fascismo finalmente insieme. Lotta di genere e lotta di classe che camminano insieme, simultaneamente. Non dopo, non poi, ma qui e ora, si sperimenta una comunità altra, nuova, rivoluzionaria, nel farsi e nel darsi della lotta quotidiana. Questo ci pare essere l'elemento di assoluta rilevanza di questa resistenza, che vede le donne curde in prima linea a combattere, a difendere la propria terra e il proprio popolo, ma soprattutto ad affermare un principio di autodeterminazione personale e politica in totale conflitto con l'esistente.\r\nE sulle guerrigliere si posa lo sguardo dei media occidentali, pronti a spingere un trend che fa innalzare le vendite delle tutine mimetiche messe prontamente in commercio dalla multinazionale H&M e a trasformare il protagonismo delle donne in gossip da cartoline patinate. La storia è lunga a questo proposito e la conosciamo bene. Dalle partigiane della guerra al nazifascismo, passando per le donne che parteciparono alla lotta armata, fino alle compagne NoTav della Valsusa. L'attenzione dei media si concentra troppo spesso e non a caso sull'estetica, su fatti privati e sulla narrazione da rotocalco, mistificando e togliendo senso e sostanza al protagonismo e alla capacità di autodeterminazione di queste donne.\r\nAl fianco delle donne del Rojava.\r\nPer riascoltare la puntata:\r\nil colpo della strega_13ottobre2014_primaparte\r\nil colpo della strega_13ottobre2014_secondaparte","13 Ottobre 2014","2018-10-24 17:35:27","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/10/adesivo-il-colpo-della-strega-new-copy-e1413229678451-200x110.jpg","I podcast de Il colpo della strega: 13ottobre2014","podcast",1413238724,[327,328,329,330,65,331,332,333,334,335,336,337,338,178,339,340,341,342],"http://radioblackout.org/tag/autodeterminazione/","http://radioblackout.org/tag/colonialismo/","http://radioblackout.org/tag/donne/","http://radioblackout.org/tag/fascismo/","http://radioblackout.org/tag/islam/","http://radioblackout.org/tag/kurdistan/","http://radioblackout.org/tag/lotta-delle-donne/","http://radioblackout.org/tag/mgf/","http://radioblackout.org/tag/mutilazioni-genitali-femminili/","http://radioblackout.org/tag/partigiane/","http://radioblackout.org/tag/patriarcato/","http://radioblackout.org/tag/resistenza/","http://radioblackout.org/tag/storie-di-donne/","http://radioblackout.org/tag/stupri/","http://radioblackout.org/tag/violenza-di-genere/","http://radioblackout.org/tag/violenza-sessuale/",[344,345,78,346,15,295,347,307,292,309,348,303,349,22,350,297,351,305],"autodeterminazione","colonialismo","fascismo","Kurdistan","partigiane","resistenza","storie di donne","violenza di genere",{"post_content":353,"tags":357},{"matched_tokens":354,"snippet":355,"value":356},[77,71],"giacciono nelle prigioni nella zona \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> e lì vengono violentate, torturate,","La carta del Rojava come primo bersaglio delle milizie dell'Isis. E lo sguardo pruriginoso dei media occidentali sulle guerrigliere curde.\r\n“\u003Cmark>Donne\u003C/mark> vendute al bazar per cinque dollari. Esposte come buoi, con il cartellino del prezzo al collo, condannate a essere oggetto sessuali per i militari dell’Isis: schiave del Califfato”. È la denuncia di Nursel Kilic, rappresentante internazionale del Movimento delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> Curde. “Secondo le stime ufficiali le \u003Cmark>donne\u003C/mark> rapite e vendute nei bazar sono 3,000, in realtà sono molte \u003Cmark>di\u003C/mark> più. 1200 poi giacciono nelle prigioni nella zona \u003Cmark>di\u003C/mark> \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> e lì vengono violentate, torturate, subiscono ogni genere \u003Cmark>di\u003C/mark> violenza.”\r\n\"Il genocidio in atto colpisce in maniera particolare il diritto alla vita e la libertà delle donne. 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Barbara Spinelli\r\nUno straordinario esperimento \u003Cmark>di\u003C/mark> comunità altra che da più \u003Cmark>di\u003C/mark> due anni il popolo del Rojava – regione a maggioranza curda nel nord della Siria – sta portando avanti, liberando il proprio territorio e sperimentando una vera e propria rivoluzione sociale, fondata sulla partecipazione dal basso, l'uguaglianza tra uomini e \u003Cmark>donne\u003C/mark> e il rispetto dell'ambiente.\r\nLa carta del Rojava è un testo che parla \u003Cmark>di\u003C/mark> libertà, giustizia, dignità e democrazia; \u003Cmark>di\u003C/mark> uguaglianza e di «ricerca \u003Cmark>di\u003C/mark> un equilibrio ecologico». Nel Rojava il femminismo è incarnato non soltanto nei corpi delle guerrigliere in armi, ma anche nel principio della partecipazione paritaria a ogni istituto \u003Cmark>di\u003C/mark> autogoverno, che quotidianamente mette in discussione il patriarcato. 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Mercoledì 6 agosto c'é stato un blackout totale. A Tripoli internet, la rete dei cellulari e l'acqua funzionano a singhiozzo.\r\nAnche l'assistenza sanitaria è a rischio, perché il governo filippino ha chiesto ai 13mila lavoratori immigrati nel paese di lasciare la Libia. Ben tremila filippini lavoravano in Libia come infermieri e medici.\r\nIl parlamento, eletto il 25 giugno, in una consultazione in cui gli islamisti al potere dopo la guerra civile scatanatasi dopo l'intervento di Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Italia nel paese, sono ora in minoranza, si è riunito per la prima volta a Tobruk, 1500 chilometro da Tripoli. Tobruk è nell'estremo est del paese, molto vicino alla frontiera egiziana.\r\nLunedì 4 agosto 160 parlamentari su 188 hano eletto presidente del parlamento il giurista Aguila Salah Iss. Alla votazione non hanno preso parte i deputati vicini ai Fratelli Musulmani che hanno boicottato la votazione, perché sia il Gran Mufti al-Ghariani e il presidente uscente Abu Sahmain, sostenuto dagli islamisti, hanno detto che ritengono incostituzionale la nuova Assemblea.\r\nUn'assemblea parlamentare quasi in esilio, perché sia la capitale Tripoli, che il maggiore centro della Cirenaica, Bengasi sono teatro di feroci combattimenti.\r\n\r\nGli Stati Uniti e quasi tutti i Paesi europei hanno rimpatriato i propri connazionali ed evacuato le proprie rappresentanze, con l'eccezione dell'ambasciata italiana che rimane aperta. Gli interessi italiani nell'ex colonia sono ancora fortissimi e il governo Renzi non può certo permettersi di abbandonare il campo. 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Il 16 maggio Khalifa Haftar, ex generale dell'esercito, a capo della brigata Al Saiqa ha attaccato il parlamento e lanciato l'offensiva contro le forze islamiste, particolarmente forti nella Cirenaica, la regione di Bengasi. Oggi a Bengasi le milizie islamiste hanno preso il controllo della città mentre il generale Haftar controllerebbe solo l'aeroporto. I gruppi jihadisti, riuniti nel Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi, hanno proclamato un emirato islamico. Tra di loro, ci sono anche i salafiti di Ansar al Sharia.\r\nHaftar, che alcuni ritengono agente della CIA, è sostenuto da Egitto e Algeria e, forse, dagli stessi Stati Uniti non ha le forze per prendere il controllo della regione. La coalizione contro di lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio di decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando Mosul e la cristiana piana di Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato di Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo di chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia di Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie di Misurata e di alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo di un deposito di carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno di un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese di origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore di quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia","7 Agosto 2014","2018-10-17 22:59:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/08/libia-200x110.jpg","Libia. 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La coalizione contro \u003Cmark>di\u003C/mark> lui comprende sia gli islamisti sia laici che non lo considerano un golpista.\r\nLa politica statunitense nella regione è all'insegna delle ambigue alleanze che caratterizzano da un paio \u003Cmark>di\u003C/mark> decenni le scelte delle varie amministrazioni. In Libia Obama sostiene Haftar, mentre in Siria appoggia le milizie quaediste anti Assad, le stesse che in Iraq hanno invaso il nord, controllando \u003Cmark>Mosul\u003C/mark> e la cristiana piana \u003Cmark>di\u003C/mark> Ninive. D'altro canto il sostegno verso il governo dello shiita Nouri al Maliki è solo verbale: nessuna iniziativa militare è stata sinora intrapresa contro il Califfato \u003Cmark>di\u003C/mark> Al Baghdadi. Al Quaeda, un brand buono per tante occasioni, è come un cane feroce, che azzanna i tuoi avversari, ma sfugge completamente anche al controllo \u003Cmark>di\u003C/mark> chi lo nutre e l'ha nutrito per decenni. L'Afganistan ne è la dimostrazione.\r\nNello scacchiere geopolitico in Libia, chi pare aver perso la partita sono state le formazioni vicine ai Fratelli Musulmani sostenute dal Qatar, a sua volta apoggiato dalla Francia.\r\n\r\nA Tripoli la situazione è fuori controllo: lo scontro è tra la milizia \u003Cmark>di\u003C/mark> Zintan, una città del nordovest, e un gruppo armato nato dall'alleanza delle milizie \u003Cmark>di\u003C/mark> Misurata e \u003Cmark>di\u003C/mark> alcuni gruppi islamisti. Dal 13 luglio, gli scontri, con oltre 100 morti, si concentrano attorno all'aeroporto, controllato dai primi e bombardato dai secondi. La scorsa settimana, per vari giorni la capitale è stata coperta dal fumo \u003Cmark>di\u003C/mark> un deposito \u003Cmark>di\u003C/mark> carburante, colpito da alcuni razzi da qui arriva parte del petrolio importato in Italia con il gasdotto Greenstream, che copre il 10-11% dei consumi nazionali.\r\n\r\nSe le formazioni quaediste dovessero prendere il controllo dei pozzi petroliferi le conseguenze sarebbero gravi soprattutto per la Tunisia e per i paesi africani.\r\n\r\nQuesta situazione mette in luce la decadenza degli Stati Uniti, che fanno \u003Cmark>di\u003C/mark> un'alchimia da stregoni una strategia. Un gioco complesso che sempre meno produce i risultati desiderati.\r\nOltre la scacchiera dei grandi giochi restano le migliaia e migliaia \u003Cmark>di\u003C/mark> uomini, \u003Cmark>donne\u003C/mark>, bambini massacrati.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Karim Metref, un torinese \u003Cmark>di\u003C/mark> origine Kabila, insegnante, blogger, attento osservatore \u003Cmark>di\u003C/mark> quanto accade in nord Africa.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 08 01 karim metref libia",[439],{"field":114,"matched_tokens":440,"snippet":436,"value":437},[77,78],1733921019703328800,{"best_field_score":443,"best_field_weight":159,"fields_matched":26,"num_tokens_dropped":48,"score":444,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":48},"2216192770048","1733921019703328881",6636,{"collection_name":324,"first_q":70,"per_page":277,"q":70},["Reactive",448],{},["Set"],["ShallowReactive",451],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$f_qEhoc-DE2haPRvCS3z-njGp63YbQOwGr9kz5ZvpDWU":-1},true,"/search?query=donne+di+mosul"]