","Un processo storico contro la violenza sessuale: il caso Guatemala","post",1456783414,[60,61,62,63,64,65,66,67,68,69,70],"http://radioblackout.org/tag/abusi/","http://radioblackout.org/tag/conflitto-armato/","http://radioblackout.org/tag/donne-indigene/","http://radioblackout.org/tag/esercito/","http://radioblackout.org/tag/genocidio-guatemala/","http://radioblackout.org/tag/impunita/","http://radioblackout.org/tag/maya/","http://radioblackout.org/tag/militari/","http://radioblackout.org/tag/processo-sepur-zarco/","http://radioblackout.org/tag/razzismo/","http://radioblackout.org/tag/schiavitu-sessuale/",[15,23,21,72,31,17,73,74,33,75,29],"esercito","maya","militari","razzismo",{"post_content":77,"tags":83},{"matched_tokens":78,"snippet":81,"value":82},[79,80],"donne","indigene","determinazione di un gruppo di \u003Cmark>donne\u003C/mark> che provengono dall'area rurale, che sono \u003Cmark>indigene\u003C/mark> maya q'ueqchíes, contadine, povere e","Guatemala. Venerdì 26 febbraio è stata emessa una sentenza storica per il paese e che ha immediatamente fatto il giro di tutta l'America Latina.\r\n\r\nDue militari dell'esercito nazionale guatemalteco, un colonnello e un \"comisionado militar\", Esteelmer Reyes Girón e Heriberto Valdez Azij, sono stati condannati a svariati anni di prigione per crimini di lesa umanità, per violenza sessuale e schiavitù sessuale. Probabilmente anche loro verranno salvati dalla Corte Costituzionale, come l'ex generale golpista Rios Montt, dopo il recente processo per genocidio. Resta il fatto che il caso di Sepur Zarco è un caso emblematico dato che riguarda crimini di lesa umanità, all'interno del conflitto armato, durato 36 anni ed è stato portato avanti all'interno del paese.\r\n\r\nLa centralità di questo processo è da individuare nel fatto che si tratta di un caso di violenza sessuale. A Sepur Zarco, che si trova in una regione nel nord del paese, fu istituito un distaccamento militare di riposo e \"ricreazione\" per i militari. In questa zona, dal 1982 al 1986, l'esercito guatemalteco fece sparire e uccise numerosi lider contadini che stavano lottando per la terra. Una volta sequestrati e ammazzati, le loro vedove diventarono schiave sessuali e domestiche dei militari.\r\n\r\nIl caso è stato portato avanti da 15 \u003Cmark>donne\u003C/mark> ed è durato circa 4 anni. Nel 2012 furono raccolte le loro testimonianze come prove “anticipate\". Ora che il processo è terminato erano presenti solamente più 14 \u003Cmark>donne\u003C/mark>, dato che una di loro è morta nel corso di questi 4 anni. Uno degli aspetti più importanti di questo processo è che i militari sono stati processati grazie alla forza e alla determinazione di un gruppo di \u003Cmark>donne\u003C/mark> che provengono dall'area rurale, che sono \u003Cmark>indigene\u003C/mark> maya q'ueqchíes, contadine, povere e analfabete. Il loro percorso è stato sostenuto e accompagnato, nel corso degli ultimi dieci anni, da alcune organizzazioni femministe e da molte compagne e attiviste. Grazie a questo lavoro lento e approfondito il processo è stato preparato con basi molto solide, in ogni suo aspetto.\r\n\r\n In un paese eminentemente razzista, classista e misogeno come il Guatemala, questa sentenza rappresenta un precedente molto importante proprio perché riguarda un gruppo di \u003Cmark>donne\u003C/mark> che per la maggior parte della popolazione \"dominante\" non conta assolumente nulla, perché chi ha commesso abusi e violenze durante il conflitto armato è da sempre convinto di poter godere della massima impunità, perché un processo per violenza sessuale e schiavitù sessuale rappresenta un esempio per molte altre \u003Cmark>donne\u003C/mark> che vivono o hanno vissuto situazioni di violenza e non riescono a nominare quanto è accaduto. Una sentenza storica perché proprio queste 15 \u003Cmark>donne\u003C/mark> ricordano come il tema della violenza sessuale è una questione trasversale che riguarda e colpisce tutte le società, non importa la classe sociale, né lo status, né l'etnia a cui si appartiene, è qualcosa che riguarda tutte le \u003Cmark>donne\u003C/mark>.\r\n\r\nAscolta il contributo di Anna e Blanca, due compagne che da molti anni vivono in Guatemala. Il primo link è l'intervista in lingua originale (spagnolo):\r\n\r\nBlanca28feb16\r\n\r\nIl secondo è la traduzione dell'intervista in italiano:\r\n\r\ntraduzione_blanca",[84,86,88,91,93,95,97,99,101,103,105],{"matched_tokens":85,"snippet":15},[],{"matched_tokens":87,"snippet":23},[],{"matched_tokens":89,"snippet":90},[79,80],"\u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>indigene\u003C/mark>",{"matched_tokens":92,"snippet":72},[],{"matched_tokens":94,"snippet":31},[],{"matched_tokens":96,"snippet":17},[],{"matched_tokens":98,"snippet":73},[],{"matched_tokens":100,"snippet":74},[],{"matched_tokens":102,"snippet":33},[],{"matched_tokens":104,"snippet":75},[],{"matched_tokens":106,"snippet":29},[],[108,114],{"field":34,"indices":109,"matched_tokens":111,"snippets":113},[110],2,[112],[79,80],[90],{"field":115,"matched_tokens":116,"snippet":81,"value":82},"post_content",[79,80],1157451471441625000,{"best_field_score":119,"best_field_weight":120,"fields_matched":110,"num_tokens_dropped":46,"score":121,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":46},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":123,"highlight":154,"highlights":159,"text_match":162,"text_match_info":163},{"cat_link":124,"category":125,"comment_count":46,"id":126,"is_sticky":46,"permalink":127,"post_author":49,"post_content":128,"post_date":129,"post_excerpt":52,"post_id":126,"post_modified":130,"post_thumbnail":131,"post_thumbnail_html":132,"post_title":133,"post_type":57,"sort_by_date":134,"tag_links":135,"tags":146},[43],[45],"44734","http://radioblackout.org/2017/12/argentina-attacco-alle-comunita-mapuche-un-morto-due-feriti-diversi-desaparecidos-sgombero-con-spari-e-feriti-di-una-fabbrica/","Nel pomeriggio di sabato 25 novembre, in Patagonia, diversi corpi della polizia e della gendarmeria nazionale hanno attaccato la comunità Lafken Winkul Mapu, uccidendo a colpi di arma da fuoco Rafael Nahuel e ferendo altri due mapuche, un uomo e una donna, che si trovano in gravi condizioni all’ospedale Ramon Carrillo.\r\nSiamo nei territori contesi di Villa Mascardi, un parco nazionale a pochi chilometri da Bariloche, nota località turistica della Patagonia argentina.\r\nNe abbiamo parlato con Ivan, un compagno della Cub trasporti di Milano che si trova da qualche mese in Argentina, dove ha visitato numerose comunità mapuche in lotta.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 12 94 argentina ivan\r\n\r\n \r\n\r\nLa Correpi, organizzazione contro la repressione statale e la violenza istituzionale, sostiene che le responsabilità sono interamente dello Stato e del governo. In Argentina la violenza istituzionale colpisce gli attivisti politici ed i poveri. Non si contano i casi di ragazzi uccisi dalla polizia, perché accusati di furti o semplicemente “sospetti”, la pratica della tortura è “normale” nelle camere di sicurezza della gendarmeria.\r\n\r\n \r\n\r\nRicostruiamo i fatti: il giovedì precedente, mentre in Senato si votava la proroga di altri quattro anni della legge 26/160 che sospende gli sgomberi delle comunità indigene, riconoscendo il diritto al territorio ancestrale in attesa che l’Istituto Nazionale delle questioni indigene concluda il rilevamento delle terre spettanti alle diverse comunità, il giudice Villanueva ordina lo sgombero della comunità Lafken Winkul Mapu. L’occupazione risaliva al 14 settembre.\r\n\r\nLo scontro è sui megaimpianti turistici che le multinazionali e le imprese argentine vogliono costruire nel parco turistico nazionale di Villa Mascardi.\r\n\r\nNella stessa zona è prevista l’apertura di una miniera d’oro e di sfruttamento petrolifero. Non solo. La Patagonia possiede una ricchezza sempre più preziosa, l’oro blu, l’acqua.\r\n\r\nI mapuche si battono contro l’intento di mettere a profitto le aree protette, rivendicando il recupero delle terre ancestrali per vivere costruendo una diversa relazione con la natura e il territorio. Conflitti simili investono ampie aree dell’immensa Patagonia e non solo, perché lo scontro attorno all’appropriazione del territorio vede migliaia di comunità indigene in tutto il continente difendersi dall’estrattivismo (miniere, centri turistici, coltivazione estensiva, etc) e rappresenta uno snodo cruciale dei conflitti sociali in America Latina.\r\n\r\n \r\n\r\nLo stesso giovedì, come afferma l’antropologa Diana Lenton, era previsto un tavolo di negoziazione per risolvere il conflitto. «A tradimento e boicottando qualunque possibilità di dialogo, un enorme dispiegamento di forze dell’ordine ha fatto irruzione nella comunità all’alba, sparando con armi da fuoco e arrestando donne e bambini, detenuti in condizioni illegali per diverse ore» continua l’antropologa argentina. Secondo le testimonianza dei mapuche, una dozzina di uomini della comunità sono fuggiti sui monti a causa della caccia all’uomo violenta della polizia federale, della Gendarmeria e delle forze della Prefettura navale, impiegate congiuntamente con elicotteri e forze speciali. Ieri pomeriggio, tre di loro stavano tornando per ricongiungersi con le loro famiglie e sono stati attaccati con armi da fuoco dalla polizia. Così è stato assassinato Rafael, un giovane dei quartieri poveri di Bariloche, in visita ai parenti nella comunità in lotta, saldatore, falegname e lavoratore precario, un “pibe de barrio”, come lo ricordano gli amici.\r\n\r\nL’avvocata della comunità mapuche, Natalia Aranya, ha rilasciato dure dichiarazioni al quotidiano Pagina 12, parlando di una caccia all’uomo razzista e sottolineando le responsabilità del governo nell’operazione che ha coinvolto i gruppi speciali della Prefettura. Dopo la notizia della morte, ci sono state manifestazioni sia davanti all’ospedale che alla sede degli uffici dei Parchi Nazionali, proprietari delle terre contese dalla comunità mapuche. Le forze dell’ordine hanno bloccato le vie di accesso principali e i collegamenti, compresa la Ruta 40, tra le città di El Bolsòn e Bariloche. Alcuni giornali mainstream affermano, senza addurre prove, che sia stato uno scontro a fuoco tra mapuche e polizia. Una caccia all’uomo dopo una repressione violenta contro famiglie che dormivano nelle loro case diventa per i media uno scontro “armato” tra mapuche e polizia. Secondo le organizzazioni dei diritti umani sono le medesime modalità narrative adottate durante la dittatura.\r\n\r\n \r\n\r\nLa Marcha de Mujeres Originarias, organizzazione di donne indigene, ha lanciato un appello invitando tutti a denunciare le menzogne e a diffondere la verità dei fatti: «non permetteremo alle menzogne di affermarsi, noi non siamo in guerra con lo Stato, ma è lo Stato argentino che sta applicando misure genocide contro le comunità indigene, questo dovrebbero dire i giornali». Chiediamo sostegno e supporto, vogliamo giustizia, affermano le donne indigene , esigiamo che «cessi immediatamente la violenza assassina contro i nostri fratelli e le nostre sorelle».\r\n\r\n \r\n\r\nManifestazioni si sono svolte a Buenos Aires e in diverse città della Patagonia per denunciare le responsabilità del governo Macri e del ministro Bullrich. 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Il suo cadavere venne ritrovato 78 giorni dopo nel fiume Chabut, 300 metri a monte dal punto in cui i mapuche sotto attacco attraversarono il corso d’acqua.\r\n\r\nDurante l’attacco alla comunità i suoi compagni videro che Santiago Maldonado veniva preso e fatto salire a forza su un furgone bianco dalla polizia.\r\n\r\nLa scomparsa di Maldonado aveva suscitato ampie proteste in tutta l’Argentina: decine di migliaia di persone avevano manifestato il primo settembre e il primo ottobre a Buenos Aires.\r\n\r\nIl ragazzo è stato seppellito dopo un mese di attesa dei risultati dell’autopsia, che ha stabilito che Santiago è morto per asfissia da annegamento, ma non le modalità della desapariciòn.\r\n\r\nDall’inchiesta del giornalista Ricardo Ragendorfer pubblicata su Tiempo Argentino e altri quotidiani, emerge che l’autopsia ha stabilito che il corpo di Santiago non era restato più di 5 o 6 giorni in acqua al momento del ritrovamento. Ne consegue che è stato “illegalmente” trattenuto da qualche parte per diversi giorni.\r\n\r\nAlla luce di questi fatti potrebbero emergere responsabilità più dirette di Benetton, la multinazionale italiana proprietaria di oltre 900.000 ettari in territorio mapuche.\r\n\r\nSecondo Ragendorfer, l’unica cella frigorifera della zona capace di conservare un cadavere per diversi giorni si troverebbe proprio all’interno di una delle tenute di Benetton, denominata “Cabania Leleque”. Inoltre, rivela sempre Ragendorfer, la Gendarmeria possiede una base logistica informale dentro la stessa tenuta di Benetton da almeno 20 anni, grazie a un accordo firmato durante il governo di Carlos Menem tra Carlo Benetton, la Secretaria de Seguridad de la Nacion e la provincia di Chubut.\r\n\r\nRagendorfer ha anche rivelato che parte delle prime indagini “ufficiali” hanno avuto l’epicentro logistico proprio a Leleque. Da lì partirono buona parte dei gendarmi che tra il 10 e il 12 gennaio scorso sgomberarono in modo violento la comunità Mapuche di “Lof en Resistencia” di Cushamen. Ragendorfer inserisce un tassello chiave per dimostrare le eventuali la complicità dirette di Benetton nella desaparición forzada di Santiago: il 17 ottobre scorso, il giudice avrebbe ordinato, insieme al rastrellamento della zona in cui comparve il corpo, una perquisizione legale de la “Cabania Leleque” dei Benetton e di alcune delle zone adiacenti. Difficile pensare che sia stato per mera coincidenza che il corpo di Santiago sia ricomparso proprio quel giorno. Dopo il ritrovamento, naturalmente, la perquisizione venne cancellata.\r\n\r\n \r\nUn presidio di solidarietà con la lotta delle comunità mapuche resistenti e di denuncia delle responsabilità dello Stato argentino e di Benetton nella violenta repressione in atto si svolgerà a Torino il 22 dicembre di fronte al negozio Benetton di via Roma 121 – vicino a piazza San Carlo.\r\n \r\n\r\nAggiornamento al 12 dicembre\r\n\r\nLa scorsa settimana la polizia ha sgomberato una fabbrica di Neuquen, occupata dagli operai in lotta e a rischio licenziamento, che cercavano di impedire lo svuotamento dell'area di macchinari e dei prodotti ancora in magazzino.\r\nLo sgombero è stato attuato usando armi da fuoco. Un deputato - ex operaio della Zanon recuperata - che tentava una mediazione è stato colpito ad una gamba ed ha il perone spezzato.\r\nIl 9 dicembre una marcia transfrontaliera delle donne indigene ha raccolto scarse adesioni.\r\nIl governo Macrì sta scatenando una repressione poliziesca sempre più violenta contro le insorgenze sociali e le lotte popolari.\r\nIl fallimento delle sinistre istituzionali in Argentina e, in generale in tutto il continente, sta riportando al potere la destra. Una destra la cui linea di continuità con le dittature militari che hanno insanguinato il pianeta è molto chiara.\r\n\r\nAscolta la diretta con Ivan:\r\n\r\n \r\n\r\n2017 12 11 ivan argentina\r\n ","12 Dicembre 2017","2017-12-13 12:05:36","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/12/rafael-nauhel-2-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/12/rafael-nauhel-2-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/12/rafael-nauhel-2-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/12/rafael-nauhel-2-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/12/rafael-nauhel-2-1024x683.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Argentina. Attacco alle comunità mapuche: un morto, due feriti, diversi desaparecidos... 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Dopo il ritrovamento, naturalmente, la perquisizione venne cancellata.\r\n\r\n \r\nUn presidio di solidarietà con la lotta delle comunità mapuche resistenti e di denuncia delle responsabilità dello Stato argentino e di Benetton nella violenta repressione in atto si svolgerà a Torino il 22 dicembre di fronte al negozio Benetton di via Roma 121 – vicino a piazza San Carlo.\r\n \r\n\r\nAggiornamento al 12 dicembre\r\n\r\nLa scorsa settimana la polizia ha sgomberato una fabbrica di Neuquen, occupata dagli operai in lotta e a rischio licenziamento, che cercavano di impedire lo svuotamento dell'area di macchinari e dei prodotti ancora in magazzino.\r\nLo sgombero è stato attuato usando armi da fuoco. Un deputato - ex operaio della Zanon recuperata - che tentava una mediazione è stato colpito ad una gamba ed ha il perone spezzato.\r\nIl 9 dicembre una marcia transfrontaliera delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> \u003Cmark>indigene\u003C/mark> ha raccolto scarse adesioni.\r\nIl governo Macrì sta scatenando una repressione poliziesca sempre più violenta contro le insorgenze sociali e le lotte popolari.\r\nIl fallimento delle sinistre istituzionali in Argentina e, in generale in tutto il continente, sta riportando al potere la destra. 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Assieme a molte altre donne e uomini è attiva nell'organizzazione delle prime assemblee popolari regionali che vedono riunirsi 13 comunità indigene dal Kenya, Uganda, Tanzania e rep. democratica del Congo. Come Teresa ci spiega queste assemblee autogestite sono nate da uno scambio e incontro tra donne di 6 comunità indigene provenienti dal Kenya e l'Uganda che ha portato ad una consapevolezza maggiore e uniforme del legame diretto tra la lotta portata avanti come donne per i propri diritti a quella per la difesa della propria terra e cultura. La difesa è primariamente una difesa organizzata su base comunitaria dalle conseguenze nefaste che l'applicazione del concetto neo-coloniale di “area protetta” produce nella vita quotidiana delle comunità che abitano ancestralmente i territori in questione. Un esempio di queste pratiche sono quelle che il governo della Tanzania ha implementato brutalmente lo scorso anno contro la popolazione Maasai di Loliondo, in nome della conservazione ambientale ma in realtà usate per allargare la superficie di foreste e pascoli da destinare come “game reserve” per i turisti che vogliono ammirare la “natura selvaggia” o praticare la caccia sportiva, cioè bracconaggio legalizzato ( vedi articolo). Con gli attivisti colpiti dalla repressione in Loliondo, membri di altre comunità attraverso queste assemblee si sono attivati per coprire mediaticamente quello che stava avvenendo.\r\nDa queste assemblee sono nate diverse dichiarazioni, una particolarmente significativa è la “people-to-people declaration of Laboot”, presentata al congresso che si è tenuto a Kigali in Uganda a Luglio dello scorso anno, promosso dalla IUCN (international union for conservation of nature ) che aveva per tema le aree protette e vedeva la partecipazione oltre che dei governi coinvolti, di ONG e realtà della società civile. Qui attraverso questa dichiarazione e le testimonianze che raccoglie le persone delle comunità hanno potuto far sentire la propria voce in qualità di uniche legittime responsabili della conservazione della natura.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/Kenya.Finale.mp3\"][/audio]","30 Maggio 2023","2023-05-31 16:53:50","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-300x225.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-300x225.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-1024x769.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-768x576.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia-1536x1153.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/05/kenia.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","I percorsi di mobilitazione indigena dell'Africa dell'est per la conservazione ambientale.",1685450648,[181,182,183],"http://radioblackout.org/tag/kenya/","http://radioblackout.org/tag/land-defence/","http://radioblackout.org/tag/women/",[185,186,187],"Kenya","land defence","women",{"post_content":189},{"matched_tokens":190,"snippet":191,"value":192},[79,80],"uno scambio e incontro tra \u003Cmark>donne\u003C/mark> di 6 comunità \u003Cmark>indigene\u003C/mark> provenienti dal Kenya e l'Uganda","Per questo fuori onda dell'Informazione di Radio Blackout abbiamo contattato Teresa che è un'attivista Ogiek di Chepkitale (una comunità indigena che vive sul Monte Elgon, in Kenya). 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sta accadendo nel paese rispetto alle lotte e alle rivendicazioni del movimento femminista.\r\n\r\n \r\n\r\nDiversi collettivi, insieme a madri e familiari delle vittime, hanno occupato le sedi della stessa istituzione in diversi altri Stati messicani e organizzato manifestazioni e marce: azioni collettive che stanno rilanciando il conflitto sociale contro le violenze di genere, i femminicidi e le sparizioni di donne che in Messico hanno un’allarmante crescita esponenziale.\r\n\r\n \r\n\r\nIl racconto da due compagne da Città del Messico di quanto sta accadendo negli ultimi mesi non solo nella capitale messicana ma in tutto il paese.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/10/Mexicana.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDownload\r\n\r\nA completamento dell’audio andato in onda nell’info di giovedì riproponiamo di seguito due approfondimenti per inquadrare meglio questo periodo.\r\n\r\nUno sguardo storico sul femminismo e la sua costruzione particolare nella società 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Qualcosa sembra essere in procinto di cambiare con l'entrata in scena di queste nuove generazioni, delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> e delle popolazioni \u003Cmark>indigene\u003C/mark>.\r\n\r\nSulle caratteristiche di questa nuova ondata di proteste, auspicato anticipo di un nuovo ciclo continentale, si è espresso recentemente in un articolo Raul Zibechi Lezioni dalla rivolta in Colombia. \r\n\r\nNoi abbiamo fatto alcune domande a Natalia, fotografa ed attivista femminista di base a Bogotà, che così ci descrive forme di lotta e caratterisrtiche delle mobilitazioni e delle prime linee che la caratterizzano.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/06/voci_39a.mp3\"][/audio]",[317],{"field":115,"matched_tokens":318,"snippet":314,"value":315},[79,80],{"best_field_score":198,"best_field_weight":165,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":199,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":46},{"document":321,"highlight":337,"highlights":342,"text_match":196,"text_match_info":345},{"comment_count":46,"id":322,"is_sticky":46,"permalink":323,"podcastfilter":324,"post_author":236,"post_content":325,"post_date":326,"post_excerpt":52,"post_id":322,"post_modified":327,"post_thumbnail":328,"post_title":329,"post_type":282,"sort_by_date":330,"tag_links":331,"tags":336},"16887","http://radioblackout.org/podcast/kyenge-la-lega-e-il-retaggio-coloniale/",[236],"Le brutali dichiarazioni dell'esponente leghista Dolores Valandro, che augurava al ministro Kyenge di essere stuprata perché potesse capire cosa \"provavano le vittime di stupro\", postata su un sito specializzato in \"crimini degli immigrati\" hanno suscitato un'indignazione indignazione tale da indurre i dirigenti del suo partito ad espellerla. D'altra parte Valandro era già in odore di eresia per essersi schierata con il potente padre della formazione padana Umberto Bossi.\r\nColpisce che, nonostante la presa di distanza dei vertici del suo partito Valandro abbia numerosi sostenitori: il gruppo facebook fatto in sua difesa ha raccolto in poche ore 3.625 iscritti.\r\nInutile sottolineare il razzismo insito nel frequentare un sito che si occupa in esclusiva dei reati commessi da immigrati, come se vi fosse in questo una particolarità genetica evidente. 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Pavidi, feroci, stupratori gli uomini, animalesche e disponibili le donne. Il nostro paese non ha mai fatto i conti con la cultura che lo ha permeato negli anni della conquista coloniale prima e dell'Impero poi.\r\nL'utilizzo di gas nervini contro le truppe indigene, gli stupri delle donne, indicate come posta in palio della conquista, ne sono il segno distintivo. Le nuove terre da coltivare erano rappresentate con corpi di donne discinte, la colonna sonora era \"Faccetta nera\", le icone erano le cartoline di donne nude scattate a beneficio delle truppe.\r\nDopo la conquista la propaganda muta di segno: il mito della venere nera, selvaggia, animalesca ma desiderabile, cede il passo ad un'immagine disgustosa, ripugnante, quasi deforme, veicolata dalla rivista \"La difesa della razza\".\r\nIn questa ambivalenza è la radice del razzismo verso gli africani e le africane, che riemerge potente nell'invettiva di Dolly Valandro. Una donna può augurare ad un'altra donna lo stupro solo se quell'altra donna viene esclusa dall'umanità, inscritta in un immaginario feroce di esclusione. 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Anche in streaming.\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/2024-03-08-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\n\r\nL’Italia in guerra. Missioni militari all’estero\r\nSono state approvate le missioni militari all’estero del 2024. Tra queste spicca la missione Aspides, missione europea cui partecipano Italia, Grecia e Francia, approvata dal Consiglio dei ministri dopo che era divenuta operativa da tempo nel Mar Rosso.\r\nLa missione ha il compito di tutelare gli interessi del trasporto commerciale italiano nell’area. Il Comando operativo dell'operazione ha sede a Larissa in Grecia e il comandante è il commodoro greco Vasilios Griparis. Il Force commander (che guida le operazioni nel teatro operativo, a bordo della nave ammiraglia) è il contrammiraglio italiano Stefano Costantino.\r\nAspides affianca l’operazione Atalanta, operativa sin dal 2008, che si muove su un’area più vasta che comprende Mar Mediterraneo, Mar Rosso, Golfo di Aden, Mar Arabico, bacino somalo, Canale del Mozambico e Oceano Indiano.\r\nSono due delle 46 missioni militari italiane tra Europa, Asia ed Africa.\r\nNe abbiamo parlato con Dario Antonelli dell’Assemblea Antimilitarista\r\n\r\nStupri di guerra. Con uno sguardo a Israele e Gaza\r\nLo stupro è un’arma di guerra, di tutte le guerre, un modo per umiliare gli uomini del nemico, incapaci di mantenere il controllo delle “proprie” donne. Ma, soprattutto, è l’esplicitazione più cruda della guerra patriarcale contro le donne. Una guerra senza esclusione di colpi. La libertà delle donne è la posta in gioco: ucciderle non basta, vanno annientate, ridotte a nulla. Per terrorizzare tutte le altre, per dire a chiare lettere che questo pianeta non è un luogo dove le donne possano vivere in libertà senza pagarne il prezzo.\r\nLo stupro di guerra, fatto di torture e mutilazioni, spesso si conclude con l’uccisione, delle bambine, delle ragazze, delle donne.\r\nIn guerra il sangue, le lacerazioni, le ferite i corpi distrutti sono esibiti come trofei, mostrati nei video compiaciuti dei carnefici, esibiti sui social.\r\nImmagini che vorremmo cancellare, coprire, non per nascondere la verità ma per sottrarre ai violenti il loro trofeo pubblico. Ma ci tocca guardare perché il nostro sguardo possa spezzare l’omertà che circonda alcune vicende.\r\nIn tempi di “pace armata”, la violenza degli stupri prosegue nelle aule di tribunale, dove le donne che scelgono di denunciare, sono, nei fatti, obbligate a dimostrare, mostrando lividi, ferite, lacerazioni la loro opposizione. Il semplice “no” è considerato sospetto, viene inquisito, mette le vittime sul banco delle imputate.\r\n“Sorella io ti credo.” è uno slogan che riecheggia nelle piazze femministe di ogni dove. Il sostegno concreto, attivo, solidale di donne verso altre donne. Di donne che conoscono, per averlo esperito sulla propria pelle, il sapore agre del sospetto, del chiacchiericcio, della “battutina”. Senza sangue non c’è violenza. 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Le ragazze e i ragazzi che ballavano al festival Nova, con i loro corpi e identità libere facevano parte di quei settori di società israeliana sempre più nel mirino della destra religiosa e colonialista.\r\nI sopravvissuti hanno detto a chiare lettere che né loro né gli amici e parenti uccisi da Hamas avrebbero voluto la rappresaglia scatenata dal governo Netanyahu.\r\n\r\nGli infiniti orrori della guerra a Gaza non possono in alcun modo giustificare il silenzio o il negazionismo sugli stupri del 7 ottobre. \r\nLa violenza patriarcale è fatta anche di confini, guerre, nazionalismi giocati sulla pelle delle donne. Ed ai quali non intendiamo piegarci. Né qui, né altrove.\r\nAnarres ne ha parlato con l’aiuto di Lorenzo, che ha tradotto i documenti e letto le testimonianze disponibili\r\n\r\nUna Barriera contro i militari\r\nPer la prima volta dopo più un mese i soldati dell'operazione \"Strade sicure\" non hanno bivaccato nello spiazzo tra corso Palermo e via Sesia. All'arrivo degli antimilitaristi si sono allontanati per l'intero pomeriggio.\r\nLa piazza smilitarizzata ha mutato subito aspetto: si sono avvicinate diverse persone che abitano il quartiere e scelgono la solidarietà ed il mutuo appoggio.\r\nUna ragazza ci avvicina e ci dice, guardando la fermata dell'autobus: \"qui servirebbero più mezzi, invece attese infinite e sovraffollamento. E pretendono che paghiamo il biglietto.\" Il discorso scivola sui costi dell'avamposto militare di fronte ai continui tagli ai servizi essenziali.\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nSabato 16 marzo\r\nCorteo No CPR\r\nore 14,30\r\npiazza Castello\r\n\r\nVenerdì 22 marzo\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nAnarchia e decolonialità\r\nVerso un’idea non nazionalista della decolonizzazione, per un universale plurale, che emerge nella concretezza dei percorsi di lotta.\r\nIl concetto di decolonialità è molto citato negli ultimi anni ma non sempre compreso. Manca soprattutto un’elaborazione di questa idea che la separi da nazionalismi, comunitarismi e approcci basati su una prospettiva unica (piuttosto che su intersezioni) che rischiano di farla diventare una concezione escludente quando non lo è. È importante ricordare che, come elaborata originariamente dal collettivo Modernità-Colonialità-Decolonialità (MCD) e poi arricchita dai contributi del femminismo indigeno, degli studi sul pluriverso e delle epistemologie del Sud per non citare che alcuni dei principali ambiti di discussione, la decolonialità mira a superare i limiti di precedenti approcci.\r\nSi tratta in particolare del culturalismo dei Postcolonial Studies, che si sono spesso limitati a critiche della colonialità che restavano limitate a un’analisi del discorso e confinate in ambiti accademici, e dell’economicismo di teorie quali lo sviluppo ineguale o il sistema mondo, incapaci di includere quello che gli approcci decoloniali chiamano la ‘decolonizzazione epistemica’. In questo senso, i punti qualificanti della decolonialità sono la necessità di non limitarsi alla pura teoria per connettersi alle lotte e situazioni reali, di riscoprire modi di pensare al di fuori delle tradizioni intellettuali europee e di costruire ponti di solidarietà militanti attraverso diverse culture e assi di intervento.\r\nSulla base di questo discorso introduttivo, e di alcuni casi empirici sudamericani di interazione tra gruppi anarchici e comunità indigene e afrodiscendenti, si discuteranno le basi di un progetto anarchico di decolonialità, basato sul fatto che la tradizione anarchica e molte delle comunità sopracitate condividono punti chiave quali la prassi organizzativa orizzontale, l’azione diretta e l’idea di territorio come relazione sociale piuttosto che come area delimitata da confini “sovrani”. 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O muori come Maria Goretti o, in fondo, te la sei cercata.\r\nIl femminismo è quasi sempre riuscito ad affrontare con lucidità e solidarietà gli stupri di guerra, al di là del proprio posizionamento politico. \r\nDopo il 7 ottobre questo è meno vero.\r\nL’incapacità o, più spesso, la decisione di ignorare o quantomeno minimizzare gli orrori commessi dagli uomini di Hamas che hanno attaccato gli abitanti di alcuni kibbutz e i partecipanti al festival musicale Nova, è sconcertante.\r\nSu testate, pubblicazioni e siti di movimento è partita la gara alla negazione, all’inquisizione, alla pretesa, che in mezzo a cumuli di cadaveri venissero avviate inchieste con autopsie e prove del DNA. Settori di movimento si sono comportati come i tribunali di ogni dove: sotto accusa le \u003Cmark>donne\u003C/mark>, le poche sopravvissute, le testimoni stesse. 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Anche qui, in punta di piedi, nel rispetto di queste vite negate, vi abbiamo parlato delle loro esistenze umiliate ed offese.\r\nPerché nel mondo che vogliamo non c’è spazio per frontiere tra i corpi, tra le persone, tra gente che parla lingue diverse.\r\nPer questo approfondimento abbiamo scelto l’8 marzo: non avremmo potuto fare altrimenti di fronte al sostanziale silenzio dei movimenti transfemministi.\r\nSappiamo già che qualcun* griderà che abbiamo fatto il gioco del governo fascista di Israele. Lo diciamo chiaro: chi nega, chi nasconde chi minimizza le brutali violenze di genere del 7 ottobre fa davvero il gioco di Netanyahu e della sua banda di predoni confessionali. La gran parte delle persone massacrate il 7 ottobre viveva in kibbutz di estrema sinistra, dove la solidarietà con i vicini oltre il confine blindato era normale. Le ragazze e i ragazzi che ballavano al festival Nova, con i loro corpi e identità libere facevano parte di quei settori di società israeliana sempre più nel mirino della destra religiosa e colonialista.\r\nI sopravvissuti hanno detto a chiare lettere che né loro né gli amici e parenti uccisi da Hamas avrebbero voluto la rappresaglia scatenata dal governo Netanyahu.\r\n\r\nGli infiniti orrori della guerra a Gaza non possono in alcun modo giustificare il silenzio o il negazionismo sugli stupri del 7 ottobre. \r\nLa violenza patriarcale è fatta anche di confini, guerre, nazionalismi giocati sulla pelle delle \u003Cmark>donne\u003C/mark>. Ed ai quali non intendiamo piegarci. Né qui, né altrove.\r\nAnarres ne ha parlato con l’aiuto di Lorenzo, che ha tradotto i documenti e letto le testimonianze disponibili\r\n\r\nUna Barriera contro i militari\r\nPer la prima volta dopo più un mese i soldati dell'operazione \"Strade sicure\" non hanno bivaccato nello spiazzo tra corso Palermo e via Sesia. All'arrivo degli antimilitaristi si sono allontanati per l'intero pomeriggio.\r\nLa piazza smilitarizzata ha mutato subito aspetto: si sono avvicinate diverse persone che abitano il quartiere e scelgono la solidarietà ed il mutuo appoggio.\r\nUna ragazza ci avvicina e ci dice, guardando la fermata dell'autobus: \"qui servirebbero più mezzi, invece attese infinite e sovraffollamento. E pretendono che paghiamo il biglietto.\" Il discorso scivola sui costi dell'avamposto militare di fronte ai continui tagli ai servizi essenziali.\r\n\r\nProssime iniziative:\r\n\r\nSabato 16 marzo\r\nCorteo No CPR\r\nore 14,30\r\npiazza Castello\r\n\r\nVenerdì 22 marzo\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nAnarchia e decolonialità\r\nVerso un’idea non nazionalista della decolonizzazione, per un universale plurale, che emerge nella concretezza dei percorsi di lotta.\r\nIl concetto di decolonialità è molto citato negli ultimi anni ma non sempre compreso. Manca soprattutto un’elaborazione di questa idea che la separi da nazionalismi, comunitarismi e approcci basati su una prospettiva unica (piuttosto che su intersezioni) che rischiano di farla diventare una concezione escludente quando non lo è. È importante ricordare che, come elaborata originariamente dal collettivo Modernità-Colonialità-Decolonialità (MCD) e poi arricchita dai contributi del femminismo indigeno, degli studi sul pluriverso e delle epistemologie del Sud per non citare che alcuni dei principali ambiti di discussione, la decolonialità mira a superare i limiti di precedenti approcci.\r\nSi tratta in particolare del culturalismo dei Postcolonial Studies, che si sono spesso limitati a critiche della colonialità che restavano limitate a un’analisi del discorso e confinate in ambiti accademici, e dell’economicismo di teorie quali lo sviluppo ineguale o il sistema mondo, incapaci di includere quello che gli approcci decoloniali chiamano la ‘decolonizzazione epistemica’. In questo senso, i punti qualificanti della decolonialità sono la necessità di non limitarsi alla pura teoria per connettersi alle lotte e situazioni reali, di riscoprire modi di pensare al di fuori delle tradizioni intellettuali europee e di costruire ponti di solidarietà militanti attraverso diverse culture e assi di intervento.\r\nSulla base di questo discorso introduttivo, e di alcuni casi empirici sudamericani di interazione tra gruppi anarchici e comunità \u003Cmark>indigene\u003C/mark> e afrodiscendenti, si discuteranno le basi di un progetto anarchico di decolonialità, basato sul fatto che la tradizione anarchica e molte delle comunità sopracitate condividono punti chiave quali la prassi organizzativa orizzontale, l’azione diretta e l’idea di territorio come relazione sociale piuttosto che come area delimitata da confini “sovrani”. Esse condividono inoltre critiche delle principali pratiche autoritarie che hanno caratterizzato la Sinistra europea ed eurocentrica, quali il concetto di avanguardia politica, quello di intellettuale organico (di solito maschio e bianco) chiamato a “guidare” le lotte, l’idea della rivoluzione come mera presa del potere politico e quella della decolonizzazione o “liberazione nazionale” come mera costruzione di un nuovo Stato.\r\nIn una singola definizione, anarchismo e “lotta afro-indigena” condividono il principio della coerenza tra la teoria e la prassi, che dovrebbe ispirare il più vasto campo della decolonialità.\r\nInterverrà Federico Ferretti, geografo, docente all'università di Bologna.\r\n\r\nSabato 23 marzo\r\nore 15 giardinetti tra corso Giulio Cesare e via Montanaro\r\nAssemblea\r\nCase senza persone, persone senza casa\r\nCon Filippo Borreani, sociologo e con Prendocasa\r\npoi musica, poesia, socialità\r\n(organizza oltredora antifascista)\r\n\r\nVenerdì 12 aprile\r\nEmma Goldman\r\nLa donna più pericolosa d'America\r\nOre 21 corso Palermo 46\r\nNe parliamo con Selva Varengo curatrice della nuova edizione di \"Vivendo la mia vita\", l'autobiografia che Emma Goldman scrisse nel 1934.\r\n\r\nOgni martedì fai un salto da\r\n(A)distro – libri, giornali, documenti e… tanto altro\r\nSeriRiot – serigrafia autoprodotta benefit lotte\r\nVieni a spulciare tra i libri e le riviste, le magliette e i volantini!\r\nSostieni l’autoproduzione e l’informazione libera dallo stato e dal mercato!\r\nInformati su lotte e appuntamenti!\r\ndalle 18 alle 20 in corso Palermo 46\r\n\r\nContatti:\r\n\r\nFederazione Anarchica Torinese\r\ncorso Palermo 46\r\nRiunioni – aperte agli interessati - ogni martedì dalle 20\r\nContatti:\r\nfai_torino@autistici.org\r\n@senzafrontiere.to/\r\nhttps://t.me/SenzaFrontiere\r\n\r\nIscriviti alla nostra newsletter, mandando un messaggio alla pagina FB oppure una mail\r\n\r\nscrivi a: anarres@inventati.org\r\n\r\nwww.anarresinfo.org",[365],{"field":115,"matched_tokens":366,"snippet":362,"value":363},[79],{"best_field_score":225,"best_field_weight":165,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":226,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":46},{"document":369,"highlight":381,"highlights":386,"text_match":223,"text_match_info":389},{"comment_count":46,"id":370,"is_sticky":46,"permalink":371,"podcastfilter":372,"post_author":49,"post_content":373,"post_date":374,"post_excerpt":52,"post_id":370,"post_modified":375,"post_thumbnail":376,"post_title":377,"post_type":282,"sort_by_date":378,"tag_links":379,"tags":380},"87802","http://radioblackout.org/podcast/anarres-del-primo-marzo-cpr-situazione-incandescente-piazza-dei-disertori-antiabortisti-allattacco/",[236],"ll podcast del nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.\r\nDalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.\r\nAscolta e diffondi l’audio della puntata:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/03/2024-03-01-anarres.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:\r\nCPR. Una situazione sempre più incandescente\r\nSi moltiplicano le notizie di rivolte e proteste nei CPR della Penisola.\r\nLa decisione di prolungare la detenzione amministrativa a 18 mesi, nei fatti una vera pena detentiva, comminata senza processo, ha innescato una ulteriore ondata di proteste in queste prigioni per migranti, dove il fuoco delle rivolte è spesso divampato.\r\nDa Gradisca d’Isonzo a Milano, da Macomer a Ponte Galeria, da Trapani Milo a Caltanissetta ci sono state ribellioni, fughe e durissima repressione.\r\nNel frattempo va aventi l’iter autorizzativo dei due CPR in Albania, e c’è la proposta di un CPR a Ferrara.\r\nAbbiamo provato a fare un quadro e qualche riflessione con Raffaele\r\n\r\nTorino. La piazza dei disertori\r\nSabato 24 febbraio, secondo anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina, in tantissimi hanno dato vita a una giornata di lotta antimilitarista, all’insegna della solidarietà con gli uomini, le donne, i bambini e le bambine che in ogni dove muoiono in guerre fatte per affermare gli interessi di ristrette élite dominanti.\r\nQuel pomeriggio, nonostante la pioggia, vento e freddo avessero riportato l’inverno in città, piazza Castello si è rapidamente riempita.\r\nIl sostegno ai disertori di tutte le guerre è stato uno dei momenti centrali della giornata di lotta antimilitarista.\r\nDisertare la guerra era scritto su uno degli striscioni della piazza.\r\nIn ogni dove ci sono governi che pretendono che si uccida per spostare un confine, per annientare i “nemici”, altri esseri umani massacrati in nome della patria, della religione, degli interessi di pochi potenti.\r\n\r\nAntiabortisti all’attacco\r\nÈ approdata alla Camera dei Deputati la proposta di legge di iniziativa popolare «Un cuore che batte», promossa da realtà associative ultracattoliche come Pro Vita & Famiglia onlus.\r\nObiettivo di questa proposta di legge è infatti modificare la legge n.194 del 1978 – che stabilisce i limiti interno ai quali è possibile effettuare legalmente un’interruzione volontaria di gravidanza (IVG),– per obbligare il personale medico a far ascoltare, alle donne incinte intenzionate ad abortire, il presunto battito cardiaco del feto. 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Un'area selvaggiamente colpita dalla deforestazione e che negli anni ha perso quasi i 3/4 della sua area boschiva, ciononostante è tutt'ora vasta circa 173000 ettari. \r\nNegli ultimi dieci anni la foresta è stata attaccata da boscaioli e bracconieri, spingendo così i popoli che vi ci abitano ad auto-organizzarsi per difendere il perimetro vitale della foreste. Recentemente, alle squadre di guardiani, si sono aggiunte le Guerriere, ossia squadre di difesa territoriale composte da sole donne. L'impegno di queste squadre ha drasticamente limitato le attività di deforestamento delle terre Carù.\r\nLe difficoltà incontrate dai gruppi di donne sono state molteplici: dalla difficoltà di emanciparsi dai ruoli predeterminati delle comunità; la limitata possibilità di accedere ai mezzi di spostamento e di difesa; i lunghi spostamenti a piedi e la pericolosità a cui va incontro chiunque si pone l'obbiettivo di difendere la terra e le foreste. Eppure il loro apporto è stato essenziale, soprattutto nel migliorare la comunicazione e il giro di informazioni tra le varie comunità (alcune, come gli Awá-Guajá, sono ancora incontattate). Le associazioni tra sole donne non hanno capi, le decisioni vengono prese in maniera collettiva.\r\nNonostante le violenze, le minacce e gli attacchi da parte dei boscaioli e mercenari (come l'omicidio nel 2019 del ventiseienne Paul Paulino), i risultati di queste squadre di difesa delle foreste hanno portato grandi risultati, limitando il disboscamento a una percentuale irrisoria rispetto al resto del Brasile.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/amazzonia.mp3\"][/audio]\r\n\r\nIn seguito la traduzione di un intervista ad una delle donne Guajajara\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/comunità.mp3\"][/audio]\r\n\r\nL'articolo è stato tratto dal sito Mongabay (https://news.mongabay.com/2020/08/amazon-women-warriors-show-gender-equality-forest-conservation-go-hand-in-hand/)\r\n\r\n \r\n\r\n ","9 Novembre 2020","2020-11-09 14:51:06","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/guajajara-200x110.jpeg","le guerriere Guajajara in difesa della foresta",1604933466,[],[],{"post_content":405},{"matched_tokens":406,"snippet":407,"value":408},[80],"comunità Guajajara vive nelle terre \u003Cmark>indigene\u003C/mark> Carù nello stato brasiliano di","la comunità Guajajara vive nelle terre \u003Cmark>indigene\u003C/mark> Carù nello stato brasiliano di Maranhao, nella zona a nord-est della foresta amazzonica. Un'area selvaggiamente colpita dalla deforestazione e che negli anni ha perso quasi i 3/4 della sua area boschiva, ciononostante è tutt'ora vasta circa 173000 ettari. \r\nNegli ultimi dieci anni la foresta è stata attaccata da boscaioli e bracconieri, spingendo così i popoli che vi ci abitano ad auto-organizzarsi per difendere il perimetro vitale della foreste. Recentemente, alle squadre di guardiani, si sono aggiunte le Guerriere, ossia squadre di difesa territoriale composte da sole \u003Cmark>donne\u003C/mark>. L'impegno di queste squadre ha drasticamente limitato le attività di deforestamento delle terre Carù.\r\nLe difficoltà incontrate dai gruppi di \u003Cmark>donne\u003C/mark> sono state molteplici: dalla difficoltà di emanciparsi dai ruoli predeterminati delle comunità; la limitata possibilità di accedere ai mezzi di spostamento e di difesa; i lunghi spostamenti a piedi e la pericolosità a cui va incontro chiunque si pone l'obbiettivo di difendere la terra e le foreste. Eppure il loro apporto è stato essenziale, soprattutto nel migliorare la comunicazione e il giro di informazioni tra le varie comunità (alcune, come gli Awá-Guajá, sono ancora incontattate). Le associazioni tra sole \u003Cmark>donne\u003C/mark> non hanno capi, le decisioni vengono prese in maniera collettiva.\r\nNonostante le violenze, le minacce e gli attacchi da parte dei boscaioli e mercenari (come l'omicidio nel 2019 del ventiseienne Paul Paulino), i risultati di queste squadre di difesa delle foreste hanno portato grandi risultati, limitando il disboscamento a una percentuale irrisoria rispetto al resto del Brasile.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/amazzonia.mp3\"][/audio]\r\n\r\nIn seguito la traduzione di un intervista ad una delle \u003Cmark>donne\u003C/mark> Guajajara\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/comunità.mp3\"][/audio]\r\n\r\nL'articolo è stato tratto dal sito Mongabay (https://news.mongabay.com/2020/08/amazon-women-warriors-show-gender-equality-forest-conservation-go-hand-in-hand/)\r\n\r\n \r\n\r\n ",[410],{"field":115,"matched_tokens":411,"snippet":407,"value":408},[80],{"best_field_score":225,"best_field_weight":165,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":226,"tokens_matched":110,"typo_prefix_score":46},6637,{"collection_name":282,"first_q":21,"per_page":229,"q":21},7,["Reactive",417],{},["Set"],["ShallowReactive",420],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fmPL2pUS9cq1F0Uji-O82YvCo-kr8d_fZ1pEJEjFz-mA":-1},true,"/search?query=donne+indigene"]