","#RompereIlRicatto #CeloLibre","post",1450296276,[57,58,59,60],"http://radioblackout.org/tag/celo-libre/","http://radioblackout.org/tag/lotte/","http://radioblackout.org/tag/migranti/","http://radioblackout.org/tag/rompere-il-ricatto/",[18,62,63,28],"lotte","migranti",{"post_content":65,"tags":72},{"matched_tokens":66,"snippet":70,"value":71},[67,68,69],"sotto","il","la","mobilitazione perché quel giorno saremo \u003Cmark>sotto\u003C/mark> \u003Cmark>il\u003C/mark> tribunale in tanti, per sostenere \u003Cmark>la\u003C/mark> sfida di essere più forti","Marcelo è un compagno che in tant* abbiamo conosciuto in questi anni di lotte: nel movimento Notav, ai picchetti a fianco dei lavoratori della logistica, nelle lotte per \u003Cmark>la\u003C/mark> casa e ovunque l'ordine del profitto è stato messo in discussione. In quanto migrante, si trova (come moltissim*) sottoposto al ricatto del permesso di soggiorno. Perché oltre all'ordinaria repressione che ognuno di noi subisce quotidianamente per le lotte a cui partecipa, chi è migrante si trova sottoposto a una doppia tenaglia, quella ordinaria e quella del rilascio dei documenti.\r\nPer rispondere a questa minaccia, per non cedere al ricatto, Marcelo ha scritto \u003Cmark>il\u003C/mark> testo che segue, cui fara seguito \u003Cmark>la\u003C/mark> campagna #RompereIlRicatto #CeloLibre, non solo per Marcelo ma per tutt* i/le migranti che già lottano insieme a noi, per quante e quanti lo faranno domani...\r\n\r\nLo abbiamo raggiunto ai nostri microfoni\r\n\r\nAscolta l'intervista con Marcelo\r\n\r\ncelolibre_16dic15\r\n\r\nROMPERE \u003Cmark>IL\u003C/mark> RICATTO, LOTTARE UNITI, RIPRENDERSI LE NOSTRE VITE\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nQuando si parla di migranti non si tiene mai in considerazione \u003Cmark>il\u003C/mark> contesto e le motivazioni per cui decidiamo di partire e imbarcarci alla ricerca di un presente e futuro migliore. Che si scappi dalla guerra, dalle condizioni di povertà o che si decida di cercare fortuna c’è sempre \u003Cmark>il\u003C/mark> dolore per quelli che abbiamo lasciato e \u003Cmark>la\u003C/mark> paura per ciò che non si conosce. Allo stesso modo ogni racconto è sempre superficiale e non si dice niente di ciò che abbiamo dovuto fare per crearci un’identità, per farci degli amici, per riuscire a mangiare, per riuscire a dormire al caldo.\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> sofferenza ci rende schiavi o ribelli, e dopo tanto subire ogni briciola può sembrare un segnale divino di qualche messia in mezzo all’inferno dell’indifferenza. Così tanti si abituano, decidono di tacere e subire in silenzio, sacrificando \u003Cmark>la\u003C/mark> vita nel presente per cercare di guadagnare \u003Cmark>la\u003C/mark> felicità domani, lontani da qui. \u003Cmark>Il\u003C/mark> problema è che nulla rimane fermo, le persone cambiano e a volte \u003Cmark>il\u003C/mark> sogno si trasforma in incubo, soprattutto quando ci rendiamo conto che \u003Cmark>il\u003C/mark> prezzo da pagare per raggiungere \u003Cmark>la\u003C/mark> felicità è l’infelicità permanente. Qui le cose cambiano. Si sceglie di dire basta, di ribellarsi, di andare incontro a questo destino ingrato, per non subire più, perché nessun altro uomo o donna possa essere discriminato o sfruttato semplicemente perché non è italiano.\r\nPer avere un pezzo di carta bisogna dimostrare tutta \u003Cmark>la\u003C/mark> vita allo Stato di essere bravi, di non aver perso \u003Cmark>il\u003C/mark> lavoro, e guarda caso siamo quelli che fanno i lavori che nessun altro vuole fare. Quelli che vengono pagati meno e che fanno arricchire i più furbi o i più ricchi. Paghiamo contributi per noi, per i nostri figli e per i figli degli altri, ma dobbiamo sempre essere grati, perché sembra che qualcun altro ci stia facendo un favore, e chi sono questi? Ovviamente i soliti politici che soffiano sul fuoco della povertà, arricchendosi anche col nostro lavoro e usandoci come capro espiatorio, uno spauracchio da agitare per distogliere l'attenzione e creare divisioni che servono ad alimentare \u003Cmark>la\u003C/mark> loro forza.\r\nVivendo nell'insicurezza più totale e soggetti a uno sfruttamento continuo le probabilità di ribellarsi sono tante. Per questo ci ricattano: o \u003Cmark>la\u003C/mark> vita o i soldi. E quando non diamo i soldi si prendono quel pezzo di carta che per noi vuol dire poter lavorare, poter studiare, poter avere assistenza sanitaria, semplicemente poter esistere e non essere un fantasma.\r\nE questo pezzo di carta bisogna sudarlo nelle innumerevole file alle questure e negli appuntamenti umilianti con degli uomini in divisa, esposti alla loro prepotenza, in balìa di squallidi funzionari che sfogano \u003Cmark>la\u003C/mark> propria esistenza miserevole sulla nostra \u003Cmark>pelle\u003C/mark> e possono permettersi di giocare con le nostre vite.\r\nQuando ci hanno truffato con \u003Cmark>la\u003C/mark> sanatoria, siamo scesi in strada, occupato gru e torri, abbiamo preso le manganellate, le denunce e anche l’espulsione, per aver osato.\r\nQuando ci hanno rinchiuso nei CIE ( i lager della democrazia) siamo stati noi a bruciare i materassi e le lenzuola , a distruggere e rendere inagibile tutto perché altri essere umani non possano più soffrire e non ci siano vite illegali, ci hanno incarcerato e ci hanno espulso. Quanti migranti sono morti alle frontiere o nel Mediterraneo, quanti sogni infranti dagli stessi che bombardano o saccheggiano i nostri paesi e ci chiudono le porte in faccia.\r\nI padroni tremano all’idea di vederci uniti, compatti, senza paura a combattere le loro porcherie, a ribellarci e prenderci quella dignità che ogni giorno viene calpestata perché veniamo considerati soggetti di serie B.\r\nInfatti nelle fabbriche o nelle grandi industrie di logistica dove spesso lavoriamo in condizioni quasi di schiavitù nel silenzio generale tramite \u003Cmark>la\u003C/mark> solidarietà, l’unione e i picchetti siamo riusciti tante volte a fare sentire \u003Cmark>la\u003C/mark> nostra voce, a strappare miglioramenti, a vedere i nostri sfruttatori piegarsi alla forza che siamo riusciti ad esprimere.\r\nNella lotta per \u003Cmark>la\u003C/mark> casa, occupando le palazzine e le case lasciate vuote dagli speculatori o difendendo tutti assieme famiglie \u003Cmark>sotto\u003C/mark> sfratto abbiamo risolto un bisogno e ci siamo accorti di aver trovato degli amici, dei compagni. Abbiamo toccato con mano che \u003Cmark>la\u003C/mark> solidarietà di oggi è mille volte migliore della solitudine e dell’angoscia di ieri. E per tenere in piedi tutto questo lottiamo, rischiamo, ci esponiamo, senza paura.\r\nE ancora una volta quando ci vedono uniti e determinati cercano di colpirci rendendoci difficile \u003Cmark>la\u003C/mark> vita. Negli ultimi anni è stata approvata una legge (l'articolo 5 del Piano Casa) che impedisce a quelli che hanno scelto di occupare di avere \u003Cmark>la\u003C/mark> residenza lì dove vivono. Così diventa ancora più difficile ottenere i documenti, iscrivere i nostri figli a scuola. E' sempre \u003Cmark>il\u003C/mark> solito ricatto, che sia \u003Cmark>la\u003C/mark> minaccia arrogante di uno sbirro o le parole gelide di una legge \u003Cmark>la\u003C/mark> sostanza non cambia: \"O righi dritto o ti togliamo \u003Cmark>il\u003C/mark> permesso\"\r\nCome tanti migranti, ho deciso di stare in prima fila, di lottare per me, \u003Cmark>la\u003C/mark> mia famiglia e per tutti quelli che subiscono l’arroganza del potere. Ho scelto di non cadere nel ricatto e ora lo Stato mi presenta \u003Cmark>il\u003C/mark> conto.\r\nPer più di 6 anni ho vissuto senza documenti, perché questi documenti lo Stato non me li voleva dare. Ma \u003Cmark>la\u003C/mark> libertà non si baratta né ci viene regalata, questa come i diritti si conquistano a spinta o sono solo briciole che possono toglierci nuovamente in ogni momento. Perché \u003Cmark>la\u003C/mark> nostra libertà non vale più di quella degli altri, perché \u003Cmark>la\u003C/mark> lotta è vita e non cambierei mai \u003Cmark>la\u003C/mark> mia scelta di vivere in mezzo ai compagni, alla gente, di rischiare, osare.\r\nLo Stato mi attacca perché lottando contro le riforme che negli ultimi anni hanno distrutto l’istruzione pubblica ho rotto insieme ai mie compagni \u003Cmark>la\u003C/mark> pace sociale dentro \u003Cmark>la\u003C/mark> Statale di Milano, perchè ho preso parte alla lotta No Tav per difendere un territorio ostaggio di imprenditori mafiosi e poliziotti armati fino ai denti, perchè ho occupato e resistito agli sgomberi al fianco di tanti migranti che hanno fatto \u003Cmark>la\u003C/mark> stessa scelta di non subire in silenzio. Questo per \u003Cmark>la\u003C/mark> Questura si traduce in una \"pericolosità sociale\". I migranti che non accettano di arrendersi al ricatto rappresentano un pericolo per \u003Cmark>la\u003C/mark> società che si arricchisce sul loro sfruttamento e sulla loro emarginazione.\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> 14 gennaio un tribunale sarà chiamato ad esprimersi rispetto al mio permesso di soggiorno. Questa lettera è l'inizio di una mobilitazione perché quel giorno saremo \u003Cmark>sotto\u003C/mark> \u003Cmark>il\u003C/mark> tribunale in tanti, per sostenere \u003Cmark>la\u003C/mark> sfida di essere più forti di ogni forma di repressione. Una giornata che possa essere attraversata da tutte le lotte e da tutti i compagni migranti e non, che fianco a fianco lottano ogni giorno in questo \u003Cmark>paese\u003C/mark>.\r\nCome ogni battaglia nei corridoi dell’università, fuori dai Cie, dentro le carceri, nei boschi della Val di Susa, nei quartieri popolari di Milano non c’è mai resa, si combatte metro per metro, fino all’ultimo respiro.\r\nInvitiamo tutti a parlarne, a fare girare questo testo, a portare solidarietà in qualsiasi modo quel giorno e nei giorni precedenti, o venendo a Milano o nei propri territori. Questo può essere l’inizio per rompere finalmente \u003Cmark>il\u003C/mark> ricatto. \u003Cmark>Il\u003C/mark> 14 gennaio non sarà un punto di arrivo, ma \u003Cmark>la\u003C/mark> tappa di un percorso più ampio, perché \u003Cmark>la\u003C/mark> storia di Marcelo è \u003Cmark>la\u003C/mark> storia di qualsiasi migrante che decide di mettersi in gioco. Perché \u003Cmark>la\u003C/mark> possibilità di avere dei migranti al nostro fianco nelle lotte dipende dal fatto che \u003Cmark>il\u003C/mark> nostro rapporto di forza non permetta che ci sia più schiavitù perpetua nei confronti di nessuno. Che lo stesso rapporto di forze che sa esserci nelle nostre lotte ci sia anche quando cercano di attaccarci individualmente \u003Cmark>là\u003C/mark> dove siamo più esposti. Così che mettersi in gioco possa essere sempre più qualcosa di desiderabile e sempre meno qualcosa da temere.\r\n\r\n#RompereIlRicatto\r\n#CeloLibre",[73,75,77,79],{"matched_tokens":74,"snippet":18},[],{"matched_tokens":76,"snippet":62},[],{"matched_tokens":78,"snippet":63},[],{"matched_tokens":80,"snippet":81},[68],"rompere \u003Cmark>il\u003C/mark> ricatto",[83,86],{"field":84,"matched_tokens":85,"snippet":70,"value":71},"post_content",[67,68,69],{"field":31,"indices":87,"matched_tokens":89,"snippets":91},[88],3,[90],[68],[81],2889111915638817000,{"best_field_score":94,"best_field_weight":95,"fields_matched":96,"num_tokens_dropped":43,"score":97,"tokens_matched":98,"typo_prefix_score":43},"3324294004736",14,2,"2889111915638816882",5,{"document":100,"highlight":129,"highlights":137,"text_match":143,"text_match_info":144},{"cat_link":101,"category":102,"comment_count":43,"id":103,"is_sticky":43,"permalink":104,"post_author":105,"post_content":106,"post_date":107,"post_excerpt":49,"post_id":103,"post_modified":108,"post_thumbnail":109,"post_thumbnail_html":110,"post_title":111,"post_type":54,"sort_by_date":112,"tag_links":113,"tags":121},[40],[42],"50728","http://radioblackout.org/2018/11/palermo-il-vertice-sulla-libia-un-fallimento-annunciato/","info2","In una Palermo blindata e attraversata da street parade e cortei di protesta comincia il vertice sulla Libia promosso dal governo. Un vertice che parte zoppo, per l'assenza dei leader dei vari paesi, che saranno rappresentati da figure di secondo piano. L'assenza più pesante sarà quella dell'uomo forte di Bengasi, Khalifa Haftar, che diserterà il vertice anche se parteciperà ad un incontro bilaterale. Anche l'Italia sarà rappresentata da una figura minore, il presidente del consiglio, Giuseppe Conte.\r\nNe parliamo con Alberto Negri, giornalista e profondo conoscitore del Medio Oriente e del Nord Africa, da cui è stato per lunghi anni corrispondente per diverse testate.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/2018-11-13-libia-alb-negri.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nDi seguito l'articolo di Negri uscito sul Manifesto di domenica:\r\n\r\n\"La Libia, per la comunità internazionale, è come un territorio Comanche, in cui scambiare la pelle dei migranti in cambio di petrolio, gas e pascoli militari dove far crescere l’erba di nuovi conflitti. Il resto sono vittime nere che nessuno reclama e tante chiacchiere. L’inutilità della conferenza libica di Palermo si percepisce dall’assenza in blocco dei leader internazionali, fatta eccezione forse del premier russo Medvedev, che Putin usa come un jolly quando non vuole calare l’asso Lavrov.\r\n\r\nNessuno, tranne l’Onu, madre di tutti i fallimenti, ha intenzione di metterci il cappello sopra e presenta il piano già esposto a New York al Consiglio di sicurezza dall’inviato Ghassem Salamè. I capi veri stanno a Parigi per l’incontro Putin-Trump, a margine delle celebrazioni della vittoria nella prima guerra mondiale. E non andrà a Palermo neppure il segretario di Stato Usa Mike Pompeo.\r\nL’unica cosa certa è che verranno rinviate al prossimo anno le elezioni di dicembre volute dalla Francia e dal riottoso generale Khalifa Haftar, riacciuffato per la gita a Palermo da una missione a Mosca del capo dei servizi esterni Alberto Manenti che ha così evitato un flop clamoroso alla Farnesina.\r\nCi crede poco persino il ministro degli Esteri Moavero Milanesi che qualche giorno fa ha connotato l’appuntamento come una conferenza di «servizio», una definizione finora mai sentita nel gergo diplomatico.\r\nAmbizioni decisamente ridimensionate per un Paese che in cambio del Tap, dell’acquisto degli F-35, di qualche barile di greggio iraniano in scadenza per le sanzioni e del Muos _ il sistema elettronico di sorveglianza di Niscemi _ aveva chiesto a Trump, con il viaggio del premier Conte a Washington, la «cabina di regia» sulla Libia. Cosa che aveva fatto anche Renzi da Obama con effetti nulli: agli americani in Libia interessa contenere l’influenza dei russi e dare la caccia con i droni a qualche capetto dell’Isis, portando a casa uno scalpo, come si faceva appunto in territorio Comanche. E questo con buona pace anche dell’onda blu nelle elezioni di mid-term americane dove non c’era un candidato che si sia degnato di dare uno sguardo decente sul mondo e che cosa fa davvero l’America dalle nostre parti.\r\nForse questo meeting di Palermo doveva essere preceduto da un vertice di chiarimento Italia-Francia, che da anni sono insieme alle fazioni libiche i veri protagonisti di questo derby del disfacimento nel Nordafrica e intorbidano più degli altri – in compagnia di Turchia monarchie del Golfo ed Egitto – le acque del Mediterraneo, litigando anche sulla pelle di centinaia di migliaia di migranti.\r\nUno spettacolo indegno per chi guardava all’Europa come alternativa alle superpotenze.\r\nAnzi si può dire che da oltre un secolo questo match sanguinante tra Roma e Parigi si possa definire il vero «classico» della Sponda Sud. Cominciato alla fine dell’Ottocento quando con lo «schiaffo di Tunisi» i francesi si presero il protettorato tunisino ambito dall’Italia monarchica e garibaldina, continuato con lo sbarco italiano in Libia del 1911, la decimazione da parte del generale Graziani della popolazioni libica in Cirenaica (80mila morti su una popolazione di 800mila persone), proseguito con la disfatta nella seconda guerra mondiale e la successiva reazione italiana.\r\nMentre la Francia nel dopoguerra si inventava l’area del franco Cfa dopo Bretton Woods e cercava di mantenere la sua mano sulle colonie, l’Italia dell’Eni di Mattei finanziava l’Fnl algerino nella più sanguinosa guerra di liberazione coloniale del Nordafrica: un milione di morti. Fummo ricompensati dagli algerini con il primo grande gasdotto del Mediterraneo, il Transmed.\r\nPersino durante gli anni ’90 in Algeria Francia e Italia qui sulla Sponda Sud si guardavano in cagnesco: i nostri servizi avevano (e hanno tuttora) un’ottima collaborazione con i generali algerini. Non è un caso che il premier Conte sia appena andato ad Algeri dove con le elezioni presidenziali del prossimo anno sta per cominciare la corsa alla successione all’anziano e malato Bouteflika.\r\nI francesi tutte queste cosette se le sono legate al dito e non perdono occasione per una rivincita.\r\nLa più recente opportunità francese è stata la guerra di Sarkozy a Gheddafi del 2011, dopo che la Francia aveva visto cadere il suo alleato storico Ben Alì (ci rimise il posto la ministra degli esteri francese Alliott-Marie) che per altro era stato insediato da un colpo di stato medicale dei servizi italiani che avevano liquidato negli anni Ottanta il leader storico Bourghiba.\r\nPer l’Italia la caduta di Gheddafi è stata la peggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale: soltanto pochi mesi prima, il 30 agosto 2010, il Colonello veniva omaggiato a Tor di Quinto da 5mila dignitari della repubblica, politici e uomini d’affari, euforici per la firma di decine di miliardi di contratti. L’ondata migratoria ha poi fatto il resto destabilizzando l’intero quadro politico.\r\nMa la cosa peggiore è stata la decisione di accodarsi ai bombardamenti della Nato, consegnando le nostre basi militari per i raid sulla Libia ad americani, francesi e britannici. La nostra credibilità sulla Sponda Sud è affondata e per recuperarla ci vorranno anni, altro che la cabina di regia vagheggiata negli ovatti corridoi romani. Siamo di «servizio» come dice il ministro degli Esteri, cioè apparecchiamo la tavola per la spartizione delle risorse in territorio Comanche dove un tempo, con Andreotti, Prodi, D’Alema, l’Eni e il baciamano di Berlusconi, eravamo gli ospiti d’onore sotto la tenda del Capo.\"","13 Novembre 2018","2018-11-13 14:26:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/Conte_Haftar-1738x1080-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"186\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/Conte_Haftar-1738x1080-300x186.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/Conte_Haftar-1738x1080-300x186.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/Conte_Haftar-1738x1080-768x477.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/Conte_Haftar-1738x1080-1024x636.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/11/Conte_Haftar-1738x1080.jpg 1738w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Palermo: il vertice sulla Libia. 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Cominciato alla fine dell’Ottocento quando con lo «schiaffo di Tunisi» i francesi si presero \u003Cmark>il\u003C/mark> protettorato tunisino ambito dall’Italia monarchica e garibaldina, continuato con lo sbarco italiano in Libia del 1911, \u003Cmark>la\u003C/mark> decimazione da parte del generale Graziani della popolazioni libica in Cirenaica (80mila morti su una popolazione di 800mila persone), proseguito con \u003Cmark>la\u003C/mark> disfatta nella seconda guerra mondiale e \u003Cmark>la\u003C/mark> successiva reazione italiana.\r\nMentre \u003Cmark>la\u003C/mark> Francia nel dopoguerra si inventava l’area del franco Cfa dopo Bretton Woods e cercava di mantenere \u003Cmark>la\u003C/mark> sua mano sulle colonie, l’Italia dell’Eni di Mattei finanziava l’Fnl algerino nella più sanguinosa guerra di liberazione coloniale del Nordafrica: un milione di morti. 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Non è un caso che \u003Cmark>il\u003C/mark> premier Conte sia appena andato ad Algeri dove con le elezioni presidenziali del prossimo anno sta per cominciare \u003Cmark>la\u003C/mark> corsa alla successione all’anziano e malato Bouteflika.\r\nI francesi tutte queste cosette se le sono legate al dito e non perdono occasione per una rivincita.\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> più recente opportunità francese è stata \u003Cmark>la\u003C/mark> guerra di Sarkozy a Gheddafi del 2011, dopo che \u003Cmark>la\u003C/mark> Francia aveva visto cadere \u003Cmark>il\u003C/mark> suo alleato storico Ben Alì (ci rimise \u003Cmark>il\u003C/mark> posto \u003Cmark>la\u003C/mark> ministra degli esteri francese Alliott-Marie) che per altro era stato insediato da un colpo di stato medicale dei servizi italiani che avevano liquidato negli anni Ottanta \u003Cmark>il\u003C/mark> leader storico Bourghiba.\r\nPer l’Italia \u003Cmark>la\u003C/mark> caduta di Gheddafi è stata \u003Cmark>la\u003C/mark> peggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale: soltanto pochi mesi prima, \u003Cmark>il\u003C/mark> 30 agosto 2010, \u003Cmark>il\u003C/mark> Colonello veniva omaggiato a Tor di Quinto da 5mila dignitari della repubblica, politici e uomini d’affari, euforici per \u003Cmark>la\u003C/mark> firma di decine di miliardi di contratti. L’ondata migratoria ha poi fatto \u003Cmark>il\u003C/mark> resto destabilizzando l’intero quadro politico.\r\nMa \u003Cmark>la\u003C/mark> cosa peggiore è stata \u003Cmark>la\u003C/mark> decisione di accodarsi ai bombardamenti della Nato, consegnando le nostre basi militari per i raid sulla Libia ad americani, francesi e britannici. \u003Cmark>La\u003C/mark> nostra credibilità sulla Sponda Sud è affondata e per recuperarla ci vorranno anni, altro che \u003Cmark>la\u003C/mark> cabina di regia vagheggiata negli ovatti corridoi romani. Siamo di «servizio» come dice \u003Cmark>il\u003C/mark> ministro degli Esteri, cioè apparecchiamo \u003Cmark>la\u003C/mark> tavola per \u003Cmark>la\u003C/mark> spartizione delle risorse in territorio Comanche dove un tempo, con Andreotti, Prodi, D’Alema, l’Eni e \u003Cmark>il\u003C/mark> baciamano di Berlusconi, eravamo gli ospiti d’onore \u003Cmark>sotto\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> tenda del Capo.\"",{"matched_tokens":135,"snippet":136,"value":136},[68],"Palermo: \u003Cmark>il\u003C/mark> vertice sulla Libia. 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L’etichetta aveva conosciuto un suo momento di gloria nel 1979, quando la rivoluzione contro lo Shah Palevhi si dichiarò dalla parte dei Mostazafin, per coagulare consensi tra i più poveri.\r\nI giovani scesi nelle piazze dell’Iran sembrano avere poco a che fare con i loro coetanei borghesi della zona Nord di Teheran, del fronte riformista, della protesta che aveva i suoi riferimenti nella rivoluzione ma anche negli ideali libertari occidentali.\r\nQuesta rivolta offre pochi appigli agli analisti perché ha caratteristiche sociali sfuggenti. Nel recente passato le grandi proteste in Iran si erano svolte a Teheran e nella grandi città dove è più facile individuare cosa le muove e chi le agita. Questa volta, specie nella fase aurorale, la periferia ha prevalso sul centro: i giovani iraniani sono scesi in piazza in città lontane dall’usuale palcoscenico della politica, anche per questo le notizie sono arrivate con difficoltà e le forze di sicurezza, presenti in maniera capillare nelle grandi metropoli, hanno avuto maggiori problemi a mantenere il controllo.\r\nL’inizio della rivolta è stata nella provincia di Mashad, città cardine del rivale di Rohani, Ebrahim Raisi, capo della ricca e potente Fondazione Al Qods, battuto alle elezioni presidenziali del maggio scorso. Questo ha fatto pensare che gli ultraconservatori potessero in qualche modo volere mettere in crisi il governo dell’attuale presidente. Un’interpretazione avvalorata dalle dichiarazioni di un fedelissimo di Rohani, il vicepresidente Eashaq Jahangiri, il qualche aveva accusato gli ultrà del regime di manipolare le manifestazioni, un’interpretazione degli eventi appoggiata dallo stesso fronte riformista.\r\n\r\nD’altra parte la Guida Suprema Alì Khamenei si è espresso per una linea ben più dura rispetto a quella di Rohani, il che induce il sospetto che la faccenda, se realmente è stata ispirata dai conservatori, sia presto sfuggita loro di mano.\r\nNel 2009, nell’Onda Verde c’erano leader politici ben precisi, Mir Hussein Mousavi e Mehdi Karrubi, che facevano riferimento ai riformisti appoggiati allora da Hashemi Rafsanjani, uno dei grandi padrini della repubblica islamica. Anche il bersaglio era evidente: la rielezione del presidente ultraconservatore Mahamoud Ahmadinejad, avvenuta in un clima pesantemente avvelenato dai brogli, sostenuto allora dalla Guida Suprema Alì Khamenei che successivamente lo ha abbandonato al suo destino.\r\nC’è chi oggi ha ipotizzato la lunga manus dell’ex presidente Ahmadinejad dietro alle rivolte. Il suo tentativo di presentarsi alle elezioni della scorsa primavera per correre per un terzo mandato è stato bloccato. Ad un certo punto i media nostrani hanno diffuso la notizia di un suo possibile arresto. Sebbene fonti autorevoli sostengano che si tratti di una fake news, ad oggi è difficile dire se Ahmadinejad sia completamente libero di muoversi nel paese.\r\nAhmadinejad ha rappresentato una sorta di anomalia nella scena politica iraniana, perché è stato il primo presidente “laico” della Repubblica Islamica. Là dove per “laico” si intende che Ahmadinejad non appartiene al clero, nonostante sia molto vicino alle correnti più mistiche dello sciismo. Sotto la sua amministrazione, il tema del 12 Imam, l’imam nascosto, il Mahdi ha ripreso forza nei pellegrinaggi nel luogo di una sua ricomparsa in Iran.\r\n\r\nNel 2009 le strade si erano riempite non soltanto del popolo ma anche della borghesia della capitale, la classe media iraniana che ha i suoi referenti a Teheran Nord, la parte più agiata della società. Questa volta a bruciare le auto e incendiare i posti di polizia sono stati i giovani più poveri della periferia, non della capitale ma del paese. Mentre i giovani studenti della borghesia hanno quasi sempre sostenuto i candidati riformisti o moderati alla presidenza, come Mohammed Khatami nel ‘97 e poi Hassan Rohani, per contrastare l’ala dura del potere del clero e dei Pasdaran, questa ondata di protesta non sembra esprimere simpatia per i riformisti e gli “illuminati”. La politica squisitamente liberista di Rohani non ha certo contribuito ad aumentarne l’appeal tra i giovani poveri del paese.\r\n\r\nD’altra parte i temi della rivolta, inizialmente diretta solo contro il caro vita, si sono estesi investendo la stessa casta sacerdotale. Persino la guida suprema Ali Khamenei è entrato nel mirino di un movimento, che lo ha bruciato in effige. Non solo. L’aumento della spesa militare, l’impegno bellico in Siria e Iraq sono tra i temi che hanno alimentato le proteste.\r\nAltra novità la comparsa nelle piazze della provincia di curdi e arabi, minoranze che negli anni precedenti erano rimaste ai margini nelle manifestazioni di dissenso nelle grandi città.\r\nIn Iran circa dodici milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà. L’assistenzialismo iraniano, basato sulle fondazioni religiose, sostiene non più della metà di questa massa di diseredati. Nonostante le distribuzioni con prezzi calmierati dei beni di prima necessità attuate da queste fondazioni, che mirano a mantenere il controllo dei mostazafin, i salari reali sono continuamente diminuiti negli ultimi anni.\r\nLe ruberie da parte delle fondazioni legate al clero – fondazioni che possiedono buona parte dell’industria e della proprietà fondiaria del paese – o l’aumento del prezzo delle uova sono stati i detonatori di una rivolta le cui ragioni hanno ben poco di contingente.\r\n\r\nLa partita potrebbe ripartire a fine gennaio, quando gli Stati Uniti decideranno se imporre ulteriori sanzioni, oltre a quelle che il paese subisce di 38 anni. C’è chi ritiene che Trump potrebbe persino recedere dagli accordi sul nucleare stretti tra l’amministrazione Obama e il governo Rohani.\r\nUn fatto è tuttavia sicuro. Le speranze che quell’accordo portasse alla fine delle sanzioni, all’apertura di nuovi mercati, alla fine dell’embargo finanziario, alla ripresa di investimenti nel paese sono state deluse. I numeri delle disoccupazione e della povertà nel paese disegnano la mappa sulla quale è scoppiata la rivolta. Una rivolta le cui fiamme, imprevedibili per conservatori e riformisti, potrebbero presto riprendere ad ardere.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, corrispondente di guerra ed esperto di questioni geopolitche per il Sole 24 ore e membro dell’ISPI - Istituto per gli studi di politica internazionale.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2018 01 09 negri iran","10 Gennaio 2018","2018-01-13 00:59:30","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/irangirl-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/irangirl-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/irangirl-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/irangirl-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/irangirl-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/01/irangirl.jpg 1151w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Iran. 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Non ha con sé il suo telefono cellulare, rintracciarla è impossibile. Il 5 marzo, quattro giorni dopo, la figlia Magdalena denuncia la sua scomparsa alla polizia. Il 7 marzo, mentre passeggia nel boschetto suburbano di Kabaty, un passante si imbatte in un cadavere carbonizzato. L’autopsia rileva come cause del decesso le ustioni su tutto il corpo e l’avvelenamento da monossido di carbonio prodotto dalla combustione. Le analisi del Dna confermano che la donna arsa viva è Jolanta Brzeska.\r\nLe prime ipotesi degli inquirenti parlano di suicidio, ma né i familiari né gli amici e compagni di lotta ci credono, perché Jolanta Brzeska ha qualcosa che normalmente una mite pensionata di periferia non ha: dei nemici potenti.\r\n\r\nQuando viene trovato il suo cadavere, Brzeska è già da anni molto nota in città per la sua lotta per la casa.\r\nLa palazzina in cui viveva era una casa popolare fino al 2006, quando si presenta alla sua porta il rappresentante dei proprietari dello stabile di prima della guerra che lo hanno appena riacquistato dal comune. I nuovi-vecchi proprietari annullano i contratti di affitto vigenti con il comune e ne impongono di nuovi, a quote molto più alte, impossibili da sostenere per la famiglia di Brzeska e di tutti gli altri inquilini.\r\nInquilini che danno vita al primo nucleo del sindacato inquilini di Varsavia (Wsl) di cui Jolanta Brzeska diventa subito una rappresentante di spicco.\r\nDal 2007 in poi sugli abitanti della palazzina piovono notifiche di sfratto e intimidazioni. Porte sprangate, ronde private lungo la via, il plenipotenziario degli eredi che sposta la sua residenza a quell’indirizzo. Ma Jolanta Brzeska resiste, porta le sue istanze in tribunale, discute con il comune fino al primo marzo del 2011 quando, per bloccarla, la uccidono.\r\nChi si sia trattato di omicidio, è una verità anche giuridica dal 2013, dopo le perizie di una commissione di esperti che ha escluso in ogni modo le possibilità del suicidio. I mandanti e gli esecutori materiali dell’assassinio di Jolanta restano sconosciuti.\r\nNon hanno aspettato le sentenze anarchici e movimenti per la casa che ne hanno fatto un loro simbolo di lotta. La donna, da inquilina qualsiasi di un edificio da riqualificare, era diventata il simbolo di una lotta agli interessi di un’affollata terra di nessuno che covava da anni ed è esplosa di recente, quella creata dalla (non) legge sulla reprywatyzacja.\r\n\r\nPochi giorni dopo la sua morte, la palazzina di via Wilcza 30, dove pochi inquilini assediati stavano resistendo, è stata occupata da attivisti per la casa.\r\nLo squat, pur avendo più volte cambiato pelle, è ancora un luogo di autogestione e lotta. Oggi è il centro occupato Syrena.\r\n\r\nNel decimo anniversario della morte i compagni e le compagne della Federazione Anarchica di Cracovia hanno appeso uno striscione in memoria di Jolanta Brzeska in via Dietla 21, una palazzina simbolo della lotta di oggi contro la gentrification.\r\nScrivono i compagni:\r\n“In questo palazzo è in corso la ristrutturazione completa dello stabile, un palazzo che ha “finalmente” trovato il suo proprietario in una ditta edile che lo vuole far bello. Peccato che dentro questo condominio ci vivano ancora quattro famiglie tra le quali una donna sola, molto anziana. Tutti questi inquilini dovranno lasciare lo stabile entro tre anni, ma i lavori non aspettano: così questo spazio abitativo è adesso un cantiere dove muratori e locatari condividono lo stesso ambiente.\r\nLa tensione fa in fretta a salire: i muratori oltre a eseguire lavori parecchio rumorosi svolgono attività molto pericolose: il cortile diventa presto un deposito calcinacci, spesso lanciati direttamente dal tetto. Per non parlare della splendida idea di iniziare i lavori di costruzione di un’ascensore interno, lavori che prevedono l’eliminazione di tutti i balconi, balconi che in realtà sono ballatoi comuni che servono ai condonimi per accedere alla propria casa.\r\nLa tensione fa presto a salire e l’opera di monitoraggio della federazione anarchica di Cracovia e dell’associazione Krakowska Inicjatywa Obrony Praw Lokatorów (Associazione per la difesa dei diritti dei locatari) rileva l’insonstenibilità di questa situazione: a novembre si viene quasi alle mani tra un inquilino e un muratore, allora si decide di intervenire. Una lotta dove tutti hanno ragione e tutti perdono: gli inquilini che vivono una situazione non solo scomoda, ma altamente pericolosa e i muratori che non possono svolgere il proprio lavoro in tempo e che quindi devono rapportarsi agli squali delle imprese edili che li hanno assunti.\r\nDopo l’intervento dei compagni e dell’associazione, la situazione della messa in sicurezza è relativamente migliorata (per quanto possa essere sicuro creare un cantiere con delle persone dentro!) e i lavori per lo smantellamento dei ballatoi sono per il momento fermi. Staremo a vedere.\r\nPer questo si è scelta questa location per lo striscione in ricordo di Jolanta Brzeska, assassinata, affinché gli affitti possano aumentare.”\r\n\r\nLa gentrification in salsa polacca ha caratteristiche peculiari di un paese, in cui la la parola chiave è “reprywatyzacja” ossia riprivatizzazione.\r\nPer capirne di più occorre partire da lontano.\r\nNel 1945 Varsavia è un cumulo di macerie. L’invasione nazista nel ’39, la liquidazione del ghetto nel ’43, l’insurrezione del ’44 e la successiva rivalsa nazista hanno portato la città a perdere più dell’ottanta per cento dei suoi edifici di prima della guerra.\r\nÈ in questo contesto che opera il Consiglio nazionale di Stato (Krajowa Rada Narodowa), l’autoproclamato parlamento che avrebbe aperto le porte alla costituzione della Polonia socialista. A suo capo c’è Bolesław Bierut, futuro presidente della Repubblica, primo ministro e segretario generale del Partito operaio polacco unificato (Pzpr). Nel novembre del ’45 Bierut firma un decreto che porta il suo nome e che cancella la proprietà privata sui terreni della capitale. È un esproprio a tutti gli effetti, parzialmente contestato, ma che porta i suoi frutti: con uno sforzo collettivo impressionante, Varsavia viene ricostruita.\r\nNel 1989 la fine del socialismo e il passaggio a un’economia di mercato portano con sé molte matasse da sbrogliare, una su tutte è la legittima proprietà dei terreni e degli edifici di Varsavia. Il tema resta sul tavolo del consiglio dei ministri e nelle aule parlamentari per anni, senza che però qualcuno se ne occupi davvero, fino al 1996, quando il Comune di Varsavia decide di procedere in autonomia iniziando ad accogliere le istanze di chi, già nel dopoguerra, aveva chiesto un risarcimento blandamente previsto dal decreto Bierut.\r\nScatta un procedimento amministrativo abnorme, che riguarda 24mila immobili in tutta la città e spesso coinvolge eredi dei vecchi proprietari stabiliti ormai da tempo fuori dalla Polonia.\r\nSi apre così lo spazio per un caravanserraglio di professionisti della restituzione, avvocati, notai o semplici cittadini che fiutano un buon affare e che fanno da mediatori per conto dei proprietari lontani o acquistano da loro il diritto alla rivendicazione per specularci sopra.\r\nUno di questi è Marek Mossakowski, di mestiere antiquario di libri e oggi proprietario formale di quattordici palazzi a Varsavia riscattati dal 1999 in poi nella cornice della reprywatyzacja. Uno di questi edifici, riscattato nel 2003, è la palazzina di via Nabielaka 9 dove vive la famiglia di Jolanta Brzeska.\r\nQueste le dimensioni dell’affare di via Nabielaka per Mossakowski: 800 złoty (circa 200 euro) spesi per ottenere il diritto alla restituzione, 3 milioni di złoty (circa 750mila euro) richiesti al comune di Varsavia come indennizzo per i guadagni mancati per lo sfruttamento precedente dell’edificio e le quote di affitto maggiorato pretese dagli inquilini. Mossakowski, negli ambienti della sinistra radicale è considerato l’unico possibile mandante dell’omicidio di Brzeska. Viene raffigurato su alcuni muri di Varsavia armato di un fiammifero e di una tanica di benzina: la scritta recita in polacco “Varsavia è facilmente infiammabile”, ma lui - nonostante le evidenze giuridiche - quando interpellato sulla questione continua a farvi riferimento come a un tragico suicidio.\r\nNel 2016 sulle pagine del quotidiano Gazeta Wyborcza inizia a uscire una serie di articoli firmati da Iwona Szpala e Małgorzata Zubik, poi raccolti in un libro di un certo successo, che svelano con quanta scarsa trasparenza, e a volte vera e propria commistione, il comune di Varsavia abbia condotto la reprywatyzacja. Intere palazzine acquistate per cifre simboliche, edifici rivendicati nonostante i proprietari avessero già ottenuto i fondi di indennizzo ma soprattutto rapporti di collaborazione tra alti funzionari dell’amministrazione cittadina e avvocati rappresentanti di eredi o presunti tali. Lo scandalo che ne esplode mina seriamente la credibilità dell’ex sindaco di Varsavia Hanna Gronkiewicz-Waltz e del suo partito Piattaforma Civica (Po), la cui linea economica neoliberista è per altro del tutto coerente con il senso profondo della reprywatyzacja.\r\n\r\nLa lotta per la casa non si arresta\r\n\r\nIl sindacato degli inquilini che Jolanta Brzeska aveva fondato oggi porta il suo nome, e il volto della donna compare su volantini, striscioni, manifesti e materiale informativo di ogni sorta prodotto dalla galassia per il movimento per la casa.\r\n\r\nA Varsavia, secondo dati riferiti al 2017, il costo medio di un appartamento superava gli 8000 złoty al metro quadro (circa 2000 euro) mentre quello per l’affitto va sui 50 złoty al metro quadro (circa 12 euro). In una città dove lo stipendio medio lordo nel settore privato (numeri dell’Istituto Centrale di Statistica Gus) si aggira sui 4800 złoty (1200 euro circa), dà la dimensione del problema abitativo.\r\nSecondo le stime del sindacato inquilini, manca alloggio per un milione di persone in tutta la Polonia, e nonostante il settore edilizio sia in continua crescita (+7% nel 2017) non si tratta di edilizia popolare, ma esclusivamente di iniziativa privata che ha interessi commerciali distanti da quelli abitativi pubblici. A Varsavia palazzi moderni e deserti, si ergono poco lontano da edifici fatiscenti, abbandonati a se stessi, spesso privi di riscaldamento e di servizi igienici privati, e sempre più spesso sospesi sotto la spada di Damocle della reprywatyzacja incombente.\r\nL’omicidio di Jolanta Brzeska non ha fermato le istanze di chi lotta in un contesto politico e sociale molto difficile, anzi le ha probabilmente infuocate. Sotto l’egida di questa signora con gli occhiali, così lontana dalle icone rivoluzionarie classiche, si riconoscono anarchici, autonomi, sindacalisti di base, sfrattati e sfruttati.\r\n\r\nCe ne ha parlato Marco, della Federazione Anarchica di Cracovia.\r\n\r\nAscolta l’approfondimento che abbiamo registrato ieri:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/jolanta.mp3\"][/audio]","2 Marzo 2021","2021-03-02 22:24:25","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"225\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta-300x225.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta-300x225.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta-1024x768.jpeg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta-768x576.jpeg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta-1536x1152.jpeg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/03/iolanta.jpeg 1600w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Gentrification in Polonia. 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Non ha con sé \u003Cmark>il\u003C/mark> suo telefono cellulare, rintracciarla è impossibile. \u003Cmark>Il\u003C/mark> 5 marzo, quattro giorni dopo, \u003Cmark>la\u003C/mark> figlia Magdalena denuncia \u003Cmark>la\u003C/mark> sua scomparsa alla polizia. \u003Cmark>Il\u003C/mark> 7 marzo, mentre passeggia nel boschetto suburbano di Kabaty, un passante si imbatte in un cadavere carbonizzato. L’autopsia rileva come cause del decesso le ustioni su tutto \u003Cmark>il\u003C/mark> corpo e l’avvelenamento da monossido di carbonio prodotto dalla combustione. Le analisi del Dna confermano che \u003Cmark>la\u003C/mark> donna arsa viva è Jolanta Brzeska.\r\nLe prime ipotesi degli inquirenti parlano di suicidio, ma né i familiari né gli amici e compagni di lotta ci credono, perché Jolanta Brzeska ha qualcosa che normalmente una mite pensionata di periferia non ha: dei nemici potenti.\r\n\r\nQuando viene trovato \u003Cmark>il\u003C/mark> suo cadavere, Brzeska è già da anni molto nota in città per \u003Cmark>la\u003C/mark> sua lotta per \u003Cmark>la\u003C/mark> casa.\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> palazzina in cui viveva era una casa popolare fino al 2006, quando si presenta alla sua porta \u003Cmark>il\u003C/mark> rappresentante dei proprietari dello stabile di prima della guerra che lo hanno appena riacquistato dal comune. I nuovi-vecchi proprietari annullano i contratti di affitto vigenti con \u003Cmark>il\u003C/mark> comune e ne impongono di nuovi, a quote molto più alte, impossibili da sostenere per \u003Cmark>la\u003C/mark> famiglia di Brzeska e di tutti gli altri inquilini.\r\nInquilini che danno vita al primo nucleo del sindacato inquilini di Varsavia (Wsl) di cui Jolanta Brzeska diventa subito una rappresentante di spicco.\r\nDal 2007 in poi sugli abitanti della palazzina piovono notifiche di sfratto e intimidazioni. Porte sprangate, ronde private lungo \u003Cmark>la\u003C/mark> via, \u003Cmark>il\u003C/mark> plenipotenziario degli eredi che sposta \u003Cmark>la\u003C/mark> sua residenza a quell’indirizzo. Ma Jolanta Brzeska resiste, porta le sue istanze in tribunale, discute con \u003Cmark>il\u003C/mark> comune fino al primo marzo del 2011 quando, per bloccarla, \u003Cmark>la\u003C/mark> uccidono.\r\nChi si sia trattato di omicidio, è una verità anche giuridica dal 2013, dopo le perizie di una commissione di esperti che ha escluso in ogni modo le possibilità del suicidio. I mandanti e gli esecutori materiali dell’assassinio di Jolanta restano sconosciuti.\r\nNon hanno aspettato le sentenze anarchici e movimenti per \u003Cmark>la\u003C/mark> casa che ne hanno fatto un loro simbolo di lotta. \u003Cmark>La\u003C/mark> donna, da inquilina qualsiasi di un edificio da riqualificare, era diventata \u003Cmark>il\u003C/mark> simbolo di una lotta agli interessi di un’affollata terra di nessuno che covava da anni ed è esplosa di recente, quella creata dalla (non) legge sulla reprywatyzacja.\r\n\r\nPochi giorni dopo \u003Cmark>la\u003C/mark> sua morte, \u003Cmark>la\u003C/mark> palazzina di via Wilcza 30, dove pochi inquilini assediati stavano resistendo, è stata occupata da attivisti per \u003Cmark>la\u003C/mark> casa.\r\nLo squat, pur avendo più volte cambiato \u003Cmark>pelle\u003C/mark>, è ancora un luogo di autogestione e lotta. Oggi è \u003Cmark>il\u003C/mark> centro occupato Syrena.\r\n\r\nNel decimo anniversario della morte i compagni e le compagne della Federazione Anarchica di Cracovia hanno appeso uno striscione in memoria di Jolanta Brzeska in via Dietla 21, una palazzina simbolo della lotta di oggi contro \u003Cmark>la\u003C/mark> gentrification.\r\nScrivono i compagni:\r\n“In questo palazzo è in corso \u003Cmark>la\u003C/mark> ristrutturazione completa dello stabile, un palazzo che ha “finalmente” trovato \u003Cmark>il\u003C/mark> suo proprietario in una ditta edile che lo vuole far bello. Peccato che dentro questo condominio ci vivano ancora quattro famiglie tra le quali una donna sola, molto anziana. 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Per non parlare della splendida idea di iniziare i lavori di costruzione di un’ascensore interno, lavori che prevedono l’eliminazione di tutti i balconi, balconi che in realtà sono ballatoi comuni che servono ai condonimi per accedere alla propria casa.\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> tensione fa presto a salire e l’opera di monitoraggio della federazione anarchica di Cracovia e dell’associazione Krakowska Inicjatywa Obrony Praw Lokatorów (Associazione per \u003Cmark>la\u003C/mark> difesa dei diritti dei locatari) rileva l’insonstenibilità di questa situazione: a novembre si viene quasi alle mani tra un inquilino e un muratore, allora si decide di intervenire. Una lotta dove tutti hanno ragione e tutti perdono: gli inquilini che vivono una situazione non solo scomoda, ma altamente pericolosa e i muratori che non possono svolgere \u003Cmark>il\u003C/mark> proprio lavoro in tempo e che quindi devono rapportarsi agli squali delle imprese edili che li hanno assunti.\r\nDopo l’intervento dei compagni e dell’associazione, \u003Cmark>la\u003C/mark> situazione della messa in sicurezza è relativamente migliorata (per quanto possa essere sicuro creare un cantiere con delle persone dentro!) e i lavori per lo smantellamento dei ballatoi sono per \u003Cmark>il\u003C/mark> momento fermi. Staremo a vedere.\r\nPer questo si è scelta questa location per lo striscione in ricordo di Jolanta Brzeska, assassinata, affinché gli affitti possano aumentare.”\r\n\r\n\u003Cmark>La\u003C/mark> gentrification in salsa polacca ha caratteristiche peculiari di un \u003Cmark>paese\u003C/mark>, in cui \u003Cmark>la\u003C/mark> \u003Cmark>la\u003C/mark> parola chiave è “reprywatyzacja” ossia riprivatizzazione.\r\nPer capirne di più occorre partire da lontano.\r\nNel 1945 Varsavia è un cumulo di macerie. 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Uno di questi edifici, riscattato nel 2003, è \u003Cmark>la\u003C/mark> palazzina di via Nabielaka 9 dove vive \u003Cmark>la\u003C/mark> famiglia di Jolanta Brzeska.\r\nQueste le dimensioni dell’affare di via Nabielaka per Mossakowski: 800 złoty (circa 200 euro) spesi per ottenere \u003Cmark>il\u003C/mark> diritto alla restituzione, 3 milioni di złoty (circa 750mila euro) richiesti al comune di Varsavia come indennizzo per i guadagni mancati per lo sfruttamento precedente dell’edificio e le quote di affitto maggiorato pretese dagli inquilini. Mossakowski, negli ambienti della sinistra radicale è considerato l’unico possibile mandante dell’omicidio di Brzeska. 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La frontiera turca – lo testimoniano gli osservatori che inviano report da Suruc, la cittadina ad un chilometro e mezzo da Kobane, è rimasta chiusa al passaggio di aiuti, armi e volontari. Ben diversamente dai rifornimenti per l’ISIS che non sono mai cessati.\r\nL’ambiguità della Turchia non meno di quella degli Stati Uniti e dei suoi alleati è sin troppo evidente.\r\nIn realtà le formazioni che verrebbero fatte passare sono quelle provenienti dalle regioni del Curdistan iracheno, zona di fatto indipendente sin dal 1990, sotto il controllo del partito di Barzani, molto vicino agli Stati Uniti.\r\nSi chiamerebbero ad intervenire i miliziani che quest’estate si sono ritirati di fronte all’avanzata dell’IS nella piana di Ninive e nelle zone di lingua curda dei Senghal, dove l’IS ha attuato atrocità nei confronti della popolazione civile, dagli stupri di massa alle conversioni forzate degli Yezidi alle crocefissioni dei cristiani.\r\nSolo l’intervento delle milizie provenienti dal Rojava ha posto un argine all’avanzata dell’ISIS, spezzando l’assedio di Senghal.\r\nLa mossa del cavallo dell’amministrazione Obama, servirebbe ad aggirare la resistenza del governo Erdogan.\r\nDa questa partita sono esclusi gli uomini e le donne di Kobane che da 36 giorni, nonostante l’incommensurabile disparità di uomini e mezzi stanno resistendo all’avanzata degli uomini del califfo. La loro esperienza di comunalismo libertario è incompatibile con il grande gioco di potenza che Erdogan, gli Stati Uniti, il califfato di Al Baghdadi stanno facendo sulla pelle delle popolazioni locali e di chi lotta, oltre che per la propria vita per un percorso di libertà che, ancora una volta, racconta che un’altra storia è possibile.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Murat Cinar, un torinese di origine turca, da poco tornato dal suo paese.\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\nmurat_curdi","22 Ottobre 2014","2014-10-31 11:53:40","Kobane. 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Un'importante giornata di lotta per chi lotta per il diritto alla casa, mentre le amministrazioni comunali si ostinano a proferire una sola soluzione: mano pesante e tolleranza zero.\r\nLa gente è scesa infine dal tetto solo a fine giornata, dietro l'assivcurazione di uan soluzione abitativa per tutt*. Ma la lotta non si ferma e per sabato pomeriggio è stata convocata nel capoluogo emiliano, una nuova marcia delle periferie, per la casa, i diritti, la dignità!\r\nConsiderazioni sulla giornata di ieri con Fulvio del Laboratorio occupato Crash! e di Sociallog\r\nfulvio_ex_telecom\r\nQui di seguito l'appello per il corteo di sabato prossimo\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nSabato 24 si torna in marcia: Prima i poveri! Basta sgomberi e sfratti!\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nSabato 24 ottobre torneremo in marcia partendo dall’ex Telecom occupato in via Fioravanti 27 alle 15:30. 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Per questo diciamo: “indietro non si torna!” e non ci stiamo a tornare in progetti di assistenza e di così detta “transizione” di cui abbiamo conosciuto il fallimento nel nostro passato di sfrattati.\r\n\r\nMoratoria degli sfratti subito per permettere a quanti si trovano nella condizione di “morosità incolpevole” di evitare il rischio di essere sbattuti fuori casa da ufficiale giudiziario e polizia. C’è la necessità di una grande moratoria accompagnata da un forte investimento di risorse nell’edilizia residenziale pubblica e non di nuovi regolamenti Erp coercitivi ed escludenti le fasce più povere e gli insolventi della nostra società.\r\n\r\nAbolizione dell’articolo 5 del Piano Casa così come i bambini e le bambine delle occupazioni abitative di tutta Italia hanno rivendicato venerdì scorso durante un lungo corteo che si è concluso sotto Palazzo Chigi. In quell’occasione Matteo Orfini del Partito Democratico ha promesso che nel prossimo Patto di Stabilità verrà inserito l’emendamento che cancellerà l’infame articolo 5 del Piano Casa. Dalla promesse adesso vogliamo che si passi ai fatti e continueremo a dare battaglia per cancellare per sempre quel maledetto articolo nemico della povertà che ha causato e sta causando grandi dolori e sofferenze per chi è stato costretto ad occupare una casa.\r\n\r\n“Prima i poveri!” quindi perché è il tempo che il primato del welfare e delle risorse pubbliche venga destinato a chi davvero ne ha bisogno, e che sempre ultimo non ha conosciuto che austerità micidiale e violenza repressiva. “Prima i poveri!” di ogni origine, italiani o stranieri, perché l’unità fa la forza e la solidarietà è la più grande risorsa che hanno tra le mani sfrattati, occupanti, disoccupati e precari per continuare a lottare e conquistare nuova dignità!\r\n\r\nTutti e tutte in marcia! 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L'idea è stata quella di raccontare, attraverso la radio, la rivoluzione\r\ne la resistenza a partire delle partigiane durante la seconda guerra mondiale intrecciandola con le scelte rivoluzionarie delle donne kurde nel Rojava e delle donne che resistono e lottano nella striscia di Gaza in Palestina.\r\n\r\n\r\nSiamo partiti con la lettura di alcuni pezzi della \"Resistenza taciuta\" (La Resistenza taciuta. Dodici vite di partigiane piemontesi di Anna M. Bruzzone e Rachele Farina - Bollati Boringhieri, 2016).\r\n\r\nPer decenni a livello storiografico ed istituzionale il contributo delle donne alla Resistenza non è stato adeguatamente riconosciuto, rimanendo relegato ad un ruolo secondario poiché la lotta per la Liberazioneveniva, per ovvie ragioni, declinata al maschile. 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Per le partigiane la lotta alla liberazione del proprio paese dalla tirannia nazi-fascista è stata, invece, l’occasione per affermare i propri diritti auspicando un ruolo diverso della donna nella società. E sembrava fosse davvero arrivato il momento: le italiane si sentirono finalmente alla pari dei propri compagni, i quali, d’altro canto, ne riconobbero il valore e il coraggio. Il coinvolgimento del genere femminile alla Resistenza, invece, fu consistente. Secondo i dati diffusi dall’ANPI, infatti, viene fuori questo spettro:\r\n• 70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna\r\n• 35000 partigiane, che operavano come combattenti\r\n• 20000 donne con funzioni di supporto (le cosiddette staffette)\r\n• 4563 arrestate torturate e condannate dai tribunali fascisti\r\n• 2900 giustiziate o uccise in combattimento\r\n• 2750 deportate in Germania nei lager nazisti\r\n• 1700 ferite\r\n• 623 fucilate e cadute\r\n• 512 commissarie di guerra\r\nLe donne sposarono la causa della Resistenza per varie ragioni: per ideali politici, per aiutare parenti o amici che avevano abbracciato le armi, per contribuire al ritorno della giustizia.\r\nC’erano operaie, contadine o donne borghesi. Furono attive su più fronti e con ruoli diversi, ad esempio nei paesi di montagna vi era un’alta percentuale di staffette. Le donne di città, invece, prendevano parte per lo più alla Resistenza politica e civile ed entrarono a far parte dei GAP (gruppi di azione patriottica) e delle SAP (squadre di azione patriottica).\r\nOrganizzavano scioperi e manifestazioni contro il fascismo nelle fabbriche dove lavoravano al posto degli uomini andati in guerra o che si erano uniti ai partigiani. Furono creati i Gruppi di difesa della donna, i quali si occuparono di garantire i diritti delle donne e dei loro bambini e organizzavano la raccolta di indumenti, medicinali e informazioni, che venivano fatti recapitare alle staffette per poi portarle ai partigiani. Queste ultime, infatti, avevano il compito di tenere i contatti fra le diverse brigate o con le famiglie dei combattenti. A volte la staffetta reclutava anche nuovi potenziali resistenti e all’interno della brigata faceva da infermiera ai feriti, tenendo anche i contatti con il medico o con il farmacista, dai quali si faceva dare le medicine necessarie. Di norma non erano armate, per evitare di essere identificate e arrestate nel corso di un’eventuale perquisizione e per tale motivo si vestivano in modo comune, fornite spesso di una borsa con il doppio fondo per poter nascondere il materiale che portavano con sé. Inoltre, nelle campagne e nei luoghi più accessibili ai partigiani, le donne misero spesso a disposizione le proprie case per fornire un\r\nnascondiglio o garantire un pasto caldo. Le partigiane che abbracciarono le armi, come Carla Capponi vice comandante di una formazione operante a Roma, invasero un mondo prettamente maschile. Nelle formazioni nei primi tempi vi furono delle contestazioni da parte di alcuni partigiani, contro la presenza femminile, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le donne combattevano al fianco degli uomini, nelle montagne, al freddo, in alcuni casi si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio la loro vita o addirittura perdendola. Come sempre accade in periodi di guerra questo cambiamento della condizione femminile fu solamente temporaneo e l’emancipazione che ne derivò fu abbastanza limitata: la nuova Repubblica, malgrado la concessione del diritto al voto e della partecipazione alla vita politica, continuò a mantenere leggi e tradizioni codificate sotto il regime fascista, relegando di nuovo la popolazione femminile ad un ruolo subalterno.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nIn seguito, con l'aiuto della nostra ospite in studio Delfina Donnici; abbiamo presentato \"Jin Jiyan Azadi. La rivoluzione delle donne in Kurdistan\" - Istituto Andrea Wolf - Tamu, 2022. Delfina Donnici fa parte del comitato italiano di Jineolojî che ha curato la traduzione del libro. Da quando in anni recenti si sono accesi i riflettori sulla resistenza contro l'assedio dello Stato Islamico in Rojava, il movimento delle donne libere curde è diventato a livello globale uno degli esempi rivoluzionari più luminosi del 21° secolo. Jin, Jiyan, Azadî raccoglie le voci di venti rivoluzionarie curde e le compone in un’architettura maestosa: le combattenti ci offrono attraverso memorie private, lettere e pagine di diario una profonda riflessione su un percorso che non inizia con la riconquista di Kobane del 2015 ma ha radici ben più lontane. Ripercorrendo varie fasi della lotta di liberazione curda contro l'oppressione dello stato turco, questo volume offre una avvincente e monumentale ricostruzione della storia recente del Kurdistan, dalla costituzione del Pkk all'arresto di Öcalan, fino all'elaborazione dei nuovi paradigmi del confederalismo democratico e di Jineolojî, la scienza delle donne. Per la prima volta scopriamo dalla prospettiva delle protagoniste la visione del mondo e le scelte di vita che le hanno portate alla guida di una guerra di liberazione, oltre che di un epocale progetto di trasformazione dei rapporti tra donne e uomini, tra nazioni e tra specie viventi. Essendo il testo molto interessante e pregno di contenuti abbiamo voluto fare un'intervista divisa in 3 parti, divise tra loro da due brani (qui nel podcast riprodotte parzialmente), tratti dalla compilation \"Music for Rojava\" edito dall'etichetta Sonic Resistance.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Speciale-presentazione-libro-Jin-Jiyna-Azadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nInfine, con l'aiuto della presidente di una piccola associazione pro-Palestina di Genova che si chiama New Weapons Research Group, che si occupa principalmente degli effetti sui civili di Gaza dell’uso di armi da parte dell’esercito israeliano (il sito è http://we4gaza.org/) abbiamo raccontato la resistenza delle donne palestinesi. La presidente Paola Manduca è una genetista in pensione dell’Università di Genova che, fino a poco tempo fà, si recava regolarmente a Gaza per studiare gli effetti dei bombardamenti soprattutto su madri e neonati. Le donne nella Striscia di Gaza hanno vissuto sulla loro pelle l’Inverno Caldo del 2008 e mantengono vividi nella memoria i ricordi delle ignobili operazioni militari israeliane susseguitesi negli anni, da Operazione Piombo Fuso a Operazione Margine di Protezione, sino agli ultimi attacchi di maggio 2021. Combattono per la liberazione della mente, del corpo e della Terra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Resistono da quando sono nate ad una violenta dominazione che coinvolge ogni ambito della loro vita; al contempo continuano a battersi affinché all’interno di questa striscia di terra lunga poco più di 40 km vi siano le condizioni necessarie per una vita libera dalla cultura e dalla realtà patriarcale, estremamente violenta. Un numero ancora troppo elevato di donne a Gaza subisce la fitta struttura di equilibri e leggi tradizionali che ne limita drasticamente la libertà. Le donne a Gaza lottano da sempre per i propri diritti, per la loro emancipazione, autodeterminazione e indipendenza economica. Fronteggiano la violenza di genere creando reti di supporto psicologico e legale per le donne con situazioni familiari difficili; Lottano come giovani universitarie per il diritto allo studio per tutti e tutte, per una rappresentanza studentesca che sia anche femminile, per un welfare accademico degno ed accessibile; Lottano come infermiere e dottoresse per una sanità il più possibile a disposizione delle donne di Gaza, nonostante i limiti inimmaginabili causati da decenni di assedio, totale chiusura della Striscia di Gaza. Combattono in prima linea, curano i feriti, sostengono i percorsi psicologici necessari per affrontare i traumi di guerra e le sindromi da stress post traumatico che dilagano nella popolazione adulta, così come nei bambini. Sono la Resistenza attiva della Palestina. Il blocco e l'isolamento subito dalla popolazione impedisce al mondo di sapere cosa succede \"tra le mura di Gaza\". Spetta a noi, che oggi ne abbiamo la possibilità, rompere questo isolamento.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Paola-Mancuso-su-situazione-donne-palestinai.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n ","28 Aprile 2022","2022-04-28 19:56:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/copertina-jin-jiyan-azadi-200x110.jpg","frittura mista|radio fabbrica 26/04/2022",1651175767,[],[],{"post_content":543},{"matched_tokens":544,"snippet":545,"value":546},[67,68,69],"mantenere leggi e tradizioni codificate \u003Cmark>sotto\u003C/mark> \u003Cmark>il\u003C/mark> regime fascista, relegando di nuovo \u003Cmark>la\u003C/mark> popolazione femminile ad un ruolo","\u003Cmark>IL\u003C/mark> 25 APRILE DI GENERE INTERNAZIONALISTA\r\n \r\nDurante \u003Cmark>la\u003C/mark> puntata odierna abbiamo cercato di raccontare \u003Cmark>il\u003C/mark> 25 aprile con un respiro internazionalista e di genere. 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Proprio perché da sempre relegate tra le mura domestiche e imbrigliate in ruoli determinati, le donne quando raccontano \u003Cmark>la\u003C/mark> loro esperienza partigiana hanno avuto \u003Cmark>la\u003C/mark> tendenza a autosvalutarsi o a banalizzare \u003Cmark>il\u003C/mark> contributo apportato. \u003Cmark>La\u003C/mark> partigiana Nelia Benissone Costa disse a tal proposito:\r\n“tanto gli uomini sono pieni di sé, tanto le donne preferiscono tacere”. Per questo motivo è per molti denominata Resistenza taciuta. \u003Cmark>La\u003C/mark> storia delle donne nella Resistenza è ancora troppo sommerso e spesso relegato al ruolo della “staffetta”, descritta quasi sempre in modo romantico e limitandone l’azione al mero trasporto clandestino di documenti o istruzioni. In realtà le donne hanno combattuto e subito le stesse violenze (con l’aggravante dello stupro nella maggior parte dei casi) degli uomini. Per le partigiane \u003Cmark>la\u003C/mark> lotta alla liberazione del proprio \u003Cmark>paese\u003C/mark> dalla tirannia nazi-fascista è stata, invece, l’occasione per affermare i propri diritti auspicando un ruolo diverso della donna nella società. E sembrava fosse davvero arrivato \u003Cmark>il\u003C/mark> momento: le italiane si sentirono finalmente alla pari dei propri compagni, i quali, d’altro canto, ne riconobbero \u003Cmark>il\u003C/mark> valore e \u003Cmark>il\u003C/mark> coraggio. \u003Cmark>Il\u003C/mark> coinvolgimento del genere femminile alla Resistenza, invece, fu consistente. Secondo i dati diffusi dall’ANPI, infatti, viene fuori questo spettro:\r\n• 70000 donne organizzate nei Gruppi di difesa della donna\r\n• 35000 partigiane, che operavano come combattenti\r\n• 20000 donne con funzioni di supporto (le cosiddette staffette)\r\n• 4563 arrestate torturate e condannate dai tribunali fascisti\r\n• 2900 giustiziate o uccise in combattimento\r\n• 2750 deportate in Germania nei lager nazisti\r\n• 1700 ferite\r\n• 623 fucilate e cadute\r\n• 512 commissarie di guerra\r\nLe donne sposarono \u003Cmark>la\u003C/mark> causa della Resistenza per varie ragioni: per ideali politici, per aiutare parenti o amici che avevano abbracciato le armi, per contribuire al ritorno della giustizia.\r\nC’erano operaie, contadine o donne borghesi. Furono attive su più fronti e con ruoli diversi, ad esempio nei paesi di montagna vi era un’alta percentuale di staffette. Le donne di città, invece, prendevano parte per lo più alla Resistenza politica e civile ed entrarono a far parte dei GAP (gruppi di azione patriottica) e delle SAP (squadre di azione patriottica).\r\nOrganizzavano scioperi e manifestazioni contro \u003Cmark>il\u003C/mark> fascismo nelle fabbriche dove lavoravano al posto degli uomini andati in guerra o che si erano uniti ai partigiani. Furono creati i Gruppi di difesa della donna, i quali si occuparono di garantire i diritti delle donne e dei loro bambini e organizzavano \u003Cmark>la\u003C/mark> raccolta di indumenti, medicinali e informazioni, che venivano fatti recapitare alle staffette per poi portarle ai partigiani. Queste ultime, infatti, avevano \u003Cmark>il\u003C/mark> compito di tenere i contatti fra le diverse brigate o con le famiglie dei combattenti. A volte \u003Cmark>la\u003C/mark> staffetta reclutava anche nuovi potenziali resistenti e all’interno della brigata faceva da infermiera ai feriti, tenendo anche i contatti con \u003Cmark>il\u003C/mark> medico o con \u003Cmark>il\u003C/mark> farmacista, dai quali si faceva dare le medicine necessarie. Di norma non erano armate, per evitare di essere identificate e arrestate nel corso di un’eventuale perquisizione e per tale motivo si vestivano in modo comune, fornite spesso di una borsa con \u003Cmark>il\u003C/mark> doppio fondo per poter nascondere \u003Cmark>il\u003C/mark> materiale che portavano con sé. Inoltre, nelle campagne e nei luoghi più accessibili ai partigiani, le donne misero spesso a disposizione le proprie case per fornire un\r\nnascondiglio o garantire un pasto caldo. Le partigiane che abbracciarono le armi, come Carla Capponi vice comandante di una formazione operante a Roma, invasero un mondo prettamente maschile. Nelle formazioni nei primi tempi vi furono delle contestazioni da parte di alcuni partigiani, contro \u003Cmark>la\u003C/mark> presenza femminile, ma alla fine anche i più scettici dovettero ricredersi. Le donne combattevano al fianco degli uomini, nelle montagne, al freddo, in alcuni casi si dedicavano a delle vere e proprie azioni di sabotaggio militare, mettendo a rischio \u003Cmark>la\u003C/mark> loro vita o addirittura perdendola. Come sempre accade in periodi di guerra questo cambiamento della condizione femminile fu solamente temporaneo e l’emancipazione che ne derivò fu abbastanza limitata: \u003Cmark>la\u003C/mark> nuova Repubblica, malgrado \u003Cmark>la\u003C/mark> concessione del diritto al voto e della partecipazione alla vita politica, continuò a mantenere leggi e tradizioni codificate \u003Cmark>sotto\u003C/mark> \u003Cmark>il\u003C/mark> regime fascista, relegando di nuovo \u003Cmark>la\u003C/mark> popolazione femminile ad un ruolo subalterno.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nIn seguito, con l'aiuto della nostra ospite in studio Delfina Donnici; abbiamo presentato \"Jin Jiyan Azadi. \u003Cmark>La\u003C/mark> rivoluzione delle donne in Kurdistan\" - Istituto Andrea Wolf - Tamu, 2022. Delfina Donnici fa parte del comitato italiano di Jineolojî che ha curato \u003Cmark>la\u003C/mark> traduzione del libro. Da quando in anni recenti si sono accesi i riflettori sulla resistenza contro l'assedio dello Stato Islamico in Rojava, \u003Cmark>il\u003C/mark> movimento delle donne libere curde è diventato a livello globale uno degli esempi rivoluzionari più luminosi del 21° secolo. Jin, Jiyan, Azadî raccoglie le voci di venti rivoluzionarie curde e le compone in un’architettura maestosa: le combattenti ci offrono attraverso memorie private, lettere e pagine di diario una profonda riflessione su un percorso che non inizia con \u003Cmark>la\u003C/mark> riconquista di Kobane del 2015 ma ha radici ben più lontane. Ripercorrendo varie fasi della lotta di liberazione curda contro l'oppressione dello stato turco, questo volume offre una avvincente e monumentale ricostruzione della storia recente del Kurdistan, dalla costituzione del Pkk all'arresto di Öcalan, fino all'elaborazione dei nuovi paradigmi del confederalismo democratico e di Jineolojî, \u003Cmark>la\u003C/mark> scienza delle donne. Per \u003Cmark>la\u003C/mark> prima volta scopriamo dalla prospettiva delle protagoniste \u003Cmark>la\u003C/mark> visione del mondo e le scelte di vita che le hanno portate alla guida di una guerra di liberazione, oltre che di un epocale progetto di trasformazione dei rapporti tra donne e uomini, tra nazioni e tra specie viventi. Essendo \u003Cmark>il\u003C/mark> testo molto interessante e pregno di contenuti abbiamo voluto fare un'intervista divisa in 3 parti, divise tra loro da due brani (qui nel podcast riprodotte parzialmente), tratti dalla compilation \"Music for Rojava\" edito dall'etichetta Sonic Resistance.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Speciale-presentazione-libro-Jin-Jiyna-Azadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nInfine, con l'aiuto della presidente di una piccola associazione pro-Palestina di Genova che si chiama New Weapons Research Group, che si occupa principalmente degli effetti sui civili di Gaza dell’uso di armi da parte dell’esercito israeliano (\u003Cmark>il\u003C/mark> sito è http://we4gaza.org/) abbiamo raccontato \u003Cmark>la\u003C/mark> resistenza delle donne palestinesi. \u003Cmark>La\u003C/mark> presidente Paola Manduca è una genetista in pensione dell’Università di Genova che, fino a poco tempo fà, si recava regolarmente a Gaza per studiare gli effetti dei bombardamenti soprattutto su madri e neonati. Le donne nella Striscia di Gaza hanno vissuto sulla loro \u003Cmark>pelle\u003C/mark> l’Inverno Caldo del 2008 e mantengono vividi nella memoria i ricordi delle ignobili operazioni militari israeliane susseguitesi negli anni, da Operazione Piombo Fuso a Operazione Margine di Protezione, sino agli ultimi attacchi di maggio 2021. Combattono per \u003Cmark>la\u003C/mark> liberazione della mente, del corpo e della Terra nella più grande prigione a cielo aperto del mondo. Resistono da quando sono nate ad una violenta dominazione che coinvolge ogni ambito della loro vita; al contempo continuano a battersi affinché all’interno di questa striscia di terra lunga poco più di 40 km vi siano le condizioni necessarie per una vita libera dalla cultura e dalla realtà patriarcale, estremamente violenta. Un numero ancora troppo elevato di donne a Gaza subisce \u003Cmark>la\u003C/mark> fitta struttura di equilibri e leggi tradizionali che ne limita drasticamente \u003Cmark>la\u003C/mark> libertà. Le donne a Gaza lottano da sempre per i propri diritti, per \u003Cmark>la\u003C/mark> loro emancipazione, autodeterminazione e indipendenza economica. Fronteggiano \u003Cmark>la\u003C/mark> violenza di genere creando reti di supporto psicologico e legale per le donne con situazioni familiari difficili; Lottano come giovani universitarie per \u003Cmark>il\u003C/mark> diritto allo studio per tutti e tutte, per una rappresentanza studentesca che sia anche femminile, per un welfare accademico degno ed accessibile; Lottano come infermiere e dottoresse per una sanità \u003Cmark>il\u003C/mark> più possibile a disposizione delle donne di Gaza, nonostante i limiti inimmaginabili causati da decenni di assedio, totale chiusura della Striscia di Gaza. Combattono in prima linea, curano i feriti, sostengono i percorsi psicologici necessari per affrontare i traumi di guerra e le sindromi da stress post traumatico che dilagano nella popolazione adulta, così come nei bambini. Sono \u003Cmark>la\u003C/mark> Resistenza attiva della Palestina. \u003Cmark>Il\u003C/mark> blocco e l'isolamento subito dalla popolazione impedisce al mondo di sapere cosa succede \"tra le mura di Gaza\". Spetta a noi, che oggi ne abbiamo \u003Cmark>la\u003C/mark> possibilità, rompere questo isolamento.\r\n\r\nBuon ascolto\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/F_m_26_04_Paola-Mancuso-su-situazione-donne-palestinai.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[download]\r\n\r\n ",[548],{"field":84,"matched_tokens":549,"snippet":545,"value":546},[67,68,69],{"best_field_score":94,"best_field_weight":95,"fields_matched":11,"num_tokens_dropped":43,"score":551,"tokens_matched":98,"typo_prefix_score":43},"2889111915638816881",{"document":553,"highlight":581,"highlights":589,"text_match":594,"text_match_info":595},{"comment_count":43,"id":554,"is_sticky":43,"permalink":555,"podcastfilter":556,"post_author":351,"post_content":557,"post_date":558,"post_excerpt":559,"post_id":554,"post_modified":560,"post_thumbnail":561,"post_title":562,"post_type":400,"sort_by_date":563,"tag_links":564,"tags":574},"8202","http://radioblackout.org/podcast/la-strage-della-memoria-la-testimonianza-di-paolo-finzi-sulla-strage-di-stato-e-lassassinio-di-pinelli/",[],"Nel dicembre del 1969 Paolo aveva appena compiuto diciottanni.\r\nDopo la strage alla banca dell’Agricoltura – 17 morti e 88 feriti - fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.\r\nLui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.\r\n\r\nTestimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita.\r\n\r\nAscolta la chiacchierata con Paolo a radio Blackout: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/2012-04-15-finzi-corto.mp3|titles=2012 04 15 finzi corto]\r\n\r\nScarica l'audio \r\n\r\nVenerdì 20 aprile ore 21\r\nincontro con Paolo Finzi\r\nnella sede della federazione anarchica torinese\r\nin corso Palermo 46\r\n\r\nPrima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri\r\n“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli” \r\ncon Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.\r\n\r\nTorniamo indietro. A quel dannato 15 dicembre del 1969, il giorno che Giuseppe Pinelli venne ammazzato nella questura di Milano, nella stanza del commissario della “squadra politica” Luigi Calabresi.\r\nTre giorni prima una bomba di Stato aveva fatto strage di 17 persone nella banca dell’agricoltura di piazza Fontana. Immediatamente era scattata la caccia all’anarchico: decine e decine di compagni erano stati fermati e portati in questura e sottoposti a martellanti interrogatori. Giuseppe Pinelli, partigiano, ferroviere, sindacalista libertario, attivo nella lotta alla repressione, era uno dei tanti.\r\nUno dei tanti che in quegli anni riempivano le piazze per farla finita con lo sfruttamento e l’oppressione.\r\n\r\nIl copione venne preparato con cura ed eseguito a puntino. Un sistema politico e sociale che aveva imbalsamato la Resistenza, represso la protesta operaia e contadina, stava traballando sotto la pressione delle lotte a scuola e in fabbrica.\r\nLa strage di piazza Fontana, la criminalizzazione degli anarchici, l’assassinio di Giuseppe Pinelli furono la risposta dello Stato al movimento del Sessantotto e del Sessantanove.\r\nSolo la forza di quel movimento impedì che il cerchio si chiudesse, che gli anarchici venissero condannati per quella strage, la prima delle tante che insanguinarono l’Italia.\r\nQuelle stragi, maturate nel cuore stesso delle istituzioni “democratiche”, miravano ad imporre una svolta autoritaria, a dittature feroci come quelle di Grecia, Argentina, Cile. Basta con la favola dei “servizi segreti deviati”! Gli stragisti sedevano sui banchi del governo. Uomini dei servizi e poliziotti come Calabresi obbedivano fedelmente alle direttive dello Stato.\r\n\r\nDopo 40 anni lo Stato cerca di assolvere definitivamente se stesso, mettendo sullo stesso piano i carnefici e le vittime. Non è un caso che il protagonista sia Giorgio Napolitano. Napolitano, come il suo collega Violante, che equiparò i partigiani ai fascisti di Salò, riscrive la storia.\r\nNel 2009 cercò di mettere una pietra tombale sulle vicende di quegli anni invitando alla stessa cerimonia la vedova di Pino e quella del suo assassino.\r\nPoi è arrivato Cucchiarelli con il suo libro di fantasie spacciate per verità. Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio.\r\nAl centro la tesi folle che nello stesso giorno nella medesima banca qualcuno avesse piazzato due bombe, una più debole, fatta mettere da settori dello Stato che volevano un irrigidimento della morsa disciplinare sui movimenti, l’altra, cattiva ed assassina, fatta sistemare dalla NATO per provocare il golpe in Italia. Prove? Nessuna! Lo scopo? Chiarissimo! Inventarsi la tesi degli opposti stragismi, uno anarchico, l’altro fascista, entrambi burattini manovrati nel buio di trame oscure.\r\nNel romanzo di Giordana ci sono due santi e martiri, che ci lasceranno la pelle ma salveranno lo Stato. Nell’improbabile ruolo, il commissario Luigi Calabresi e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro.\r\nAldo Moro, tra i protagonisti dell’attacco ai movimenti sociali, che stavano mettendo in seria discussione un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’autoritarismo, la violenza di Stato, si trasforma in un mistico con la premonizione del martirio, antesignano di quel compromesso storico tra democrazia cristiana e partito comunista, dove oggi il PD, riconosce le proprie radici. Peccato che del suo ruolo di salvatore della democrazia non vi sia alcuna traccia né nei documenti né nelle testimonianze. Una delle tante libertà letterarie di Giordana.\r\nCalabresi era un noto persecutore di anarchici: fu lui a puntare il dito contro gli anarchici milanesi, sin dai tempi delle bombe del 25 aprile alla Fiera Campionaria di Milano.\r\nGiuseppe Pinelli, interrogato per tre giorni e tre notti, quando i termini legali del fermo erano ormai scaduti, venne gettato dalla finestra della stanza di Calabresi. Forse era già morto per le botte ricevute, forse morì dopo. Calabresi, Guida, il questore di Milano già a capo del confino di Ventotene, e gli altri poliziotti e carabinieri sostennero che si era ammazzato.\r\nLo fecero tanto male, che Gerardo D’ambrosio, allora giovane PM, oggi senatore PD, chiuderà l’inchiesta sostenendo che Pinelli era morto per “un malore attivo”. Tesi edulcorata e ridicola che Giordana riprende nel suo film.\r\nI giudici “perbene” sono i comprimari nella classifica dei buoni. Peccato che dopo 43 anni dalle aule di tribunale non sia uscito nulla. E nulla poteva uscire, perché lo Stato non condanna se stesso.\r\n\r\nQuesto film è uno dei tanti tasselli di un revisionismo di “sinistra” che ha tentato di riscrivere quegli anni all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile.\r\nUno dei tanti modi di liquidare un’intera epoca di lotte e passioni civili, trasformando gli anarchici in macchiette, un po’ sciocchi, utili idioti magari un po’ criminali.\r\nIl grande essente, volutamente rimosso, cancellato, nascosto è il 1969.\r\nIl grande freddo del mese della strage, seguiva l’autunno caldissimo di quell’anno. Di quell’autunno di lotte operaie oggi resta ben poco. L’articolo 18 è l’ultimo frammento rimasto: PD e PDL, uniti contro chi vive di lavoro, lo stanno cancellando.\r\nNoi, tenaci, ricordiamo: se in Italia non ci fu il golpe, se il disegno dei Calabresi, Guida, Rumor non funzionò fu grazie ad un paese, dove le menzogne di Stato avevano le gambe corte, fu grazie ai movimenti sociali che riempirono le piazze per gridare una verità, allora evidente a tutti.\r\n“La strage è di Stato, Valpreda è innocente. Pinelli è stato assassinato e Calabresi è uno dei suoi assassini.”\r\nIl destino dei vinti non è solo la sconfitta ma anche l’oblio. Quell’oblio al quale Giordana, Cucchiarelli e il partito del Presidente Napolitano vogliono consegnare quegli anni.\r\nQuella di Giordana è una vera strage della memoria.\r\nA noi tutti il compito di mantenerla viva. Finché gli sfruttati e gli oppressi di questo paese sapranno ricordare la loro Storia, non saranno ancora sconfitti. Finché gli sfruttati e gli oppressi sapranno alzare la testa, lottare per una società di liberi ed eguali, senza Stati, giudici, poliziotti, la strada sarà ancora aperta.\r\nOgni anno, ogni giorno, ogni momento può essere una nuova stagione delle ciliegie. Cogliamole e facciamone dono a chi verrà dopo.","17 Aprile 2012","Nel dicembre del 1969 Paolo aveva appena compiuto diciottanni. \r\nDopo la strage alla banca dell’Agricoltura – 17 morti e 88 feriti - fu tra le centinaia di anarchici condotti in questura per l’interrogatorio.\r\nLui tornò alla sua casa, Pino Pinelli no.\r\n\r\nVenerdì 20 aprile ore 21\r\nnella sede della federazione anarchica torinese\r\nin corso Palermo 46\r\nIncontro con Paolo Finzi\r\n\r\nPrima dell’incontro verrà proiettato il breve film di Elio Petri \r\n“Tre ipotesi sulla morte di Pinelli” \r\ncon Gian Maria Volonté, Giancarlo Dettori, Renzo Montagnani.\r\n\r\nTestimone e protagonista di quegli anni, Paolo ci racconterà una storia che ha lasciato un segno indelebile nella sua vita. \r\n\r\nAscolta la chiacchierata con Paolo a radio Blackout ","2018-10-17 22:11:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/pinelli_anarchiac-200x110.jpg","La strage della memoria. 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Da quel libro, Giordana, anche lui arruolato nel partito del Presidente, ha tratto un film che non è che un romanzaccio.\r\nAl centro \u003Cmark>la\u003C/mark> tesi folle che nello stesso giorno nella medesima banca qualcuno avesse piazzato due bombe, una più debole, fatta mettere da settori dello Stato che volevano un irrigidimento della morsa disciplinare sui movimenti, l’altra, cattiva ed assassina, fatta sistemare dalla NATO per provocare \u003Cmark>il\u003C/mark> golpe in Italia. Prove? Nessuna! Lo scopo? Chiarissimo! Inventarsi \u003Cmark>la\u003C/mark> tesi degli opposti stragismi, uno anarchico, l’altro fascista, entrambi burattini manovrati nel buio di trame oscure.\r\nNel romanzo di Giordana ci sono due santi e martiri, che ci lasceranno \u003Cmark>la\u003C/mark> \u003Cmark>pelle\u003C/mark> ma salveranno lo Stato. Nell’improbabile ruolo, \u003Cmark>il\u003C/mark> commissario Luigi Calabresi e l’allora ministro degli esteri Aldo Moro.\r\nAldo Moro, tra i protagonisti dell’attacco ai movimenti sociali, che stavano mettendo in seria discussione un assetto sociale fondato sullo sfruttamento, l’autoritarismo, \u003Cmark>la\u003C/mark> violenza di Stato, si trasforma in un mistico con \u003Cmark>la\u003C/mark> premonizione del martirio, antesignano di quel compromesso storico tra democrazia cristiana e partito comunista, dove oggi \u003Cmark>il\u003C/mark> PD, riconosce le proprie radici. Peccato che del suo ruolo di salvatore della democrazia non vi sia alcuna traccia né nei documenti né nelle testimonianze. Una delle tante libertà letterarie di Giordana.\r\nCalabresi era un noto persecutore di anarchici: fu lui a puntare \u003Cmark>il\u003C/mark> dito contro gli anarchici milanesi, sin dai tempi delle bombe del 25 aprile alla Fiera Campionaria di Milano.\r\nGiuseppe Pinelli, interrogato per tre giorni e tre notti, quando i termini legali del fermo erano ormai scaduti, venne gettato dalla finestra della stanza di Calabresi. Forse era già morto per le botte ricevute, forse morì dopo. Calabresi, Guida, \u003Cmark>il\u003C/mark> questore di Milano già a capo del confino di Ventotene, e gli altri poliziotti e carabinieri sostennero che si era ammazzato.\r\nLo fecero tanto male, che Gerardo D’ambrosio, allora giovane PM, oggi senatore PD, chiuderà l’inchiesta sostenendo che Pinelli era morto per “un malore attivo”. Tesi edulcorata e ridicola che Giordana riprende nel suo film.\r\nI giudici “perbene” sono i comprimari nella classifica dei buoni. Peccato che dopo 43 anni dalle aule di tribunale non sia uscito nulla. E nulla poteva uscire, perché lo Stato non condanna se stesso.\r\n\r\nQuesto film è uno dei tanti tasselli di un revisionismo di “sinistra” che ha tentato di riscrivere quegli anni all’insegna di una pacificazione impossibile, vergognosa, inaccettabile.\r\nUno dei tanti modi di liquidare un’intera epoca di lotte e passioni civili, trasformando gli anarchici in macchiette, un po’ sciocchi, utili idioti magari un po’ criminali.\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> grande essente, volutamente rimosso, cancellato, nascosto è \u003Cmark>il\u003C/mark> 1969.\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> grande freddo del mese della strage, seguiva l’autunno caldissimo di quell’anno. Di quell’autunno di lotte operaie oggi resta ben poco. L’articolo 18 è l’ultimo frammento rimasto: PD e PDL, uniti contro chi vive di lavoro, lo stanno cancellando.\r\nNoi, tenaci, ricordiamo: se in Italia non ci fu \u003Cmark>il\u003C/mark> golpe, se \u003Cmark>il\u003C/mark> disegno dei Calabresi, Guida, Rumor non funzionò fu grazie ad un \u003Cmark>paese\u003C/mark>, dove le menzogne di Stato avevano le gambe corte, fu grazie ai movimenti sociali che riempirono le piazze per gridare una verità, allora evidente a tutti.\r\n“\u003Cmark>La\u003C/mark> strage è di Stato, Valpreda è innocente. Pinelli è stato assassinato e Calabresi è uno dei suoi assassini.”\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> destino dei vinti non è solo \u003Cmark>la\u003C/mark> sconfitta ma anche l’oblio. Quell’oblio al quale Giordana, Cucchiarelli e \u003Cmark>il\u003C/mark> partito del Presidente Napolitano vogliono consegnare quegli anni.\r\nQuella di Giordana è una vera strage della memoria.\r\nA noi tutti \u003Cmark>il\u003C/mark> compito di mantenerla viva. Finché gli sfruttati e gli oppressi di questo \u003Cmark>paese\u003C/mark> sapranno ricordare \u003Cmark>la\u003C/mark> loro Storia, non saranno ancora sconfitti. Finché gli sfruttati e gli oppressi sapranno alzare \u003Cmark>la\u003C/mark> testa, lottare per una società di liberi ed eguali, senza Stati, giudici, poliziotti, \u003Cmark>la\u003C/mark> strada sarà ancora aperta.\r\nOgni anno, ogni giorno, ogni momento può essere una nuova stagione delle ciliegie. 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Se le volte precedenti i teatri di guerra in cui stava operando ci avevano permesso di descrivere il quadro attorno a Zaporižžja, stavolta si trovava in Iran mentre si andavano svolgendo le operazioni belliche della guerra battezzata da Trump dei 12 giorni, impegnato proprio con quelle centrali oggetto del contendere nel pretesto sionista per l'aggressione di Netanyahu e nella dimostrazione di muscoli machisti di Trump. Ci ha potuto quindi restituire un quadro di prima mano sia della comunità civile iraniana, sia delle figure di scienziati che a dispetto di ogni convenzione diplomatica e facendo strame del diritto internazionale sono stati decimati; ma contemporaneamente ha potuto con precisione descrivere e dirimere la questione più strettamente tecnologica. Così facendo ci ha confermato nell'idea che avevamo già avanzato la scorsa settimana con Laura Silvia Battaglia, ipotizzando che si tratti semplicemente di un sanguinario teatrino dell'orrore messo in piedi dai vertici del potere internazionale per far accettare la trasformazione del Sudovest asiatico secondo i piani di Tel Aviv.\r\nSiamo anche tornati a Panama, questa volta con David Lifodi, redattore de \"La Bottega del Barbieri\". Abbiamo di nuovo rivolto la prua verso il Canale, perché ci sembrava che la quantità di motivi di scontro e la serie di interessi planetari che passano da quella via di comunicazione che va prosciugandosi sia tale che vede tutte le grandi potenze impegnate: la Cina lascia il controllo dei porti, Trump pretende di annettersi il paese che tanto ha lottato per l'indipendenza, un presidente traditore che svende il paese agli americani, che dispiegheranno truppe di nuovo lungo il Canale, e alla Chiquita, che impone licenziamenti e dimezzamenti salariali e pensionistici (i lavoratori andrebbero in pensione con il 30% del loro stipendio – ora sarebbe con il 60%). I tumulti in piazza sono scoppiati, la repressione è stata feroce.\r\nE sulla scorta di questa ondata di lotte di piazza mesoamericane abbiamo sentito l'impulso di sentire ancora una volta Tatjana Djordjevic per documentare la svolta del Movimento serbo contro Vucic: stavolta la posizione si è più politicizzata e chiede dimissioni, si contrappone al rifiuto di rispondere dell'apparato di potere, forse perdendo l'anima movimentista, fresca e irridente, probabilmente per l'infiltrazione di elementi organizzati.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nPiergiorgio Pescali, ingegnere nucleare che svolge i controlli per conto dell’Aiea, durante la guerra dei 12 giorni svolgeva il suo compito a Teheran e ci ha restituito alcune impressioni sulla società iraniana coinvolta nel conflitto, reazioni e speranze scaturite dalla situazione, ma soprattutto ci ha fatto il quadro preciso dello stato dell’arte tecnologico da esperto che ha conosciuto buona parte degli scienziati uccisi dall’Idf, colleghi preparati e che hanno sempre ribadito l’intento non militare del loro lavoro. Pescali non nasconde che i risultati dell’attività delle centrali iraniane esulassero dagli accordi sull’arricchimento dell’uranio – ma comunque i persiani non hanno accesso al plutonio, indispensabile per dotarsi di una bomba che possa fare da deterrente – e che l’Aiea dovesse riferire, sicuramente il pericolo non legittimava la reazione assassina del governo di Netanyahu: eliminare gli scienziati e decapitare i comandi militari indebolisce la società iraniana ma la lascia in balia del regime confessionale non più in grado di contrastare le mire sioniste, ma ancora più feroce nel controllo interno.\r\nPeraltro, se si analizza la questione con gli occhiali dello scienziato informato di prima mano, il pericolo della dotazione nucleare iraniana sarebbe potenzialmente a tal punto risibile rispetto alla potenza nucleare israeliana che appare evidente che sia stato tutto un teatrino pretestuoso il putiferio luttuoso combinato dai potenti, inscenato per rafforzare il singolo potere interno sulla pelle dei morti civili, anche di valenti scienziati, menti sottratte alla comunità. Infatti dopo quei 12 giorni di guerra non è cambiato nulla: l’Iran non ha stracciato la firma dal Trattato sulla non proliferazione nucleare (che Israele non ha mai preso in considerazione nella sua consueta impunità), gli Usa continuano nell’ambiguità del sostegno acritico a Israele e a contrastare l’espansione cinese, Tel Aviv insiste a sfruttare la superiorità bellica per rintuzzare la potenza della Mezzaluna sciita. Il resto è show-war innescato da pretesti conflittuali per rendere accettabile la trasformazione del Sudovest asiatico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/scene-di-guerra-spettacolari-per-ridisegnare-il-medio-oriente-raccontando-favole-nucleari--66873848\r\n\r\ni precedenti episodi relativi alla Repubblica islamica si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/OneWayNukeProliferation.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nSono due mesi che si assiste a proteste incessanti che coinvolgono diversi settori della società panamense , le proteste godono di un ampio sostegno popolare ed è per questo che il governo ha iniziato ad aumentare la repressione.\r\nLe mobilitazioni che si stanno svolgendo in varie parti del paese sono contro la riforma del sistema pensionistico, la riapertura della miniera Cobre Panamá, i bacini idrici multifunzionali del canale interoceanico e l'accordo di intesa firmato da Panama con gli Stati Uniti.\r\nIl governo intende decapitare il movimento, criminalizzando e perseguendo penalmente i principali dirigenti sindacali e minacciando gli scioperanti . La verità è che ci troviamo di fronte a una dittatura in abiti civili, che gode del sostegno degli Stati Uniti e risponde al malcontento sociale con la repressione indiscriminata.\r\nNonostante lo stato d’assedio, la crescita delle proteste nella cosiddetta zona bananera, dove l’impresa Chiquita Panamá ha licenziato più di cinquemila lavoratori , ha incrementato la rivolta sociale contro il presidente Mulino, giunto al potere nel 2024 grazie al sostegno della borghesia panamense e del grande capitale e che era riuscito a guadagnarsi l’appoggio popolare intercettando l’elettorato ultraconservatore deluso dal neoliberista Martinelli, alla guida del paese tra il 2009 e il 2014 prima di essere travolto da una serie di scandali legati alla corruzione.\r\nIn un paese di poco più di 4 milioni di abitanti i primi a scendere in lotta, il 23 aprile scorso, sono stati i docenti. Successivamente, a far sentire la propria voce, sono stati lavoratori delle bananeras, i sindacati, a partire dal Suntracs (Sindicato Único Nacional de Trabajadores de la Construcción y Similares) e gli studenti, tutti riuniti sotto le insegne del collettivo Alianza Pueblo Unido por la Vida che, fin dall’inizio, ha definito quella di Mulino come un’”offensiva neoconservatrice e neocolonialista”.\r\n\r\nNe parliamo con David Lifodi attento osservatore della realtà latinoamericana.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/panama-s-incrociano-le-rivendicazioni-popolari-mentre-e-in-corso-la-contesa-per-il-controllo-del-canale--66875972\r\n\r\nQui trovate la serie dedicata al mondo latinoamericano\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/BASTIONI-03072025-PANAMA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nQuando ormai sembrava che le proteste stessero per sgonfiarsi e che neanche gli studenti avessero più la forza, a Belgrado si è svolta una grande manifestazione, segnando un altro punto di svolta nella mobilitazione di studenti e cittadini che si protrae ormai da mesi.\r\nTuttavia, sabato 28 giugno è diventato chiaro che la situazione è molto più complessa.\r\nNella storia della Serbia, questa data ha un significato importante, quasi mitico. La battaglia di Kosovo Polje si svolse il 28 giugno 1389, a Vidovdan (il giorno di San Vito) secondo il calendario gregoriano. A 636 anni di distanza, ancora si discute e ci si scontra sul significato di questo evento.\r\nPer la maggior parte dei cittadini serbi, questa è una delle date più significative della storia, il giorno in cui l’esercito serbo si oppose a quello ottomano, di gran lunga superiore, combatté eroicamente e, pur uscendo sconfitto, “salvò l'Europa”.\r\nPer altri – che restano in minoranza – Vidovdan è una ricorrenza da commemorare, ma non da celebrare, avendo spinto la Serbia in uno stato di prigionia e decadenza secolare. Per la destra, Vidovdan è un giorno sacro, per la sinistra una fonte di preoccupazione per le possibili recrudescenze nazionaliste e scioviniste.\r\nNegli ultimi trent’anni, Vidovdan ha assunto particolare rilevanza. A riportarlo in auge fu Slobodan Milošević.\r\nIl Kosovo è ancora uno dei punti nevralgici della società serba, tant’è che la stragrande maggioranza dei cittadini serbi continua a percepire il Kosovo come parte integrante della Serbia e a basare su questa convinzione le proprie opinioni politiche.\r\nQuesto il contesto in cui gli studenti hanno organizzato la grande manifestazione a Vidovdan. Stando alle stime in Piazza Slavija, a Belgrado, si sono radunate centoquarantamila persone. Altre fonti parlano anche di duecentomila manifestanti.\r\nIl salto di qualità del movimento studentesco, nato in seguito al crollo della pensilina della stazione di Novi Sad avvenuto il 1 novembre del 2024 e in cui persero la vita 15 persone, è evidente nella capillare mobilitazione che sta coinvolgendo ampi strati della società serba .Le rivendicazioni sono la richiesta di elezioni politiche anticipate e smantellare il cosiddetto Ćaciland, bastione del Partito progressista serbo (SNS) in centro a Belgrado, allestito dagli “studenti che vogliono tornare in aula”, che da mesi ormai blocca il traffico nella capitale.\r\nL'ampiamento della base sociale delle proteste ha portato a galla i residui del nazionalismo serbo che si sono visti in piazza Slavija dove sono intervenute personalità dall'evidente pedigree nazionalista .L'intossicazione nazionalista e la scelta di confrontarsi sul piano elettorale con Vucic rischiano di far scivolare il movimento verso la normalizzazione ,mentre rimane molto forte la mobilitazione e l'indignazione popolare contro il sistema di Vucic.\r\n\r\nNe parliamo con Tatjana Djordjevic corrispondente dall'Italia di vari media .\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/serbia-ombre-nazionaliste-sulla-protesta-degli-studenti-contro-vucic--66876127\r\n\r\nI precedenti interventi relativi al Movimento serbo e anche alle altre realtà balcaniche potete ascoltare si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/BASTIONI-03072025-SERBIA.mp3\"][/audio]","6 Luglio 2025","2025-07-07 09:27:35","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/10/blade-1-1-200x110.jpg","BASTIONI DI ORIONE 03/07/2025 - LA FAVOLA DEL NUCLEARE IRANIANO È RACCONTATA DA SPECCHI SIONISTI DEFORMANTI E CRIMINALI. IL CHOKEPOINT DI PANAMA CONCENTRA RABBIA E REPRESSIONE, CHE IN SERBIA TROVANO UN NUOVO LIVELLO DI SCONTRO",1751830781,[610,611],"http://radioblackout.org/tag/bastioni-di-orione/","http://radioblackout.org/tag/bastioniorione/",[613,614],"Bastioni di Orione","BastioniOrione",{"post_content":616,"post_title":620},{"matched_tokens":617,"snippet":618,"value":619},[68,430],"porti, Trump pretende di annettersi \u003Cmark>il\u003C/mark> \u003Cmark>paese\u003C/mark> che tanto ha lottato per","Avevamo già sentito Piergiorgio Pescali a proposito del suo lavoro di ingegnere inviato dall'Aiea a controllare \u003Cmark>il\u003C/mark> rispetto dei protocolli nucleari nelle aree più soggette a dispute sull'uso dell'energia nucleare da parte degli stati. 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Pescali non nasconde che i risultati dell’attività delle centrali iraniane esulassero dagli accordi sull’arricchimento dell’uranio – ma comunque i persiani non hanno accesso al plutonio, indispensabile per dotarsi di una bomba che possa fare da deterrente – e che l’Aiea dovesse riferire, sicuramente \u003Cmark>il\u003C/mark> pericolo non legittimava \u003Cmark>la\u003C/mark> reazione assassina del governo di Netanyahu: eliminare gli scienziati e decapitare i comandi militari indebolisce \u003Cmark>la\u003C/mark> società iraniana ma \u003Cmark>la\u003C/mark> lascia in balia del regime confessionale non più in grado di contrastare le mire sioniste, ma ancora più feroce nel controllo interno.\r\nPeraltro, se si analizza \u003Cmark>la\u003C/mark> questione con gli occhiali dello scienziato informato di prima mano, \u003Cmark>il\u003C/mark> pericolo della dotazione nucleare iraniana sarebbe potenzialmente a tal punto risibile rispetto alla potenza nucleare israeliana che appare evidente che sia stato tutto un teatrino pretestuoso \u003Cmark>il\u003C/mark> putiferio luttuoso combinato dai potenti, inscenato per rafforzare \u003Cmark>il\u003C/mark> singolo potere interno sulla \u003Cmark>pelle\u003C/mark> dei morti civili, anche di valenti scienziati, menti sottratte alla comunità. Infatti dopo quei 12 giorni di guerra non è cambiato nulla: l’Iran non ha stracciato \u003Cmark>la\u003C/mark> firma dal Trattato sulla non proliferazione nucleare (che Israele non ha mai preso in considerazione nella sua consueta impunità), gli Usa continuano nell’ambiguità del sostegno acritico a Israele e a contrastare l’espansione cinese, Tel Aviv insiste a sfruttare \u003Cmark>la\u003C/mark> superiorità bellica per rintuzzare \u003Cmark>la\u003C/mark> potenza della Mezzaluna sciita. \u003Cmark>Il\u003C/mark> resto è show-war innescato da pretesti conflittuali per rendere accettabile \u003Cmark>la\u003C/mark> trasformazione del Sudovest asiatico.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/scene-di-guerra-spettacolari-per-ridisegnare-il-medio-oriente-raccontando-favole-nucleari--66873848\r\n\r\ni precedenti episodi relativi alla Repubblica islamica si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/OneWayNukeProliferation.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nSono due mesi che si assiste a proteste incessanti che coinvolgono diversi settori della società panamense , le proteste godono di un ampio sostegno popolare ed è per questo che \u003Cmark>il\u003C/mark> governo ha iniziato ad aumentare \u003Cmark>la\u003C/mark> repressione.\r\nLe mobilitazioni che si stanno svolgendo in varie parti del \u003Cmark>paese\u003C/mark> sono contro \u003Cmark>la\u003C/mark> riforma del sistema pensionistico, \u003Cmark>la\u003C/mark> riapertura della miniera Cobre Panamá, i bacini idrici multifunzionali del canale interoceanico e l'accordo di intesa firmato da Panama con gli Stati Uniti.\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> governo intende decapitare \u003Cmark>il\u003C/mark> movimento, criminalizzando e perseguendo penalmente i principali dirigenti sindacali e minacciando gli scioperanti . \u003Cmark>La\u003C/mark> verità è che ci troviamo di fronte a una dittatura in abiti civili, che gode del sostegno degli Stati Uniti e risponde al malcontento sociale con \u003Cmark>la\u003C/mark> repressione indiscriminata.\r\nNonostante lo stato d’assedio, \u003Cmark>la\u003C/mark> crescita delle proteste nella cosiddetta zona bananera, dove l’impresa Chiquita Panamá ha licenziato più di cinquemila lavoratori , ha incrementato \u003Cmark>la\u003C/mark> rivolta sociale contro il presidente Mulino, giunto al potere nel 2024 grazie al sostegno della borghesia panamense e del grande capitale e che era riuscito a guadagnarsi l’appoggio popolare intercettando l’elettorato ultraconservatore deluso dal neoliberista Martinelli, alla guida del \u003Cmark>paese\u003C/mark> tra \u003Cmark>il\u003C/mark> 2009 e \u003Cmark>il\u003C/mark> 2014 prima di essere travolto da una serie di scandali legati alla corruzione.\r\nIn un \u003Cmark>paese\u003C/mark> di poco più di 4 milioni di abitanti i primi a scendere in lotta, \u003Cmark>il\u003C/mark> 23 aprile scorso, sono stati i docenti. Successivamente, a far sentire \u003Cmark>la\u003C/mark> propria voce, sono stati lavoratori delle bananeras, i sindacati, a partire dal Suntracs (Sindicato Único Nacional de Trabajadores de \u003Cmark>la\u003C/mark> Construcción y Similares) e gli studenti, tutti riuniti \u003Cmark>sotto\u003C/mark> le insegne del collettivo Alianza Pueblo Unido por \u003Cmark>la\u003C/mark> Vida che, fin dall’inizio, ha definito quella di Mulino come un’”offensiva neoconservatrice e neocolonialista”.\r\n\r\nNe parliamo con David Lifodi attento osservatore della realtà latinoamericana.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/panama-s-incrociano-le-rivendicazioni-popolari-mentre-e-in-corso-la-contesa-per-il-controllo-del-canale--66875972\r\n\r\nQui trovate \u003Cmark>la\u003C/mark> serie dedicata al mondo latinoamericano\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/BASTIONI-03072025-PANAMA.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nQuando ormai sembrava che le proteste stessero per sgonfiarsi e che neanche gli studenti avessero più \u003Cmark>la\u003C/mark> forza, a Belgrado si è svolta una grande manifestazione, segnando un altro punto di svolta nella mobilitazione di studenti e cittadini che si protrae ormai da mesi.\r\nTuttavia, sabato 28 giugno è diventato chiaro che \u003Cmark>la\u003C/mark> situazione è molto più complessa.\r\nNella storia della Serbia, questa data ha un significato importante, quasi mitico. \u003Cmark>La\u003C/mark> battaglia di Kosovo Polje si svolse \u003Cmark>il\u003C/mark> 28 giugno 1389, a Vidovdan (\u003Cmark>il\u003C/mark> giorno di San Vito) secondo \u003Cmark>il\u003C/mark> calendario gregoriano. A 636 anni di distanza, ancora si discute e ci si scontra sul significato di questo evento.\r\nPer \u003Cmark>la\u003C/mark> maggior parte dei cittadini serbi, questa è una delle date più significative della storia, \u003Cmark>il\u003C/mark> giorno in cui l’esercito serbo si oppose a quello ottomano, di gran lunga superiore, combatté eroicamente e, pur uscendo sconfitto, “salvò l'Europa”.\r\nPer altri – che restano in minoranza – Vidovdan è una ricorrenza da commemorare, ma non da celebrare, avendo spinto \u003Cmark>la\u003C/mark> Serbia in uno stato di prigionia e decadenza secolare. Per \u003Cmark>la\u003C/mark> destra, Vidovdan è un giorno sacro, per \u003Cmark>la\u003C/mark> sinistra una fonte di preoccupazione per le possibili recrudescenze nazionaliste e scioviniste.\r\nNegli ultimi trent’anni, Vidovdan ha assunto particolare rilevanza. A riportarlo in auge fu Slobodan Milošević.\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> Kosovo è ancora uno dei punti nevralgici della società serba, tant’è che \u003Cmark>la\u003C/mark> stragrande maggioranza dei cittadini serbi continua a percepire \u003Cmark>il\u003C/mark> Kosovo come parte integrante della Serbia e a basare su questa convinzione le proprie opinioni politiche.\r\nQuesto \u003Cmark>il\u003C/mark> contesto in cui gli studenti hanno organizzato \u003Cmark>la\u003C/mark> grande manifestazione a Vidovdan. Stando alle stime in Piazza Slavija, a Belgrado, si sono radunate centoquarantamila persone. Altre fonti parlano anche di duecentomila manifestanti.\r\n\u003Cmark>Il\u003C/mark> salto di qualità del movimento studentesco, nato in seguito al crollo della pensilina della stazione di Novi Sad avvenuto \u003Cmark>il\u003C/mark> 1 novembre del 2024 e in cui persero \u003Cmark>la\u003C/mark> vita 15 persone, è evidente nella capillare mobilitazione che sta coinvolgendo ampi strati della società serba .Le rivendicazioni sono \u003Cmark>la\u003C/mark> richiesta di elezioni politiche anticipate e smantellare \u003Cmark>il\u003C/mark> cosiddetto Ćaciland, bastione del Partito progressista serbo (SNS) in centro a Belgrado, allestito dagli “studenti che vogliono tornare in aula”, che da mesi ormai blocca \u003Cmark>il\u003C/mark> traffico nella capitale.\r\nL'ampiamento della base sociale delle proteste ha portato a galla i residui del nazionalismo serbo che si sono visti in piazza Slavija dove sono intervenute personalità dall'evidente pedigree nazionalista .L'intossicazione nazionalista e \u003Cmark>la\u003C/mark> scelta di confrontarsi sul piano elettorale con Vucic rischiano di far scivolare \u003Cmark>il\u003C/mark> movimento verso \u003Cmark>la\u003C/mark> normalizzazione ,mentre rimane molto forte \u003Cmark>la\u003C/mark> mobilitazione e l'indignazione popolare contro \u003Cmark>il\u003C/mark> sistema di Vucic.\r\n\r\nNe parliamo con Tatjana Djordjevic corrispondente dall'Italia di vari media .\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/serbia-ombre-nazionaliste-sulla-protesta-degli-studenti-contro-vucic--66876127\r\n\r\nI precedenti interventi relativi al Movimento serbo e anche alle altre realtà balcaniche potete ascoltare si trovano qui\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/07/BASTIONI-03072025-SERBIA.mp3\"][/audio]",{"matched_tokens":621,"snippet":622,"value":623},[417],"BASTIONI DI ORIONE 03/07/2025 - \u003Cmark>LA\u003C/mark> FAVOLA DEL NUCLEARE IRANIANO È","BASTIONI DI ORIONE 03/07/2025 - \u003Cmark>LA\u003C/mark> FAVOLA DEL NUCLEARE IRANIANO È RACCONTATA DA SPECCHI SIONISTI DEFORMANTI E CRIMINALI. \u003Cmark>IL\u003C/mark> CHOKEPOINT DI PANAMA CONCENTRA RABBIA E REPRESSIONE, CHE IN SERBIA TROVANO UN NUOVO LIVELLO DI SCONTRO",[625,627],{"field":84,"matched_tokens":626,"snippet":618,"value":619},[68,430],{"field":141,"matched_tokens":628,"snippet":622,"value":623},[417],{"best_field_score":264,"best_field_weight":95,"fields_matched":96,"num_tokens_dropped":43,"score":265,"tokens_matched":98,"typo_prefix_score":43},6674,{"collection_name":400,"first_q":342,"per_page":343,"q":342},{"title":633,"slug":634},"Bobina","bobina-intelligente",["Reactive",636],{},["Set"],["ShallowReactive",639],{"$f_gHogzgsXwyL7KBO1jhzKvSrPuXuDt76udnDdqtTLrs":-1,"$fNT_zbPO1LFuB7EW6TZvuFitXCrMNGSyQO_WfBHZ5LbA":-1},true,"/search?query=il+paese+sotto+la+pelle"]