Mitopoiesi delle oasi verdi: la riforestazione nelle zone aride
liberation front
I processi di inaridimento e desertificazione sono una delle conseguenze più inquietanti del riscaldamento globale. Tuttavia, non tutte le aree desertiche sono da demonizzare in tal senso: vi sono zone del pianeta divenute aride e desertiche in seguito a lunghi processi evolutivi e che hanno ospitato vite umane e non umane adattate a viverci.
Eppure, il rinverdimento delle zone aride, soprattutto dei deserti nordafricani, è sempre stato un sogno coloniale da parte degli europei, che consideravano il deserto come l’infelice prodotto dell’incapacità delle popolazioni locali di gestire adeguatamente i loro territori. Ignorando completamente le complesse dinamiche ecologiche e sociali che le società del deserto – di solito pastori nomadi – hanno intrattenuto per lunghi secoli con le dune arroventate, progetti di “greening” e piantumazione intensiva di piante da frutto (le palme da dattero sopra tutte) si sono susseguiti in tutta l’Africa per tutto il periodo coloniale. Oggi, in continuità con quell’approccio, vi sono i progetti ONU aderenti al programma “grande muraglia verde” in Africa: un altro aspetto, tinto di verde e retorica di sviluppo, della stessa strategia coloniale che, nel continente africano, si manifesta con costanza e pervasività.
Questi progetti di “greening” nelle zone desertiche si rivelano spesso molto dannosi sia per le società umane – spesso costrette a passare a uno stile di vita sedentario e a lavorare nelle oasi – che per gli equilibri ecologici delle zone aride, cui vengono sottratte preziose fonti di acqua e nutrimento prima destinate ad altre forma di vita e ora convogliate massicciamente nel mantenimento delle piantumazioni di palme. La disgregazione ecologica e sociale che segue da questi progetti, non prevista dalle loro ottimistiche stime, è spesso oscurata da narrazioni discriminatorie o incuranti dei danni socio-eco-culturali provocati e dagli enormi profitti generati per gli attori coinvolti.
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