ALL’ORIGINE DELLA SELVICOLTURA: “LO SGUARDO DELLO STATO” SULLE FORESTE
A partire da un capitolo del libro “Lo sguardo dello Stato” di James C. Scott (edizioni Eleuthera, 2019), in questa puntata siamo andati ad indagare quale fosse il momento storico e quali fossero le motivazioni originarie che spinsero i primi stati europei a rivolgersi alla pratica della selvicoltura. Prima del 1765, l’interesse di questi ultimi nei confronti delle foreste site entro i propri confini si limitava ad un’analisi di costi e profitti della produzione di legname che ciascuna area boschiva poteva fornire. Questo tipo di stime risultava però molto approssimata per mancanza di mezzi, conoscenze e metodi di calcolo più precisi, e l’occasione per un miglioramento nella gestione centralizzata delle zone forestali si presentò in seguito ad una carenza di legname preoccupante per i funzionari statali; se a ciò si aggiunge una tendenza più generale allo sviluppo scientifico e matematico che grandi prodezze prometteva in quel momento storico in tutta Europa, ecco quale fu il terreno fertile dove far nascere le scienze forestali. Nate tra il 1765 e il 1800 in Prussia ed in Sassonia, ebbero un grande successo che si diffuse anche all’estero, ed il loro sviluppo partì con la volontà e necessità di rendere più leggibile lo spazio geografico in questione: attraverso schematizzazioni, semplificazioni e tabelle, finalmente lo Stato poteva, con un solo sguardo, “vedere” un’intera foresta, comodamente riassunta in categorie di specie, età, locazione e produttività. La complessità reale di un ambiente naturale simile, con le sue varie forme di vita, le interazioni tra le stesse e i complicati dinamismi che la caratterizzano, venne trascurata sia nei registri dei funzionari sia letteralmente in loco, dove venne “semplificata” attraverso l’eliminazione del sottobosco, la piantagione di alberi dello stesso tipo (segnando l’inizio della monocoltura arborea) e della stessa età, disposti in base ad una geometria lineare (file ben allineate, proprio come un esercito da poter passare in rassegna). La rigorosità estetica ed ideologica di poter ridurre un sistema ecologico complesso come una foresta ad una macchina da produzione di legname perfetta, pulita ed efficiente portò a delle conseguenze catastrofiche sul lungo periodo: la produzione dopo alcuni anni di gloria crollò drasticamente, diverse malattie si diffusero con velocità e le pratiche di sussistenza portate avanti dai contadini (che della foresta utilizzavano tutto nella loro quotidianità, non solo il legname) continuarono senza soluzione di continuità.
La storia delle scienze forestali ci insegna qualcosa di importante: la biodiversità presente in uno specifico ambiente ne è la componente fondamentale, che ne garantisce la prosperità, la salute e la difesa. La complicata matassa di relazioni, interazioni, simbiosi tra i suoi vari elementi (fauna, flora, microrganismi, ecc) non è di fatto semplificabile né eliminabile se si intende preservarne l’integrità.
Risulta evidente che, ancora oggi, non tutti hanno imparato qualcosa dal passato, ma anzi, continuano a perseverare nella creazione di monocolture intensive, magari geneticamente modificate, cercando di arginare i problemi dovuti al danneggiamento ed avvelenamento del pianeta con espedienti sempre più tecnologici ed industriali, per non mettere mai in discussione l’idea stessa dell’assoggettamento della Terra per fini di profitto.
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