Il 1° novembre scorso una pensilina della stazione ferroviaria di Novi Sad è crollata, provocando la morte di 15 persone. “Siamo tutti sotto la pensilina“ è una frase che non ha cessato di risuonare dal 1° novembre, data di inizio di massicce proteste da parte di cittadini serbi che ogni venerdì alle 11:52 bloccano le strade e fermano la circolazione per 15 minuti. Il movimento studentesco serbo si è aggiunto alle proteste, occupando tutte le facoltà del paese e dato vita alle più grandi proteste in Serbia dai tempi di Slobodan Milošević del 96-97.
Si è scritto che quella tettoia è la metafora della Serbia: già da prima della mobilitazione studentesca vi era un forte malcontento popolare nei confronti del governo serbo, represso in quanto non si esprimeva in maniera così massificata. Una massiccia sfiducia dei giovani nei confronti dei partiti di governo, un paese in cui le condizioni di lavoro sono pessime e la precarietà e la disoccupazione sono alle stelle sono tra le cause alla base di questa ondata di proteste, ma il crollo della pensilina – sintomo dello stato in cui versano le infrastrutture del paese – è diventato la metafora di un governo corrotto ed incapace di ascoltare le richieste dei propri cittadini. Adesso che la mobilitazione ha un protagonismo spiccatamente giovanile sembra ben più difficile da silenziare: il governo ha tentato di farlo impiegando, oltre alla repressione di piazza, bande di picchiatori per cercare di intimorire il movimento studentesco e convincerlo a desistere, ma (anche a seguito dell’indignazione seguita ad uno di questi raid) martedì il primo ministro Miloš Vučević si è dovuto dimettere dalla sua carica, dichiarando che lo stesso è il destino di tutto l’esecutivo. Quali sono le richieste dei giovani serbi, come si organizzano e da quale storia di opposizione al governo conservatore prende slancio il massiccio movimento di protesta che adesso è riuscito a rovesciare il governo? Quali possibilità per il futuro della Serbia?