A Ferrara, da tutta Italia, contro l’impunità garantita delle divise.
Scritto dainfosu 17 Febbraio 2014
Sabato 15 febbraio, a Ferrara, sono scese in piazza cinquemila persone in occasione del corteo #ViaLaDivisa convocato per chiedere l’immediata espulsione dalle forze dell’ordine degli agenti che nel 2005 uccisero di botte Federico Aldrovandi. Nelle settimane scorse si era infatti diffusa la notizia che i quattro assassini – dopo essere stati condannati per l’omicidio e aver scontato pene irrisorie ridotte da tutte le attenuanti possibili – sarebbero rientrati in servizio come se nulla fosse.
L’associazione di famigliari, amici e compagni di Federico Aldrovandi ha convocato il corteo di sabato proprio per chiedere che gli assassini del ragazzo vengano privati per sempre della possibilità di lavorare all’interno delle forze dell’ordine, una richiesta tanto basilare quanto fondamentale, un gesto di rispetto verso la morte di Federico dopo anni di umiliazioni, inchieste insabbiate e insulti che la sua famiglia ha dovuto subire.
Abbiamo parlato questa mattina con Patrizia Moretti, la mamma di Federico, che sabato a Ferrara ha camminato insieme a Paolo Scaroni, Lucia Uva, Ilaria Cucchi e tante altre persone. Parenti, amici, compagni, coinvolti in casi terribili quanto esemplari in cui lo Stato assolve sempre se stesso, protegge carnefici e torturatori e garantisce l’impunità a chi porta una divisa e abusa del proprio potere nelle strade, nei commissariati, nelle prigioni, nei CIE.
Patrizia Moretti pretende che dopo le tante parole di politici e funzionari che ha dovuto ascoltare nel corso di questi lunghi 9 anni di processi e moltissime iniziative per non essere invisibili, seguano i fatti. Insieme ad altri parenti di vittime della violenza di Stato chiede con forza che venga istituito il numero identificativo sulle divise e che anche in Italia si arrivi a legiferare in materia di tortura. Ma una domanda si impone di fronte a questo ultimo capitolo vergognoso, con il reintegro degli agenti che hanno ucciso Federico: di fronte alla brutalità e auto-assoluzione dell’apparato repressivo che rappresentano un problema sistemico, il numero identificativo non rischia di essere un rimedio aggirabile in un contesto di connivenza tra tutti i gradi istituzionali?
Ascolta l’intervista con Patrizia Moretti