Egitto tra rivolta democratica, islamismo e lotta di classe
Scritto dainfosu 24 Novembre 2011
In questi giorni piazza Tahrir, come tante altre piazze egiziane è tornata e riempirsi. Questa volta nel mirino è quello stesso esercito, invocato come liberatore durante la rivolta contro Mubarak.
Dopo la strage di due giorni fa il governo si è dimesso, ma il potere resta saldo nelle mani dei militari.
Ieri ed oggi ci sono stati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine, costati la vita ad almeno quattro persone, tra cui un neonato.
El Baradei, uno dei possibili papabili per la poltrona di primo ministro, denuncia le stragi e dichiara che accetterà l’incarico solo se gli sarà garantita la non ingerenza dell’esercito.
Lo scacchiere politico e sociale egiziano è molto complesso.
Stanno venendo al pettine i nodi rimasti aperti dopo la cacciata di Mubarak. Oggi il potere reale è in mano ai militari, guidati da Tantawi, già ministro dell’Interno di Mubarak.
I militari mirano ad una sorta di democrazia addomesticata che consenta loro di conservare il potere reale. Un potere che si basa anche sulle privatizzazioni effettuate dal deposto regime, che in nome del liberismo, distribuiva beni comuni nelle proprie mani e in quelle di esponenti delle forze armate. Un complesso sistema di relazioni e clientele politiche che la cacciata di Mubarak ha appena scalfito.
I Fratelli Musulmani, partito conservatore e liberista, prova a giocare un ruolo di intermediazione, che garantisca il passaggio dei poteri ad un governo sotto la loro guida, mantenendo nel contempo i privilegi acquisiti dal blocco di potere che per trent’anni si è stretto al deposto Rais.
Sul piano sociale sta crescendo la rivolta dei settori popolari, in un primo tempo defilati dalla lotta politica, oggi sempre più protagonisti. A Suez, Alessandria, nel distretto della lavorazione del cotone nella zona del Delta del Nilo si moltiplicano gli scioperi. Lottano per il pagamento dei salari, contro il taglio ulteriore ai sussidi per l’acquisto del pane deciso dalla giunta militare.
L’analisi di Stefano Capello nell’intervista rilasciata alla radio.
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