","Francia. Astensione record, vittoria di En Marche","post",1497363705,[63,64,65,66,67,68,69,70,71,72,73],"http://radioblackout.org/tag/astensionismo/","http://radioblackout.org/tag/elezioni/","http://radioblackout.org/tag/en-marche/","http://radioblackout.org/tag/francia/","http://radioblackout.org/tag/le-pen/","http://radioblackout.org/tag/leggi-sul-lavoro/","http://radioblackout.org/tag/macron/","http://radioblackout.org/tag/malenchon/","http://radioblackout.org/tag/partito-socialista/","http://radioblackout.org/tag/republicans/","http://radioblackout.org/tag/stato-di-emergenza/",[75,20,76,15,18,77,78,79,80,81,34],"astensionismo","en marche","leggi sul lavoro","macron","malenchon","partito socialista","republicans",{"post_content":83,"tags":89},{"matched_tokens":84,"snippet":87,"value":88},[85,86],"Partito","Socialista","distacco, sotto al 10% il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> \u003Cmark>Socialista\u003C/mark>, ridimensionata la France Insumise di","Il panorama politico istituzionale della Republique è mutato radicalmente in pochi mesi. La vittoria di Macron alle presidenziali ha trascinato En Marche ad una netta affermazione al primo turno delle elezioni parlamentari che si sono svolte domenica scorsa.\r\nI Republicans restano il secondo \u003Cmark>partito\u003C/mark> ma con un netto distacco, sotto al 10% il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> \u003Cmark>Socialista\u003C/mark>, ridimensionata la France Insumise di Melechon, seccamente perdenti i comunisti, in rapida discesa il Front Nationale.\r\n\r\n \r\n\r\nÉ la fine del bipolarismo francese classico. Macron ne esce trionfatore, ma dovrà fare i conti con l'oltre 51,3% che non hanno votato. Va da se che espressioni come “\u003Cmark>partito\u003C/mark> dell'astensione” sono prive di senso, resta tuttavia il fatto che, per ragioni diverse un numero crescente di persone si è sottratto alla scelta sulle elite delegate a governare il paese.\r\n\r\n \r\n\r\nLa partita dei prossimi mesi si giocherà su più fronti.\r\n\r\n \r\n\r\nLo stato di emergenza, che dura dal novembre 2017, potrebbe diventare “normale”. Pare che i provvedimenti eccezionali di quest'anno e mezzo potrebbero essere assunti nella legislazione ordinaria, rendendo definitiva la stretta autoritaria imposta dopo gli attentati di Parigi.\r\n\r\nLa legislazione sul lavoro è uno dei primi temi dell'agenda di Macron, già padre della riforma che porta il nome dell'allora ministro \u003Cmark>socialista\u003C/mark>.\r\nIl ricorso alla decretazione d'urgenza, che aveva suscitato tante riserve lo scorso anno, potrebbe diventare inutile, se En Marche riuscirà a far passare una riforma che aumenti i poteri dell'esecutivo, riducendo quelli del parlamento.\r\n\r\nLa parola passa quindi ai movimenti sociali.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Gianni Carrozza di radio Frequence Plurielle di Parigi.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n2013 06 13 carrozza elezioni",[90,92,94,96,98,100,102,104,106,111,113],{"matched_tokens":91,"snippet":75},[],{"matched_tokens":93,"snippet":20},[],{"matched_tokens":95,"snippet":76},[],{"matched_tokens":97,"snippet":15},[],{"matched_tokens":99,"snippet":18},[],{"matched_tokens":101,"snippet":77},[],{"matched_tokens":103,"snippet":78},[],{"matched_tokens":105,"snippet":79},[],{"matched_tokens":107,"snippet":110},[108,109],"partito","socialista","\u003Cmark>partito\u003C/mark> \u003Cmark>socialista\u003C/mark>",{"matched_tokens":112,"snippet":81},[],{"matched_tokens":114,"snippet":34},[],[116,122],{"field":37,"indices":117,"matched_tokens":119,"snippets":121},[118],8,[120],[108,109],[110],{"field":123,"matched_tokens":124,"snippet":87,"value":88},"post_content",[85,86],1157451471441625000,{"best_field_score":127,"best_field_weight":128,"fields_matched":29,"num_tokens_dropped":49,"score":129,"tokens_matched":29,"typo_prefix_score":49},"2211897868544",13,"1157451471441625194",{"document":131,"highlight":156,"highlights":164,"text_match":170,"text_match_info":171},{"cat_link":132,"category":133,"comment_count":49,"id":134,"is_sticky":49,"permalink":135,"post_author":52,"post_content":136,"post_date":137,"post_excerpt":55,"post_id":134,"post_modified":138,"post_thumbnail":139,"post_thumbnail_html":140,"post_title":141,"post_type":60,"sort_by_date":142,"tag_links":143,"tags":150},[46],[48],"36709","http://radioblackout.org/2016/06/spagna-il-partito-popolare-vince-nuovamente-le-elezioni/","Le elezioni del 26 giugno hanno riproposto i risultati del voto di dicembre 2015 con il Partido popular primo partito ma senza maggioranza assoluta, davanti a Psoe, Podemos e Ciudadanos. Un voto che in ogni caso ha visto tramontare il 'sogno' di Podemos di diventare il primo partito della sinistra, superando i socialisti, e candidarsi alla guida del governo. Dopo la pubblicazione di un exit-poll che dava il partito post-indignados davanti allo Psoe e il suo leader Pablo Iglesias in buona posizione per candidarsi a premier di un governo di sinistra, i risultati reali mano a mano hanno rovesciato il quadro politico.\r\nIl partito di Mariano Rajoy ha infatti conquistato 137 seggi, meno dei 176 necessari per governare. Il Partito socialista è il secondo partito spagnolo con 85 deputati, mentre Unidos Podemos (l’alleanza di Podemos e Izquierda unida) è il terzo con 71 seggi. Ciudadanos, il partito di centrodestra guidato da Albert Rivera, ha ottenuto 32 seggi. L’affluenza alle urne è stata del 69,8 per cento. Ed è così che Mariano Rajoy sopravvive ad un'altra elezione e, anzi, è il vincitore relativo delle politiche spagnole. Però per formare un governo sarà necessario formare una coalizione, ma i socialisti hanno già escluso un’alleanza con i popolari.\r\nCon queste elezioni in Spagna si rafforza sempre di più la destra tradizionale e si riduce lo spazio della sinistre, che dalle legislative del 20 dicembre 2015 il Partito socialista (Psoe) condivide soprattutto con Podemos. Il Partido Popular ne esce rafforzato, a prescindere dal recente scandalo di corruzione che ha coinvolto il ministero dell' Interno proprio nell'ultima settimana di campagna, e i dati economici non certo esaltanti. Quattordici seggi in più e la maggioranza nella maggiorparte delle regioni iberiche, probabilmente recuperando voti dal bacino di Ciudadanos, fermo a 32. Mentre la supposta moltipilicazione dei noti per l'alleanza tra Podemos e Izquierda Unida non solo non ha aumentato i voti il 26 giugno rispetto a sei mesi prima, ma li ha addirittura visti diminuire, perdendo un milione di voti in meno del 20 dicembre 2015, grazie anche all'astensione dei potenziali elettori forti del viola.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Nicola Latorre, un corrispondente di Radio Blackout in collegamento da Bilbao a cui abbiamo chiesto \"il risultato di queste elezioni premia in parte la conservazione e la paura di cambiamento?\"\r\nUnknown","29 Giugno 2016","2016-07-05 18:37:29","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/06/9cd87032-7448-47c4-8b51-e4593645d537_large-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/06/9cd87032-7448-47c4-8b51-e4593645d537_large-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/06/9cd87032-7448-47c4-8b51-e4593645d537_large-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/06/9cd87032-7448-47c4-8b51-e4593645d537_large-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/06/9cd87032-7448-47c4-8b51-e4593645d537_large-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/06/9cd87032-7448-47c4-8b51-e4593645d537_large.jpg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Spagna. 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Pochi all’epoca avevano colto che già l’era Craxi, sebbene il suo protagonista fosse irrimediabilmente legato alla prima Repubblica, immerso, sia pure in versione critica, nella dimensione ideologica del Novecento, prefigurava i tempi che venivano. Craxi, in un curioso mixer di culto della personalità e politica come spettacolo, aveva cominciato a traghettare il paese verso l’oltre Novecento che stiamo ancora vivendo.\r\nIn questi giorni Berlusconi è stato definito il primo populista, l’antesignano di Donald Trump: più verosimilmente la sua ispirazione furono i politici statunitensi della sua epoca, in primis, ovviamente, Ronald Reagan, l’attore di B Movie divenuto presidente degli States. Berlusconi seppe cogliere la richiesta populista di rinnovamento dopo che tangentopoli spazzò via la classe politica della Prima Repubblica, facendone collassare sia i principali protagonisti, sia le colonne politiche dei decenni del dopoguerra, la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista. Il Partito Socialista pagò il prezzo più alto, perché Craxi, era stato il primo ministro meno atlantista della Prima Repubblica.\r\nNel 1994 erano passati solo cinque anni dal crollo del muro di Berlino, un crollo la cui onda lunga era arrivata nell’Italia sempre democristiana, dove il Partito Comunista più forte dell’Europa occidentale aveva sfiorato pochi anni prima il “sorpasso”, che lo avrebbe condotto al potere.\r\nCon Berlusconi diventerà possibile regolare definitivamente i conti non tanto con un Partito Comunista, che già nel 1991, con la svolta della Bolognina era diventato Partito Democratico della Sinistra, ma con i lavoratori e le lavoratrici che negli anni Settanta avevano provato ad invertire di senso alla storia di quegli anni.\r\nBerlusconi, pur avendo prosperato nel fitto sottobosco clientelare della Prima Repubblica, si presenta come l’uomo nuovo, l’imprenditore di successo che si da alla politica per rinnovarla, che fonda un partito-azienda con un nome da tifoso di calcio “Forza Italia!”. Il suo successo è travolgente. Il PDS, pur solo sfiorato da tangentopoli viene descritto come vecchio. In tutta la sua carriera politica Berlusconi userà la carta dell’anticomunismo nei confronti di un milieu politico che di “comunista” aveva ben poco.\r\nBerlusconi sdogana le destre, alleandosi con la Lega Nord di Bossi e con gli eredi del fascismo, che, per la prima volta dal dopoguerra, vanno al potere.\r\nIl suo declino è dovuto soprattutto dalla volontà di far di tutto per salvaguardare le proprie imprese. Resta in sella a lungo, nonostante le inchieste giudiziarie, perché riesce a convincere il suo elettorato di essere vittima della magistratura asservita alla sinistra.\r\nBerlusconi fu anche l’uomo del G8 di Genova, dell’assassinio di Carlo Giuliani, del massacro della Diaz, delle torture di Bolzaneto.\r\nNon fece nessuna grande riforma: il suo “merito” principale fu l’aver costruito un nuovo immaginario, quello che ancora oggi segna il difficile presente in cui siamo forzati a vivere.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Massimo Varengo, un compagno di Milano\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/2023-06-13-berlusca-varengo.mp3\"][/audio]","13 Giugno 2023","2023-06-15 12:13:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-1024x577.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1-768x433.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/06/berlu-1.jpg 1536w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Il Paperone che chiuse il Novecento",1686675638,[189,190,191,192,193,194],"http://radioblackout.org/tag/berlusconi/","http://radioblackout.org/tag/craxi/","http://radioblackout.org/tag/politica-spettacolo/","http://radioblackout.org/tag/prima-repubblica/","http://radioblackout.org/tag/seconda-repubblica/","http://radioblackout.org/tag/tv-commerciali/",[196,197,198,32,199,200],"berlusconi","craxi","politica spettacolo","seconda repubblica","tv commerciali",{"post_content":202},{"matched_tokens":203,"snippet":204,"value":205},[85,86,85,86],"la Democrazia Cristiana e il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> \u003Cmark>Socialista\u003C/mark>. 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Le consultazioni elettorali presidenziali si sono tenute ieri, domenica 10 aprile, con un calo dell’affluenza alle urne, che registra il dato più basso dal 2002. Il candidato del partito di sinistra radicale France Insoumise, Jean-Luc Melenchon, con il 22% dei voti, è arrivato a un punto percentuale da Marine Le Pen, attestandosi al terzo posto, e prendendo la maggior parte dei voti nella fascia 18-35 anni. Tramonta definitivamente il duopolio del vecchio paesaggio politico francese, il partito socialista e il partito post gollista, infatti, sono rimasti al di sotto della soglia del 5%.\r\nNe abbiamo parlato con Robert, compagno francese redattore della rivista Il lato cattivo.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/elezionifrancesi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica qui l'approfondimento.","12 Aprile 2022","2022-04-12 01:34:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/FOTO-Macron-Le-Pen-1280x720-1-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"169\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/FOTO-Macron-Le-Pen-1280x720-1-300x169.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/FOTO-Macron-Le-Pen-1280x720-1-300x169.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/FOTO-Macron-Le-Pen-1280x720-1-1024x576.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/FOTO-Macron-Le-Pen-1280x720-1-768x432.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/04/FOTO-Macron-Le-Pen-1280x720-1.jpg 1280w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Elezioni francesi 2022",1649726893,[64,66],[20,15],{"post_content":228},{"matched_tokens":229,"snippet":230,"value":231},[108,109,108],"vecchio paesaggio politico francese, il \u003Cmark>partito\u003C/mark> \u003Cmark>socialista\u003C/mark> e il \u003Cmark>partito\u003C/mark> post gollista,","Il presidente uscente Emmanuel Macron e Marine Le Pen, candidata del \u003Cmark>partito\u003C/mark> di estrema destra Rassemblement National, si sfideranno al ballottaggio il prossimo 24 aprile. 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2017, il presidente del governo nazionale spagnolo sembra fare qualche passo indietro e chiarire che non accetterà un referendum di autodeterminazione nella regione.\r\nAbbiamo commentato le mosse del leader del partito socialista spagnolo e l'evolvere delle strategie del movimento indipendentista in Catalunya con Victor Serri, compagno di Barnaut, collettivo di informazione con base a Barcellona, e fotoreporter de La Directa, giornale cooperativo di riferimento dei movimenti sociali dei paesi catalani.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/07/catalogna-victor.mp3\"][/audio]","2 Luglio 2021","2021-07-02 11:26:59","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/07/e20ac5a1-8d34-4276-8b88-6e71db6b84e7_alta-libre-aspect-ratio_default_0-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"183\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/07/e20ac5a1-8d34-4276-8b88-6e71db6b84e7_alta-libre-aspect-ratio_default_0-300x183.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" 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Il partito socialista di Pedro Sanchez, dopo un lungo tentennamento, si è schierato in modo secco a fianco degli unionisti. Questa decisione potrebbe dare a Rajoy la maggioranza necessaria a far scattare l'articolo della costituzione che permette la sospensione dell'autonomia catalana.\r\n\r\nIn queste ore i Mossos, la polizia catalana, quella che, in caso di indipendenza, diverrebbe la polizia nazionale della nuova Repubblica, ha chiuso il parco che circonda il parlamento per difenderlo da attacchi.\r\n\r\nLa guardia civil e la policia centrale sono schierate da giorni in Catalogna, pronte ad intervenire.\r\n\r\nIl fine settimana è stato caratterizzato da un'imponente manifestazione unionista per le strade di Barcellona, cui hanno preso parte anche esponenti dell'estrema destra. I numeri, sebbene inferiori alle manifestazioni indipendentiste della settimana precedente, sono comunque indicativi di una società catalana spaccata in due. La Catalogna è terra di immigrazione sin dall'ottocento, Barcellona è una grande città cosmopolita. La grande industria sta dando segnali di nervosismo di fronte al possibile acuirsi della crisi, mentre la piccola e media impresa si attesta sul fronte catalanista. I due fronti che si stanno combattendo appaiono attraversati da un'analoga attitudine interclassista. Tutti insieme sulla stessa barca in nome di opposti nazionalismi.\r\n\r\n \r\n\r\nUn altro elemento sul piatto è la polarizzazione provocata dalla violenta repressione del 1° ottobre, il giorno del referendum, che il governo di Madrid ha provato ad impedire, perché lo ha considerato illegittimo. La creazione di un nuovo Stato, con relativi confini, esercito e polizia è una prospettiva che raccoglie un forte consenso.\r\n\r\n \r\n\r\nLe forze politiche che avevano spinto, e spingono, verso la secessione sono diverse e spesso in conflitto tra loro. Un ex partito moderato, Convergencia i Uniò, quello da cui proviene il President Carles Puigdemont, si è trasformato in un acceso gruppo indipendentista nel giro di pochi mesi cambiando il nome in Partit Democratic de Cataluunya . Pesa sulla metamorfosi soprattutto la volontà di deviare l’insoddisfazione generale verso i dirigenti politici regionali responsabili di una serie di misure antipopolari: taglio delle spese sociali, in particolare nell’istruzione e nella sanità, oltre che in ambito pensionistico, che avevano peggiorato le condizioni di vita di milioni di catalani.\r\n\r\n \r\n\r\nDopo le elezioni della Generalitat del 2015, terminate con la vittoria degli indipendentisti come numero di seggi, ma non di voti, si rafforza anche un nuovo protagonista del teatro elettorale, la CUP (Candidaturas de Unidad Popular), un partito “anticapitalista” che sembra sia riuscito a rappresentare a livello istituzionale il dissenso sociale radicalizzato. 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L’alleanza delle tre formazioni indipendentiste ha dato vita, dopo molti mesi, ad un Govern che si è pubblicamente impegnato ad attuare, in pochi mesi, una Dichiarazione Unilaterale di Indipendenza. Il referendum del 1° ottobre avrebbe dovuto essere un passaggio di legittimazione e i tempi erano stati accelerati.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nDa parte sua, il Governo di Madrid, dove il Partido Popular di Mariano Rajoy, pur in minoranza parlamentare, aveva occupato i posti di potere con la cruciale astensione dei socialisti e aveva già dichiarato illegale la consultazione e minacciato forme di attacco frontale che ai più sembravano poco probabili. La magistratura, in buona parte di nomina governativa, aveva affiancato l’esecutivo annullando così l’antica (ipotetica e classica) divisione dei poteri.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nIn teoria, Madrid avrebbe potuto considerare senza effetti pratici il referendum e annullarne ogni conseguenza istituzionale, ma ciò non bastava ad affermare la netta superiorità della capitale rispetto alla periferia ribelle, insoddisfatta del livello di autonomia già riconosciuta. Si può perciò capire perché era necessario l’invio della Policia Nacional e della Guardia Civil con le esplicite disposizioni di usare la violenza senza troppe incertezze e di impedire il voto sgomberando brutalmente i seggi. Nel rifiuto di ogni mediazione e nella durezza repressiva si potrebbe ipotizzare una manovra del Partido Popular per conquistare la maggioranza assoluta in una prossima ravvicinata elezione generale. L’arma segreta per carpire fette più ampie di delega sarebbe il confuso, ma reale, sentimento di diffidenza anticatalanista presente nel centro e nel sud della Spagna.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nIl 3 ottobre uno sciopero generale, convocato da tempo per i diritti sociali e contro la repressione da un insieme di sindacati di base (tra cui la CNT e la CGT), ha poi offerto l’occasione per una serie di manifestazioni enormi. Le strade del centro non sono riuscite a contenere le centinaia di migliaia di persone che hanno urlato la propria rabbia in faccia ai poliziotti pur non usando metodi di aperta rivolta violenta. Anche l’ambiguità data dall’adesione dei piccoli e medi industriali alla “fermata nazionale” (il termine sciopero non è digeribile) è stata superata nelle iniziative vere in piazza. I sindacati maggioritari, la UGT socialista e le Comisiones Obreras catalane, all’ultimo momento hanno dovuto aderire alla protesta per non essere tagliate fuori. I picchetti combattivi di fronte alle fabbriche e i blocchi stradali diffusi ovunque, opere quasi spontanee e dove i militanti dei sindacati minoritari si sono impegnati a fondo, hanno dato la misura del coinvolgimento di movimenti di base tutt’altro che moderati.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia della Spagna contemporanea.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n2017 10 10 venza cat","10 Ottobre 2017","2017-10-12 17:47:04","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/mossos-guardia-civil-policia-nacional_10_670x355-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"159\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/mossos-guardia-civil-policia-nacional_10_670x355-300x159.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/mossos-guardia-civil-policia-nacional_10_670x355-300x159.png 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/10/mossos-guardia-civil-policia-nacional_10_670x355.png 670w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Catalogna. 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Si può perciò capire perché era necessario l’invio della Policia Nacional e della Guardia Civil con le esplicite disposizioni di usare la violenza senza troppe incertezze e di impedire il voto sgomberando brutalmente i seggi. Nel rifiuto di ogni mediazione e nella durezza repressiva si potrebbe ipotizzare una manovra del Partido Popular per conquistare la maggioranza assoluta in una prossima ravvicinata elezione generale. L’arma segreta per carpire fette più ampie di delega sarebbe il confuso, ma reale, sentimento di diffidenza anticatalanista presente nel centro e nel sud della Spagna.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nIl 3 ottobre uno sciopero generale, convocato da tempo per i diritti sociali e contro la repressione da un insieme di sindacati di base (tra cui la CNT e la CGT), ha poi offerto l’occasione per una serie di manifestazioni enormi. 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I picchetti combattivi di fronte alle fabbriche e i blocchi stradali diffusi ovunque, opere quasi spontanee e dove i militanti dei sindacati minoritari si sono impegnati a fondo, hanno dato la misura del coinvolgimento di movimenti di base tutt’altro che moderati.\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nNe abbiamo parlato con Claudio Venza, docente di storia della Spagna contemporanea.\r\n\r\n \r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n2017 10 10 venza cat",[303],{"field":123,"matched_tokens":304,"snippet":300,"value":301},[108,109],{"best_field_score":172,"best_field_weight":173,"fields_matched":210,"num_tokens_dropped":49,"score":211,"tokens_matched":29,"typo_prefix_score":49},6646,{"collection_name":60,"first_q":80,"per_page":308,"q":80},6,{"facet_counts":310,"found":118,"hits":351,"out_of":560,"page":210,"request_params":561,"search_cutoff":38,"search_time_ms":562},[311,327],{"counts":312,"field_name":325,"sampled":38,"stats":326},[313,315,317,319,321,323],{"count":29,"highlighted":314,"value":314},"anarres",{"count":210,"highlighted":316,"value":316},"frittura mista",{"count":210,"highlighted":318,"value":318},"defendkurdistan",{"count":210,"highlighted":320,"value":320},"la perla di labuan",{"count":210,"highlighted":322,"value":322},"il colpo del strega",{"count":210,"highlighted":324,"value":324},"La fine della Fine della storia","podcastfilter",{"total_values":308},{"counts":328,"field_name":37,"sampled":38,"stats":349},[329,331,333,335,337,339,341,343,345,347],{"count":29,"highlighted":330,"value":330},"razzismo",{"count":210,"highlighted":332,"value":332},"mgf",{"count":210,"highlighted":334,"value":334},"kyenge",{"count":210,"highlighted":336,"value":336},"convegno",{"count":210,"highlighted":338,"value":338},"reggio emilia",{"count":210,"highlighted":340,"value":340},"dolores valandro",{"count":210,"highlighted":342,"value":342},"anticoncezionali",{"count":210,"highlighted":344,"value":344},"aborto clandestino",{"count":210,"highlighted":346,"value":346},"mutilazioni genitali femminili",{"count":210,"highlighted":348,"value":348},"modificazioni genitali femminili",{"total_values":350},42,[352,379,418,461,492,535],{"document":353,"highlight":370,"highlights":375,"text_match":170,"text_match_info":378},{"comment_count":49,"id":354,"is_sticky":49,"permalink":355,"podcastfilter":356,"post_author":357,"post_content":358,"post_date":359,"post_excerpt":55,"post_id":354,"post_modified":360,"post_thumbnail":361,"post_title":362,"post_type":363,"sort_by_date":364,"tag_links":365,"tags":368},"46489","http://radioblackout.org/podcast/i-bianchi-gli-ebrei-e-noi-verso-una-politica-dellamore-rivoluzionario/",[316],"fritturamista","Durante la puntata di FRUTTURAMISTA del 06/03/2018 con l'aiuto di Virginia abbiamo dato un assaggio della presentazione, con l'autrice Houria Bouteldja, del libro “I bianchi, gli ebrei e noi. Verso una politica dell'amore rivoluzionario” che si è tenuta al CSOA Askatasuna in c.so Regina Margherita a Torino il 10 marzo.\r\n\r\nL’autrice del libro “I Bianchi, gli Ebrei e Noi” è la portavoce del “Partito degli Indigeni della Repubblica” (PIR), lanciato nel 2005 con un manifesto, “L’appel des indigènes de la République”, che denuncia la permanenza di rapporti coloniali nei dispositivi e nelle pratiche della Repubblica francese. Il movimento emerge dalle lotte contro le discriminazioni sociali, tra cui la lotta contro la legge del 2004 che vieta alle donne di indossare il velo negli spazi pubblici. Le rivolte della fine del 2005 nelle banlieues danno un’eco inaspettato alle analisi proposte. Diventato “partito”, senza però alcune pretese elettorali, il PIR intraprende una strategia di contro-egemonia, partecipando a creare una produzione teorica antirazzista radicale, occupando lo spazio mediatico e imponendosi negli spazi intellettuali. Con il suo progetto di autonomia politica si oppone all’antirazzismo classico rappresentato da varie associazioni, come ad esempio “SOS Racisme” (legato al partito socialista) e riesce – con altre organizzazioni – a discreditarle e marginalizzarle nell’ambito antirazzista.\r\n\r\n\"Perché scrivo questo libro? Perché condivido l'angoscia di Gramsci: Il vecchio mondo è morto. Il nuovo è di là da venire ed è in questo chiaro-scuro che sorgono i mostri. Il mostro fascista, nato dalle viscere della modernità occidentale. Da qui la mia domanda: che cosa offrire ai Bianchi in cambio del loro declino e delle guerre che questo annuncia? Una sola risposta: la pace. Un solo mezzo: l'amore rivoluzionario!\"\r\n\r\n\r\nIntervista radio a Houria Bouteldja, Buon ascolto:\r\n\r\n[audio mp3=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/i-bianchi-gli-ebrei-e-noi.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nRecensione del libro:\r\n\r\nhttps://www.infoaut.org/seminari/contro-la-buona-coscienza-bianca\r\n\r\n ","13 Marzo 2018","2018-11-02 20:11:39","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/03/libro-i-bianchi-1-200x110.jpg","I bianchi, gli ebrei e noi. 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Un tempo, quando era capo della Causa in Normandia, si riconosceva il suo materasso di gomma piuma, nella comune, dal fatto che ci aveva attaccato sopra con una puntina un ritratto di Stalin.\" Un'occasione per rivisitare l'opposizione alla guerra d'Algeria, la rivolta dell'università di Nanterre, gli scontri del Quartiere Latino, gli operai della Renault, slogan divenuti storici come \"La vita é altrove\", \"Sotto il selciato la spiaggia\" e \"Vietato vietare\", senza dimenticare film, poster e fumetti, Olivier Rolin é nato nel 1947, é stato dirigente della Gauche Proletarienne, poi giornalista di \"Liberation\". \"E poi? E poi niente. 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I blocchi delle raffineria e gli scioperi di ferrovieri e lavoratori di EDF. Nostro corrispondente Gianni Carrozza, corrispondente parigino di Collegamenti e redattore di Vive La Sociale! su radio Frequence Plurielle.\r\nAl di là della cronaca dell'ultima settimana, tra blocchi delle raffinerie, scioperi delle ferrovie e grandi manifestazioni di piazza, con Gianni abbiamo provato a cogliere le prospettive di un movimento che, dopo due mesi, continua ad essere in crescita, nonostante ampi settori del maggiore sindacato, la CGT, abbiano scelto di radicalizzarsi per provare a controllare una situazione che minaccia(va) di non essere più controllabile dalle burocrazie sindacali. In quest'ultima settimana è scesa in campo anche FO, Force Ouvriere, sindacato classicamente padronale, mentre meno rilevante è il ruolo degli studenti. Crepe si aprono nel fronte governativo, dove il partito socialista deve fare i conti con una crescente fronda della sua base sociale e politica.\r\nContinuano le Nouit Debout e tentano – sia pure a fatica - di sbarcare anche nella banlieaue, mentre gli attivisti si spostano dove ci sono blocchi e azioni di picchetto.\r\nUna riflessione particolare è stata dedicata al tema del blocco (delle merci, delle persone, dei flussi di notizie) come strumento per mettere in difficoltà un padronato, molto più libero di agire, vista la leggerezza estrema del sistema produttivo, ancorato al just in time, privo di magazzino, con capannoni e macchine in leasing.\r\nNe è scaturito un dibattito interessante, in cui è emerso, che sebbene la pratica del blocco sia efficace nel mettere in difficoltà la controparte, l'ingovernabilità del territorio, passa, necessariamente da un allargamento del fronte di lotta più radicale. \r\n\r\n* Torino. Anarchici in piazza contro razzisti e polizia. 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Grandi scheletri senza infissi, sanitari, fili elettrici, recuperati e riciclati negli anni da chi ne aveva bisogno.\r\nProbabilmente non c'è neppure l'acqua.\r\nQui, i profughi, isolati in piccoli gruppi, sorvegliati dall'esercito, saranno lontani dagli sguardi e dalla possibilità da rendere visibile, e quindi politicamente rilevante, la loro condizione.\r\nIntorno alle ex fabbriche quartieri di immigrati dall'est, spesso ostili ai profughi, dove Crisi Argi, i nazisti di Alba Dorata, guadagnano terreno. Nelle ultime settimane hanno provato ad alzare la testa, facendo ronde per i quartieri, cosa mai avvenuta a Salonicco ed inquietante, nonostante i nazisti siano stati intercettati e fermati dai compagni.\r\nA Idomeni restano solo più 500 persone, le sole che non paiono disponibili ad andarsene volontariamente. Gli altri 7.900, in parte sono saliti spontaneamente sui pullman dell'esercito, molti altri – forse 3000 - se ne sono andati prima dello sgombero, improvvisando accampamenti in altre località lungo il confine. A Polycastro, in una stazione di servizio, sono accampate oltre duemila persone, in parte provenienti da Idomeni.\r\nSecondo fonti No Border in 700 ce l'avrebbero fatta a bucare il confine macedone.\r\nLo sgombero sinora “pacifico” dell'accampamento di Idomeni è frutto del lungo lavorio fatto da ONG, volontari e funzionari statali. I profughi sono stati privati dell'acqua, ogni giorno il cibo non bastava per tutti, l'accesso ad internet per tentare la domanda di ricollocazione in un altro paese europeo non era altro che una chimera.\r\nPrivati della loro dignità, minacciati ed umiliati, metà dei profughi hanno finito con accettare senza proteste la deportazione, un'altra metà hanno deciso di fuggire, prima dello sgombero, nella notte del 24 maggio.\r\nIl divieto ai giornalisti di raccontare lo sgombero era parte della strategia di isolamento delle persone. Se nessuno vede e racconta quello che succede, anche la protesta sembra diventare inutile.\r\nUn risultato che il governo Tsipras non dava certo per scontato, viste le migliaia di agenti in assetto antisommossa mandati a Idomeni da ogni parte della Grecia.\r\n\r\n* Zitto e mangia la minestra. É il titolo del contributo di Benjamin Julian sul blog refugeestrail. Mostra in modo efficace il ruolo dei volontari apolitici nell'assistenza e controllo dei migranti in viaggio a Chios e Idomeni. nel fiaccare la resistenza, umiliando le persone che si aiutano, riducendole a tubi digerenti, minori da assistere, inferiori cui mostrare il modo giusto di vivere. Uno sguardo colonialista e complice delle politiche repressive del governo.\r\n\r\nSotto trovate la traduzione fatta dal blog Hurriya, che abbiamo letto ad Anarres\r\n\r\nOggi le autorità greche hanno dato l’avvio a quello che minacciavano da tempo: lo sgombero dell’accampamento di Idomeni. Il portavoce del ministro dell’immigrazione ha detto che tutti sapevano che “le condizioni di vita” sarebbero state migliori nei campi in cui le persone saranno ricollocate e aveva promesso che “non sarebbe stata usata la forza”, ma anche che si aspettava che le 8000 persone che hanno vissuto lì per mesi sarebbero state spostate in meno di una settimana. Per garantire che nessuno potesse vedere il modo pacifico con cui Idomeni sarebbe stata sgomberata, a giornalisti e attivisti è stato precluso l’accesso all’area.\r\n\r\nUna spiegazione di come questo paradosso dello spostamento non violento di migliaia di persone, che non avevano intenzione di spostarsi, potesse essere risolto, è stata data da un rappresentante di MSF, secondo il quale la gestione del campo da parte della polizia ha “reso complicata la fornitura di cibo e l’assistenza sanitaria”.\r\n\r\nSi tratta di una mossa simile a quella riportata dai/dalle migranti di Vial a Chios, quando venne detto loro che avrebbero dovuto lasciare il campo per trasferirsi nell’altro hotspot di Kos: “Non avevamo l’acqua per poter usare i bagni o poter farci una doccia”, ha detto un migrante. “Avevamo giusto l’acqua potabile da bere. La polizia ha tagliato l’acqua perché, ci hanno detto, dobbiamo spostarci su un’altra isola”.\r\n\r\nQueste tattiche vengono solitamente definite assedi di guerra, intimidazioni, abusi o, per ultimo, atti antiumanitari. Ma negli ultimi tempi sembra essersi affermata la scuola di pensiero che ritiene queste pratiche non sostanzialmente sbagliate, trattandosi solo di una questione di procedure. Il lavoro umanitario consiste nel trovare “un buon posto”, identificato dai volontari o dalle autorità, dove poter trasferire i/le migranti. I desideri e le richieste dei/delle migranti sono semplicemente ignorati. Questo approccio cresce naturalmente nel contesto della politica di confine europea, e dovremmo cominciare a resistere e opporci ad essa.\r\n\r\nRimani in fila\r\nNon è solo il consueto sentimento europeo di superiorità che nutre questo atteggiamento. Durante il lavoro che ho svolto nelle mense questo inverno, mi ha colpito quanto velocemente una mentalità paternalista, o peggio autoritaria, si possa sviluppare tra i volontari.\r\nNoi, per lo più ventenni bianchi/e, eravamo donatori e loro riceventi. Noi avevamo cose che la maggior parte dei/delle migranti non aveva. Potevamo viaggiare, prendere in affitto case, guidare auto, mentre loro non potevano. Eravamo noi che l* facevamo mettere in fila, che decidevamo le loro porzioni, che decidevamo se una persona poteva ricevere una, due o nessuna porzione di zuppa, che l* facevamo allineare in fila, che facevamo rispettare la coda a chi la saltava e così via. Questa posizione di superiorità può facilmente sfociare nella prepotenza, e ho visto spesso e in diversi luoghi volontari urlare contro i/le migranti che erano in attesa in fila per ottenere un paio di mutande o una carta di registrazione. Si tratta di uno spettacolo che non vorrei vedere mai più.\r\n\r\nQuesta denigrazione è divenuta a volte sistematica quando le ONG e i distributori di cibo hanno marcato le unghie o distribuito braccialetti identificativi ai/alle migranti in modo da poter assegnare loro la “quota giusta”. La motivazioni sono candide, la pratica repellente. Ma quando le condizioni sono come erano quest’inverno in Grecia, la dignità dei migranti deve essere anteposta alle pratiche del lavoro umanitario. Le condizioni in cui sono stati portati dalla guerra a casa loro e dalla chiusura delle frontiere ci lascia pochissimi spazi di manovra.\r\n\r\nLo sfortunato risultato di questo schema è che “‘umanitarismo” è diventata una parola molto flessibile. Il trasferimento di migranti dall’hotspot sovraffollato di Vial a quello sull’isola di Kos potrebbe essere descritto come guidato da uno scopo “umanitario”, perché essi avrebbero avuto molto più spazio a Kos. Il fatto che essi fossero chiusi dentro, mentre a Vial erano liberi di uscire, mi è stato spiegato da un volontario come un piccolo e temporaneo inconveniente – non un abuso fondamentale dei diritti dei detenuti e un diniego della loro autonomia. Che i/le migranti detenute negli hotspot dicessero di subire trattamenti “da animali”, per molti vuol dire dar loro più zuppa, più spazio, più coperte piuttosto che una questione di dignità.\r\n\r\nApolitici\r\nÈ questa ridefinizione della parola “umanitario” come semplice fornitore di “comfort” che permette alle autorità greche di presentare l’evacuazione dei residenti di Idomeni verso i campi “più umanitari”, come un aiuto ai poveri ignoranti spaventati migranti ad effettuare la scelta più saggia. (Questo si chiama agire come un “salvatore bianco”). Ma è semplicemente irrilevante quanto buoni siano i campi militari. Il punto è che ai migranti non è lasciata scelta. Quello che manca qui è quello che dovrebbe essere un principio fondamentale dell’umanitarismo: non opporsi alla volontà e desideri di chi vi è soggetto. Trascinare adulti come se fossero bestie da un luogo a un altro non è mai un aiuto, non importa quanto gradevole sia il luogo dove verranno sistemati.\r\n\r\nQuando i/le migranti hanno occupato il porto di Chios, ne è nata una discussione simile. Avevano trovato un posto dove non potevano essere ignorati, dove i media hanno parlato con loro, dove le loro proteste sono state viste. Ma i volontari e le ONG li hanno supplicati di andare in campi “migliori” perché dotati di docce e letti caldi. Come se ciò importasse! Hanno scelto di dormire sul cemento, non perché fossero stupidi o privi di buon senso, ma perché volevano fare una dichiarazione politica. Ma che è caduta nel vuoto a causa di quei volontari che hanno lavorato “apoliticamente”; che volevano migliorare il comfort, non cambiare la società.\r\n\r\nLe radici del volontariato apolitico meritano un approfondimento a parte, che non voglio fare in questa sede, ma più o meno significa lavorare all’interno del sistema, registrarti (farti accreditare) quando ti dicono di farlo e non andare dove non ti è permesso. A volte le persone in buona fede seguono questa semplice idea: trovare persone in difficoltà e fornire loro tutto ciò che li fa sentire meglio.\r\n\r\nMantieni la calma e mangia la minestra\r\nIl rischio che i volontari non politicizzati corrono è quello di diventare strumenti pratici di una disumana politica statale, finendo col lavorare in condizioni che, a lungo andare, distruggono le speranze dei migranti – e che potrebbero col tempo eliminare ogni traccia di umanitarismo nel trattamento che ricevono.\r\n\r\nIl caso più evidente di questo atteggiamento è quando i volontari dicono ai migranti di mantenere la calma. Si tratta di una strategia tipicamente non politica: se VOI mantenete la calma, NOI saremo meglio in grado di portarvi la zuppa. Manca completamente uno sguardo più ampio: i/le migranti vengono violentemente perseguitati dalla UE, e vogliono esporre la loro situazione al pubblico europeo. Non possono farlo senza l’attenzione dei media, e i media non si presentano senza che vi sia un “incidente”. I migranti devono piangere, morire di fame, gridare o annegare per rappresentare una storia. Non appena “l’umanitarismo” li avvolge nel suo abbraccio soffocante, vengono buttati fuori dalle prime pagine – e possono aspettare in silenzio la deportazione. (È anche opportuno ricordare che i migranti nell’hotspot di Vial hanno notevolmente migliorato le loro condizioni evadendo letteralmente dal carcere, dopo che i volontari gli avevano detto che sarebbe stato meglio “tacere”.)\r\n\r\nE così, l’umanitarismo non politico raggiunge l’ obiettivo opposto. Rimuovendo i/le migranti dalla scena politica e dei media presso il porto di Chios, sgomberandoli da Idomeni, dalle piazze e dai parchi, dando loro quel tanto che basta di cibo per scongiurare la fame, le autorità sono riuscite a farli tacere.","27 Maggio 2016","2018-10-17 22:58:58","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/05/2016-05-20-manif-antimili-2-giu-200x110.jpg","Anarres del 27 maggio. 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I blocchi delle raffineria e gli scioperi di ferrovieri e lavoratori di EDF. Nostro corrispondente Gianni Carrozza, corrispondente parigino di Collegamenti e redattore di Vive La Sociale! su radio Frequence Plurielle.\r\nAl di là della cronaca dell'ultima settimana, tra blocchi delle raffinerie, scioperi delle ferrovie e grandi manifestazioni di piazza, con Gianni abbiamo provato a cogliere le prospettive di un movimento che, dopo due mesi, continua ad essere in crescita, nonostante ampi settori del maggiore sindacato, la CGT, abbiano scelto di radicalizzarsi per provare a controllare una situazione che minaccia(va) di non essere più controllabile dalle burocrazie sindacali. In quest'ultima settimana è scesa in campo anche FO, Force Ouvriere, sindacato classicamente padronale, mentre meno rilevante è il ruolo degli studenti. Crepe si aprono nel fronte governativo, dove il \u003Cmark>partito\u003C/mark> \u003Cmark>socialista\u003C/mark> deve fare i conti con una crescente fronda della sua base sociale e politica.\r\nContinuano le Nouit Debout e tentano – sia pure a fatica - di sbarcare anche nella banlieaue, mentre gli attivisti si spostano dove ci sono blocchi e azioni di picchetto.\r\nUna riflessione particolare è stata dedicata al tema del blocco (delle merci, delle persone, dei flussi di notizie) come strumento per mettere in difficoltà un padronato, molto più libero di agire, vista la leggerezza estrema del sistema produttivo, ancorato al just in time, privo di magazzino, con capannoni e macchine in leasing.\r\nNe è scaturito un dibattito interessante, in cui è emerso, che sebbene la pratica del blocco sia efficace nel mettere in difficoltà la controparte, l'ingovernabilità del territorio, passa, necessariamente da un allargamento del fronte di lotta più radicale. \r\n\r\n* Torino. Anarchici in piazza contro razzisti e polizia. Cronaca della giornata di lotta – corteo e contestazione della fiaccolata di poliziotti e comitati razzisti in sostegno ad un piano “sicurezza” il cui solo obiettivo è la guerra ai poveri.\r\n\r\n* Torino. Giovedì 2 giugno, ore 15,30 in piazza XVIII dicembre, vecchia Porta Susa\r\nQui l'appello per il corteo antimilitarista del 2 giugno a Torino\r\nAscolta e diffondi lo spot del corteo\r\n\r\n* Grecia. Abbiamo parlato dello sgombero di Idomeni con Jannis, anarchico greco, che ci racconta delle centri di detenzione che attendono i profughi deportati dall'accampamento spontaneo al confine tra Grecia e Macedonia.\r\nGrandi capannoni industriali all'estrema periferia di Salonicco, quello che resta delle fabbriche brasate dalla crisi, sono la destinazione “momentanea” per i profughi deportati in questi giorni da Idomeni. Grandi scheletri senza infissi, sanitari, fili elettrici, recuperati e riciclati negli anni da chi ne aveva bisogno.\r\nProbabilmente non c'è neppure l'acqua.\r\nQui, i profughi, isolati in piccoli gruppi, sorvegliati dall'esercito, saranno lontani dagli sguardi e dalla possibilità da rendere visibile, e quindi politicamente rilevante, la loro condizione.\r\nIntorno alle ex fabbriche quartieri di immigrati dall'est, spesso ostili ai profughi, dove Crisi Argi, i nazisti di Alba Dorata, guadagnano terreno. Nelle ultime settimane hanno provato ad alzare la testa, facendo ronde per i quartieri, cosa mai avvenuta a Salonicco ed inquietante, nonostante i nazisti siano stati intercettati e fermati dai compagni.\r\nA Idomeni restano solo più 500 persone, le sole che non paiono disponibili ad andarsene volontariamente. Gli altri 7.900, in parte sono saliti spontaneamente sui pullman dell'esercito, molti altri – forse 3000 - se ne sono andati prima dello sgombero, improvvisando accampamenti in altre località lungo il confine. A Polycastro, in una stazione di servizio, sono accampate oltre duemila persone, in parte provenienti da Idomeni.\r\nSecondo fonti No Border in 700 ce l'avrebbero fatta a bucare il confine macedone.\r\nLo sgombero sinora “pacifico” dell'accampamento di Idomeni è frutto del lungo lavorio fatto da ONG, volontari e funzionari statali. I profughi sono stati privati dell'acqua, ogni giorno il cibo non bastava per tutti, l'accesso ad internet per tentare la domanda di ricollocazione in un altro paese europeo non era altro che una chimera.\r\nPrivati della loro dignità, minacciati ed umiliati, metà dei profughi hanno finito con accettare senza proteste la deportazione, un'altra metà hanno deciso di fuggire, prima dello sgombero, nella notte del 24 maggio.\r\nIl divieto ai giornalisti di raccontare lo sgombero era parte della strategia di isolamento delle persone. Se nessuno vede e racconta quello che succede, anche la protesta sembra diventare inutile.\r\nUn risultato che il governo Tsipras non dava certo per scontato, viste le migliaia di agenti in assetto antisommossa mandati a Idomeni da ogni parte della Grecia.\r\n\r\n* Zitto e mangia la minestra. É il titolo del contributo di Benjamin Julian sul blog refugeestrail. Mostra in modo efficace il ruolo dei volontari apolitici nell'assistenza e controllo dei migranti in viaggio a Chios e Idomeni. nel fiaccare la resistenza, umiliando le persone che si aiutano, riducendole a tubi digerenti, minori da assistere, inferiori cui mostrare il modo giusto di vivere. Uno sguardo colonialista e complice delle politiche repressive del governo.\r\n\r\nSotto trovate la traduzione fatta dal blog Hurriya, che abbiamo letto ad Anarres\r\n\r\nOggi le autorità greche hanno dato l’avvio a quello che minacciavano da tempo: lo sgombero dell’accampamento di Idomeni. Il portavoce del ministro dell’immigrazione ha detto che tutti sapevano che “le condizioni di vita” sarebbero state migliori nei campi in cui le persone saranno ricollocate e aveva promesso che “non sarebbe stata usata la forza”, ma anche che si aspettava che le 8000 persone che hanno vissuto lì per mesi sarebbero state spostate in meno di una settimana. Per garantire che nessuno potesse vedere il modo pacifico con cui Idomeni sarebbe stata sgomberata, a giornalisti e attivisti è stato precluso l’accesso all’area.\r\n\r\nUna spiegazione di come questo paradosso dello spostamento non violento di migliaia di persone, che non avevano intenzione di spostarsi, potesse essere risolto, è stata data da un rappresentante di MSF, secondo il quale la gestione del campo da parte della polizia ha “reso complicata la fornitura di cibo e l’assistenza sanitaria”.\r\n\r\nSi tratta di una mossa simile a quella riportata dai/dalle migranti di Vial a Chios, quando venne detto loro che avrebbero dovuto lasciare il campo per trasferirsi nell’altro hotspot di Kos: “Non avevamo l’acqua per poter usare i bagni o poter farci una doccia”, ha detto un migrante. “Avevamo giusto l’acqua potabile da bere. La polizia ha tagliato l’acqua perché, ci hanno detto, dobbiamo spostarci su un’altra isola”.\r\n\r\nQueste tattiche vengono solitamente definite assedi di guerra, intimidazioni, abusi o, per ultimo, atti antiumanitari. Ma negli ultimi tempi sembra essersi affermata la scuola di pensiero che ritiene queste pratiche non sostanzialmente sbagliate, trattandosi solo di una questione di procedure. Il lavoro umanitario consiste nel trovare “un buon posto”, identificato dai volontari o dalle autorità, dove poter trasferire i/le migranti. I desideri e le richieste dei/delle migranti sono semplicemente ignorati. Questo approccio cresce naturalmente nel contesto della politica di confine europea, e dovremmo cominciare a resistere e opporci ad essa.\r\n\r\nRimani in fila\r\nNon è solo il consueto sentimento europeo di superiorità che nutre questo atteggiamento. Durante il lavoro che ho svolto nelle mense questo inverno, mi ha colpito quanto velocemente una mentalità paternalista, o peggio autoritaria, si possa sviluppare tra i volontari.\r\nNoi, per lo più ventenni bianchi/e, eravamo donatori e loro riceventi. Noi avevamo cose che la maggior parte dei/delle migranti non aveva. Potevamo viaggiare, prendere in affitto case, guidare auto, mentre loro non potevano. Eravamo noi che l* facevamo mettere in fila, che decidevamo le loro porzioni, che decidevamo se una persona poteva ricevere una, due o nessuna porzione di zuppa, che l* facevamo allineare in fila, che facevamo rispettare la coda a chi la saltava e così via. Questa posizione di superiorità può facilmente sfociare nella prepotenza, e ho visto spesso e in diversi luoghi volontari urlare contro i/le migranti che erano in attesa in fila per ottenere un paio di mutande o una carta di registrazione. Si tratta di uno spettacolo che non vorrei vedere mai più.\r\n\r\nQuesta denigrazione è divenuta a volte sistematica quando le ONG e i distributori di cibo hanno marcato le unghie o distribuito braccialetti identificativi ai/alle migranti in modo da poter assegnare loro la “quota giusta”. La motivazioni sono candide, la pratica repellente. Ma quando le condizioni sono come erano quest’inverno in Grecia, la dignità dei migranti deve essere anteposta alle pratiche del lavoro umanitario. Le condizioni in cui sono stati portati dalla guerra a casa loro e dalla chiusura delle frontiere ci lascia pochissimi spazi di manovra.\r\n\r\nLo sfortunato risultato di questo schema è che “‘umanitarismo” è diventata una parola molto flessibile. Il trasferimento di migranti dall’hotspot sovraffollato di Vial a quello sull’isola di Kos potrebbe essere descritto come guidato da uno scopo “umanitario”, perché essi avrebbero avuto molto più spazio a Kos. Il fatto che essi fossero chiusi dentro, mentre a Vial erano liberi di uscire, mi è stato spiegato da un volontario come un piccolo e temporaneo inconveniente – non un abuso fondamentale dei diritti dei detenuti e un diniego della loro autonomia. Che i/le migranti detenute negli hotspot dicessero di subire trattamenti “da animali”, per molti vuol dire dar loro più zuppa, più spazio, più coperte piuttosto che una questione di dignità.\r\n\r\nApolitici\r\nÈ questa ridefinizione della parola “umanitario” come semplice fornitore di “comfort” che permette alle autorità greche di presentare l’evacuazione dei residenti di Idomeni verso i campi “più umanitari”, come un aiuto ai poveri ignoranti spaventati migranti ad effettuare la scelta più saggia. (Questo si chiama agire come un “salvatore bianco”). Ma è semplicemente irrilevante quanto buoni siano i campi militari. Il punto è che ai migranti non è lasciata scelta. Quello che manca qui è quello che dovrebbe essere un principio fondamentale dell’umanitarismo: non opporsi alla volontà e desideri di chi vi è soggetto. Trascinare adulti come se fossero bestie da un luogo a un altro non è mai un aiuto, non importa quanto gradevole sia il luogo dove verranno sistemati.\r\n\r\nQuando i/le migranti hanno occupato il porto di Chios, ne è nata una discussione simile. Avevano trovato un posto dove non potevano essere ignorati, dove i media hanno parlato con loro, dove le loro proteste sono state viste. Ma i volontari e le ONG li hanno supplicati di andare in campi “migliori” perché dotati di docce e letti caldi. Come se ciò importasse! Hanno scelto di dormire sul cemento, non perché fossero stupidi o privi di buon senso, ma perché volevano fare una dichiarazione politica. Ma che è caduta nel vuoto a causa di quei volontari che hanno lavorato “apoliticamente”; che volevano migliorare il comfort, non cambiare la società.\r\n\r\nLe radici del volontariato apolitico meritano un approfondimento a parte, che non voglio fare in questa sede, ma più o meno significa lavorare all’interno del sistema, registrarti (farti accreditare) quando ti dicono di farlo e non andare dove non ti è permesso. A volte le persone in buona fede seguono questa semplice idea: trovare persone in difficoltà e fornire loro tutto ciò che li fa sentire meglio.\r\n\r\nMantieni la calma e mangia la minestra\r\nIl rischio che i volontari non politicizzati corrono è quello di diventare strumenti pratici di una disumana politica statale, finendo col lavorare in condizioni che, a lungo andare, distruggono le speranze dei migranti – e che potrebbero col tempo eliminare ogni traccia di umanitarismo nel trattamento che ricevono.\r\n\r\nIl caso più evidente di questo atteggiamento è quando i volontari dicono ai migranti di mantenere la calma. Si tratta di una strategia tipicamente non politica: se VOI mantenete la calma, NOI saremo meglio in grado di portarvi la zuppa. Manca completamente uno sguardo più ampio: i/le migranti vengono violentemente perseguitati dalla UE, e vogliono esporre la loro situazione al pubblico europeo. Non possono farlo senza l’attenzione dei media, e i media non si presentano senza che vi sia un “incidente”. I migranti devono piangere, morire di fame, gridare o annegare per rappresentare una storia. Non appena “l’umanitarismo” li avvolge nel suo abbraccio soffocante, vengono buttati fuori dalle prime pagine – e possono aspettare in silenzio la deportazione. (È anche opportuno ricordare che i migranti nell’hotspot di Vial hanno notevolmente migliorato le loro condizioni evadendo letteralmente dal carcere, dopo che i volontari gli avevano detto che sarebbe stato meglio “tacere”.)\r\n\r\nE così, l’umanitarismo non politico raggiunge l’ obiettivo opposto. 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[…] Sarebbe occorsa, come scrisse Malatesta da vecchio insurrezionalista, una «resistenza energica, metodica, organizzata contro la violenza avversaria». […] Invece, di fronte a tale inedita sistematica aggressione prevalse una sorta di fuga dalla realtà: «erano tutti d’accordo – secondo le parole di Emilio Lussu - nel valutare la violenza fascista come antistorica: non bisognava dunque contrapporre ad essa un’altra violenza antistorica, ma attendere il crearsi dell’ambiente favorevole ad una violenza storica».\r\n[…] La direzione del Partito socialista aveva preso presto le distanze dagli Arditi del popolo, malgrado le sincere simpatie manifestate dalla base, quali risultavano dalle pagine dell’«Avanti!»; ma tale decisione politica si rivelò ancora più grave con l’accettazione del cosiddetto Patto di pacificazione che il 2 agosto, nello studio romano del presidente della Camera De Nicola, venne unitamente sottoscritto dal Partito socialista, dalla Confederazione generale del lavoro e dai Fasci, e condiviso dall’Associazione nazionale combattenti, dal Partito popolare e dalla direzione di quello repubblicano. Il cosiddetto patto di Roma, infatti, all’art. 5 recitava: «Il PSI dichiara di essere estraneo all’organizzazione e all’opera degli Arditi del popolo, come del resto risulta già dallo stesso convegno di questi che si proclamano al di fuori di tutti i partiti». A distanza di pochi anni, Nenni molto lucidamente definì il Trattato «un grave errore di valutazione» persino «grottesco se si pensa che il Partito nello stesso momento, rifiutava qualsiasi intesa coi gruppi antifascisti».\r\nAl contrario, l’organo dei Fasci poteva esprimere la propria soddisfazione: «gli arditi del popolo, i quali ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e dai socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera».\r\nQuattro giorni dopo la firma del Patto di pacificazione pure il Partito comunista, attraverso un comunicato dell’Esecutivo datato 7 agosto, si “chiamava fuori” minacciando i «più severi provvedimenti» per i militanti comunisti che avessero fatto parte degli Arditi del popolo, lasciando questi ultimi in un sempre più pesante isolamento, specie dopo la dissociazione del Partito repubblicano avvenuta alla fine di luglio.\r\n\r\nIl discorso è diverso per il movimento anarchico che, invece, respinse decisamente ogni ipotesi di pacificazione, continuando a sostenere gli Arditi del popolo. Sino ad allora, a differenza degli altri raggruppamenti politici, gli anarchici non avevano sentito l’esigenza di dare vita a proprie strutture di difesa, in quanto la loro prassi era già improntata ad una lunga consuetudine di azione diretta e organizzazione semi-legale; ma la comparsa dell’arditismo popolare rappresentava per loro un’occasione per dare impulso all’iniziativa rivoluzionaria.\r\n[…] Pur risultando l’unica realtà del movimento di classe ad appoggiare sino all’ultimo gli Arditi del popolo - come attestato dai comunicati dell’Associazione regolarmente ospitati sia su «Umanità Nova» che sulla stampa libertaria in genere - anche in seno all’anarchismo vi fu un dibattito in merito, a causa soprattutto della struttura militarista (disinvoltamente accettata da molti anarchici di tendenza individualista e antiorganizzatrice), ma anche per la sua composizione non esclusivamente proletaria (vista invece con diffidenza dai comunisti anarchici). L’esistenza di alcune divergenze teoriche si può intuire da un articolo pubblicato, in data 20 luglio 1921, su «Il Seme», settimanale livornese dell’Uniona anarchica italiana, di cui si riporta uno stralcio: «Chi sono cotesti Arditi del popolo? Sento già questa domanda affiorare alle labbra di qualcuno di quei compagni ingenui o forse troppo puritani, che vedono dappertutto l’incoerenza che nuoce ai principi della incorruttibile Anarchia nostra [...] La rivoluzione non si affretta leggendo filosofia o scrivendo articoli di giornale, ma scendendo sul terreno dell’azione. Ed era l’ora. Anche l’anarchismo divenuto troppo giornalaio minacciava di irretirsi di rinunce, e troppo lasciava correre imponendosi un pericoloso isolamento [...] Possiamo adunque pensare che gli Arditi del popolo, sorti dalla fraterna riconciliazione dei rivoluzionari romani, sono sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Dobbiamo aiutarli, incoraggiarli, imitarli». In un altro articolo, seppure favorevole agli AdP, pubblicato su «Il Libertario» del 21 luglio, veniva premesso che «Noi, lo si sa, non abbiamo troppe simpatie per l’apparato militaresco e per la sottomissione e disciplina che consegue all’organizzazione di questi eserciti proletari».\r\n\r\nNel 1922, a Roma, probabilmente per rafforzare la difesa delle proprie sedi e manifestazioni, i preesistenti Nuclei libertari «Arditi Anarchici» costituirono il 1° battaglione «Arditi Anarchici» e fu avviata la formazione del 2° e del 3°, come si apprende dagli articoli pubblicati nella cronaca romana di «Umanità Nova» del 21 e 28 ottobre. Da un fonogramma della questura di Roma al Ministero dell’Interno, in data 14 novembre, si apprende della perquisizione e dell’arresto di Raffaele De Angelis, ritenuto uno dei principali organizzatori dei «Nuclei giovanili arditi anarchici».\r\n[…] Numerosi furono i militanti anarchici, sia di tendenza individualista che comunista, promotori dell’organizzazione ardito-popolare e con responsabilità di comando in essa, ad iniziare dalla sezione romana con A. Paolinelli, A. Eluisi, V. Santarelli, R. Gentilezza, C. Mannarelli, G. Gallinella, A. Di Giacomo, N. Rita, A. Mastrosanti, U. Piermattei, S. Stagnetti, G. Luzzi e, in provincia, Del Prete a Genzano e V. De Fazi a Civitavecchia. Altri anarchici con ruoli dirigenti furono A. Del Sole a Orte (Vt); P. Ranieri a Tavernelle (Pu); A. Cieri a Parma; G. Tenaglia, P. Tripol, A. Poggiani e M. Camin a Trento; I. Margherita a Torino; M. Corona a Vercelli; N. Prina a Gattinara (Vc); E. Lelli a Bologna; E. Canzi a Piacenza; P. Binazzi a La Spezia; U. Marzocchi a La Spezia e a Savona; G. Del Freo e G. Raffaelli a Montignoso (Ms); R. Sarti e A. Raspini a Firenze; V. Mazzoni, O. Buoncristiani, R. Corucci e A. Fontana a Pisa; A. Consani, V. Recchi e L. Filippi a Livorno; T. Eschini a Pistoia; G. Lessi a Piombino (Li). Molti anche gli anarchici che, militando negli AdP, rimasero uccisi, tra i quali: A. Baldasseroni, F. Nardi e F. Filippetti a Livorno; S. Rossi a Castagneto Carducci (Li); L. Landi, A. Lucarelli, G. Morelli a Piombino (Li); C. Fava e A. Puzzarini a Parma; Nello Rossi a Rimini, F. Raffaelli a Terni (Pg); R. Semenzato a Dolo (Ve); G. Bonci a Spello (Pg); C. Comaschi a Cascina (Pi).\r\n[…] L’intransigenza dell’Unione sindacale italiana era nota allo stesso Mussolini che, nel 1920, commentando un progetto insurrezionale “dannunziano”, ebbe ad osservare: «Bisogna dunque fare il possibile perché la fulminea marcia su Roma non sia complicata da uno sciopero generale […] Ora, per evitare lo sciopero generale o analoghi movimenti di masse e per non essere costretti a reprimerli, occorre, se non convincere i capi, dividerli: il che disorienterà le masse stesse.\r\nNon si può contare sulla Unione sindacale italiana, ma si può contare, sino un certo punto, sulla Confederazione Generale del Lavoro».\r\nPer la sua attività l’USI subì innumerevoli distruzioni e l’uccisione di numerosi militanti: tra le Camere del lavoro e le sezioni dell’organizzazione “anarco-sindacalista” devastate od occupate dagli squadristi, in camicia nera o in uniforme, vi furono quelle di Milano, Varese, Suzzara, Monastero, Brescia, Crema, Mantova, Piacenza, Rovereto, Vicenza, Bologna, Ferrara, Imola, Parma, Modena, Genova, Sampierdarena, Sestri Ponente, Savona, La Spezia, Firenze, Arezzo, Pisa, Carrara, Lucca, Viareggio, Livorno, Pistoia, Piombino, San Giovanni Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Terni, Fano, Roma, Andria, Taranto, Cerignola, Minervino Murge, Iglesias, nonché quelle di Bari e Verona, da poco fuoriuscite dall’Unione.\r\nIl prefetto di Genova, legittimando l’invasione fascista della Camera del lavoro di Sestri Ponente, difesa anche dagli Arditi del popolo, sottolineò che questa «non è socialista ufficiale, ma sindacalista anarchica comunista ed ha sempre dato motivo a pericolo di disordini per suo carattere violento e rivoluzionario».\r\nIl 7 gennaio 1925 il prefetto di Milano decretò lo scioglimento definitivo dell’USI su tutto il territorio nazionale in quanto «organizzazione sovvertitrice e antinazionale», anche se poi questa avrebbe continuato a operare in clandestinità e all’estero.","23 Aprile 2012","Il prossimo 28 aprile si svolgerà a Reggio Emilia un convegno sugli Arditi del popolo.\r\n\r\nIl convegno si svolgerà in via Dom Minzoni dalle 15.\r\nInterverranno Luigi Balsamini, Antonio Zambonelli e Marco Rossi.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Marco Rossi, autore di “Arditi non gendarmi!”\r\n\r\nAscolta l’approfondimento: \r\n\r\nDi seguito l’estratto di un articolo di Marco comparso su Arivista:\r\n\r\nLe battute d’arresto e i rovesci che i fascisti subirono avvennero quasi sempre in contesti urbani (Roma, Bari, Parma...) dove la moderna classe operaia, reduce dall’esperienza dell’occupazione delle fabbriche, e il combattentismo rivoluzionario poterono opporre “guerra alla guerra” trasformando le strade e i quartieri in campi trincerati, difesi da solidali moltitudini popolari, tanto che si dovette ricorrere alle artiglierie, alle autoblindo e persino agli aerei.\r\nPer questi motivi, l’isolamento e il controllo politico imposto agli Arditi del popolo dai partiti socialista, repubblicano e comunista, costituì oggettivamente un grave fattore di indebolimento dell’antifascismo, in quanto l’arditismo popolare era in grado di contrastare con efficacia - ossia in termini militari e di massa - «la più atroce e difficile guerriglia che classe operaia abbia mai dovuto combattere» (come ebbe a definirla Gramsci). […] Sarebbe occorsa, come scrisse Malatesta da vecchio insurrezionalista, una «resistenza energica, metodica, organizzata contro la violenza avversaria». […] Invece, di fronte a tale inedita sistematica aggressione prevalse una sorta di fuga dalla realtà: «erano tutti d’accordo – secondo le parole di Emilio Lussu - nel valutare la violenza fascista come antistorica: non bisognava dunque contrapporre ad essa un’altra violenza antistorica, ma attendere il crearsi dell’ambiente favorevole ad una violenza storica».\r\n[…] La direzione del Partito socialista aveva preso presto le distanze dagli Arditi del popolo, malgrado le sincere simpatie manifestate dalla base, quali risultavano dalle pagine dell’«Avanti!»; ma tale decisione politica si rivelò ancora più grave con l’accettazione del cosiddetto Patto di pacificazione che il 2 agosto, nello studio romano del presidente della Camera De Nicola, venne unitamente sottoscritto dal Partito socialista, dalla Confederazione generale del lavoro e dai Fasci, e condiviso dall’Associazione nazionale combattenti, dal Partito popolare e dalla direzione di quello repubblicano. Il cosiddetto patto di Roma, infatti, all’art. 5 recitava: «Il PSI dichiara di essere estraneo all’organizzazione e all’opera degli Arditi del popolo, come del resto risulta già dallo stesso convegno di questi che si proclamano al di fuori di tutti i partiti». A distanza di pochi anni, Nenni molto lucidamente definì il Trattato «un grave errore di valutazione» persino «grottesco se si pensa che il Partito nello stesso momento, rifiutava qualsiasi intesa coi gruppi antifascisti».\r\nAl contrario, l’organo dei Fasci poteva esprimere la propria soddisfazione: «gli arditi del popolo, i quali ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e dai socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera».\r\nQuattro giorni dopo la firma del Patto di pacificazione pure il Partito comunista, attraverso un comunicato dell’Esecutivo datato 7 agosto, si “chiamava fuori” minacciando i «più severi provvedimenti» per i militanti comunisti che avessero fatto parte degli Arditi del popolo, lasciando questi ultimi in un sempre più pesante isolamento, specie dopo la dissociazione del Partito repubblicano avvenuta alla fine di luglio.\r\n\r\nIl discorso è diverso per il movimento anarchico che, invece, respinse decisamente ogni ipotesi di pacificazione, continuando a sostenere gli Arditi del popolo. Sino ad allora, a differenza degli altri raggruppamenti politici, gli anarchici non avevano sentito l’esigenza di dare vita a proprie strutture di difesa, in quanto la loro prassi era già improntata ad una lunga consuetudine di azione diretta e organizzazione semi-legale; ma la comparsa dell’arditismo popolare rappresentava per loro un’occasione per dare impulso all’iniziativa rivoluzionaria.\r\n[…] Pur risultando l’unica realtà del movimento di classe ad appoggiare sino all’ultimo gli Arditi del popolo - come attestato dai comunicati dell’Associazione regolarmente ospitati sia su «Umanità Nova» che sulla stampa libertaria in genere - anche in seno all’anarchismo vi fu un dibattito in merito, a causa soprattutto della struttura militarista (disinvoltamente accettata da molti anarchici di tendenza individualista e antiorganizzatrice), ma anche per la sua composizione non esclusivamente proletaria (vista invece con diffidenza dai comunisti anarchici). L’esistenza di alcune divergenze teoriche si può intuire da un articolo pubblicato, in data 20 luglio 1921, su «Il Seme», settimanale livornese dell’Uniona anarchica italiana, di cui si riporta uno stralcio: «Chi sono cotesti Arditi del popolo? Sento già questa domanda affiorare alle labbra di qualcuno di quei compagni ingenui o forse troppo puritani, che vedono dappertutto l’incoerenza che nuoce ai principi della incorruttibile Anarchia nostra [...] La rivoluzione non si affretta leggendo filosofia o scrivendo articoli di giornale, ma scendendo sul terreno dell’azione. Ed era l’ora. Anche l’anarchismo divenuto troppo giornalaio minacciava di irretirsi di rinunce, e troppo lasciava correre imponendosi un pericoloso isolamento [...] Possiamo adunque pensare che gli Arditi del popolo, sorti dalla fraterna riconciliazione dei rivoluzionari romani, sono sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Dobbiamo aiutarli, incoraggiarli, imitarli». In un altro articolo, seppure favorevole agli AdP, pubblicato su «Il Libertario» del 21 luglio, veniva premesso che «Noi, lo si sa, non abbiamo troppe simpatie per l’apparato militaresco e per la sottomissione e disciplina che consegue all’organizzazione di questi eserciti proletari».\r\n\r\nNel 1922, a Roma, probabilmente per rafforzare la difesa delle proprie sedi e manifestazioni, i preesistenti Nuclei libertari «Arditi Anarchici» costituirono il 1° battaglione «Arditi Anarchici» e fu avviata la formazione del 2° e del 3°, come si apprende dagli articoli pubblicati nella cronaca romana di «Umanità Nova» del 21 e 28 ottobre. Da un fonogramma della questura di Roma al Ministero dell’Interno, in data 14 novembre, si apprende della perquisizione e dell’arresto di Raffaele De Angelis, ritenuto uno dei principali organizzatori dei «Nuclei giovanili arditi anarchici».\r\n[…] Numerosi furono i militanti anarchici, sia di tendenza individualista che comunista, promotori dell’organizzazione ardito-popolare e con responsabilità di comando in essa, ad iniziare dalla sezione romana con A. Paolinelli, A. Eluisi, V. Santarelli, R. Gentilezza, C. Mannarelli, G. Gallinella, A. Di Giacomo, N. Rita, A. Mastrosanti, U. Piermattei, S. Stagnetti, G. Luzzi e, in provincia, Del Prete a Genzano e V. De Fazi a Civitavecchia. Altri anarchici con ruoli dirigenti furono A. Del Sole a Orte (Vt); P. Ranieri a Tavernelle (Pu); A. Cieri a Parma; G. Tenaglia, P. Tripol, A. Poggiani e M. Camin a Trento; I. Margherita a Torino; M. Corona a Vercelli; N. Prina a Gattinara (Vc); E. Lelli a Bologna; E. Canzi a Piacenza; P. Binazzi a La Spezia; U. Marzocchi a La Spezia e a Savona; G. Del Freo e G. Raffaelli a Montignoso (Ms); R. Sarti e A. Raspini a Firenze; V. Mazzoni, O. Buoncristiani, R. Corucci e A. Fontana a Pisa; A. Consani, V. Recchi e L. Filippi a Livorno; T. Eschini a Pistoia; G. Lessi a Piombino (Li). Molti anche gli anarchici che, militando negli AdP, rimasero uccisi, tra i quali: A. Baldasseroni, F. Nardi e F. Filippetti a Livorno; S. Rossi a Castagneto Carducci (Li); L. Landi, A. Lucarelli, G. Morelli a Piombino (Li); C. Fava e A. Puzzarini a Parma; Nello Rossi a Rimini, F. Raffaelli a Terni (Pg); R. Semenzato a Dolo (Ve); G. Bonci a Spello (Pg); C. Comaschi a Cascina (Pi).\r\n[…] L’intransigenza dell’Unione sindacale italiana era nota allo stesso Mussolini che, nel 1920, commentando un progetto insurrezionale “dannunziano”, ebbe ad osservare: «Bisogna dunque fare il possibile perché la fulminea marcia su Roma non sia complicata da uno sciopero generale […] Ora, per evitare lo sciopero generale o analoghi movimenti di masse e per non essere costretti a reprimerli, occorre, se non convincere i capi, dividerli: il che disorienterà le masse stesse.\r\nNon si può contare sulla Unione sindacale italiana, ma si può contare, sino un certo punto, sulla Confederazione Generale del Lavoro».\r\nPer la sua attività l’USI subì innumerevoli distruzioni e l’uccisione di numerosi militanti: tra le Camere del lavoro e le sezioni dell’organizzazione “anarco-sindacalista” devastate od occupate dagli squadristi, in camicia nera o in uniforme, vi furono quelle di Milano, Varese, Suzzara, Monastero, Brescia, Crema, Mantova, Piacenza, Rovereto, Vicenza, Bologna, Ferrara, Imola, Parma, Modena, Genova, Sampierdarena, Sestri Ponente, Savona, La Spezia, Firenze, Arezzo, Pisa, Carrara, Lucca, Viareggio, Livorno, Pistoia, Piombino, San Giovanni Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Terni, Fano, Roma, Andria, Taranto, Cerignola, Minervino Murge, Iglesias, nonché quelle di Bari e Verona, da poco fuoriuscite dall’Unione.\r\nIl prefetto di Genova, legittimando l’invasione fascista della Camera del lavoro di Sestri Ponente, difesa anche dagli Arditi del popolo, sottolineò che questa «non è socialista ufficiale, ma sindacalista anarchica comunista ed ha sempre dato motivo a pericolo di disordini per suo carattere violento e rivoluzionario».\r\nIl 7 gennaio 1925 il prefetto di Milano decretò lo scioglimento definitivo dell’USI su tutto il territorio nazionale in quanto «organizzazione sovvertitrice e antinazionale», anche se poi questa avrebbe continuato a operare in clandestinità e all’estero.\r\n","2018-10-17 22:11:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/arditi_28_04_2012-200x110.jpg","Siam del popolo gli arditi",1335177189,[474,475,476,477,478],"http://radioblackout.org/tag/antifascismo/","http://radioblackout.org/tag/arditi-del-popolo/","http://radioblackout.org/tag/convegno/","http://radioblackout.org/tag/reggio-emilia/","http://radioblackout.org/tag/resistenza/",[480,481,336,338,482],"antifascismo","arditi del popolo","resistenza",{"post_content":484},{"matched_tokens":485,"snippet":486,"value":487},[85,109],"violenza storica».\r\n[…] La direzione del \u003Cmark>Partito\u003C/mark> \u003Cmark>socialista\u003C/mark> aveva preso presto le distanze","Il prossimo 28 aprile si svolgerà a Reggio Emilia un convegno sugli Arditi del popolo.\r\n\r\nIl convegno si svolgerà in via Dom Minzoni dalle 15.\r\nInterverranno Luigi Balsamini, Antonio Zambonelli e Marco Rossi.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Marco Rossi, autore di “Arditi non gendarmi!”\r\n\r\nAscolta l’approfondimento: [audio:http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2012/04/2012.04-marco-rossi-arditi-del-popolo.mp3|titles=2012.04 marco rossi arditi del popolo]\r\n\r\nScarica l'audio \r\n\r\nDi seguito l’estratto di un articolo di Marco comparso su Arivista:\r\n\r\nLe battute d’arresto e i rovesci che i fascisti subirono avvennero quasi sempre in contesti urbani (Roma, Bari, Parma...) dove la moderna classe operaia, reduce dall’esperienza dell’occupazione delle fabbriche, e il combattentismo rivoluzionario poterono opporre “guerra alla guerra” trasformando le strade e i quartieri in campi trincerati, difesi da solidali moltitudini popolari, tanto che si dovette ricorrere alle artiglierie, alle autoblindo e persino agli aerei.\r\nPer questi motivi, l’isolamento e il controllo politico imposto agli Arditi del popolo dai partiti \u003Cmark>socialista\u003C/mark>, repubblicano e comunista, costituì oggettivamente un grave fattore di indebolimento dell’antifascismo, in quanto l’arditismo popolare era in grado di contrastare con efficacia - ossia in termini militari e di massa - «la più atroce e difficile guerriglia che classe operaia abbia mai dovuto combattere» (come ebbe a definirla Gramsci). […] Sarebbe occorsa, come scrisse Malatesta da vecchio insurrezionalista, una «resistenza energica, metodica, organizzata contro la violenza avversaria». […] Invece, di fronte a tale inedita sistematica aggressione prevalse una sorta di fuga dalla realtà: «erano tutti d’accordo – secondo le parole di Emilio Lussu - nel valutare la violenza fascista come antistorica: non bisognava dunque contrapporre ad essa un’altra violenza antistorica, ma attendere il crearsi dell’ambiente favorevole ad una violenza storica».\r\n[…] La direzione del \u003Cmark>Partito\u003C/mark> \u003Cmark>socialista\u003C/mark> aveva preso presto le distanze dagli Arditi del popolo, malgrado le sincere simpatie manifestate dalla base, quali risultavano dalle pagine dell’«Avanti!»; ma tale decisione politica si rivelò ancora più grave con l’accettazione del cosiddetto Patto di pacificazione che il 2 agosto, nello studio romano del presidente della Camera De Nicola, venne unitamente sottoscritto dal \u003Cmark>Partito\u003C/mark> \u003Cmark>socialista\u003C/mark>, dalla Confederazione generale del lavoro e dai Fasci, e condiviso dall’Associazione nazionale combattenti, dal \u003Cmark>Partito\u003C/mark> popolare e dalla direzione di quello repubblicano. Il cosiddetto patto di Roma, infatti, all’art. 5 recitava: «Il PSI dichiara di essere estraneo all’organizzazione e all’opera degli Arditi del popolo, come del resto risulta già dallo stesso convegno di questi che si proclamano al di fuori di tutti i partiti». A distanza di pochi anni, Nenni molto lucidamente definì il Trattato «un grave errore di valutazione» persino «grottesco se si pensa che il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> nello stesso momento, rifiutava qualsiasi intesa coi gruppi antifascisti».\r\nAl contrario, l’organo dei Fasci poteva esprimere la propria soddisfazione: «gli arditi del popolo, i quali ormai sconfessati da repubblicani, da comunisti e dai socialisti, dovranno rapidamente concludere la loro breve ed ingloriosa carriera».\r\nQuattro giorni dopo la firma del Patto di pacificazione pure il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> comunista, attraverso un comunicato dell’Esecutivo datato 7 agosto, si “chiamava fuori” minacciando i «più severi provvedimenti» per i militanti comunisti che avessero fatto parte degli Arditi del popolo, lasciando questi ultimi in un sempre più pesante isolamento, specie dopo la dissociazione del \u003Cmark>Partito\u003C/mark> repubblicano avvenuta alla fine di luglio.\r\n\r\nIl discorso è diverso per il movimento anarchico che, invece, respinse decisamente ogni ipotesi di pacificazione, continuando a sostenere gli Arditi del popolo. Sino ad allora, a differenza degli altri raggruppamenti politici, gli anarchici non avevano sentito l’esigenza di dare vita a proprie strutture di difesa, in quanto la loro prassi era già improntata ad una lunga consuetudine di azione diretta e organizzazione semi-legale; ma la comparsa dell’arditismo popolare rappresentava per loro un’occasione per dare impulso all’iniziativa rivoluzionaria.\r\n[…] Pur risultando l’unica realtà del movimento di classe ad appoggiare sino all’ultimo gli Arditi del popolo - come attestato dai comunicati dell’Associazione regolarmente ospitati sia su «Umanità Nova» che sulla stampa libertaria in genere - anche in seno all’anarchismo vi fu un dibattito in merito, a causa soprattutto della struttura militarista (disinvoltamente accettata da molti anarchici di tendenza individualista e antiorganizzatrice), ma anche per la sua composizione non esclusivamente proletaria (vista invece con diffidenza dai comunisti anarchici). L’esistenza di alcune divergenze teoriche si può intuire da un articolo pubblicato, in data 20 luglio 1921, su «Il Seme», settimanale livornese dell’Uniona anarchica italiana, di cui si riporta uno stralcio: «Chi sono cotesti Arditi del popolo? Sento già questa domanda affiorare alle labbra di qualcuno di quei compagni ingenui o forse troppo puritani, che vedono dappertutto l’incoerenza che nuoce ai principi della incorruttibile Anarchia nostra [...] La rivoluzione non si affretta leggendo filosofia o scrivendo articoli di giornale, ma scendendo sul terreno dell’azione. Ed era l’ora. Anche l’anarchismo divenuto troppo giornalaio minacciava di irretirsi di rinunce, e troppo lasciava correre imponendosi un pericoloso isolamento [...] Possiamo adunque pensare che gli Arditi del popolo, sorti dalla fraterna riconciliazione dei rivoluzionari romani, sono sangue del nostro sangue e carne della nostra carne. Dobbiamo aiutarli, incoraggiarli, imitarli». In un altro articolo, seppure favorevole agli AdP, pubblicato su «Il Libertario» del 21 luglio, veniva premesso che «Noi, lo si sa, non abbiamo troppe simpatie per l’apparato militaresco e per la sottomissione e disciplina che consegue all’organizzazione di questi eserciti proletari».\r\n\r\nNel 1922, a Roma, probabilmente per rafforzare la difesa delle proprie sedi e manifestazioni, i preesistenti Nuclei libertari «Arditi Anarchici» costituirono il 1° battaglione «Arditi Anarchici» e fu avviata la formazione del 2° e del 3°, come si apprende dagli articoli pubblicati nella cronaca romana di «Umanità Nova» del 21 e 28 ottobre. Da un fonogramma della questura di Roma al Ministero dell’Interno, in data 14 novembre, si apprende della perquisizione e dell’arresto di Raffaele De Angelis, ritenuto uno dei principali organizzatori dei «Nuclei giovanili arditi anarchici».\r\n[…] Numerosi furono i militanti anarchici, sia di tendenza individualista che comunista, promotori dell’organizzazione ardito-popolare e con responsabilità di comando in essa, ad iniziare dalla sezione romana con A. Paolinelli, A. Eluisi, V. Santarelli, R. Gentilezza, C. Mannarelli, G. Gallinella, A. Di Giacomo, N. Rita, A. Mastrosanti, U. Piermattei, S. Stagnetti, G. Luzzi e, in provincia, Del Prete a Genzano e V. De Fazi a Civitavecchia. Altri anarchici con ruoli dirigenti furono A. Del Sole a Orte (Vt); P. Ranieri a Tavernelle (Pu); A. Cieri a Parma; G. Tenaglia, P. Tripol, A. Poggiani e M. Camin a Trento; I. Margherita a Torino; M. Corona a Vercelli; N. Prina a Gattinara (Vc); E. Lelli a Bologna; E. Canzi a Piacenza; P. Binazzi a La Spezia; U. Marzocchi a La Spezia e a Savona; G. Del Freo e G. Raffaelli a Montignoso (Ms); R. Sarti e A. Raspini a Firenze; V. Mazzoni, O. Buoncristiani, R. Corucci e A. Fontana a Pisa; A. Consani, V. Recchi e L. Filippi a Livorno; T. Eschini a Pistoia; G. Lessi a Piombino (Li). Molti anche gli anarchici che, militando negli AdP, rimasero uccisi, tra i quali: A. Baldasseroni, F. Nardi e F. Filippetti a Livorno; S. Rossi a Castagneto Carducci (Li); L. Landi, A. Lucarelli, G. Morelli a Piombino (Li); C. Fava e A. Puzzarini a Parma; Nello Rossi a Rimini, F. Raffaelli a Terni (Pg); R. Semenzato a Dolo (Ve); G. Bonci a Spello (Pg); C. Comaschi a Cascina (Pi).\r\n[…] L’intransigenza dell’Unione sindacale italiana era nota allo stesso Mussolini che, nel 1920, commentando un progetto insurrezionale “dannunziano”, ebbe ad osservare: «Bisogna dunque fare il possibile perché la fulminea marcia su Roma non sia complicata da uno sciopero generale […] Ora, per evitare lo sciopero generale o analoghi movimenti di masse e per non essere costretti a reprimerli, occorre, se non convincere i capi, dividerli: il che disorienterà le masse stesse.\r\nNon si può contare sulla Unione sindacale italiana, ma si può contare, sino un certo punto, sulla Confederazione Generale del Lavoro».\r\nPer la sua attività l’USI subì innumerevoli distruzioni e l’uccisione di numerosi militanti: tra le Camere del lavoro e le sezioni dell’organizzazione “anarco-sindacalista” devastate od occupate dagli squadristi, in camicia nera o in uniforme, vi furono quelle di Milano, Varese, Suzzara, Monastero, Brescia, Crema, Mantova, Piacenza, Rovereto, Vicenza, Bologna, Ferrara, Imola, Parma, Modena, Genova, Sampierdarena, Sestri Ponente, Savona, La Spezia, Firenze, Arezzo, Pisa, Carrara, Lucca, Viareggio, Livorno, Pistoia, Piombino, San Giovanni Valdarno, Castelnuovo dei Sabbioni, Terni, Fano, Roma, Andria, Taranto, Cerignola, Minervino Murge, Iglesias, nonché quelle di Bari e Verona, da poco fuoriuscite dall’Unione.\r\nIl prefetto di Genova, legittimando l’invasione fascista della Camera del lavoro di Sestri Ponente, difesa anche dagli Arditi del popolo, sottolineò che questa «non è \u003Cmark>socialista\u003C/mark> ufficiale, ma sindacalista anarchica comunista ed ha sempre dato motivo a pericolo di disordini per suo carattere violento e rivoluzionario».\r\nIl 7 gennaio 1925 il prefetto di Milano decretò lo scioglimento definitivo dell’USI su tutto il territorio nazionale in quanto «organizzazione sovvertitrice e antinazionale», anche se poi questa avrebbe continuato a operare in clandestinità e all’estero.",[489],{"field":123,"matched_tokens":490,"snippet":486,"value":487},[85,109],{"best_field_score":172,"best_field_weight":173,"fields_matched":210,"num_tokens_dropped":49,"score":211,"tokens_matched":29,"typo_prefix_score":49},{"document":493,"highlight":523,"highlights":528,"text_match":531,"text_match_info":532},{"comment_count":49,"id":494,"is_sticky":49,"permalink":495,"podcastfilter":496,"post_author":497,"post_content":498,"post_date":499,"post_excerpt":55,"post_id":494,"post_modified":500,"post_thumbnail":501,"post_title":502,"post_type":363,"sort_by_date":503,"tag_links":504,"tags":516},"23236","http://radioblackout.org/podcast/i-podcast-de-il-colpo-della-strega-decima-puntata-19maggio2014/",[322],"dj","Seconda parte dell'approfondimento sull'aborto clandestino iniziato nella puntata precedente. L'attenzione si è concentrata soprattutto su Torino e sulle mobilitazioni che si sono date nella nostra città rispetto alla questione dell'aborto, della violenza sessuale, degli anticoncezionali e non solo.Il Coordinamento dei consultori autogestiti e dei collettivi femministi è stato sicuramente tra i protagonisti principali della lotta e ha tenuto insieme una rete molto capillare sui territori, in particolare nei quartieri operai e popolari. Attivo dal 1974 al 1978, successivamente il coordinamento ha dato al vita al Movimento per la salute della Donna e si è fuso con la cosiddetta \"Intercategoriale Donne\", composta dalle attiviste e/o delegate di Cgil-Cisl-Uil, organizzando corsi per le 150 ore.\r\n\r\nMolto attive anche le donne dei gruppi del movimento e della sinistra extraparlamentare, da Lotta Continua ad Autonomia Operaia, gruppi che non avevano però colto la portata rivoluzionaria della parola d’ordine dell’autogestione nel dibattito intorno alla legge sull’aborto, limitandosi a sostenerla e non cogliendone i limiti rispetto alle aspirazioni di autodeterminazione delle donne. La rivendicazione di libertà di scelta e di critica nel partito/gruppo, d’altronde, era un tutt’uno con quella che le femministe come movimento collettivo portavano avanti nella lotta sia contro lo stato e le istituzioni che volevano arrogarsi il diritto di scegliere per conto delle donne, sia contro le condizioni in cui veniva praticato l’aborto clandestino.\r\nPer loro, la battaglia per la libera interruzione di gravidanza era una parte, molto importante, ma solo una parte, della rivendicazione di essere soggetto sociale e politico in quanto donne e dell’autogestione dei propri corpi. Ma per essere soggetti in questa società non si poteva scollegare queste rivendicazioni dalla lotta contro quel modello di società , attraverso spazi e strumenti politici “pubblici” collettivi delle donne stesse.\r\nCaricata di contenuti, valori ed obiettivi che per certi versi trascendevano la specificità del suo oggetto, la battaglia sulla legge sull’aborto, per il diritto di “proprietà” delle donne sulla propria vita e contro quello patriarcale sui figli e sulla moglie, diventava la battaglia contro tutti i partiti parlamentari, esclusi per certi versi Democrazia Proletaria e forse il Partito Radicale. I progetti di legge erano otto: comunista, socialista, radicale, repubblicano, liberale, socialdemocratico, della sinistra indipendente ed infine quello firmato da DP, ma formulato da alcuni collettivi femministi e sostenuto anche dalle redattrici di Lotta Continua.\r\nSul banco degli accusati, quindi, anche il PCI. Se il movimento femminista e la nuova sinistra puntavano quasi esclusivamente alla depenalizzazione dell’aborto e alla legalizzazione degli anticoncezionali, quella che diventò poi la legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza era figlia del compromesso storico DC-PCI, fortemente voluto da Berlinguer, preoccupato, come in occasione della legge sul divorzio, di non andare allo scontro col partito cattolico.\r\nCompromesso storico che lavorò anche per introdurre l’obiezione di coscienza e ad eliminare il “pericolo” dei consultori autogestiti con il pretesto che essi non avrebbero dato alcuna “garanzia” sul terreno sanitario. Nei discorsi di Berlinguer non c'è traccia della parola aborto, si parla soltanto di maggior protagonismo della giovane madre...per il PCI le masse non sono ancora mature per affrontare simili questioni...Meglio stare in attesa e costruire un terreno d‘intesa con la Dc su altri temi, in modo da favorire l‘accordo anche sull‘aborto ma solo quando sarà il momento. Un attendismo e un'ambiguità che traspare chiaramente nelle posizioni di tutta la sinistra.\r\n\r\nConcluso l'approfondimento, abbiamo intervistato Federica Ruggiero, l'autrice del libro che presenteremo venerdì 23 maggio in radio, intitolato \"Modificazioni genitali femminili: una questione postcoloniale, il nostro sguardo sulla nostra alterità\". Testo che riflette su alcuni concetti chiave che coinvolgono tutte le donne: integrità del corpo, autodeterminazione, salute, controllo della sessualità e del piacere femminile. Le MGF, e soprattutto le ragioni che le sottendono, ci riguardano direttamente come donne più di quanto immaginiamo. Da donne occidentali ci illudiamo di essere libere ed emancipate, arrogandoci il diritto di relazionarci a donne di altre culture come sorelle maggiori, dimenticando di appartenere invece ad un mondo che, come gli altri, controlla i nostri corpi e ci discrimina come donne.\r\n\r\nPer riascoltare la puntata, qui la prima parte\r\n\r\nil colpo della strega_19maggio2014_primaparte\r\n\r\ne qui la seconda\r\n\r\nil colpo della strega_19maggio2014_secondaparte","21 Maggio 2014","2018-10-24 17:36:13","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2014/03/medea-strega-200x110.jpg","I podcast de Il colpo della strega: decima puntata (19maggio2014)",1400668577,[505,506,507,508,509,510,511,512,513,514,515],"http://radioblackout.org/tag/aborto/","http://radioblackout.org/tag/aborto-clandestino/","http://radioblackout.org/tag/anticoncezionali/","http://radioblackout.org/tag/autodeterminazione/","http://radioblackout.org/tag/corpo-delle-donne/","http://radioblackout.org/tag/ivg/","http://radioblackout.org/tag/mgf/","http://radioblackout.org/tag/modificazioni-genitali-femminili/","http://radioblackout.org/tag/mutilazioni-genitali-femminili/","http://radioblackout.org/tag/pci/","http://radioblackout.org/tag/salute-delle-donne/",[517,344,342,518,519,520,332,348,346,521,522],"aborto","autodeterminazione","corpo delle donne","ivg","PCI","salute delle donne",{"post_content":524},{"matched_tokens":525,"snippet":526,"value":527},[85,109],"Democrazia Proletaria e forse il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> Radicale. 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Attivo dal 1974 al 1978, successivamente il coordinamento ha dato al vita al Movimento per la salute della Donna e si è fuso con la cosiddetta \"Intercategoriale Donne\", composta dalle attiviste e/o delegate di Cgil-Cisl-Uil, organizzando corsi per le 150 ore.\r\n\r\nMolto attive anche le donne dei gruppi del movimento e della sinistra extraparlamentare, da Lotta Continua ad Autonomia Operaia, gruppi che non avevano però colto la portata rivoluzionaria della parola d’ordine dell’autogestione nel dibattito intorno alla legge sull’aborto, limitandosi a sostenerla e non cogliendone i limiti rispetto alle aspirazioni di autodeterminazione delle donne. La rivendicazione di libertà di scelta e di critica nel partito/gruppo, d’altronde, era un tutt’uno con quella che le femministe come movimento collettivo portavano avanti nella lotta sia contro lo stato e le istituzioni che volevano arrogarsi il diritto di scegliere per conto delle donne, sia contro le condizioni in cui veniva praticato l’aborto clandestino.\r\nPer loro, la battaglia per la libera interruzione di gravidanza era una parte, molto importante, ma solo una parte, della rivendicazione di essere soggetto sociale e politico in quanto donne e dell’autogestione dei propri corpi. Ma per essere soggetti in questa società non si poteva scollegare queste rivendicazioni dalla lotta contro quel modello di società , attraverso spazi e strumenti politici “pubblici” collettivi delle donne stesse.\r\nCaricata di contenuti, valori ed obiettivi che per certi versi trascendevano la specificità del suo oggetto, la battaglia sulla legge sull’aborto, per il diritto di “proprietà” delle donne sulla propria vita e contro quello patriarcale sui figli e sulla moglie, diventava la battaglia contro tutti i partiti parlamentari, esclusi per certi versi Democrazia Proletaria e forse il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> Radicale. I progetti di legge erano otto: comunista, \u003Cmark>socialista\u003C/mark>, radicale, repubblicano, liberale, socialdemocratico, della sinistra indipendente ed infine quello firmato da DP, ma formulato da alcuni collettivi femministi e sostenuto anche dalle redattrici di Lotta Continua.\r\nSul banco degli accusati, quindi, anche il PCI. 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Nei discorsi di Berlinguer non c'è traccia della parola aborto, si parla soltanto di maggior protagonismo della giovane madre...per il PCI le masse non sono ancora mature per affrontare simili questioni...Meglio stare in attesa e costruire un terreno d‘intesa con la Dc su altri temi, in modo da favorire l‘accordo anche sull‘aborto ma solo quando sarà il momento. Un attendismo e un'ambiguità che traspare chiaramente nelle posizioni di tutta la sinistra.\r\n\r\nConcluso l'approfondimento, abbiamo intervistato Federica Ruggiero, l'autrice del libro che presenteremo venerdì 23 maggio in radio, intitolato \"Modificazioni genitali femminili: una questione postcoloniale, il nostro sguardo sulla nostra alterità\". Testo che riflette su alcuni concetti chiave che coinvolgono tutte le donne: integrità del corpo, autodeterminazione, salute, controllo della sessualità e del piacere femminile. Le MGF, e soprattutto le ragioni che le sottendono, ci riguardano direttamente come donne più di quanto immaginiamo. Da donne occidentali ci illudiamo di essere libere ed emancipate, arrogandoci il diritto di relazionarci a donne di altre culture come sorelle maggiori, dimenticando di appartenere invece ad un mondo che, come gli altri, controlla i nostri corpi e ci discrimina come donne.\r\n\r\nPer riascoltare la puntata, qui la prima parte\r\n\r\nil colpo della strega_19maggio2014_primaparte\r\n\r\ne qui la seconda\r\n\r\nil colpo della strega_19maggio2014_secondaparte",[529],{"field":123,"matched_tokens":530,"snippet":526,"value":527},[85,109],1157451470501576700,{"best_field_score":533,"best_field_weight":173,"fields_matched":210,"num_tokens_dropped":49,"score":534,"tokens_matched":29,"typo_prefix_score":49},"2211897409536","1157451470501576817",{"document":536,"highlight":548,"highlights":553,"text_match":556,"text_match_info":557},{"comment_count":49,"id":537,"is_sticky":49,"permalink":538,"podcastfilter":539,"post_author":540,"post_content":541,"post_date":542,"post_excerpt":55,"post_id":537,"post_modified":543,"post_thumbnail":55,"post_title":544,"post_type":363,"sort_by_date":545,"tag_links":546,"tags":547},"96359","http://radioblackout.org/podcast/otto-marzo-giornata-internazionale-della-donna-lavoratrice-aggiornamento-dalla-campagna-defend-rojava/",[318],"Alessandro","[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/03/podcast-dr-9-.mp3\"][/audio]\r\n\r\n[Dawnload]\r\n\r\n È della notte tra il 6 e il 7 marzo la notizia del trasferimento di un imponente convoglio di mezzi militari turchi che dalla Turchia sono arrivati a Idlib, poi Manbij e infine verso Tishrin, dove sulla diga è ancora attiva la resistenza popolare, anche se i bombardamenti non cessano.\r\n\r\nSono state ore di pesanti massacri lungo le coste siriane ad opera di HTS i cui miliziani non mancano di documentare con foto e video l'uso di patch dell'ISIS sulle divise, intanto che operano violenza con la partecipazione di bande fondamentaliste di gruppi diversi. Oltre alla documentazione delle mattanze di civili, sono arrivate notizie anche di una imponente carovana composta da membri del Fronte al-Nusra, di al-Qaeda, dell'ISIS e dell'SNA dirette nelle aree dove sono maggiormente concentrare le comunità di fede nusayri-alawita.\r\n\r\nI massacri continuano anche ora mentre stiamo registrando, nella sera del nove marzo, e l'Osservatorio Siriano per i diritti umani conta ormai centinaia di civili alawiti uccisi nella regione costiera dalle cosìddette forze di sicurezza e dai gruppi alleati tramite esecuzioni seguite da saccheggi e distruzione delle proprietà. L'accusa che pare muovere queste operazioni è quella di presunta fedeltà al regime caduto di Assad, le cui tecniche di guerra vengono ora replicate dalle milizie di HTS che lanciano indiscriminatamente esplosivi dagli elicotteri, come le forze di Bashar Assad facevano a inizio della guerra.\r\n\r\nGià dalla prima mattina si sono tenute proteste di parte della popolazione delle principali aree costiere, in particolare in prossimità delle basi russe ancora presenti sul territorio, per chiedere l'intervento dell'esercito contro le bande assassine di al Jolani e dello stato fascista turco che hanno ripreso questi massacri. non si tratta tuttavia di una risposta limitata alla situazione di queste notti, perchè già nei giorni precedenti in diverse aree della Siria si erano formate proteste simili contro il governo di transizione e l'attuale processo costituente.\r\n\r\nE' inoltre delle ultime ore di questa giornata la notizia che le forze fedeli all'amministrazione di Damasco hanno attaccato il checkpoint nel quartiere Shex Meqsoud di Aleppo, che è fin ora autoamministrato e protetto dalle forza di difesa democratiche, le SDF. L'azione ha lasciato feriti diversi membri dell'ordine pubblico e alcuni cittadini, senza tuttavia avere altre conseguenze.\r\n\r\nAnche nella regione di Zap, nel Basur, il Kurdistan iracheno, i bombardamenti sulle montagne della guerrilla che riportavamo la scorsa settimana ancora continuano ed è importante sottolineare come questo accada anche nonostante la dichiarazione di cessate il fuoco del PKK, che chiaramente deve mantenere la possibilità di autodifesa in caso di attacchi.\r\n\r\n“Salutiamo tutte le donne che hanno resistito a ogni tipo di molestia, tortura e violenza fin dall'inizio della storia, che con la loro resistenza si sono guadagnate un posto nella memoria sociale e che sono motivo di orgoglio.\" - Inizia così il messaggio del Comando Generale delle YPJ per la Giornata Internazionale della donna lavoratrice. \" \r\n\r\nSi ricordano le martiri cadute resistendo, si riportano vivi i nomi delle antenate che con le loro vite hanno contribuito a tessere la storia della libertà, con un discorso che ancora una volta tiene insieme il presente di guerra, la tensione al futuro libero e il passato come elemento che, come cosa viva, può infondere la propria linfa nutriente alle donne che lottano in questi nostri giorni. \r\n\r\nSi legge: \"La cultura della resistenza dell'8 marzo continua ancora oggi nella Siria settentrionale e orientale sotto la guida delle YPJ. Le donne difendono se stesse e le loro società con sacrificio, eroismo e resilienza senza precedenti in tutti gli ambiti della vita. Migliaia di belle anime combatterono eroicamente in queste terre e furono martirizzate nella lotta per la libertà. Donne provenienti da tutto il mondo e dal Kurdistan si sono riversate nella rivoluzione e hanno scritto poemi epici con il loro coraggio. (...) Ancora una volta, persone di tutte le fedi, gruppi etnici e colori si abbracciarono e furono testimoni di questa lotta storica. Questa lotta sarà coronata dalla vittoria con la fede, la conoscenza, la volontà e il potere delle donne.\"\r\n\r\n Riguardo all'appello del leader Apo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana le compagne riportano il grande entusiasmo che ha suscitato nel popolo e in particolare nelle donne, che ne hanno tratto forza rinnovata anche per affrontare un otto marzo di celebrazioni e lotta. \"Riteniamo - scrivono - che la chiamata di Leader APO sia significativa e preziosa. Seguiamo da vicino le discussioni odierne sulla soluzione del problema curdo. Oggi lo Stato turco mostra il suo atteggiamento nei confronti del processo con i suoi intensi attacchi alla diga di Tishrin e al ponte Qereqozax. \r\n\r\nLa Siria ha vissuto grandi dolori e sofferenze negli ultimi 14 anni. Questi dolori sociali non possono essere risolti da HTS e dal suo leader al Jolani. Il governo stabilito a Damasco non può risolvere i problemi con la mentalità jihadista e salafita, Non può eliminare 14 anni di distruzione e dolore. Gli oppositori di questa amministrazione sono oggi sottoposti ad attacchi sistematici, violenze e genocidi in tutta la Siria. I drusi sono soggetti a oppressione e attacchi, gli aleviti sono soggetti a genocidio, il popolo curdo viene negato. Anche il popolo arabo rimane senza volontà e opzioni. Una mentalità che costringa tutti a tacere e a sottomettersi all'oppressione non può risolvere i problemi o salvarsi dalla sorte toccata al regime di Baath. Pertanto, coloro che adottano lo stesso percorso e metodo, finiranno come la fine del regime di Baath.\"\r\n\r\n \r\n\r\n La rivoluzione del Rojava è prima di tutto la rivoluzione delle donne, una rivoluzione della società. L'8 marzo, Giornata Internazionale della Donna è una data che per sua stessa storia è una data socialista: nel 1917, l'8 marzo apriva le porte alla rivoluzione russa, con le donne scese in strada per protestare per le istanze più semplici eppure più radicali: il pane e la pace. Anche a Torino nell'agosto del 1917 saranno le donne a scendere in piazza per prime contro la guerra e non è un caso che siano proprio le donne a sentire con più forza l'urgenza del momento, in quanto storicamente incarnano il lavoro riproduttivo e sono coloro che permettono a tutta la vita della società di scorrere e di intrecciarsi. Questo anche la rivoluzione del Rojava lo sa ed è infatti in occasione delle celebrazioni dell'otto marzo del 1998 che il leader Ocalan ha invitato le compagne a teorizzare e rendere strategia rivoluzionaria l'ideologia di liberazione della donna. Dove tutti i socialismi precedenti hanno fallito, lì le donne del Rojava hanno posto le basi profonde per una vita libera in primis dal patriarcato, unendo alla lotta di classe quella di genere. \r\n\r\nL'auto-organizzazione delle donne era iniziata nella guerriglia nel 1993, ma è dal congresso del 1995 che anche per il PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, il cui presidente è tutt'ora Abdullah Ocalan, diventa una necessità ineludibile dell'organizzazione rivoluzionaria. Successivamente, il primo Congresso di liberazione delle donne curde, avvenuto qualche mese dopo, e spesso definito come la “prima conferenza nazionale delle donne”, ha permesso alle donne di diverse aree di discutere i loro problemi, di criticare e autocriticarsi, di definire principi, stili organizzativi e meccanismi decisionali, creando anche la prima organizzazione femminile autonoma e separata. \r\n\r\nAnche per quanto riguarda l'esercito di difesa delle donne si sono fatte profonde analisi, decretando che dovesse essere qualcosa di radicalmente nuovo, di qualitativamente diverso dagli eserciti militaristi e colonialisti, così le donne guerrigliere hanno prodotto profonde ricerche sulla partecipazione femminile alle lotte socialiste e di liberazione nazionale in America Centrale e Latina, in Cina, in Vietnam, Algeria, Palestina, Germania, Irlanda e Paesi Baschi. Constatata, anche nelle più rosse lotte di liberazione nazionale, la mancanza di profonde analisi delle dinamiche del patriarcato e delle sue intersezioni - diremmo oggi - con le altre forme di oppressione, hanno compreso che per abolire sistemi di oppressione così complessi da ingabbiare tutte le sfere della vita, bisognava partire dalla forma più antica di violenza: il patriarcato.\r\n\r\n \r\n\r\nUccidere e trasformare la mascolinità dominante è il principio primario del socialismo nella prospettiva di Abdullah Ocalan e del movimento per la libertà, per cui conoscere le radici storiche che hanno reso la donna la prima colonia è essenziale per comprendere la radicalità del lavoro, anche in forma di autocritica, che è necessario fare per la rivoluzione. ed è anche di questo infatti che parla il messaggio arrivato questo sabato dal carcere di Imrali, un messaggio di speranza e di affetto rivolto alle compagne e alle donne in lotta firmato da Abdullah Ocalan.\r\n\r\nRipercorrendo la storia del patriarcato fino alle sue radici più lontane, risalenti a circa 5000 anni fa, Ocalan mette in luce in particolare da un lato il suo carattere sistemico, dall'altro il fatto che si tratti di una mentalità cresciuta insieme alla mentalità delle religioni monoteiste e alle prime forme di città-stato. Per opporsi a ciò, è dunque fondamentale che le donne abbiano consapevolezza d'essere il soggetto sociale che più ha possibilità di far vivere una vera e propria cultura della libertà e che il resto della società, e in particolare gli uomini socialisti, si questionino in maniera radicale su se e come sono in grado di rapportarsi democraticamente con le donne. Scrive infatti: \"Il socialismo può essere raggiunto solo attraverso la libertà delle donne. Senza la libertà delle donne non si può essere socialisti. Il socialismo non si può realizzare. Senza democrazia, non ci può essere socialismo. La mia prima prova di socialismo si è resa evidente nel modo in cui parlavo alle donne. Una persona che non sa come parlare a una donna non può essere un socialista. Per un uomo, diventare socialista dipende dal modo in cui si relaziona con le donne.\"\r\n\r\nOcalan continua \"La rinascita che avverrà è molto importante. Le donne non devono essere considerate solo biologicamente, ma anche socialmente, culturalmente e storicamente. Come dice Simone De Beauvoir, non si nasce donna, si diventa donna.\"\r\n\r\n e conclude con \"Il problema delle donne è ancora più profondo del problema curdo. Il problema delle donne è ancora più centrale del problema curdo. Abbiamo ottenuto solo piccoli miglioramenti in questo senso. La cultura della guerra e del conflitto è diretta principalmente contro le donne. La distruzione di questa cultura è la forza trainante della nostra lotta.\r\nLo spirito di questo periodo è la politica democratica e il linguaggio è quello della pace. L'Appello per la pace e la società democratica è allo stesso tempo un Rinascimento per le donne. Saluto le donne che credono nella vita comune e ascoltano il mio appello con l'amore di Mem e Zîn e Dervish Evde, e festeggio l'8 marzo, Giornata internazionale delle donne lavoratrici.\"\r\n\r\nLa nostra vendetta sarà la rivoluzione delle donne - è uno degli slogan che da questa rivoluzione ci giungono come invito e che sabato spiccava su alcuni cartelli anche nelle nostre piazze.\r\n\r\n \r\n\r\nQui la canzone utilizzata nel podcast!","11 Marzo 2025","2025-03-11 14:25:38","Otto marzo: giornata internazionale della donna lavoratrice. 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L'accusa che pare muovere queste operazioni è quella di presunta fedeltà al regime caduto di Assad, le cui tecniche di guerra vengono ora replicate dalle milizie di HTS che lanciano indiscriminatamente esplosivi dagli elicotteri, come le forze di Bashar Assad facevano a inizio della guerra.\r\n\r\nGià dalla prima mattina si sono tenute proteste di parte della popolazione delle principali aree costiere, in particolare in prossimità delle basi russe ancora presenti sul territorio, per chiedere l'intervento dell'esercito contro le bande assassine di al Jolani e dello stato fascista turco che hanno ripreso questi massacri. non si tratta tuttavia di una risposta limitata alla situazione di queste notti, perchè già nei giorni precedenti in diverse aree della Siria si erano formate proteste simili contro il governo di transizione e l'attuale processo costituente.\r\n\r\nE' inoltre delle ultime ore di questa giornata la notizia che le forze fedeli all'amministrazione di Damasco hanno attaccato il checkpoint nel quartiere Shex Meqsoud di Aleppo, che è fin ora autoamministrato e protetto dalle forza di difesa democratiche, le SDF. 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Le donne difendono se stesse e le loro società con sacrificio, eroismo e resilienza senza precedenti in tutti gli ambiti della vita. Migliaia di belle anime combatterono eroicamente in queste terre e furono martirizzate nella lotta per la libertà. Donne provenienti da tutto il mondo e dal Kurdistan si sono riversate nella rivoluzione e hanno scritto poemi epici con il loro coraggio. (...) Ancora una volta, persone di tutte le fedi, gruppi etnici e colori si abbracciarono e furono testimoni di questa lotta storica. Questa lotta sarà coronata dalla vittoria con la fede, la conoscenza, la volontà e il potere delle donne.\"\r\n\r\n Riguardo all'appello del leader Apo di cui abbiamo parlato la scorsa settimana le compagne riportano il grande entusiasmo che ha suscitato nel popolo e in particolare nelle donne, che ne hanno tratto forza rinnovata anche per affrontare un otto marzo di celebrazioni e lotta. \"Riteniamo - scrivono - che la chiamata di Leader APO sia significativa e preziosa. Seguiamo da vicino le discussioni odierne sulla soluzione del problema curdo. Oggi lo Stato turco mostra il suo atteggiamento nei confronti del processo con i suoi intensi attacchi alla diga di Tishrin e al ponte Qereqozax. \r\n\r\nLa Siria ha vissuto grandi dolori e sofferenze negli ultimi 14 anni. Questi dolori sociali non possono essere risolti da HTS e dal suo leader al Jolani. Il governo stabilito a Damasco non può risolvere i problemi con la mentalità jihadista e salafita, Non può eliminare 14 anni di distruzione e dolore. Gli oppositori di questa amministrazione sono oggi sottoposti ad attacchi sistematici, violenze e genocidi in tutta la Siria. I drusi sono soggetti a oppressione e attacchi, gli aleviti sono soggetti a genocidio, il popolo curdo viene negato. Anche il popolo arabo rimane senza volontà e opzioni. Una mentalità che costringa tutti a tacere e a sottomettersi all'oppressione non può risolvere i problemi o salvarsi dalla sorte toccata al regime di Baath. 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Questo anche la rivoluzione del Rojava lo sa ed è infatti in occasione delle celebrazioni dell'otto marzo del 1998 che il leader Ocalan ha invitato le compagne a teorizzare e rendere strategia rivoluzionaria l'ideologia di liberazione della donna. Dove tutti i socialismi precedenti hanno fallito, lì le donne del Rojava hanno posto le basi profonde per una vita libera in primis dal patriarcato, unendo alla lotta di classe quella di genere. \r\n\r\nL'auto-organizzazione delle donne era iniziata nella guerriglia nel 1993, ma è dal congresso del 1995 che anche per il PKK, il \u003Cmark>Partito\u003C/mark> dei lavoratori del Kurdistan, il cui presidente è tutt'ora Abdullah Ocalan, diventa una necessità ineludibile dell'organizzazione rivoluzionaria. Successivamente, il primo Congresso di liberazione delle donne curde, avvenuto qualche mese dopo, e spesso definito come la “prima conferenza nazionale delle donne”, ha permesso alle donne di diverse aree di discutere i loro problemi, di criticare e autocriticarsi, di definire principi, stili organizzativi e meccanismi decisionali, creando anche la prima organizzazione femminile autonoma e separata. \r\n\r\nAnche per quanto riguarda l'esercito di difesa delle donne si sono fatte profonde analisi, decretando che dovesse essere qualcosa di radicalmente nuovo, di qualitativamente diverso dagli eserciti militaristi e colonialisti, così le donne guerrigliere hanno prodotto profonde ricerche sulla partecipazione femminile alle lotte socialiste e di liberazione nazionale in America Centrale e Latina, in Cina, in Vietnam, Algeria, Palestina, Germania, Irlanda e Paesi Baschi. Constatata, anche nelle più rosse lotte di liberazione nazionale, la mancanza di profonde analisi delle dinamiche del patriarcato e delle sue intersezioni - diremmo oggi - con le altre forme di oppressione, hanno compreso che per abolire sistemi di oppressione così complessi da ingabbiare tutte le sfere della vita, bisognava partire dalla forma più antica di violenza: il patriarcato.\r\n\r\n \r\n\r\nUccidere e trasformare la mascolinità dominante è il principio primario del socialismo nella prospettiva di Abdullah Ocalan e del movimento per la libertà, per cui conoscere le radici storiche che hanno reso la donna la prima colonia è essenziale per comprendere la radicalità del lavoro, anche in forma di autocritica, che è necessario fare per la rivoluzione. ed è anche di questo infatti che parla il messaggio arrivato questo sabato dal carcere di Imrali, un messaggio di speranza e di affetto rivolto alle compagne e alle donne in lotta firmato da Abdullah Ocalan.\r\n\r\nRipercorrendo la storia del patriarcato fino alle sue radici più lontane, risalenti a circa 5000 anni fa, Ocalan mette in luce in particolare da un lato il suo carattere sistemico, dall'altro il fatto che si tratti di una mentalità cresciuta insieme alla mentalità delle religioni monoteiste e alle prime forme di città-stato. Per opporsi a ciò, è dunque fondamentale che le donne abbiano consapevolezza d'essere il soggetto sociale che più ha possibilità di far vivere una vera e propria cultura della libertà e che il resto della società, e in particolare gli uomini socialisti, si questionino in maniera radicale su se e come sono in grado di rapportarsi democraticamente con le donne. Scrive infatti: \"Il socialismo può essere raggiunto solo attraverso la libertà delle donne. Senza la libertà delle donne non si può essere socialisti. Il socialismo non si può realizzare. Senza democrazia, non ci può essere socialismo. La mia prima prova di socialismo si è resa evidente nel modo in cui parlavo alle donne. Una persona che non sa come parlare a una donna non può essere un \u003Cmark>socialista\u003C/mark>. Per un uomo, diventare \u003Cmark>socialista\u003C/mark> dipende dal modo in cui si relaziona con le donne.\"\r\n\r\nOcalan continua \"La rinascita che avverrà è molto importante. Le donne non devono essere considerate solo biologicamente, ma anche socialmente, culturalmente e storicamente. Come dice Simone De Beauvoir, non si nasce donna, si diventa donna.\"\r\n\r\n e conclude con \"Il problema delle donne è ancora più profondo del problema curdo. Il problema delle donne è ancora più centrale del problema curdo. Abbiamo ottenuto solo piccoli miglioramenti in questo senso. La cultura della guerra e del conflitto è diretta principalmente contro le donne. La distruzione di questa cultura è la forza trainante della nostra lotta.\r\nLo spirito di questo periodo è la politica democratica e il linguaggio è quello della pace. L'Appello per la pace e la società democratica è allo stesso tempo un Rinascimento per le donne. Saluto le donne che credono nella vita comune e ascoltano il mio appello con l'amore di Mem e Zîn e Dervish Evde, e festeggio l'8 marzo, Giornata internazionale delle donne lavoratrici.\"\r\n\r\nLa nostra vendetta sarà la rivoluzione delle donne - è uno degli slogan che da questa rivoluzione ci giungono come invito e che sabato spiccava su alcuni cartelli anche nelle nostre piazze.\r\n\r\n \r\n\r\nQui la canzone utilizzata nel podcast!",[554],{"field":123,"matched_tokens":555,"snippet":551,"value":552},[109],1155199671761633300,{"best_field_score":558,"best_field_weight":173,"fields_matched":210,"num_tokens_dropped":49,"score":559,"tokens_matched":29,"typo_prefix_score":49},"1112386306048","1155199671761633393",6637,{"collection_name":363,"first_q":80,"per_page":308,"q":80},11,["Reactive",564],{},["Set"],["ShallowReactive",567],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fY0WDxvY006LoWdrvxt86ohwcJwqF360ry8XFlHIdFOg":-1},true,"/search?query=partito+socialista"]