Elezioni. Il muro del 40%, la fuga dal voto, la stecca del Grillo
Scritto dainfosu 27 Maggio 2014
Erano decenni che un partito, da solo, non riusciva a spezzare il muro del 40%.
La netta affermazione del Partito Democratico alle elezioni europee ha sopreso chi si era fidato dei sondaggi che negli ultimi giorni erano giunti e preconizzare persino un testa a testa sulla soglia del 30% tra PD e movimento 5S.
Eppure. Eppure gli ingredienti per una netta affermazione del partito guidato da Matteo Renzi c’erano tutti.
Una punta di concretezza immediata con taglio dell’irpef e 80 euro in busta paga, una classe dirigente completamente innovata, una campagna elettorale giocata all’attacco, senza gli inutili ammiccamenti bersaniani a Grillo, la capacità di tenere insieme il vecchio blocco di potere delle cooperative rosse e del sindacato di riferimento con una nuova attenzione alla generazione precaria. Non appaia un paradosso, perché i ceti post fordisti creati anche dalle politiche del PD degli ultimi vent’anni, hanno fatto propria una narrazione di se e delle relazioni sociali tale da considerare parassitari i dipendenti pubblici, lo stesso sindacato, l’insieme di chi mantiene diritti, lavoratori più anziani, meno dinamici e flessibili, irrimediabilmente novecenteschi.
Un blocco elettorale complesso al punto che Rosi Bindi, già ammoniva Renzi sulle difficoltà di mantenerlo unito.
L’analisi del voto di domenica, inevitabilmente un voto “italiano”, nonostante la cornice europea, sembrerebbe ri-portare indietro le lancette dell’orologio, perché il paragone più immediato è con la grande Balena Bianca di un altro toscano, l’aretino Amintore Fanfani.
Ma, al di là delle suggestioni di un paragone inevitabile di fronte ad un presidente del consiglio e segretario del partito erede del PCI belingueriano, che ha le sue origini tra i boy scaut più che nelle sezioni di partito, oggi il processo della politica post ideologica è giunto a compimento, la rottamazione vera, quella del partito di massa novecentesco, è un fatto. La lunga transizione si è consumata da tempo: i vecchi comunisti del PD esistevano solo nella astuta propaganda dell’ex Cavaliere dalle mille trovate.
I dati elettorali ci offrono anche altri spunti di riflessione. I quattro milioni di italiani che, rispetto alle europee del 2009, hanno deciso di non votare sono il segno di una disaffezione dalla politica istituzionale, che non trova più espressione nel movimento Cinque Stelle. La compagine guidata da Grillo e Casaleggio, pur mantenendo un più che rispettabile 21%, perde due milioni e rotto di voti rispetto alle politiche dello scorso anno, mentre il PD, nonostante la crescita dell’astensionismo, ne prende tre milioni in più.
Grillo viene doppiato dal PD, mentre la Lega, data per morta, si riprende parte dei voti presi da Grillo nel 2013.
La Lega Nord, stante il risultato modesto di Fratelli d’Italia, si candida in modo secco al ruolo di formazione di destra radicale, con una proiezione europea garantita dall’asse con il Front National di Marine Le Pen.
Ne abbiamo parlato con Massimo Varengo, un compagno con il quale abbiamo provato a fare un primo percorso analitico sulla consultazione elettorale di domenica scorsa.
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