stakkastakka #93 – pillole di …

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Pillole di …

 

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Pillole (la posta del cuore dell’internet)

  • da internazionale – https://www.internazionale.it/opinione/giovanni-de-mauro/2021/01/07/cose-imparate-2020
    iniziamo con qualche pillola ripresa dall’editoriale di internazionale, stamattina leggo nell’editoriale che e’ morto l’inventore del pixel da poco a 91 anni, dice che si e’ sempre pentito di aver fatto i pixel quadrati, definendo la decisione una cosa stupida di cui da allora tutti nel mondo soffrono. Non dice il nome del personaggio ma ci sara’ sicuramente una storia affascinante dietro. La seconda pillola da posta del cuore e’ che a Varsavia c’e’ un impianto idrico, il Gruba Kaska, dove sono presenti otto vongole a cui sono stati collegati altrettanti sensori: l’idea e’ che quando le vongole si chiudono l’acqua non e’ buona e quindi si interrompe anche la fornitura d’acqua della citta’. sicuramente una soluzione non antispecista ma un modo rapido per evitare di avvelenare milioni di persone.
  • okash – https://restofworld.org/2020/okash-microlending-public-shaming/

    una app diffusa in kenya che si occupa di prestiti online tra persone, praticamente come funziona, uno ha due spicci sotto il materasso e invece di metterli in banca che poi ci investe armi, li da ad una piattaforma che si occupa di prestarli con un certo interesse e ci fa la cresta. ora fin qui niente di nuovo, okash pero’ all’attivazione dell’account, come ogni piattaforma commerciale, chiede di accettare i famosi termini di servizio (i TOS) che tutti accettiamo senza leggere mai, perche’ inaccessibili ai piu’ e inoltre gia’ sappiamo che ci sono scritte le peggio cose li’ dentro che ti possono vendere l’anima al diavolo ma tanto non c’e’ alternativa quindi uno alla fine dice ok la anima al diavolo la vendo volentieri o anche non volentieri.
    Poi pero’ succede (e succede con okash) che quando tardi tre giorni nel pagare la rata del prestito, scopri subito i dettagli dei termini di servizio, in particolare qualcuno dei tuoi contatti della rubrica scelto a caso viene informato della situazione e sollecitato per farti sentire una merda e farti pagare. sia via sms che al telefono.
    Qualcuno nelle review del google play store si lamenta che gli hanno chiamato l’ex o un parente, colleghi di lavoro, insomma non bellissimo, pero’ c’e’ proprio un paragrafo 8 dei termini di servizio che dice chiaramente “che usando la app, sei d’accordo che okash chiami i tuoi contatti se smetti di pagare”
  • Uganda – https://www.bbc.com/news/world-africa-55689665
    L’interruzione di Internet in Uganda è terminata oggi. Lo riporta la Bbc, specificando che i social media sono tuttavia ancora bloccati e accessibili solo tramite rete virtuale privata (Vpn).
    Internet è stato chiuso mercoledì scorso, a poche ore dall’apertura dei seggi elettorali il giorno seguente.
    La decisione dell’ente regolatore delle comunicazioni ugandese è arrivata dopo che Facebook ha sospeso numerosi profili dichiarati “falsi” e riconducibili a personalità del governo. Il presidente Yoweri Museveni, riconfermato alla guida dell’Uganda per il sesto mandato consecutivo, ha allora accusato Facebook di arroganza e parzialità, dicendo che nessuno avrebbe potuto decidere cosa fosse buono o cattivo nel Paese. Quindi come riporta la CNN è una lezione per altri paesi autoritari ed una specie di braccio di ferro, le piattaforme hanno il controllo sugli account dei politici, i politici hanno il controllo sul internet di quel paese e quindi sulle piattaforme e gli utenti in generale. Ma è davvero così?

Di altro un po’

Didattica a Distanza

Parliamo di didattica a distanza per sottolineare alcune criticita’ ancora troppo poco discusse, in particolare di dati raccolti dalle piattoforme comunemente utilizzate dalle scuole italiane, una raccolta dati completamente al di fuori della normativa.
Cominciamo da Schrems II:
A seguito delle rivelazioni di Edward Snowden sulla partecipazione di Facebook ed altri provider di servizi statunitensi al programma di sorveglianza di massa del governo USA denominato “PRISM”, nel 2013, Maximillian Schrems, attivista austriaco, presentava denuncia al Data Protection Commissioner irlandese sostenendo l’illecito trattamento dei suoi dati personali che sarebbero stati trasferiti negli USA e sottoposti al controllo massivo delle autorità governative statunitensi, insieme a quelli di milioni di cittadini europei. Ciò sarebbe stato facilitato dall’accordo noto come “Safe Harbor”, approvato nel 2000 dalla Commissione UE, che consentiva il libero trasferimento, a certe condizioni, dei dati personali tra UE e USA.
Dopo aver deferito la questione alla Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima accoglieva le doglianze di Schrems con sentenza C-362/14 del 6 ottobre 2015 (sentenza “Schrems I”), invalidando la decisione 2000/520/CE con cui la Commissione UE aveva giudicato adeguato il livello di protezione assicurato dai Safe Harbor Privacy Principles e rinviando la questione al Garante irlandese per una nuova pronuncia.
Con la sentenza Schrems II del 16 luglio 2020, la Corte di Giustizia Europea dichiara l’illiceità dei trasferimenti di dati negli Stati Uniti. In poche parole, la sentenza dice che si possono trasferire dati in paesi fuori dall’Unione solo e soltanto se quei paesi garantiscono una protezione dei dati equivalente alla nostra (il GDPR). Questo esclude gli Stati Uniti, in quanto alcune loro leggi permettono alle agenzie governative di accedere ai dati senza un mandato del giudice, rendendo la sorveglianza di massa una realtà. Come conseguenza, tutte le soluzioni giuridiche per trasferire dati negli USA sono, ad oggi, illegittime in assenza di misure di garanzia ulteriori. Tra le altre, è stato invalidato  il Privacy Shield, ovvero l’accordo che escludeva gli Stati Uniti dal normale trattamento dei dati e che permetteva all’azienda statunitense di Tizio di importare dati senza porsi particolari problemi. Per quanto riguarda le misure di garanzie ulteriori, sono possibili, ma ad oggi è molto complesso, dal punto di vista giuridico, individuare in modo preciso quali siano e, dal punto di vista tecnico, implementarle. Quindi, è bene diffidare di tutti i trasferimenti di dati verso gli USA.
Cosa cambia quindi per la scuola italiana? Cambia che – in forza del GDPR – le scuole devono essere in grado di dimostrare la sicurezza dei dati degli studenti e molte big tech (Google in primis, ma anche Microsoft) hanno sede legale e processano dati negli USA, dove è molto difficile, se non impossibile, assicurare un livello di sicurezza equivalente a quello europeo. Nonostante queste aziende abbiano delle sedi anche in paesi come l’Irlanda e i dati vengano inviati in queste ultime, è responsabilità della scuola assicurarsi che queste sedi non li rigirino poi in America. Operazioni simili, per intenderci, non vengono fatte neanche dalle grandi aziende; pensare che una scuola possa farle è oltre i limiti dell’assurdo. Detto in parole povere, le scuole che utilizzano questi strumenti stanno infrangendo la legge. Ovvero, pressoché tutta Italia.



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