Estratto dalla puntata dell’ 8 luglio 2024 di Bello Come Una Prigione Che Brucia in collaborazione con Aria:

 

Nemmeno il record dei suicidi sembra scalfire la normalizzazione della brutalità del carcere.

Mentre pubblichiamo questo podcast, il conteggio delle persone portate a suicidarsi dalla normalità dell’apparato detentivo italiano è salito a 53 (di cui uno nel CPR di Ponte Galeria).

Non c’entra solo il cronico sovraffollamento delle galere, non c’entrano le temperature insopportabili accoppiate alla carenza idrica che affliggono diverse strutture durante i mesi estivi, non c’entra nemmeno la sola privazione degli affetti: non si può isolare una causa specifica o ridurre meccanicisticamente a dei fattori ambientali gli elementi che stanno producendo questa mattanza, perché la natura stessa del carcere è ingegnerizzata per annichilire gli individui che rinchiude… ed è scontato che talvolta produca la loro eliminazione.

Mentre pezzi di popolazione “libera” restano indifferenti di fronte a questi eventi, il governo Meloni li utilizza per cercare di imporre la propria riforma identitaria dell’apparato detentivo: si costruisce una cornice repressiva e sanzionatoria per comprimere ulteriormente le possibilità di autodeterminazione della popolazione detenuta (con la proposta di introdurre il “reato di rivolta in carcere” e l’inaugurazione del Gruppo di Intervento Operativo), si ipotizzano processi di contrattualizzazione disciplinare (esplicitando nel dispositivo di condanna i termini di liberazione anticipata ottenibili in caso di “buona condotta”), si rispolvera l’idea di deportare la popolazione detenuta non-italiana, ma soprattutto si progetta di estendere (e potenzialmente si privatizzare) la superficie detentiva andando ad arruolare quelle comunità terapeutiche che rispondano ai criteri concentrazionari richiesti.

In questo contesto, in diverse parti della geografia penitenziaria italiana, pezzi di popolazione detenuta stanno scegliendo di ammutinarsi, raccontandoci – ancora una volta – come i momenti di auto-organizzazione e di rottura della quotidianità mortifera del carcere siano il loro principale strumento di autodifesa.

Ad Asti contro la tortura dell’isolamento, a Firenze e Genova per le condizioni disumane e perché non può essere normale che i propri compagni di carcere (compreso un ragazzo di 20 anni) vengano spinti a suicidarsi sotto la “custodia” dello Stato.

Collaborazione tra Aria e Bello Come Una Prigione Che Brucia per raccontare quanto sta succedendo grazie riflessioni e dirette telefoniche:

 




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