","Licenziata perché No Tav: dalla conferenza stampa","post",1445452546,[61,62,63,64,65],"http://radioblackout.org/tag/carcere/","http://radioblackout.org/tag/no-tav-2/","http://radioblackout.org/tag/resistenze/","http://radioblackout.org/tag/soprusi-lavoro/","http://radioblackout.org/tag/vallette/",[67,68,20,24,69],"carcere","no tav","vallette",{"post_content":71,"tags":76},{"matched_tokens":72,"snippet":74,"value":75},[73],"lavoro","aver indossato sul luogo di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> una maglietta No Tav, atteggiamento","Lo strano caso di Angela, educatrice all'interno del carcere delle Vallette, assunta da una cooperativa, Morgana, che lavora con i tossicodipendenti all'interno dell'istituto. Angela, viene prima richiamata per aver indossato sul luogo di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> una maglietta No Tav, atteggiamento giudicato sconveniente e provocatorio dalla direzione che però si rifiuta di redarguire ufficialmente Angela, in perfetto stile mafioso, ma preferisce una comunicazione informale, che non lasci tracce insomma. Un giorno, il 17 settermbre, ad Angela viene impedito l'accesso al carcere con un laconico \"questioni di sicurezza\". Nessun altra spiegazione. Solo più tardi Angela scoprirà che c'è a suo carico anche una segnalazione della Digos che ha annotato uno \"scambio di baci e abbracci con alcuni anarco insurrezionalisti\", leggasi delle amiche che attendevano fuori dal carcere alcuni giovani No Tav arrestati in luglio. Angela non ci tiene particolarmente a tornare in carcere a lavorare ma decide comunque di denunciare questo episodio vergognoso e discriminatorio. 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Il prossimo 8 marzo, nell’ambito di Non Una di Meno, hanno indetto sciopero. I sindacati confederali non solo ignorano la determinazione della lotta, ma cercano di dividere il fronte delle lavoratrici per farle desistere dal partecipare allo sciopero.\r\n\r\nAscolta la diretta con Emanuela, una delle lavoratrici in lotta: emanuela-sodex-lottomarzo","1 Marzo 2017","2017-03-03 12:12:55","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/03/serveimage-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"268\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/03/serveimage-300x268.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/03/serveimage-300x268.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/03/serveimage.jpeg 558w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Lavoratrici Sodexo Pisa verso #lottomarzo",1488368112,[118,119,120,121,122],"http://radioblackout.org/tag/8-marzo/","http://radioblackout.org/tag/lottomarzo/","http://radioblackout.org/tag/pisa/","http://radioblackout.org/tag/sciopero/","http://radioblackout.org/tag/sodexo/",[124,22,125,15,126],"8 marzo","Pisa","sodexo",{"post_content":128},{"matched_tokens":129,"snippet":130,"value":131},[85,73],"lavoratrici denunciano “un sistema di \u003Cmark>soprusi\u003C/mark> e ricatti che produce salari da fame, carichi di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> non più sopportabili e condizioni","A Pisa prosegue e si inasprisce la lotta in corso dal 2012 delle 340 lavoratrici, quasi tutte donne, impiegate per la Sodexo, la multinazionale francese della ristorazione collettiva e dei servizi che gestisce l’appalto delle pulizie e della sanificazione nei nosocomi pisani ma non solo.\r\n\r\nLe lavoratrici denunciano “un sistema di \u003Cmark>soprusi\u003C/mark> e ricatti che produce salari da fame, carichi di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> non più sopportabili e condizioni lavorative sempre più precarie» e dal 16 febbraio sono in stato di agitazione contro i 75 licenziamenti “punitivi” annunciati contro addette alle pulizie negli ospedali di Cisanello e Santa Chiara. 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Questa può essere una buona occasione per chi non conosce bene il nostro mondo di famigliarizzare con alcuni aspetti di esso, ma può rappresentare anche l'inizio della costruzione di una piattaforma rivendicativa dove indichiamo chiaramente le storture e i piccoli soprusi che siamo costretti a subire e quali sono le nostre idee per cambiare in meglio. Da sempre, ma in maniera sempre crescente per il nuovo modello della \"gig economy\", il conflitto tra lavoratori e sfruttatori non si articola semplicemente attorno al salario ma anche a tutta una serie di meccanismi disciplinanti che ci ruotano attorno. Comprenderne il funzionamento per contro-utilizzarli può essere un modo per riprendere l'offensiva.\r\n\r\n #1 L'ATTESA\r\n\r\nL'attesa è la parte più frustrante del lavoro del rider. Il tempo morto tra una consegna e l'altra, così come quello davanti al ristorante attendendo la preparazione dell'ordine, è tutto tempo di lavoro non pagato. Le aziende si garantiscono così la possibilità di avere rider nei vari punti strategici della città sempre disponibili, così come la certezza che l'ordine sarà ritirato appena sfornato dal rider pronto ad aspettarlo. La politica più diffusa delle varie piattaforme è infatti quella di tenere a giro molti più rider di quelli di cui effettivamente avrebbero bisogno per coprire tutte le consegne in maniera efficiente. L'efficienza però è un parametro che per le aziende conta poco, visto che gli attuali contratti di lavoro non prevedono nessun costo di assunzione né un effettivo costo del lavoro per queste grosse multinazionali. La paga a cottimo che remunera il rider solo per l'effettiva distanza pedalata rappresenta di fatto lo scarico di un'elevatissima quantità di rischi di cui dovrebbe farsi carico il datore di lavoro sulle spalle del lavoratore: il rischio di una bassa domanda diventa rischio di stare a giro senza lavorare, il rischio di un sovraccarico degli ordini su un ristorante diventa rischio di fare meno ordini e abbassare il salario giornaliero. A questo meccanismo ci si riferisce spesso come cottimo, ma è una forma di cottimo particolare che risponde più alle esigenze del \"just in time\" che a quelle di aumentare la produttività. Infatti, il rider stesso non ha modo di controllare l'effettivo afflusso della produzione e potrebbe ritrovarsi a correre molto per finire un ordine solo per poi ritrovarsi di fatto fermo nel tempo successivo. Lo scarico di responsabilità sulle spalle del rider non obbliga neanche a studiare un modo di allocazione degli ordini efficiente nel tempo e nello spazio, tutti questi problemi sono risolti con la sovrabbondanza di forza-lavoro a disposizione. Viene così a configurarsi un modello di sfruttamento dove di fatto tutta\r\nuna serie di problemi di efficienza rimangono superflui poiché risolvibili con l'abbondanza di tempo gratuito che i rider sono disponibili a fornire, disponibilità che posa però su tutta una serie di fattori sociali in forme economiche che ricordano molto da vicino l'economia schiavistica.\r\n\r\nDal punto di vista rider la soluzione di questo specifico problema è molto semplice. Basterebbe sganciare la produttività dal salario, con buona pace di quel pugno di rider macchinizzati che grazie all'accesso ad una tecnologia superiore riescono a sfruttare i glitch di un sistema designato di fatto per lo sfruttamento di massa. Con una paga oraria nessun rider sarebbe obbligato a prendersi rischi sulla strada, pedalando a una velocità consona ai suoi parametri di forma e di salute. Il tempo di attesa ai ristoranti o tra gli ordini diventerebbe retribuito, essendo di fatto tempo di lavoro.\r\nNell'immediato sarebbe comunque possibile distribuire meglio gli ordini in base al rispettivo tempo di preparazione. Si riuscirebbe così a diminuire il tempo di attesa davanti ai ristoranti e di conseguenza il relativo assembramento di persone. Tuttavia le aziende preferiscono tutelare il flusso dei loro profitti piuttosto che la salute dei lavoratori.\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n#2 IL RANKING\r\n\r\nMeccanismo disciplinante per eccellenza, nonché elemento cardine dell'organizzazione di ogni ambito produttivo, nato nelle fabbriche ed esportato nella società, il ranking è ciò che incatena un rider al suo lavoro, il naso lungo che smentisce ogni bugia di divertimento e flessibilità. La narrazione che avvolge ogni forma di \"lavoretto\" volendo relegarlo nei tempi morti tra lo studio o altri tipi di lavoro, si scioglie come neve al sole quando si inizia ad analizzare questo dispositivo. I sistemi di assegnazione turni delle aziende prevedono che sia dato più spazio a chi lavora di più in alcuni momenti della settimana, di solito coincidenti col weekend in cui la domanda di ordini è più elevata. Il \"lavora quando ti pare\" si traduce così in \"lavora quando te lo diciamo noi oppure non lavorare più\". La disponibilità di un numero spropositato di rider di riserva obbliga chi vive degli introiti di questo lavoro a non poter mai mancare sessioni chiave per restare alto nelle classifiche, anche a costo di lavorare quando non si sta bene o si è infortunati. Non poter mai contare su delle ore settimanali minime rende spasmodica la ricerca dei turni; ore intere sono passate ad aggiornare la finestra delle prenotazioni sperando che un posto si liberi. Alcune applicazioni come Glovo uniscono a questo un sistema valutativo del cliente, basta una recensione negativa per vedere il proprio punteggio abbassarsi drasticamente e con esso la propria possibilità di lavorare. Conseguenza di questo è una spinta decisa verso il servilismo, quale rider rifiuterebbe di salire quattro piani di scale o rallenterebbe la sua pedalata perché stanco quando da una valutazione possono dipendere parte consistente dei guadagni del mese?\r\nOltre la parte visibile di tutto ciò esistono inoltre ranking nascosti. Le aziende sono comprensibilmente reticenti nel dichiarare quali dati raccolgono dalle prestazioni dei rider e come li usano. Alcune applicazioni come Just Eat assegnano turni in automatico senza dichiarare le metodologie utilizzate, portando così ad un disciplinamento del lavoratore basato sulla premialità. Quali che siano le metodologie o come vengano usate, la logica sottesa è la medesima: affermare il controllo indiretto dell'azienda sul lavoratore senza dover investire in controllo diretto. Il food delivery pretende rider disciplinati e obbedienti, anche se racconta di lasciare libertà assoluta sulla gestione del proprio lavoro.\r\n\r\nLa perversione di questo meccanismo mette d'accordo tutti i rider. Il sistema del ranking non è riformabile e va semplicemente abolito. Va stabilito un minimo di ore settimanali a cui ogni rider ha diritto in base al contratto di lavoro (a tempo pieno o a tempo parziale) e va disincentivata nella maniera più assoluta la tendenza a premiare l'autosfruttamento del lavoratore.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n #3 I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE\r\n\r\nLa sicurezza del rider è un tema complesso, che interseca alcuni degli argomenti che abbiamo trattato in precedenza ed altri che tratteremo in futuro. Ad essa concorrono alcuni fattori indiretti come la presenza del cottimo, che spinge a prendersi rischi sulla strada come controsensi o semafori rossi, e alcuni fattori diretti come la mancanza dei dispositivi di protezione. Ai classici caschi, campanelli, luci di segnalazione, vengono ad aggiungersi negli ultimi tempi le mascherine, i guanti, il disinfettante.\r\nSe per i primi solo alcune aziende provvedono in parte, per i secondi recenti sentenze di tribunale hanno obbligato a prendere provvedimenti, che tuttavia sono stati tardivi e inefficaci. Le prime mascherine sono arrivate ormai dopo un mese dall'inizio della pandemia. Altre aziende hanno fornito un semplice rimborso lasciando al rider l'onere di procurarsi in prima persona il materiale. In generale verso la sicurezza del lavoratore c'è scarso interesse, testimoniato dal silenzio totale delle aziende in seguito ai numerosi incidenti.\r\nL'atteggiamento mantenuto durante questa pandemia è rappresentativo dell'importanza che viene attribuita alla tutela della nostra salute fisica. Nonostante il rider incontri decine di persone ogni giorno e davanti a molti locali sia impossibile mantenere un distanziamento fisico, la possibilità di sospendere il servizio per tutelarne la salute non è stata presa in considerazione nemmeno per un istante.\r\n\r\n\r\n #4 MANUTENZIONE DEGLI STRUMENTI DI LAVORO\r\n\r\nLa manutenzione della bicicletta, senza la quale il rider non può lavorare, è scaricata totalmente sulle spalle del lavoratore. I numerosi interventi necessari periodicamente non sono coperti in nessun modo dall'azienda andando a rappresentare un'ulteriore tassa indiretta sul salario.\r\nIn quanto strumento di lavoro la manutenzione della bici, così come quella del telefono, dovrebbe essere a carico dell'azienda.\r\nAi tempi Foodora aveva delle convenzioni con alcune ciclofficine, così che almeno la spesa totale delle riparazione non pesasse completamente sui rider. Da lì si è andati peggiorando: aziende come Glovo addirittura forniscono il materiale sottraendo 65 euro dalle prime fatture. Anche il ricambio del materiale di lavoro non è concesso: tutte le aziende ti obbligano a riacquistarlo, nonostante sia usurato dall'uso lavorativo.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n #5 LE TUTELE\r\n\r\nLe tutele sono per il rider un concetto utopico ed evanescente. I contratti di collaborazione occasionale non ne prevedono infatti nessuna. Il rider viene trattato alla stregua di un autonomo anche se non è lui che decide come e quanto lavorare, ma l'applicazione. Su questo fronte sono stati fatti addirittura passi indietro rispetto al passato, quando i contratti cococo garantivano almeno delle tutele minime come malattia e disoccupazione.\r\nLa copertura Inail per gli infortuni è obbligatoria e a carico dell'azienda solo da febbraio di quest'anno. Non ha carattere retroattivo, chi ha avuto gravi incidenti prima di quella data -vedi il caso Zohaib di cui abbiamo più volte parlato- è escluso da qualsiasi tipo di copertura. L'Inail inoltre copre solo dal quarto giorno di infortunio, i giorni precedenti dovrebbero spettare all'azienda che però fa sempre orecchie da mercante.\r\nUn altro limite gigantesco di questa forma contrattuale è l'impossibilità di guadagnare più di 5000 euro lordi l'anno senza aprire una partita IVA. La partita IVA è molto rischiosa perché comporta alti costi ed è sfornita ugualmente di tutela. Se il rider dovesse smettere di lavorare per infortunio o non dovesse più riuscire a trovare ore dovrebbe lo stesso continuare a sostenerne i costi. Per molti il rischio non vale la candela e cercano di aggirare questo limite con qualche trucchetto come lavorare per aziende diverse. Anche qua il vantaggio è solo dalla parte dell'azienda che per consentire ai lavoratori di guadagnare di più dovrebbe iscrivergli alla gestione separata e pagarci sopra le tasse.\r\nAltro aspetto non secondario è l'impossibilità per i molti rider non comunitari di rinnovare il permesso di soggiorno poiché la tipologia di contratto non lo consente. Così pur lavorando legalmente in Italia tante persone si trovano costrette in condizione di illegalità.\r\n\r\n\r\nSu questo punto crediamo che ai rider spettino tutte le tutele del lavoro subordinato: infortunio, malattia (specialmente in questo periodo), ferie, maternità, disoccupazione, possibilità di rinnovare i documenti. Questo indirizzo è stato sancito dal tribunale di Torino come esito di un processo conclusosi lo scorso anno a carico di Foodora, e confermato quest'anno in cassazione. 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Conseguenza di questo è una spinta decisa verso il servilismo, quale rider rifiuterebbe di salire quattro piani di scale o rallenterebbe la sua pedalata perché stanco quando da una valutazione possono dipendere parte consistente dei guadagni del mese?\r\nOltre la parte visibile di tutto ciò esistono inoltre ranking nascosti. Le aziende sono comprensibilmente reticenti nel dichiarare quali dati raccolgono dalle prestazioni dei rider e come li usano. Alcune applicazioni come Just Eat assegnano turni in automatico senza dichiarare le metodologie utilizzate, portando così ad un disciplinamento del lavoratore basato sulla premialità. Quali che siano le metodologie o come vengano usate, la logica sottesa è la medesima: affermare il controllo indiretto dell'azienda sul lavoratore senza dover investire in controllo diretto. Il food delivery pretende rider disciplinati e obbedienti, anche se racconta di lasciare libertà assoluta sulla gestione del proprio \u003Cmark>lavoro\u003C/mark>.\r\n\r\nLa perversione di questo meccanismo mette d'accordo tutti i rider. Il sistema del ranking non è riformabile e va semplicemente abolito. Va stabilito un minimo di ore settimanali a cui ogni rider ha diritto in base al contratto di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> (a tempo pieno o a tempo parziale) e va disincentivata nella maniera più assoluta la tendenza a premiare l'autosfruttamento del lavoratore.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n #3 I DISPOSITIVI DI PROTEZIONE\r\n\r\nLa sicurezza del rider è un tema complesso, che interseca alcuni degli argomenti che abbiamo trattato in precedenza ed altri che tratteremo in futuro. Ad essa concorrono alcuni fattori indiretti come la presenza del cottimo, che spinge a prendersi rischi sulla strada come controsensi o semafori rossi, e alcuni fattori diretti come la mancanza dei dispositivi di protezione. Ai classici caschi, campanelli, luci di segnalazione, vengono ad aggiungersi negli ultimi tempi le mascherine, i guanti, il disinfettante.\r\nSe per i primi solo alcune aziende provvedono in parte, per i secondi recenti sentenze di tribunale hanno obbligato a prendere provvedimenti, che tuttavia sono stati tardivi e inefficaci. Le prime mascherine sono arrivate ormai dopo un mese dall'inizio della pandemia. Altre aziende hanno fornito un semplice rimborso lasciando al rider l'onere di procurarsi in prima persona il materiale. In generale verso la sicurezza del lavoratore c'è scarso interesse, testimoniato dal silenzio totale delle aziende in seguito ai numerosi incidenti.\r\nL'atteggiamento mantenuto durante questa pandemia è rappresentativo dell'importanza che viene attribuita alla tutela della nostra salute fisica. Nonostante il rider incontri decine di persone ogni giorno e davanti a molti locali sia impossibile mantenere un distanziamento fisico, la possibilità di sospendere il servizio per tutelarne la salute non è stata presa in considerazione nemmeno per un istante.\r\n\r\n\r\n #4 MANUTENZIONE DEGLI STRUMENTI DI \u003Cmark>LAVORO\u003C/mark>\r\n\r\nLa manutenzione della bicicletta, senza la quale il rider non può lavorare, è scaricata totalmente sulle spalle del lavoratore. I numerosi interventi necessari periodicamente non sono coperti in nessun modo dall'azienda andando a rappresentare un'ulteriore tassa indiretta sul salario.\r\nIn quanto strumento di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> la manutenzione della bici, così come quella del telefono, dovrebbe essere a carico dell'azienda.\r\nAi tempi Foodora aveva delle convenzioni con alcune ciclofficine, così che almeno la spesa totale delle riparazione non pesasse completamente sui rider. Da lì si è andati peggiorando: aziende come Glovo addirittura forniscono il materiale sottraendo 65 euro dalle prime fatture. Anche il ricambio del materiale di \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> non è concesso: tutte le aziende ti obbligano a riacquistarlo, nonostante sia usurato dall'uso lavorativo.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\n #5 LE TUTELE\r\n\r\nLe tutele sono per il rider un concetto utopico ed evanescente. I contratti di collaborazione occasionale non ne prevedono infatti nessuna. Il rider viene trattato alla stregua di un autonomo anche se non è lui che decide come e quanto lavorare, ma l'applicazione. Su questo fronte sono stati fatti addirittura passi indietro rispetto al passato, quando i contratti cococo garantivano almeno delle tutele minime come malattia e disoccupazione.\r\nLa copertura Inail per gli infortuni è obbligatoria e a carico dell'azienda solo da febbraio di quest'anno. Non ha carattere retroattivo, chi ha avuto gravi incidenti prima di quella data -vedi il caso Zohaib di cui abbiamo più volte parlato- è escluso da qualsiasi tipo di copertura. L'Inail inoltre copre solo dal quarto giorno di infortunio, i giorni precedenti dovrebbero spettare all'azienda che però fa sempre orecchie da mercante.\r\nUn altro limite gigantesco di questa forma contrattuale è l'impossibilità di guadagnare più di 5000 euro lordi l'anno senza aprire una partita IVA. La partita IVA è molto rischiosa perché comporta alti costi ed è sfornita ugualmente di tutela. Se il rider dovesse smettere di lavorare per infortunio o non dovesse più riuscire a trovare ore dovrebbe lo stesso continuare a sostenerne i costi. Per molti il rischio non vale la candela e cercano di aggirare questo limite con qualche trucchetto come lavorare per aziende diverse. Anche qua il vantaggio è solo dalla parte dell'azienda che per consentire ai lavoratori di guadagnare di più dovrebbe iscrivergli alla gestione separata e pagarci sopra le tasse.\r\nAltro aspetto non secondario è l'impossibilità per i molti rider non comunitari di rinnovare il permesso di soggiorno poiché la tipologia di contratto non lo consente. Così pur lavorando legalmente in Italia tante persone si trovano costrette in condizione di illegalità.\r\n\r\n\r\nSu questo punto crediamo che ai rider spettino tutte le tutele del \u003Cmark>lavoro\u003C/mark> subordinato: infortunio, malattia (specialmente in questo periodo), ferie, maternità, disoccupazione, possibilità di rinnovare i documenti. Questo indirizzo è stato sancito dal tribunale di Torino come esito di un processo conclusosi lo scorso anno a carico di Foodora, e confermato quest'anno in cassazione. 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Accusato di stupro da “Laura”, una precaria della CRI, dopo sei anni è stato assolto da ogni accusa.\r\nIn aula, accanto a Laura, sedeva un'altra donna, la ex compagna di Raccuia, che da tempo aveva chiesto ed ottenuto di allontanare la figlia da un uomo che le dimostrava attenzioni poco paterne.\r\nLa giudice che lo ha assolto ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Torino, perché proceda per calunnia nei confronti di Laura, la donna violentata da Raccuia.\r\n\r\nLa giudice Minucci ha deciso che Laura non è credibile. Non è credibile perché ha detto solo no. “No, Basta”, cercando di allontanare da se l'uomo che la stava stuprando. Per Diamante Minucci e le altre due giudici del collegio, dire “Basta” non è sufficiente. Bisogna gridare, correre a farsi fare un test di gravidanza, farsi lacerare la carne e suon di botte.\r\nIl discrimine per Minucci è il martirio. 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Una storia emblematica, di resistenza ai soprusi padronali, una vertenza per il riconoscimento dei diritti e del salario ma soprattutto un'esperienza conflittuale e di riappropriazione, da parte operaia, della fabbrica e della produzione. 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Lo sanno tutti quelli che partecipano attivamente a cortei che eccedono i limiti imposti dalle Questure.\r\n Eccezionale è la decisione dei media di accendere i propri riflettori su queste violenze.\r\n Quando accade si sprecano le parole di rammarico, la retorica delle mele marce, dei poliziotti malpagati e stressati, sempre in bilico tra la condanna e la giustificazione firmata dal Prefetto.\r\n I democratici più irriducibili vorrebbero che i poliziotti avessero il numero identificativo sul modello delle medagliette per i cani.\r\n Se per qualche caso un'immagine \"buca\" gli schermi, la norma del silenzio si rompe per qualche giorno. La vicenda dei due giovani viareggini finiti in terra durante le cariche al corteo romano del 12 aprile è una di queste. Il ragazzo con testa sanguinante che protegge il volto della ragazza, l'uomo in divisa che li blocca con la gamba, il poliziotto in borghese che sale di prepotenza sulla pancia di lei ecco gli ingredienti per una storia latte, miele e indignazione.\r\n Il responsabile viene redarguito, poi la notizia perde di mordente e si torna alla normalità.\r\n Le violenze, i soprusi, gli insulti, le molestie sono la colonna sonora di ogni giorno nel \"lavoro\" degli uomini e le donne in divisa.\r\n La sorte peggiore tocca ai migranti, ai senza carte, a chi non soldi né conoscenze, a chi non conosce le regole del gioco.\r\n Raramente le storie di pestaggi fuori e dentro le caserme vengono intercettate e narrate dai media. Il tam tam delle strade, le narrazioni al bar, le nostre stesse vite ricompongono un puzzle che resta la trama sottesa delle relazioni sociali nel nostro paese.\r\n La fine di ogni residuo sistema di ammortizzazione del conflitto sociale, l'affermarsi del neoliberismo hanno eliminato ogni margine di mediazione, rendendo sempre più sottile e aguzza la piramide sociale.\r\n La guerra è diventata permanente dall'Africa al Sudamerica. Guerra civile in cui la distanza tra guerra e ordine pubblico si assottiglia sino a divenire impalpabile.\r\n Una prospettiva sempre meno lontana dall'Europa, dove le regole di un gioco feroce, stanno facendo evaporare le illusioni di chi credeva di essere al riparo, protetto da frontiere amiche, nel nord ricco del mondo.\r\n Non ci sono salvagenti.\r\n L'unica possibilità è la sottrazione conflittuale, la fuoriuscita da un ordine che macina le vite, mantenendole quel tanto che serve a mentenere il ciclo del lavora/consuma/crepa. Un gioco duro, che bisognerà imparare a giocare, facendone saltare la logica resistenziale, per praticare l'autogestione sin da ora, nel magma sociale dove la gente fatica a vivere e vive sempre peggio.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Salvo Vaccaro, docente di filosofia politica all'Università di Palermo.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2014 04 17 vaccaro violenza polizia","18 Aprile 2014","2018-11-01 22:03:28","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/04/marcia-caramba-mauve-200x110.png","Polizia. Sangue, divise e silenzio","podcast",1397843669,[316,317],"http://radioblackout.org/tag/guerra-civile/","http://radioblackout.org/tag/polizia-violenta/",[297,299],{"post_content":320},{"matched_tokens":321,"snippet":322,"value":323},[85],"alla normalità.\r\n Le violenze, i \u003Cmark>soprusi\u003C/mark>, gli insulti, le molestie sono","Calci, pugni, manganellate contro manifestanti non sono l'eccezione ma la norma. 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Il ragazzo con testa sanguinante che protegge il volto della ragazza, l'uomo in divisa che li blocca con la gamba, il poliziotto in borghese che sale di prepotenza sulla pancia di lei ecco gli ingredienti per una storia latte, miele e indignazione.\r\n Il responsabile viene redarguito, poi la notizia perde di mordente e si torna alla normalità.\r\n Le violenze, i \u003Cmark>soprusi\u003C/mark>, gli insulti, le molestie sono la colonna sonora di ogni giorno nel \"\u003Cmark>lavoro\u003C/mark>\" degli uomini e le donne in divisa.\r\n La sorte peggiore tocca ai migranti, ai senza carte, a chi non soldi né conoscenze, a chi non conosce le regole del gioco.\r\n Raramente le storie di pestaggi fuori e dentro le caserme vengono intercettate e narrate dai media. 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I sobborghi nordovest e sud ovest della capitale svedese sono stati teatro di scontri dal 20 al 25 maggio 2013.\r\nIn sintesi le cifre della rivolta.\r\nOltre 50 le auto bruciate a Stoccolma, alcune decine sono andate in fumo ad Orebro.\r\n2 commissariati di polizia sono stati attaccati e vandalizzati uno a Jakobsberg (Stoccolma), il secondo a Orebro (ciità a circa 100 km dalla capitale svedese).\r\n2 scuole bruciate a Stoccolma e Orebro.\r\n30 le persone arrestate per la rivolta a Stoccolma.\r\nL'età media degli arrestati si aggira sui 20 anni.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con un compagno, che a vissuto a lungo in Svezia, ed oggi vi è tornato per lavoro.\r\nAscolta la diretta\r\n2013 06 07 stoccolma\r\n\r\nLo scenario. Nella zona Nord Ovest di Stoccolma ci sono i quartieri di Husby, Jakobsberg, Rinkby, Tensta, a Sud Est quelli di Jakobsberg e Norsborg. In questi quartieri c'è un'alta presenza di immigrati dove la percentuale di disoccupati è decisamente maggiore di quella della popolazione di origini svedesi (il 16,5% tra gli immigrati, il 5,7% tra gli svedesi).\r\nLa Svezia è il paese simbolo della socialdemocrazia, negli anni della guerra fredda una sorta di terza via tra socialismo e capitalismo. Dal 1990 è cominciata un'ondata liberista che ha lentamente corroso dall'interno l’ organizzazione sociale dei decenni precedenti.\r\nTuttavia la facciata del modello sociale svedese resta, i quartieri periferici non hanno le caratteristiche di degrado urbano tipici del sud europeo, i servizi sociali funzionano anche se con qualche affanno. \r\nIl diritto allo studio garantito e il sussidio di disoccupazione anche se ridotto resta all’ 80% dell’ ultimo salario percepito per il primo anno ed il 70% nei 450 giorni successivi. 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Queste grosse unità abitative di cemento armato che ricordano un po’ quelle della ex DDR (Germania dell’est) nei primi anni hanno accolto lavoratori svedesi e finlandesi. Persino qualche ministro e capo di governo aveva la sua residenza in questi quartieri. Negli anni Ottanta e Novanta c'è stato un cambiamento della composizione sociale con l'arrivo di turchi, libanesi, iraniani, latino americani e somali necessari a sostenere il regime di produzione fordista dell’apparato industriale (fabbriche chimiche, metallurgiche, automobilistiche, elettroniche).\r\nOggi Stoccolma continua a crescere ma questi quartieri, dove l’80% della popolazione è immigrata di prima o seconda generazione, andrebbero restaurati.\r\nEmblematico è il processo di “gentrification-deportation” dell’area di Kista adiacente al quartiere di Husby epicentro di una rivolta che ha coinvolto anche le altre periferie.\r\nKista nasce nel 2008 per diventare la Sylicon Valley di Stoccolma (Kista Science Park). Vengono costruite sia unità abitative ultra moderne che insediamenti finanziari ed industriali di multinazionali. L'allargamento di Kista porta alla sua fusione con Husby dove il comune vende alle multinazionali che radono al suolo o restaurano vecchi blocchi per poi metterli o rimetterli sul mercato a prezzi non compatibili con il reddito dei residenti storici del quartiere, cui nessuno chiede un parere.\r\nIn questi giorni ad Alby gli abitanti del quartiere hanno organizzato un referendum contro la vendita da parte del comune di 1300 appartamenti: non vogliono più accettare decisioni prese da altri sulla loro pelle.\r\nNel quartiere di Hammarkullen il comune ha deciso di vendere la biblioteca, la piscina e il centro ricreativo. Anche qui è partita una dura lotta degli abitanti. Per i più giovani la lotta è contro l’esclusione dalle decisioni che li riguardano. Il confronto con la società e diventato più duro: i figli degli immigrati sono additati come responsabili della marginalità in cui vivono. Per molti è tuttavia ben chiaro che la loro condizione dipende dal modello economico e di società non certo dalla loro volontà.\r\nI figli degli immigrati nati e cresciuti qui sono svedesi culturalmente legalmente ed intellettualmente hanno gli strumenti per decodificare quello che succede intorno a loro.\r\nContrariamente agli altri paesi nordici (Danimarca, Norvegia, Finlandia, Islanda) la Svezia ha un numero molto alto di svedesi figli di immigrati che hanno studiato all'Università ed ora lavorano come giornalisti, scrittori, musicisti e ricoprono cariche pubbliche importanti. Le periferie hanno i loro intellettuali. Sono attraversati dalla cultura della periferia, hanno esperienza del razzismo strutturale, della discriminazione. Sanno bene cosa significhi crescere in uno dei quartieri per immigrati.\r\nDopo l’ ingresso in parlamento del partito Sverige Demokraterna (Democratici svedesi), che ha messo ai primi posti nell’ agenda politica la questione dell’esclusione sociale dei figli degli immigrati, sono aumentati i dibattiti pubblici su razza, colori, culture, dove non sempre il punto di vista razzista ha avuto la meglio. Spesso le tesi anti razziste, di critica post coloniale si sono imposte grazie alla generazione di opinion makers che proviene dai sobborghi. Uno come Jonas Hassan Kehimeri è riuscito a far conosce la propria critica della società svedese dalle colonne del NY Times.\r\n\r\nLa rivolta delle periferie non è un fenomeno sociale nuovo in Svezia, nel 2008 si sono verificati a Malmo e Gottenburg episodi analoghi a quelli che hanno scosso Stoccolma, ma mai la capitale era stata coinvolta prima. Queste rivolte hanno innescato la nascita di collettivi politici di cittadini che vivono nei sobborghi delle principali città svedesi: le Panterna (le Pantere) a Gottenburg e Malmo e Megafonen (Il Megafono) a Stoccolma ed Orebro.\r\nI primi segnali della rivolta a Stoccolma di quest’ anno si sono verificati in aprile nel quartiere di Tensta adiacente a Husby, nella periferia nord ovest. A Tensta vennero bruciate le auto e l'ufficio dell’agenzia immobiliare che aveva deciso un aumento dell’affitto di alcuni blocchi abitativi che aveva in gestione per conto dei proprietari. Dopo il rogo l’ agenzia ha rivisto la sua decisione e ha deciso di non aumentare gli affitti.\r\nL'innesco della rivolta del 20 maggio invece viene attribuita all'uccisione da parte della polizia di un uomo di 69 anni nel quartiere di Husby avvenuta il 13 maggio. L’uomo era di origini portoghesi, la polizia lo uccide nella sua abitazione dove aveva fatto irruzione in seguito ad una lite tra la vittima ed alcuni passanti verificatasi in strada.\r\nAl di là di quest'episodio il conflitto sociale deflagra dopo l'entrata in vigore del progetto “REVA” per il controllo della frontiera interna. La polizia e l' ufficio centrale di stato per l'immigrazione hanno avviato un controllo capillare nelle metropolitane e sui servizi di trasporto pubblico per l'identificazione e cattura degli immigrati senza documenti. Il metodo usato è semplice e brutale: si basa su un profilo razziale dove vengono fermate tutte quelle persone che non hanno sembianze scandinave (biondi, occhi chiari etc). Durante il mese di marzo c’è stato un numero consistente di azioni dirette e manifestazioni contro questo progetto. Anche in questo caso il mondo della cultura si è schierato su posizioni anti governative rafforzando nella società i valori anti razzisti. Questa nuova sensibilità ha portato al consolidamento dell'organizzazione politica nelle periferie. Le Pantere di Gotenburg e Malmo hanno adottato aggiornandolo il programma delle Pantere Nere e bianche americane ed hanno sviluppato rapporti collaborativi con le stesse, la visita di Emory Douglas (Black Panther, US) nei giorni scorsi a Stoccolma ed il suo comizio a Husby va in questa direzione.\r\nNel quartiere di Husby dove è iniziata la rivolta l’'associazione Megafonen da anni ha costruito un intervento contro la gentrificazione riuscendo ad impedire la vendita del centro si assistenza sanitaria del quartiere e della piscina ed occupando il centro sociale del comune (TRAFFA) anch'esso posto in vendita. Un altro elemento importante nello scatenare la rivolta è stata la brutalità della polizia verso la generazione di svedesi figli di immigrati. L'atteggiamento provocatorio, razzista, e discriminatorio della polizia svedese è una costante nei quartieri periferici. La lotta contro i soprusi della polizia è l'altro elemento importante all'origine degli scontri.\r\nDopo l'omicidio del portoghese e il tentativo da parte della polizia di nascondere l'accaduto (l uomo viene lasciato una giornata morto nel suo appartamento) ed i goffi tentativi da parte del primo ministro di giustificare l'accaduto, Megafonen aveva indetto una manifestazione chiedendo chiarezza senza sortire effetti né istituzionali né nei mass media.\r\nLa notte del 20 maggio vengono bruciate le prime auto a Husby, si aspetta l'arrivo dei pompieri che vengono bloccati per impedirgli di spegnere gli incendi, in modo da far arrivare la polizia che viene accolta con lanci di pietre e cominciano gli scontri. La tattica si ripete, diffondendosi a macchia d’olio nelle altre zone periferiche. Il copione è sempre lo stesso: auto che bruciano arrivo della polizia accolto con lancio di pietre da parte dei ragazzi del quartiere. La polizia risponde chiamando rinforzi e caricando tutti gli abitanti dei quartieri periferici.\r\nData l'epidemia di incendi a Stoccolma la polizia chiede rinforzi che convergono sulla capitale da Malmo, Gotenburg, Norkopping, Vesteros, Uppsala. Nel secondo e terzo giorno in 14 quartieri di Stoccolma ci sono auto in fiamme, il 4 giorno la rivolta si estende ad altre città della Svezia. La polizia accerchia ed assedia Husby e la dichiara zona di conflitto. Nel frattempo squadre del partito di estrema destra vengono formate per sorvegliare i quartieri e a volte sono loro a bruciare le auto per poi dare la colpa agli abitanti del posto cercando di dare agli eventi una connotazione di scontro razziale. La polizia ha incolpato Magafonen di essere l’organizzazione politica alla base della rivolta, ma Megafonen ha risposto che il suo unico ruolo è stato quello di documentare la violenza della polizia e di impedire che compiesse ulteriori violenze contro la popolazione. Inoltre in questi giorni sta coordinando un fondo di solidarietà per pagare le i danni ricevuti dai cittadini del quartiere per il rogo delle auto, mentre il comune di Stoccolma sta esigendo il pagamento delle contravvenzioni per non aver rimosso le carcasse delle auto. Nonostante che la stampa internazionale interpreti quello che è accaduto come “fallimento del multiculturalismo in Svezia”, oggi, dopo la fine della fiammata, si può dire che non è andata cosi male: gli eventi hanno dimostrato il fallimento della politica liberista degli ultimi governi, una vasta maggioranza della popolazione svedese (70% secondo una recente analisi sociologica) identifica nella disoccupazione, razzismo strutturale, inadeguata scolarizzazione le cause del malessere sociale.\r\n(liberamente tratto da un articolo di Molly Macguire uscito giovedì sul settimanale Umanità Nova)","10 Giugno 2013","2018-10-17 22:59:47","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/06/husby1-200x110.jpg","Stoccolma. 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La polizia risponde chiamando rinforzi e caricando tutti gli abitanti dei quartieri periferici.\r\nData l'epidemia di incendi a Stoccolma la polizia chiede rinforzi che convergono sulla capitale da Malmo, Gotenburg, Norkopping, Vesteros, Uppsala. Nel secondo e terzo giorno in 14 quartieri di Stoccolma ci sono auto in fiamme, il 4 giorno la rivolta si estende ad altre città della Svezia. La polizia accerchia ed assedia Husby e la dichiara zona di conflitto. Nel frattempo squadre del partito di estrema destra vengono formate per sorvegliare i quartieri e a volte sono loro a bruciare le auto per poi dare la colpa agli abitanti del posto cercando di dare agli eventi una connotazione di scontro razziale. La polizia ha incolpato Magafonen di essere l’organizzazione politica alla base della rivolta, ma Megafonen ha risposto che il suo unico ruolo è stato quello di documentare la violenza della polizia e di impedire che compiesse ulteriori violenze contro la popolazione. Inoltre in questi giorni sta coordinando un fondo di solidarietà per pagare le i danni ricevuti dai cittadini del quartiere per il rogo delle auto, mentre il comune di Stoccolma sta esigendo il pagamento delle contravvenzioni per non aver rimosso le carcasse delle auto. Nonostante che la stampa internazionale interpreti quello che è accaduto come “fallimento del multiculturalismo in Svezia”, oggi, dopo la fine della fiammata, si può dire che non è andata cosi male: gli eventi hanno dimostrato il fallimento della politica liberista degli ultimi governi, una vasta maggioranza della popolazione svedese (70% secondo una recente analisi sociologica) identifica nella disoccupazione, razzismo strutturale, inadeguata scolarizzazione le cause del malessere sociale.\r\n(liberamente tratto da un articolo di Molly Macguire uscito giovedì sul settimanale Umanità Nova)",[347],{"field":97,"matched_tokens":348,"snippet":344,"value":345},[73],{"best_field_score":165,"best_field_weight":138,"fields_matched":17,"num_tokens_dropped":47,"score":166,"tokens_matched":14,"typo_prefix_score":47},{"document":351,"highlight":370,"highlights":375,"text_match":163,"text_match_info":378},{"comment_count":47,"id":352,"is_sticky":47,"permalink":353,"podcastfilter":354,"post_author":277,"post_content":355,"post_date":356,"post_excerpt":53,"post_id":352,"post_modified":357,"post_thumbnail":358,"post_title":359,"post_type":313,"sort_by_date":360,"tag_links":361,"tags":369},"15507","http://radioblackout.org/podcast/manolada-fragole-e-sangue/",[277],"Siamo a Manolada, nel cuore del Peloponneso, dove immigrati/schiavi lavorano alla raccolta delle fragole. Un lavoro durissimo, sempre chini dotto le serre che si trasformano presto in forni. Gli immigrati bangla che ci lavorano non hanno molta scelta: questo lavoro è la loro sola possibilità in un paese stremato dalla crisi, dove gli immigrati lavorano solo se accettano ogni condizione. A Manolada i braccianti vivono stipati in baracche di plastica, senza acqua né gabinetti. Per questi residence pagano anche l'affitto.\r\nAll'inizio di aprile alcuni di loro provano a chiedere di essere pagati: ormai sono lì da sei mesi ma non hanno ancora visto un euro. I sorveglianti al servizio del padrone minacciano di morte chi chiede il salario.\r\nIl 24 aprile decidono di andarci tutti insieme. La risposta dei tre sorveglianti è di pura ferocia: imbracciano le carabine ed aprono il fuoco. Trenta dei duecento lavoratori vengono feriti, alcuni in modo grave. Solo per un caso non ci sono stati morti.\r\nL'episodio è tanto grave che la notizia oltrepassa rapidamente i confini ellenici. Il ministro dell'Interno Dendias è obbligato ad aprire un'inchiesta e a far arrestare i tre caporali/assassini, promettendo nel contempo di non espellere i braccianti che potranno così testimoniare al processo.\r\nPeccato che i fatti del 14 aprile siano solo la punta di diamante di una situazione intollerabile già da molti anni. I caporali non si sarebbero sentiti tanto forti da imbracciare un fucile se terribili soprusi ai danni degli immigrati non fossero la regola in queste zone. L'omertà e il silenzio hanno coperto episodi anche molto gravi.\r\nNel 2008 la pubblicazione di notizie relative a torture inflitte ai braccianti - alcuni anche bambini - di Manolada non ebbe altra conseguenza che un infittirsi della repressione contro i ragazzi che avevano osato parlare.\r\nNel 2009 due allevatori della zona hanno torturato due immigrati bangla, legandoli al proprio camion e trascinandoli per centinaia di metri. Qualche mese più tardi un parente dei due allevatori ha spaccato con un bastone la testa ad un altro lavoratore bangla.\r\nIl governo, nonostante le violente incursioni dei nazisti di Xrisi Argi, nonostante la diffusione del caporalato, delle schiavitù e delle torture, sostiene che gli peisodi di razzismo sono solo occasionali nel paese, un paese con una solida \"tradizione di ospitalità\".\r\nCon tragica ironia il ministro Dendias ha chiamato \"Xenos Dias\", l'operazione di rastrellamento di centinaia di immigrati senza carte rinchisui in condizioni spaventose in celle minuscole per lunghi mesi. Uno dei centri più grandi si trova a Corinto dove circa trecento immigrati hanno dato vita ad una rivolta repressa nel sangue.\r\n\r\nAnarres ne ha parlato con Giorgios, un compagno del gruppo dei Comunisti Libertari di Atene. ne è scaturita una conversazione a tutto campo che ha investito anche le recenti operazioni repressive ad Atene e le lotte di solidarietà e resistenza degli ultimi mesi.\r\n\r\nAscolta la diretta\r\n2013 05 03 girgios manolada grecia\r\n\r\nQui puoi vedere le immagini del campo di Manolada dopo dopo il ferimento dei trenta immigrati.","3 Maggio 2013","2018-10-17 22:59:49","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/05/manolada-200x110.jpg","Manolada. 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