La verità dei prigionieri sui morti nelle rivolte di marzo

LA VERITA’ DEI PRIGIONIERI SUI MORTI NELLE RIVOLTE DI MARZO

Lo scorso marzo centinaia di persone detenute nelle carceri italiane si sono rivoltate contro la paura del contagio e la privazione dei propri affetti. Le conseguenze sono state terrificanti: come la macelleria di Santa Maria Capua Vetere o le morti (9 solo tra i rivoltosi del carcere di Modena), tutte derubricate a overdose per farmaci o metadone.

Ma la “versione ufficiale” è stata recentemente rotta da un esposto [1] compilato da cinque detenuti, che dopo la rivolta dal carcere di Modena erano stati trasferiti in quello di Ascoli e che hanno scelto di raccontare la rappresaglia messa in atto dalla polizia penitenziaria.

Insieme a Diego, fratello di uno di questi cinque coraggiosi prigionieri, andiamo a ripercorrere quanto successo in quei giorni e quali conseugenze sta avendo la loro scelta di rompere il silenzio.

 

AGGIORNAMENTI SU CARLA DAL CARCERE DI VIGEVANO

Dalla puntata del 7 dicembre rilanciamo un aggiornamento sulla situazione di Carla, compagna che dopo un lungo periodo di latitanza è stata catturata in Francia e incarcerata per le accuse dell’Operazione Scintilla (operazione contro la lotta ai centri di detenzione per migranti che portò allo sgombero dell’Asilo Occupato).

Carla è attualmente detenuta nella sezione Alta Sicurezza del carcere di Vigevano.


Di seguito pubblichiamo una lettera scritta da lei insieme ad altre sue compagne di detenzione:

Siamo alcune detenute della sezione AS3 femminile del carcere di Vigevano e vogliamo raccontare come il nostro quotidiano viene attualmente sconvolto dal Covid. Da marzo scorso siamo anche noi sottoposte a misure anti-contagio ma la situazione ha preso una svolta una decina di giorni fa quando sono stati scoperti dei casi di contagio nella sezione comune del femminile. Ne siamo venute a conoscenza solo quando era diventato impossibile nasconderlo in quanto le detenute che lavoravano in cucina sono state chiuse e messe in quarantena, di conseguenza sono stati distribuiti solo pranzi al sacco rendendo visibile a tutte ciò che stava accadendo.

A parte ripeterci di stare tranquille e di non preoccuparci non ci è mai stato comunicato niente di formale riguardo la situazione e tutt’ora facciamo fatica a sapere il numero delle persone affette dal virus e quali misure sono state adottate. L’unica cosa che sappiamo è che da sezione aperta che era, ora le compagne della sezione comune sono chiuse nelle loro celle e sono stati sospesi i momenti di socialità. Tutti i lavori e le attività da loro effettuati vengono adesso svolti dalle detenute dell’AS. L’unica precauzione presa nei nostri confronti è che quando si ricordano ci viene misurata la temperatura.
Da tanti mesi siamo costrette a subire le varie restrizioni dovute al Covid: sospensione delle rare attività e dei corsi esistenti, divieto di far entrare il prete e la suora, complicazioni nel seguire udienze e processi in corso dato che vengono svolti quasi tutti in video conferenza, difficoltà a sentire i nostri parenti perchè a volte loro stessi sono affetti da Covid, sospensione dei colloqui in presenza, crescenti difficoltà di curare le nostre patologie preesistenti avendo sospeso quasi tutte le visite in ospedale. Ora però la situazione sta giungendo al culmine mettendo a dura prova le nostre capacità di affrontare la situazione con lucidità. Dopo qualche giorno di quarantena, per la disperazione, una detenuta della sezione comune ha incendiato il suo materasso provocando anche molti disagi e tanta paura.

Tutta questa situazione ha fatto emergere le gravi lacune nel gestire la situazione da parte dell’amministrazione penitenziaria che a distanza di un anno dall’inizio della pandemia si trova ancora impreparata. Ci troviamo ancora una volta davanti all’accanimento da parte di chi ha il potere e si rifiuta di scarcerare i detenuti con pene basse o con patologie, non applicando neanche le misure contenute nell’ultimo decreto svuota carceri.”

 

AGGIORNAMENTI SU ERROL

Il 6 dicembre 2020, in occasione dell’anniversario dell’omicidio di Alexis Grigoropoulos per mano della polizia, ad Atene viene indetto un raduno nonostante la stretta sull’agibilità politica del territorio, esercitata con la scusa del contenimento della pandemia. In molti e molte non ci stanno, ma le forze dell’ordine occupano militarmente il quartiere e parte una “caccia all’uomo” che porta al fermo di decine di manifestanti. Errol è uno di questi e si trova ora rinchiuso in un centro di detenzione per migranti e rischia la deportazione.




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