","Carceri statunitensi, un inferno democratico","post",1699976422,[60,61,62,63,64,65],"http://radioblackout.org/tag/carcerazione-di-massa/","http://radioblackout.org/tag/carceri-statunitensi/","http://radioblackout.org/tag/il-carcere-uccide/","http://radioblackout.org/tag/reaganomics/","http://radioblackout.org/tag/tortura/","http://radioblackout.org/tag/war-on-drugs/",[67,68,69,70,71,72],"carcerazione di massa","carceri statunitensi","il carcere uccide","reaganomics","tortura","war on drugs",{"post_content":74,"post_title":80,"tags":84},{"matched_tokens":75,"snippet":78,"value":79},[76,77],"carceri","statunitensi","Le \u003Cmark>carceri\u003C/mark> \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark>, molte delle quali a gestione","Le \u003Cmark>carceri\u003C/mark> \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark>, molte delle quali a gestione privata, sono veri luoghi di tortura, dove i reclusi arrivano ad essere affamati ed assetati, oltre che sfruttati nei lavori forzati.\r\nLaShawn Thompson era un trentacinquenne della Georgia. Joshua McLemore aveva 28 anni ed era residente nell’Indiana. In carcere in attesa di giudizio vi hanno trovato la morte: il primo malnutrito e letteralmente mangiato vivo da cimici e pidocchi, il secondo, ritenuto schizofrenico, lasciato appassire tra i suoi escrementi in una cella imbottita.\r\nQuesti due casi non sono eccezioni ma solo la punta di un’iceberg.\r\nSecondo i dati di Prison Policy Initiative gli Stati Uniti hanno il tasso di incarcerazione più elevato del mondo, con 565 arresti ogni 100mila abitanti e oltre due milioni di persone rinchiuse nelle 1566 prigioni statali, 3116 \u003Cmark>carceri\u003C/mark> federali, 1323 istituti penitenziari minorili, 181 centri detentivi per immigrati e ottanta prigioni tribali delle Riserve indiane, dov’è “ospitato” un quarto dell’intera popolazione carceraria del pianeta.\r\nNe abbiamo parlato con Robertino Barbieri, che ha ricostruito la genealogia di questa carcerazione di massa che ha le proprie radici nella “war on drugs” e nella “Reaganomics”\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/2023-11-10-carceri-usa-rob.mp3\"][/audio]",{"matched_tokens":81,"snippet":83,"value":83},[82,77],"Carceri","\u003Cmark>Carceri\u003C/mark> \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark>, un inferno democratico",[85,87,90,92,94,96],{"matched_tokens":86,"snippet":67},[],{"matched_tokens":88,"snippet":89},[76,77],"\u003Cmark>carceri\u003C/mark> \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark>",{"matched_tokens":91,"snippet":69},[],{"matched_tokens":93,"snippet":70},[],{"matched_tokens":95,"snippet":71},[],{"matched_tokens":97,"snippet":72},[],[99,104,107],{"field":34,"indices":100,"matched_tokens":101,"snippets":103},[14],[102],[76,77],[89],{"field":105,"matched_tokens":106,"snippet":83,"value":83},"post_title",[82,77],{"field":108,"matched_tokens":109,"snippet":78,"value":79},"post_content",[76,77],1157451471441625000,{"best_field_score":112,"best_field_weight":113,"fields_matched":114,"num_tokens_dropped":46,"score":115,"tokens_matched":116,"typo_prefix_score":46},"2211897868544",13,3,"1157451471441625195",2,{"document":118,"highlight":140,"highlights":145,"text_match":148,"text_match_info":149},{"cat_link":119,"category":120,"comment_count":46,"id":121,"is_sticky":46,"permalink":122,"post_author":49,"post_content":123,"post_date":124,"post_excerpt":52,"post_id":121,"post_modified":125,"post_thumbnail":126,"post_thumbnail_html":127,"post_title":128,"post_type":57,"sort_by_date":129,"tag_links":130,"tags":137},[43],[45],"58015","http://radioblackout.org/2020/03/otto-marzo-di-lotta-da-torino-a-livorno/","L’otto marzo ai tempi del Covid 19. Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione di garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati di base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato di cancellare lo sciopero.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative di lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, di rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari statunitensi in tempo di epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma di opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana di informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria di Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una di meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli di genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua del marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira di un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia di Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nDi seguito la cronaca della settimana di lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al di là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere di più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione di un’immagine femminile che si adegui a modelli di seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\nDi seguito l’appello per l’8 marzo di NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia di rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione di libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio di violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione di violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi di violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza di chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale di rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e del militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle carceri come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo di coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro di cura di anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione di reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti di una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano di stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto di essere in piazza contro chi cerca di imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”","10 Marzo 2020","2020-03-10 13:34:53","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"200\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-300x200.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1024x683.jpg 1024w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-768x512.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o-1536x1024.jpg 1536w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/89799081_545786572713079_8687073347642589184_o.jpg 2048w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Otto marzo di lotta da Torino a Livorno",1583847293,[131,132,133,134,135,136],"http://radioblackout.org/tag/8-marzo/","http://radioblackout.org/tag/femminismo/","http://radioblackout.org/tag/livorno/","http://radioblackout.org/tag/nudm-livorno/","http://radioblackout.org/tag/torino/","http://radioblackout.org/tag/wild-c-a-t/",[19,138,17,27,139,23],"femminismo","torino",{"post_content":141},{"matched_tokens":142,"snippet":143,"value":144},[77],"spese militari, consentito esercitazioni militari \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> in tempo di epidemia, ma","L’otto marzo ai tempi del Covid 19. Lo sciopero indetto per l’8 e il 9 marzo è stato cancellato dalla commissione di garanzia, che in applicazione alle direttive governative, ha imposto la revoca ai sindacati di base che lo avevano indetto, pena multe sia per i sindacati che per gli scioperanti. Il solo SLAI Cobas ha rifiutato di cancellare lo sciopero.\r\nIn diverse località sono state cancellate tutte le iniziative di lotta promosse per l’Otto e per il Nove, nonostante non vi siano stati divieti espliciti.\r\n\r\nC’è chi invece ha deciso, pur con le necessarie attenzioni, di rifiutare la quarantena politica imposta dallo Stato, uno Stato che ha massacrato la sanità, moltiplicato le spese militari, consentito esercitazioni militari \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> in tempo di epidemia, ma vuole tappare la bocca, criminalizzandola, ad ogni forma di opposizione sociale.\r\n\r\nA Torino, il collettivo anarcofemminista Wild Cat ha dato vita ad una settimana di informazione e lotta transfemminista che si è articolata in tre presidi e una manifestazione itinerante.\r\n\r\nAscolta la diretta con Maria di Wild C.A.T.:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-wild-cat-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nA Livorno, Non una di meno, ha ricalibrato le iniziative previste, mantenendo tuttavia un presidio itinerante sul lungo mare, con focus sui ruoli di genere, la narrazione della violenza, il lavoro.\r\nLa statua del marinaio è stata detournata con spazzoloni, grembiuli, bambolotti, suscitando l’ira di un militare che ha chiamato la polizia. La manifestazione è proseguita per l’intera giornata, con numerose tappe sempre più partecipate.\r\n\r\nAscolta la diretta con Patrizia di Livorno:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/03/2020-03-10-patrizia-8marzo.mp3\"][/audio]\r\n\r\nScarica l'audio\r\n\r\nDi seguito la cronaca della settimana di lotta a Torino\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. In compenso i medici possono dichiararsi obiettori e rifiutare di praticare le IVG.\r\nDa qualche anno \"volontari\" dei movimenti cattolici che negano la libertà di scelta alle donne, si sono infiltrati nei consultori e nei reparti ospedalieri, rendendo ancora più difficile accedere ad un servizio che in teoria dovrebbe essere garantito a tutte, come ogni altra forma di assistenza medica.\r\nLa legge 194, lungi dal garantire la libertà di scelta, la imbriglia e la mette sotto controllo. Dopo le ripetute sconfitte di referendum e iniziative legislative, la strategia di chi vorrebbe la restaurazione patriarcale, fa leva proprio sulle ambiguità di questa legge per rendere sempre più difficile l’aborto. In prima fila ci sono le organizzazioni cattoliche, che animano e sostengono i movimenti che arrivano a definirsi “pro vita”, e mirano a restaurare la gabbia familiare come nucleo etico di un’organizzazione sociale basata sulla gerarchia tra i sessi.\r\nNon solo. In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. Questa narrazione falsa mira a nascondere la guerra contro le donne, in quando donne, che viene combattuta ma non riconosciuta come tale.\r\n\r\nI media sono responsabili del perpetuarsi di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza contro le donne e tutt° coloro che non si adeguano alla norma eterosessuale. \r\nI media colpevolizzano chi subisce violenza, scandagliandone le vite, i comportamenti, le scelte di libertà, per giustificare la violenza maschile, per annullare la libertà delle donne, colpevoli di non essere prudenti, di non accettare come “normale” il rischio della violenza che le colpisce in quanto donne. \r\nLo stereotipo di “quelle che se la cercano”, che si tratti di sex worker o di donne che non vestono abiti simili a gabbie di stoffa, è una costante del racconto dei media. \r\n\r\nLa violenza di genere è confinata nelle pagine della cronaca nera, per negarne la valenza politica, trasformando pestaggi, stupri, omicidi, molestie in episodi di delinquenza comune, in questioni private. \r\nI media, di fronte al dispiegarsi violento della reazione patriarcale tentano di privatizzare, familizzare, domesticare lo scontro. Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al d\r\n\r\nLunedì 2 marzo c’è stato un presidio alla farmacia Algostino e De Michelis di piazza Vittorio 10. Questa farmacia, gestita da integralisti cattolici, rifiuta di vendere la pillola del giorno dopo. Un’occasione per fare il punto sulle difficoltà crescenti per le donne che decidono di abortire.\r\nMassiccia la presenza poliziesca.\r\nDal volantino distribuito: “Qualcuno crede che la legge 194 che stabilisce le regole per l'IGV, l'interruzione volontaria di gravidanza, sia stata una grande conquista delle donne del nostro paese.\r\nNoi sappiamo invece che le leggi sono il precipitato normativo dei rapporti di forza all'interno di una società. La spinta del movimento femminista degli anni Settanta obbligò una coalizione di governo composta da laici e cattolici, in cui i cattolici erano la maggioranza, a depenalizzare l'aborto.\r\nLa rivolta delle donne, la disobbedienza esplicita di alcune di loro, la profonda trasformazione culturale in atto, spinsero alla promulgazione della 194. Fu, inevitabilmente, un compromesso. Per accedere all'IVG le donne sono obbligate a giustificare la propria scelta, a sottoporsi all'esame di psicologi e medici, a sottostare alle decisioni di genitori o giudici se minorenni. 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In questi anni le politiche dei governi che si sono succeduti hanno privilegiato il sostegno alla famiglia, a discapito degli individui, in un’ottica nazionalista, razzista, escludente. Dio, patria e famiglia è la cornice di politiche escludenti, che chiudono le frontiere, negano la solidarietà e promuovono l’incremento demografico in un pianeta sovraffollato.\r\nLa libertà delle donne passa dalla sottrazione al controllo dello Stato della scelta in materia di maternità. Non ci serve una legge, ma la possibilità di accedere liberamente e gratuitamente ad un servizio a tutela della nostra salute. E su questa non ammettiamo obiezioni.”\r\n\r\nMercoledì 4 marzo presidio di fronte alle sedi dei quotidiani Stampa e Repubblica, per denunciare la narrazione tossica della violenza patriarcale contro le donne.\r\nDue scatole, contenenti articoli di giornale esemplificativi della complicità dei media nella perpetuazione di un immaginario, che giustifica ed alimenta la violenza di genere, sono state consegnate alle rispettive redazioni. Al presidio, pur non invitati, hanno partecipato Ros dei carabinieri, digos, commissariato di zona, oltre ad agenti dell’antisommossa.\r\n\r\nRiportiamo di seguito alcuni passaggi del volantino distribuito: “I numeri della violenza patriarcale contro le donne disegnano un vero bollettino di guerra. La guerra contro la libertà femminile, la guerra contro le donne libere. Una guerra che i media nascondono e minimizzano, contribuendo a moltiplicarla, offrendo attenuanti a chi uccide, picchia e stupra. \r\nDonne come Elisa, strangolata da un “gigante buono”, sono ammazzate due volte. Uccise dall’uomo che ha tolto loro la vita, uccise da chi nega loro la dignità, raccontando la violenza con la lente dell’amore, dell’eccesso, della passione e della follia. \r\nL’amore romantico, la passione coprono e mutano di segno alla violenza. Le donne sono uccise, ferite, stuprate per eccesso d’amore, per frenesia passionale. Un alibi preconfezionato, che ritroviamo negli articoli sui giornali, nelle interviste a parenti e vicini, nelle arringhe di avvocati e pubblici ministeri. 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Le donne sono vittime indifese, gli uomini sono violenti perché folli. La follia sottrae alla responsabilità, nasconde l’intenzione disciplinante e punitiva, diventa l’eccezione che spezza la normalità, ma non ne mette in discussione la narrazione condivisa.\r\nLa violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che però i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione a riaffermare l’ordine patriarcale.”\r\n\r\nSabato 7 marzo un presidio partecipato e vivace si è svolto nell’area pedonale di via Montebello, sotto la Mole. Tirassegno antisessista, una mostra sulla violenza di genere e la performance “Ruoli in gioco. Rappresentazione De-genere” hanno riempito di contenuti un intenso pomeriggio di comunicazione e lotta.\r\nDal volantino distribuito: “Padroni, preti e fascisti non hanno fatto i conti con le tante donne che non ci stanno a recitare il canovaccio scritto per loro. Tante donne che, in questi ultimi decenni, hanno imparato a cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.\r\nPercorsi possibili solo fuori e contro il reticolo normativo stabilito dallo Stato e dalla religione.\r\nLa libertà di ciascun* di noi si realizza nella relazione con altre persone libere, fuori da ogni ruolo imposto o costrizione fisica o morale. In casa, per strada, al lavoro.\r\n\r\nVogliamo attraversare le nostre vite con la forza di chi si scioglie da vincoli e lacci.\r\nIl percorso di autonomia individuale si costruisce nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo. La solidarietà ed il mutuo appoggio si possono praticare attraverso relazioni libere, plurali, egualitarie.\r\nUna scommessa che spezza l’ordine. Morale, sociale, economico.”\r\n\r\nDomenica 8 marzo, in occasione dello sciopero globale transfemminista sono stati attraversati alcuni centri commerciali di Torino, tra i principali luoghi di lavoro sessualizzato e sfruttato, oggi aperti a tutti malgrado l'epidemia, come tanti altri luoghi di produzione e consumo.\r\nDi seguito il testo del volantino distribuito in questa occasione:\r\n“Diserzione transfemminista\r\nLo sciopero femminista dell’8 e 9 marzo è stato cancellato dai provvedimenti contro l’epidemia di Covid 19.\r\nEppure oggi, proprio l’epidemia rende più evidenti le ragioni dello sciopero.\r\nLo sciopero femminista contro la violenza maschile sulle donne e le violenze di genere, si articola come diserzione dal lavoro retribuito fuori casa, ma anche dal lavoro dentro casa, dai lavori di cura, dai lavori domestici e dai ruoli di genere imposti.\r\nLa rinnovata sessualizzazione del lavoro di cura non pagato riduce la conflittualità sociale conseguente all'erosione del welfare.\r\nLa riaffermazione di logiche patriarcali offre un puntello al capitale nella guerra a chi lavora.\r\nLo sciopero femminista scardina questo puntello, rimettendo al centro le lotte delle donne per la propria autonomia.\r\nUn’autonomia che viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19.\r\nSiamo di fronte ad un terribile paradosso. Il governo vieta uno sciopero in nome dell’emergenza, ma non blocca nemmeno per un giorno la produzione. Non importa che si tratti spesso di produzioni inutili, a volte dannose, certo rimandabili a tempi migliori: le fabbriche di auto, vernici, plastica, laterizi, accessori, mobili non si sono mai fermate. Eppure lì si ammassa ogni giorno tanta gente, come a scuola o in un teatro.\r\nIn compenso sul lavoro femminile e femminilizzato si è riversata tanta parte del peso imposto dal diffondersi del virus e delle misure imposte dal governo.\r\nOggi tocca a tutti fare i conti con un sistema sanitario che è stato demolito, tagliando la spesa sanitaria mentre risorse sempre più ingenti venivano impiegate per armi e missioni militari.\r\nLa cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro.\r\nUna precarietà avvertita come “normale”, perché il reddito da lavoro non è concepito come forma di autonomo sostentamento, ma come reddito accessorio, di mero supporto all’economia familiare.\r\nLa donna lavoratrice si porta dietro la zavorra di moglie-mamma-nuora-figlia-badante anche quando è al lavoro. Il suo ruolo familiare non decade mai.\r\nIl riproporsi, a destra come a sinistra di politiche che hanno il fulcro nella famiglia, nucleo etico dell’intera società, passa dalla riproposizione simbolica e materiale della divisione sessuale dei ruoli.\r\nIn questi anni il disciplinamento delle donne, specie quelle povere, è parte del processo di asservimento e messa in scacco delle classi subalterne. Anzi! Ne è uno dei cardini, perché il lavoro di cura non retribuito è fondamentale per garantire una secca riduzione dei costi della riproduzione sociale.\r\nIl divario retributivo tra uomini e donne che svolgono la stessa mansione è ancora forte in molti settori lavorativi. In Italia è in media del 10,4%.\r\nA livello globale le donne subiscono in media un divario retributivo del 23% ed hanno un tasso di partecipazione al mercato del lavoro del 26% più basso rispetto agli uomini.\r\nNon solo. Alle donne viene imposto di essere accoglienti, protettive, multitasking, disponibili, di mettere a disposizione del padrone le qualità che ci si aspetta da loro come dalle altre soggettività che sfuggono alla norma eteropatriarcale.\r\nAlle donne viene chiesto di mettere al lavoro i loro corpi al di là del compito per cui vengono assunte: bella presenza, trucco, tacchi, sorrisi e gonne sono imposti per far rendere di più un esercizio commerciale, per presentare meglio un’azienda, per attrarre clienti. L’agio del cliente passa dalla perpetuazione di un’immagine femminile che si adegui a modelli di seduttività, maternità, efficienza, servilità che riproducono stereotipi, che riprendono forza dentro i corpi messi al lavoro solo a condizione che vi si adattino. Una biopolitica patriarcale per il terzo millennio.\r\nDisertare da questa gabbia non è facile, ma necessario.”\r\n\r\nDi seguito l’appello per l’8 marzo di NUDM Livorno:\r\n\r\n”Domenica 8 marzo, giornata internazionale della donna, anche qui, come in molte parti d’Italia e del mondo, portiamo nelle strade e nelle piazze la nostra voglia di rompere l’ordine patriarcale e sessista, la nostra lotta e la nostra rivendicazione di libertà.\r\n\r\nE’ uno strano 8 marzo, con limitazioni pesanti a scioperi e manifestazioni dovuti all’emergenza coronavirus. Ma non siamo disposte a farci imporre il silenzio. C’è un’emergenza costante che va denunciata ed è quella della violenza quotidiana contro donne e soggettività autodeterminate.\r\n\r\nIn Italia ogni 15 minuti c’è un episodio di violenza denunciato, ogni 72 ore una donna uccisa.\r\n\r\nE accanto a questi tragici fatti c’è una situazione di violenza quotidiana che alimenta i singoli episodi di violenza e che comunque attraversa le nostre vite, imposta dal patriarcato e dalla cultura sessista.\r\n\r\nLa violenza di chi impone la maternità e il compito riproduttivo impedendo l’aborto;\r\n\r\nla violenza della chiesa e delle religioni che vogliono imporci una morale di rinuncia e obbedienza; la violenza delle guerre e del militarismo; la violenza dei tribunali e delle sentenze contro le donne; la violenza della famiglia che impone ruoli, gerarchia e divisione del lavoro;\r\n\r\nLa violenza economica, che impone alle donne più precarietà, più sfruttamento e meno reddito\r\n\r\nla violenza della repressione e della detenzione, nelle \u003Cmark>carceri\u003C/mark> come nei CPR;\r\n\r\nla violenza dei media, che alimentano la cultura dello stupro con narrazioni tossiche\r\n\r\nSu questa emergenza costante, chiamata patriarcato, i momenti critici come questo non fanno che scaricare altri problemi. In tempo di coronavirus è sulle donne che si scaricano gli ulteriori pesi del lavoro di cura di anziani e bambini, è sulle donne, con occupazioni meno stabili e meno remunerate, che si scarica il peso maggiore della crisi e della restrizione di reddito, ma anche lo sfruttamento dello smartworking.\r\n\r\nOra più che mai vogliamo alzare la voce:\r\n\r\n \tPer denunciare i mille volti di una violenza che alimenta il ripetersi quotidiano di stupri e femminicidi\r\n \tPer smascherare le soluzioni fasulle delle logiche securitarie, delle politiche familiste, dei codici rosa, rossi o multicolor.\r\n \tPer rompere il silenzio e affermare il diritto di essere in piazza contro chi cerca di imporre continuamente la logica dell’emergenza, del sacrificio, della subordinazione, della rinuncia.”",[146],{"field":108,"matched_tokens":147,"snippet":143,"value":144},[77],1155199671761633300,{"best_field_score":150,"best_field_weight":151,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":152,"tokens_matched":116,"typo_prefix_score":46},"1112386306048",14,"1155199671761633393",{"document":154,"highlight":179,"highlights":184,"text_match":148,"text_match_info":187},{"cat_link":155,"category":156,"comment_count":46,"id":157,"is_sticky":46,"permalink":158,"post_author":49,"post_content":159,"post_date":160,"post_excerpt":52,"post_id":157,"post_modified":161,"post_thumbnail":162,"post_thumbnail_html":163,"post_title":164,"post_type":57,"sort_by_date":165,"tag_links":166,"tags":174},[43],[45],"55923","http://radioblackout.org/2019/10/ll-trofeo-di-trump-nel-grande-gioco-mediorientale/","Il grande gioco per il controllo dei territori e delle risorse tra Russia, Turchia e Stati Uniti a cavallo tra Siria e Iraq in queste settimane ha avuto un’accelerazione dopo l’attacco turco all’area del confederalismo democratico nel nord della Siria.\r\nLa morte di Baghdadi, celebrata con grande enfasi e plastica inventiva da “The Donald”, mette in mano al presidente statunitense una carta importante in vista delle elezioni negli States.\r\nSia il New York Times sia il Guardian hanno dato messo in dubbio la versione del Paperone della Casa Bianca.\r\nCome già Osama bin Laden, anche Al Baghdadi, non è stato catturato vivo. Baghdadi si è probabilmente fatto esplodere, ma certamente non era nei programmi delle truppe speciali statunitensi di farlo prigioniero. Baghdadi era già stato nelle mani delle forze armate statunitensi ed era stato liberato.\r\nIl rapporto costitutivamente ambiguo degli States con le tante anime della Jihad è il parte importante delle scelte politiche delle amministrazioni statunitensi degli ultimi decenni.\r\n\r\nNe abbiamo parlato con Alberto Negri, che sul tema ha scritto sul Manifesto di lunedì e martedì.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/10/2019.10.29.alberto-negri-al-baghdadi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nDi seguito il suo articolo:\r\n\r\n“Al Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\nE così anche The Donald, come Barack Obama con Osama bin Laden, esibisce, grazie a Putin, il suo scalpo jihadista, quello di Al Baghdadi e può dare nuovo impulso alla campagna per le presidenziali oscurata dal tradimento dei curdi e dalle trame del Russiagate.\r\n\r\nIl suo nascondiglio, secondo lo stesso presidente americano, sarebbe stato individuato, guarda caso, più o meno o in coincidenza con il ritiro Usa da Rojava.\r\n\r\n“E’ morto nel Nord della Siria – ha raccontato Trump – urlando e piangendo come un codardo inseguito in un tunnel dalle nostre forze speciali e dai nostri cani: si è fatto esplodere uccidendo i suo figli. E’ morto come un cane, come un codardo”.\r\n\r\nE ha ringraziato tutti: la Russia, la Turchia, l’Iraq, la Siria e i curdi siriani, specificando che gli americani, che provenivano dal Kurdistan iracheno, hanno usato le basi russe in Siria e la sorveglianza russa dei cieli siriani.\r\n\r\nInsomma lo zar è sempre pronto a dargli una mano pur di farlo rieleggere: e quando mai gli capita più un presidente Usa così, che gli consegna sul piatto mezzo Medio Oriente?\r\n\r\nLa fine di Al Baghdadi rafforza Trump, Erdogan, Putin e Assad. E’ il “nuovo ordine” regionale che ha portato alla fine il capo dell’Isis. Trump aveva bisogno di un successo per risollevare la sua immagine precipitata per il tradimento ai curdi ed Erdogan lo ha ricompensato con la pelle di Al Baghadi che si era rifugiato nell’area di Idlib, ai confini con la Turchia, dove agiscono i jihadisti e le milizie filo-turche.\r\n\r\nMa gli scambi di “favori” tra Washington e Ankara potrebbero non finire qui in vista della missione di Erdogan alla Casa Bianca del 13 novembre. Il leader turco ha chiesto agli Usa anche la testa del leader curdo Mazloum Kobane, il quale afferma di avere partecipato con gli americani all’azione di intelligence contro Al Baghadi.\r\n\r\nE senza dimenticare che Ankara vuole anche l’estradizione dagli Stati Uniti di Fethullah Gulen, ritenuto l’ispiratore del fallito colpo di stato in Turchia del 15 luglio 2016.\r\n\r\nFatto fuori Al Baghadi, è Erdogan, insieme a russi e siriani lealisti, che decide il destino immediato dei jihadisti, e non soltanto di quelli dell’IAl Baghdadi: la sua pelle in cambio dei curdi\r\n\r\nsis in fuga dalle carceri dei curdi siriani, perché dispone di una presenza militare diretta e indiretta nella provincia di Idlib, molto vicino al confine con la Turchia dove si sarebbe svolto il raid americano.\r\n\r\nI miliziani filo-turchi – con cui sta riempiendo anche la nuova “fascia di sicurezza” strappata al Rojava curdo – sono i migliori informatori su un terreno dove gli americani erano assenti e adesso hanno realizzato il clamoroso “strike” contro Baghdadi. Qui non avviene niente per caso e probabilmente le altre versioni servono soltanto a gettare fumo negli occhi.\r\n\r\nEliminato il capo dello Stato Islamico – che non significa la fine dell’Isis come la fine di Bin Laden non fu quella di Al Qaida – si può anche completare il “riciclaggio” dei jihadisti che verranno assorbiti, come in parte già avvenuto, nelle varie milizie arabe e turcomanne: si tratta di un’operazione essenziale, che coinvolge migliaia di combattenti e le loro famiglie, per svuotare l’area della guerriglia e del terrorismo voluta nel 2011 da Erdogan per abbattere Assad con il consenso degli Usa, degli europei e delle monarchie del Golfo.\r\n\r\nQui si era creato un’Afghanistan alle porte dell’Europa dove sono stati ispirati attentati devastanti nelle capitali europee e si è svolta una parte della guerra sporca di un conflitto per procura che doveva eliminare il regime siriano alleato di Teheran e di Mosca.\r\n\r\nDa questa operazione Trump-Erdogan guadagnano anche Putin e Assad che ora con la Turchia sorvegliano la fascia di sicurezza dove i curdi sono stati costretti ad andarsene.\r\n\r\nL’area di Idlib, dove è prevalente il gruppo qaidista Hayat Tahrir al Sham (ex Al Nusra), ostile e in concorrenza con l’Isis, è sotto assedio di Assad, di Putin e degli iraniani che secondo gli accordi di Astana hanno chiesto da tempo a Erdogan di liberarla dai jihadisti e riconsegnare il controllo della provincia a Damasco.\r\n\r\nL’aviazione siriana qualche settimana fa aveva compiuto raid contro l’esercito turco entrato a dare manforte ai jihadisti e alle milizie filo-turche assediate in alcune roccaforti. Assad, tra l’altro, ha appena fatto visita alle truppe governative sul fronte di Idlib: è la sua prima visita nella provincia siriana nord-occidentale dall’inizio del conflitto. Un segnale significativo.\r\n\r\nIdlib è strategica in quanto si trova sull’asse di collegamento siriano Nord-Sud (Idlib-Aleppo-Hama Homs-Damasco), la vera spina dorsale della Siria. Ecco perché dopo la fine di Al Baghadi probabilmente siriani e russi guadagneranno ancora terreno.\r\n\r\nIn realtà, a parte ovviamente la latitanza, non c’è mai stato un mistero Al Baghadi, anzi si potrebbe dire che il vero mistero lo hanno creato proprio gli Stati Uniti. Il capo del Califfato, nato a Samarra nel 1971 come Ibrahim Awad Ibrahim Alì al-Badri, era già nelle mani degli americani in quanto affiliato di gruppi estremisti, venne liberato per diventare in seguito uno dei capi di Al Qaida e poi, dal 2014, il leader dello Stato Islamico quando fu proclamato il Califfato a Mosul: il 5 luglio si mostra in pubblico per la prima volta e rivolge un’allocuzione dall’interno della Grande moschea Al Nuri di Mosul.\r\n\r\nUn percorso singolare per un personaggio che era un capo riconosciuto con il crisma dell’imam e dell’esperto di diritto islamico.\r\n\r\nAl Baghdadi fu arrestato nei pressi di Falluja il 2 febbraio 2004 dalle forze irachene e, secondo i dati del Pentagono, venne incarcerato presso il centro di detenzione statunitense di Camp Bucca e Camp Adder fino al dicembre 2004, con il nome di Ibrahim Awad Ibrahim al Badri e sotto l’etichetta di “internato civile”.\r\n\r\nMa fu rilasciato nel dicembre dello stesso anno in seguito all’indicazione di una commissione americana che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”, qualificandolo come un “prigioniero di basso livello”.\r\n\r\nProprio per questo non possono esistere dubbi sulla sua identità: i suoi dati biometrici e il Dna vennero prelevati allora dagli americani a Camp Bucca, così come vennero presi anche a chi scrive e a tutti coloro che dovevano entrare nella Green Zone di Baghdad, racchiusi in un tesserino con un chip indispensabile per passare i ceck point.\r\n\r\nEssenziale poi per l’identificazione nel caso di ritrovamento anche di un corpo a brandelli come accadeva allora di frequente. Migliaia di questi dati sono custoditi nelle banche dati di Pentagono e dipartimento di Stato.\r\n\r\nLa scelta della liberazione di Al Baghadi ha sollevato negli anni molte ipotesi dando adito ad alcune teorie del complotto, oltre a suscitare lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di Al Baghdadi. Secondo il colonnello King era uno dei capi dei carcerati più in vista e la sua liberazione gli apparve immotivata.\r\n\r\nAnche il luogo dove secondo le fonti americane è stato ucciso Al Baghdadi non ci può stupire: si tratta della zona della città siriana di Idlib, a Barisha, assai vicino ai confini con la Turchia. Mentre i gruppi jihadisti e l’Isis venivano sconfitti, gran parte di loro si sono trasferiti in questa zona dove sono molto attive le milizie filo-turche.\r\n\r\nNon stupisce neppure che possa essere coinvolto Erdogan: è stato lui ad aprire l’”autostrada del Jihad” dalla Turchia alla Siria che portò migliaia di jihadisti ad affluire nel Levante arabo con gli effetti devastanti che conosciamo.\r\n\r\nTutto questo lo hanno scritto i giornalisti turchi, lo hanno visto i cronisti che hanno seguito sul campo le battaglie siriane e lo racconta anche in un’intervista in carcere a “Homeland Security” l’”ambasciatore” del Califfato Abu Mansour al Maghrabi, un ingegnere marocchino che arrivò in Siria del 2013.\r\n\r\n“Il mio lavoro era ricevere i foreign fighters in Turchia e tenere d’occhio il confine turco-siriano. C’erano degli accordi tra l’intelligence della Turchia e l’Isis. Mi incontravo direttamente con il Mit, i servizi di sicurezza turchi e anche con rappresentanti delle forze armate. La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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La maggior parte delle riunioni si svolgevano in posti di frontiera, altre volte a Gaziantep o ad Ankara. Ma i loro agenti stavano anche con noi, dentro al Califfato”.\r\n\r\nL’Isis, racconta Mansour, era nel Nord della Siria e Ankara puntava a controllare la frontiera con Siria e Iraq, da Kessab a Mosul: era funzionale ai piani anti-curdi di Erdogan e alla sua ambizione di inglobare Aleppo. Oggi, al posto dell’Isis, Erdogan ha le “sue” brigate jihadiste anti-curde ma allora era diverso.\r\nQuando il Califfato, dopo la caduta di Mosul, ha negoziato nel 2014 con Erdogan il rilascio dei diplomatici turchi di stanza nella città irachena ottenne in cambio la scarcerazione di 500 jihadisti per combattere nel Siraq.\r\n\r\n“La Turchia proteggeva la nostra retrovia per 300 chilometri: avevamo una strada sempre aperta per far curare i feriti e avere rifornimenti di ogni tipo, mentre noi vendevamo la maggior parte del nostro petrolio in Turchia e in misura minore anche ad Assad”. Mansour per il suo ruolo era asceso al titolo di emiro nelle gerarchie del Califfato e riceveva i finanziamenti dal Qatar.\r\n\r\nEcco perché Baghdadi, dopo essere servito per tanti anni a destabilizzare la Siria e l’Iraq, adesso è caduto nella rete americana: perché era già, più o meno indirettamente, nella rete di Erdogan che ora ha fatto un bel regalo elettorale a Trump, il presidente americano che gli ha tolto di mezzo i curdi siriani dal confine. 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A volte torturano persone che non dovrebbero essere torturate.\r\nAltrettanto fece Hitler, naturalmente, e scandalizzò il mondo. Nessuno si preoccupa di ciò che accade nelle nostre carceri, o nelle carceri di Lisbona o di Caracas, ma Hitler era troppo promiscuo. 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Esistono, soprattutto, culture, modelli sociali, potenze economiche, in primo luogo l'Islam, diversi, radicalmente diversi, da quello egemone nelle metropoli capitalistiche occidentali.\r\nCiò pone problemi nuovi e importanti alla teoria politica, la religione che molti di noi avevano considerato come un fattore politico tendenzialmente residuale riprende un peso inimmaginabile sino a qualche decennio addietro.\r\nMorte le due principali religioni laiche della modernità, il nazionalismo/fascismo europeo classico e il comunismo, le grandi religioni tradizionali, in particolare islam, cattolicesimo, cristianesimo ortodosso e induismo ma anche, in funzione anticattolica e in questo caso sul serio con finanziamenti statunitensi, un protestantesimo ateologico che si diffonde massicciamente in particolare nell'America latina, riprendono un ruolo importante come fattori di tenuta della società contro l'impatto distruttivo del mercato e del nichilismo individualista dell'occidente.\r\nE’ fra l’altro interessante rilevare che proprio il fascismo, che sembrava destinato alle fogne della storia, riprende un ruolo nelle diverse forme che assume dall’islamofascismo al razzismo dei difensori della Fortezza Europa passando per tutte le varianti del caso, peraltro i fascismi, proprio per il loro carattere nazionale, razziale e religioso, sono per loro stessa natura plurali e spesso in conflitto fra dio loro. 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Gli xenofobi di tutta Europa vanno in brodo di giuggiole per la gioia e anche gli establishment europei che non hanno risposte da dare per la crisi saranno contenti di resuscitare il vecchio spauracchio per far rientrare le pecore spaventate nel recinto. \r\nDa ogni parte ci viene chiesto di dissociarci, di scrivere che noi stiamo con Charlie, di condannare, di provare che siamo bravi immigrati, ben integrati, degni di vivere su questa terra di pace e di libertà. \r\nEbbene, anche se ovviamente condanno questo atto come condanno ogni violenza, non mi dissocio da niente. Non sono integrato e non chiedo scusa a nessuno. Io non ho ucciso nessuno e non c’entro niente con questa gente. Altrettanto non possono dire quelli che domani dichiareranno guerra a qualcuno in nome di questo crimine. \r\nTu dici: “Oggi mi hanno dichiarato guerra. Decimando militarmente la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo mi hanno dichiarato guerra. Hanno usato il nome di dio e del profeta per giustificare l’ingiustificabile. Da afroeuropea e da musulmana io non ci sto”. \r\nIo con questa gente sono in guerra da trent’anni. Li affrontavo con i pugni all’epoca dell’università e con le parole e con le azioni da allora e fino a oggi. Sono trent’anni che li combatto e sono trent’anni che il sistema della Nato e i suoi alleati li sostengono regolarmente ogni dieci anni per fomentare una guerra di qua o di là. \r\nAnche io sono afroeuropeo, sono originario di un paese a maggioranza musulmana ma non mi considero un musulmano: non sono praticante, non sono credente. Ma anche io non ci sto. Non ci sto con questi folli, non ci sto quando lo fanno a Parigi ma non ci sto nemmeno quando lo fanno a Tripoli, Malula o a Qaraqush. \r\nNon sto con loro e non sto con chi li arma un giorno e poi li bombarda il giorno dopo. Non ci sto in questa storia nel suo insieme e non solo quando colpisce il cuore di questa Europa costruita su “valori di convivenza e pace”. Perché dico che questa Europa deve essere costruita su valori di pace e convivenza anche altrove, non solo internamente (ammesso che internamente lo sia). \r\nTu dici che questo non è islam. Io dico che anche questo è islam. L’islam è di tutti. Buoni o cattivi che siano. E come succede con ogni religione ognuno ne fa un po’ quello che vuole. La adatta alle proprie convinzioni, paure, speranze e interessi. Nelle prossime ore, i comunicati di moschee e centri islamici arriveranno in massa, non ti preoccupare. Tutti (o quasi) giustamente si dissoceranno da questo atto criminale. Qualche altro Abu Omar sparirà dalla circolazione per non creare imbarazzo a nessuno. La Lega e altri avvoltoi si ciberanno di questa storia per mesi, forse per anni. E noi ci faremo di nuovo piccoli piccoli, in attesa della fine della tempesta. Come stiamo facendo dopo questi attentati (forse) commessi da quella stessa rete che la Nato aveva creato per combattere una sua sporca guerra. \r\nLoro creano mostri e poi, quando gli si rivoltano contro, noi dobbiamo chiedere scusa, dissociarci e farci piccoli. A me questo giochino non interessa più. Non chiedo scusa a nessuno e non mi dissocio da niente. Io devo pretendere delle scuse. Io devo chiedere a questi signori di dissociarsi, definitivamente, non ad alternanza, da questa gente: amici in Afghanistan e poi nemici, amici in Algeria e poi nemici, amici in Libia e poi… non ancora nemici lì ma nemici nel vicino Mali, amici in Siria poi ora metà amici e metà nemici… Io non ho più pazienza per questi macabri giochini. Mando allo stesso inferno sia questi mostri sia gli stregoni della Nato e dei paesi del Golfo che li hanno creati e li tengono in vita da decenni. 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Non ci sto in questa storia nel suo insieme e non solo quando colpisce il cuore di questa Europa costruita su “valori di convivenza e pace”. Perché dico che questa Europa deve essere costruita su valori di pace e convivenza anche altrove, non solo internamente (ammesso che internamente lo sia). \r\nTu dici che questo non è islam. Io dico che anche questo è islam. L’islam è di tutti. Buoni o cattivi che siano. E come succede con ogni religione ognuno ne fa un po’ quello che vuole. La adatta alle proprie convinzioni, paure, speranze e interessi. Nelle prossime ore, i comunicati di moschee e centri islamici arriveranno in massa, non ti preoccupare. Tutti (o quasi) giustamente si dissoceranno da questo atto criminale. Qualche altro Abu Omar sparirà dalla circolazione per non creare imbarazzo a nessuno. La Lega e altri avvoltoi si ciberanno di questa storia per mesi, forse per anni. E noi ci faremo di nuovo piccoli piccoli, in attesa della fine della tempesta. Come stiamo facendo dopo questi attentati (forse) commessi da quella stessa rete che la Nato aveva creato per combattere una sua sporca guerra. \r\nLoro creano mostri e poi, quando gli si rivoltano contro, noi dobbiamo chiedere scusa, dissociarci e farci piccoli. A me questo giochino non interessa più. Non chiedo scusa a nessuno e non mi dissocio da niente. Io devo pretendere delle scuse. Io devo chiedere a questi signori di dissociarsi, definitivamente, non ad alternanza, da questa gente: amici in Afghanistan e poi nemici, amici in Algeria e poi nemici, amici in Libia e poi… non ancora nemici lì ma nemici nel vicino Mali, amici in Siria poi ora metà amici e metà nemici… Io non ho più pazienza per questi macabri giochini. Mando allo stesso inferno sia questi mostri sia gli stregoni della Nato e dei paesi del Golfo che li hanno creati e li tengono in vita da decenni. Mando tutti all’inferno e vado a farmi una passeggiata in questa notte invernale che sa di primavera… Speriamo non araba.",[216],{"field":108,"matched_tokens":217,"snippet":213,"value":214},[76,76],{"best_field_score":150,"best_field_weight":151,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":152,"tokens_matched":116,"typo_prefix_score":46},6646,{"collection_name":57,"first_q":68,"per_page":221,"q":68},6,8,{"facet_counts":224,"found":228,"hits":256,"out_of":407,"page":14,"request_params":408,"search_cutoff":35,"search_time_ms":222},[225,232],{"counts":226,"field_name":230,"sampled":35,"stats":231},[227],{"count":228,"highlighted":229,"value":229},7,"Bello come una prigione che brucia","podcastfilter",{"total_values":14},{"counts":233,"field_name":34,"sampled":35,"stats":254},[234,236,238,240,242,244,246,248,250,252],{"count":14,"highlighted":235,"value":235},"eolico",{"count":14,"highlighted":237,"value":237},"energia",{"count":14,"highlighted":239,"value":239},"Ucraina",{"count":14,"highlighted":241,"value":241},"sardegna",{"count":14,"highlighted":243,"value":243},"lobotomia",{"count":14,"highlighted":245,"value":245},"killer robots",{"count":14,"highlighted":247,"value":247},"estrattivismo",{"count":14,"highlighted":249,"value":249},"carceri private",{"count":14,"highlighted":251,"value":251},"suicidi in carcere",{"count":14,"highlighted":253,"value":253},"bello come una prigione che brucia",{"total_values":255},15,[257,284,306,335,363,385],{"document":258,"highlight":272,"highlights":277,"text_match":280,"text_match_info":281},{"comment_count":46,"id":259,"is_sticky":46,"permalink":260,"podcastfilter":261,"post_author":262,"post_content":263,"post_date":264,"post_excerpt":52,"post_id":259,"post_modified":265,"post_thumbnail":266,"post_title":267,"post_type":268,"sort_by_date":269,"tag_links":270,"tags":271},"76354","http://radioblackout.org/podcast/uk-lotta-alle-deportazioni-in-rwanda-usa-aclu-prison-labor/",[229],"bellocome","Dalla puntata del 20 giugno 2022 di Bello Come Una Prigione Che Brucia\r\n\r\nLOTTA ALLE DEPORTAZIONI IN RWANDA\r\n\r\nIn compagnia di Yasha Maccanico di Statewatch.org da Bristol, andremo ad approfondire la lotta contro il trasferimento di persone migranti e richiedenti asilo dal suolo britannico verso le strutture allestite in Rwanda sotto indicazioni del Home Office del Regno Unito; 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una parziale vittoria della campagna Reclaim Your Face, ma al contempo una semplificazione nell’utilizzo di queste tecnologie da parte dell’apparato repressivo e l’apertura a una regolamentazione – e quindi normalizzazione – di questi strumenti all’interno della nostra quotidianità. 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Una tecnologia introdotta e giustificata dalla necessità di monitorare segnali di eventuali focolai di Covid-19 in ambito detentivo, ma trasformatasi prevedibilmente in strumento di sorveglianza pervasiva e costante delle conversazioni delle persone in carcere, con potenziali ricadute anche all’esterno.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/12/BCUPCB_Verus-aws.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nSORVEGLIANZA E MOBILITA’\r\n\r\nAll’interno dell’Infruastucture Bill, recentemente approvato dal governo Biden, è prevista l’introduzione di strumenti di verifica dell’idoneità alla guida del conducente in tutti i veicoli immessi sul mercato a partire dal 2026: un abitacolo sorvegliante per interpetare le condizioni psico-fisiche di chi si mette al volante, nonché la normalizzazione di strumenti di controllo pervasivo e automatizzato della popolazione basati (anche) su tecnologie di riconoscimento emotivo.\r\n\r\nSenza attendere il 2026, Amazon e Uber stanno già implementando protocolli di sorveglianza e disciplina algoritmica di fattorini e autisti; una funzione primaria di questi strumenti è la deresponsabilizzazione della Piattaforma, come ci descrive un interessante causa intentata contro Amazon, accusata direttamente per i danni permanenti riportati da un ragazzo ferito da un furgone guidato da un fattorino… a sua volta guidato da un algoritmo.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/12/BCUPCB_sorv-piloti.mp3\"][/audio]","14 Dicembre 2021","2021-12-14 11:37:57","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/12/bcupcb-algoritmi-200x110.jpeg","Sorveglianza algoritmica in Italia - Verus - Autisti controllati",1639481877,[],[],{"post_content":298},{"matched_tokens":299,"snippet":300,"value":301},[76,77],"telefonate delle persone detenute nelle \u003Cmark>carceri\u003C/mark> \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark>, rendendo quindi richiamabili “parole chiave”","Estratti dalla puntata del 6 dicembre 2021 di Bello Come Una Prigione che Brucia\r\n\r\n \r\n\r\nOSSERVATORIO AMMINISTRAZIONE AUTOMATIZZATA\r\n\r\nIn compagnia di Lorenza Saettone di Privacy Network andiamo ad approfondire, anche in termini critici, la nascita di uno strumento come l’Osservatorio Amministrazione Automatizzata, una catalogazione e un’analisi dei programmi basati su algoritmi e Intelligenza Artificiale, che potrebbe diventare un importante strumento di informazione per il conflitto e la resistenza verso la sorveglianza di massa e il governo algoritmico della popolazione.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2021/12/BCUPCB_OAA_lorenza.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nMORATORIA SUL RICONOSCIMENTO FACCIALE IN ITALIA\r\n\r\nE’ stata recentemente approvata una moratoria fino al 2023 sulle applicazioni del riconoscimento facciale in Italia; una parziale vittoria della campagna Reclaim Your Face, ma al contempo una semplificazione nell’utilizzo di queste tecnologie da parte dell’apparato repressivo e l’apertura a una regolamentazione – e quindi normalizzazione – di questi strumenti all’interno della nostra quotidianità. 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Oltre alle istanze di defunding, depolicing e messa al bando del riconoscimento facciale, le pressioni sociali e culturali stanno cercando di sradicare una consuetudine giurisprudenziale che da decenni funge da scudo per le brutalità e gli abusi commessi da agenti in servizio: la Qualified Immunity.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/11/BCUPCB_qualified-immunity.mp3\"][/audio]",{"matched_tokens":354,"snippet":355,"value":355},[76],"Covid e videocolloqui nelle \u003Cmark>carceri\u003C/mark> ...",[357,359],{"field":108,"matched_tokens":358,"snippet":351,"value":352},[76],{"field":105,"matched_tokens":360,"snippet":355,"value":355},[76],{"best_field_score":150,"best_field_weight":151,"fields_matched":116,"num_tokens_dropped":46,"score":362,"tokens_matched":116,"typo_prefix_score":46},"1155199671761633394",{"document":364,"highlight":376,"highlights":381,"text_match":148,"text_match_info":384},{"comment_count":46,"id":365,"is_sticky":46,"permalink":366,"podcastfilter":367,"post_author":262,"post_content":368,"post_date":369,"post_excerpt":52,"post_id":365,"post_modified":370,"post_thumbnail":371,"post_title":372,"post_type":268,"sort_by_date":373,"tag_links":374,"tags":375},"74070","http://radioblackout.org/podcast/rivolte-e-inchieste-infowar-digital-id-fund-the-police/",[229],"Estratti dalla puntata del 7 marzo 2022 di Bello Come Una Prigione Che Brucia\r\n\r\n \r\n\r\nINTRO: CRIMINALITA’ - PANDEMIA – GUERRA\r\n\r\nLa paura come strumento di governo, la relazione tra questi fenomeni (criminalità, pandemia, guerra) e la promozione di “figure forti” al potere.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_intro.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMODENA, DUE ANNI DOPO\r\n\r\nAlla vigilia dell’anniversario delle rivolte e dei massacri che attraversarono le carceri italiane, insieme a Pietro cerchiamo di osservare lo stato delle inchieste attorno a uno degli epicentri di quegli eventi: il carcere Sant’Anna di Modena.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_modena2anni.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nBIDEN & BLACK LIVES MATTER\r\n\r\n“Fund the Police!”\r\n\r\nBiden, dopo aver capitalizzato elettoralmente quanto poteva grattare dalla schiuma di superficie dell’ondata successiva all’omicidio di George Floyd, dichiara solennemente che la soluzione al razzsimo strutturale delle forze dell’ordine statunitensi sia quello di dirottare verso di loro più risorse.\r\n\r\n/ / / con veri estratti naturali dal suo discorso allo State of the Union\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_fund-the-police.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nGUERRA DI INFORMAZIONI\r\n\r\nPiccolo sguardo su alcuni esempi dello scontro tra narrazioni che accompagna la guerra in Ucraina.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_infowar_2.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nIDENTITA’ DIGITALE\r\n\r\nCome procede la sedimentazione del Green Pass nelle nostre vite? L’Unione Europea ha alcune idee a riguardo e presto inizierà una sperimentazione su larga scala del Portafoglio di Identità Digitale.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_idwallet-trial.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nPAROLE CHIAVE: green pass, identità digitale, sorveglianza, carcere, Modena, BLM, Thales, infowar","11 Marzo 2022","2022-03-11 12:55:08","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/bcupcb-fund-200x110.jpeg","RIVOLTE E INCHIESTE - INFOWAR - DIGITAL ID - FUND THE POLICE",1647003308,[],[],{"post_content":377},{"matched_tokens":378,"snippet":379,"value":380},[76],"dei massacri che attraversarono le \u003Cmark>carceri\u003C/mark> italiane, insieme a Pietro cerchiamo","Estratti dalla puntata del 7 marzo 2022 di Bello Come Una Prigione Che Brucia\r\n\r\n \r\n\r\nINTRO: CRIMINALITA’ - PANDEMIA – GUERRA\r\n\r\nLa paura come strumento di governo, la relazione tra questi fenomeni (criminalità, pandemia, guerra) e la promozione di “figure forti” al potere.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_intro.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nMODENA, DUE ANNI DOPO\r\n\r\nAlla vigilia dell’anniversario delle rivolte e dei massacri che attraversarono le \u003Cmark>carceri\u003C/mark> italiane, insieme a Pietro cerchiamo di osservare lo stato delle inchieste attorno a uno degli epicentri di quegli eventi: il carcere Sant’Anna di Modena.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_modena2anni.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nBIDEN & BLACK LIVES MATTER\r\n\r\n“Fund the Police!”\r\n\r\nBiden, dopo aver capitalizzato elettoralmente quanto poteva grattare dalla schiuma di superficie dell’ondata successiva all’omicidio di George Floyd, dichiara solennemente che la soluzione al razzsimo strutturale delle forze dell’ordine \u003Cmark>statunitensi\u003C/mark> sia quello di dirottare verso di loro più risorse.\r\n\r\n/ / / con veri estratti naturali dal suo discorso allo State of the Union\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_fund-the-police.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nGUERRA DI INFORMAZIONI\r\n\r\nPiccolo sguardo su alcuni esempi dello scontro tra narrazioni che accompagna la guerra in Ucraina.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2022/03/BCUPCB_infowar_2.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nIDENTITA’ DIGITALE\r\n\r\nCome procede la sedimentazione del Green Pass nelle nostre vite? 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Altri prigionieri si sono uniti alla lotta che queste due compagne anarchiche stanno portando avanti sui propri corpi. Inisieme a una compagna cerchiamo di riprendere gli ultimi aggiornamenti e le iniziative solidali lanciate sul territorio torinese.\r\n\r\nProteste e manifestazioni possono essere passeggiate irrilevanti o strumenti di intervento politico. La riduzione di ogni istanza conflittuale, sociale, lavorativa, ecologica, a mera questione di “ordine pubblico” consente quindi di neutralizzarla a colpi di truppe antisommossa. Insieme a Salvatore Palidda, sociologo e saggista, cerchiamo di rilfettere sull’incremento della violenza poliziesca nella repressione dei conflitti di piazza, partendo dall’esperienza francese fino alle recenti proposte italiane di sanzionare pesantemente l’utilizzo di strumenti di difesa passiva (scudi, caschi, striscioni imbottiti).\r\n\r\nSpray al DNA come strumento di marcatura di persone e oggetti. Un piccolo approfondimento su un nuovo prodotto dell’ipertrofica “fabbrica della sicurezza” : lo spruzzatore antitaccheggio e in dotazione alle forze dell’ordine (per ora britanniche e statunitensi) commercializzato da SelectaDNA.\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/bellocome3-6-19mixdown.mp3\"][/audio]","5 Giugno 2019","2019-06-05 20:01:35","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2019/06/BCUPevo-200x110.jpg","Bello Come una Prigione Che Brucia [3 giugno 2019]",1559764895,[],[],{"post_content":399},{"matched_tokens":400,"snippet":401,"value":402},[76],"conferma dell’ingresso di ePrice nelle \u003Cmark>carceri\u003C/mark> di Torino e Roma (Rebibbia):","Da pochi giorni un compagno anarchico, Marco Boba, è stato trasferito dal carcere di Saluzzo ai domiciliari, come misura cautelare per l’accusa di avere lanciato – nel corso di un presidio di fronte al carcere delle Vallette – un razzo segnalatore che avrebbe innescato l’incendio e la distruzione di un laboratorio di panificazione situato dentro al perimetro della galera torinese.\r\nUn vuoto presto riempito, visto che negli ultimi giorni si sono susseguite affermazioni e smentite circa la volontà della grande distribuzione digitale (la multinazionale Amazon e l’italian ePrice) di sfruttare manodopera detenuta come forza lavoro e spazi carcerari come magazzini.\r\nCerchiamo di ripercorrere gli ultimi eventi fino alla conferma dell’ingresso di ePrice nelle \u003Cmark>carceri\u003C/mark> di Torino e Roma (Rebibbia): segnale di una nuova fase nella strutturazione del carcere-fabbrica.\r\n\r\nAnna e Silvia sono in sciopero della fame dal 29 maggio 2019 per protestare contro le condizioni detentive della sezione Alta Sicurezza 2 del carcere de L’Aquila, una galera dove la tortura del 41bis riverbera in ogni aspetto della quotidianità. 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