","Lucento Vallette antifasciste. Ripartire dalle periferie","post",1455030559,[61,62,63,64,65,66,67,68],"http://radioblackout.org/tag/antifascismo/","http://radioblackout.org/tag/casa-pund/","http://radioblackout.org/tag/corteo-antifascista/","http://radioblackout.org/tag/esodo-istriano-dalmata/","http://radioblackout.org/tag/foibe/","http://radioblackout.org/tag/lucento/","http://radioblackout.org/tag/vallette/","http://radioblackout.org/tag/villaggio-santa-caterina/",[70,24,17,32,15,20,71,34],"antifascismo","vallette",{"post_content":73,"tags":80},{"matched_tokens":74,"snippet":78,"value":79},[75,76,77],"villaggio","Santa","Caterina","Pound per la fiaccolata nel \u003Cmark>villaggio\u003C/mark> \u003Cmark>Santa\u003C/mark> \u003Cmark>Caterina\u003C/mark>, il gruppo di case popolari","Domenica 7 febbraio, nonostante una pioggia battente oltre duecento antifascisti hanno risposto all'appello dei ragazzi del quartiere per un corteo di comunicazione e lotta nel giorno scelto dai fascisti di Casa Pound per la fiaccolata nel \u003Cmark>villaggio\u003C/mark> \u003Cmark>Santa\u003C/mark> \u003Cmark>Caterina\u003C/mark>, il gruppo di case popolari che, dagli anni Cinquanta ospita profughi istriani e dalmati, approdati nella nostra città dopo la guerra.\r\nUn imponente schieramento di polizia ha serrato in una morsa di luci blu l'area, nonostante i fascisti, che pure avevano fatto appello ai camerati da Aosta a Milano, pare non fossero più di 50.\r\nGli antifascisti hanno fatto un lungo giro per il quartiere con frequenti soste per interventi e slogan, ascoltati dalla gente che spesso si è affacciata dai balconi.\r\nNe abbiamo parlato con Fabrizio.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n2016-02-09-fabrizio-valletteantifa\r\nDi seguito il volantino distribuito dagli organizzatori.\r\nContro il fascismo per un quartiere popolare e antirazzista\r\nDa ormai diversi anni, in occasione del Giorno del Ricordo, il quartiere Lucento-Vallette deve subire la parata di CasaPound, partito dichiaratamente neofascista, in onore ai “martiri delle foibe”. Questo perché nel quartiere si trova il \u003Cmark>villaggio\u003C/mark> \u003Cmark>Santa\u003C/mark> \u003Cmark>Caterina\u003C/mark>, gruppo di case popolari dove furono ospitati dagli anni 50 le vittime dell’esodo istriano-giuliano-dalmata, oltre a famiglie di diverse provenienze. Questa tematica continua ad essere usata strumentalmente da chi, come CasaPound, costruisce sulla retorica nazionalista la propria identità politica.\r\nAl termine della I guerra mondiale le zone dell’Istria, Dalmazia ed i cosiddetti territori orientali, sotto il controllo del regime fascista, subirono una forzata e violenta opera di italianizzazione linguistica, culturale e politica. Questo significò concretamente repressioni, torture, deportazioni in campi di prigionia, a danno di una popolazione slava considerata inferiore, \"da educare non con lo zuccherino ma con il bastone\". Una vera e propria bonifica etnica. La propaganda fascista costruì il mito di una terra da sempre italiana, sebbene quei territori fossero linguisticamente e culturalmente eterogenei. È dopo la caduta del regime fascista, sull'onda di un sentimento di vendetta nei confronti dell'occupante italiano, che si collocano le ondate di violenza di massa, spesso indiscriminate e sommarie, genericamente indicate come “foibe”.\r\nIgnorando in modo subdolo le responsabilità del fascismo, CasaPound con la sua fiaccolata in quartiere tenta di ripresentare le stesse tematiche nazionaliste già causa delle vicende storiche che portarono alla guerra e all'esodo dai territori orientali. I fascisti ed il loro operato vengono presentati strumentalmente come vittime, anziché origine delle violenze avvenute.\r\nPresentandosi al mercato di Corso Cincinnato e tra le case di \u003Cmark>Santa\u003C/mark> \u003Cmark>Caterina\u003C/mark>, i fascisti di oggi cercano di aprirsi uno spazio politico a Lucento-Vallette: non è una novità per loro utilizzare temi sentiti e problematici nel tentativo di cercare consensi e visibilità. Questioni quali sicurezza, immigrazione, microcriminalità, emergenza abitativa e lavoro diventano il pretesto per presentarsi con soluzioni facili e retoriche agli occhi degli abitanti, spesso ignari della vera natura di CasaPound e affini. Nascono così fittizi comitati di quartiere che utilizzando il diffuso malcontento, finiscono per fare propaganda a favore dei loro ideali esclusivi, razzisti e nazionalisti.\r\nIdeali che si manifestano troppo spesso in pratiche di violenza squadrista: solo pochi giorni fa a Napoli i fascisti di Blocco Studentesco - appendice di CasaPound - hanno aggredito con bastoni e martelli degli studenti all'uscita della scuola superiore. Ed è solo l’ultimo di una lunga lista di assassinii e aggressioni da parte di camerati fascisti vari, dall’italiano Dax ucciso a Milano nel 2003 ai due ragazzi senegalesi Diop Mor e Samb Modou assassinati nel 2011 a Firenze. Il volto dei “fascisti del terzo millennio” è questo: da una parte politiche di disuguaglianza sociale portate avanti ogni qual volta viene lasciato loro spazio di agibilità politica, su una delle tante poltrone che inseguono con insistenza (presentandosi alle elezioni a braccetto con la Lega), dall’altra violenze e intimidazioni nelle strade.\r\nIn un quartiere come questo, nato con l’immigrazione e dall’intreccio di donne e uomini di origini diverse, è a maggior ragione inaccettabile l’azione e la retorica di CasaPound, basata sulla discriminazione, la violenza, sull’esclusione dell’ultimo, del diverso, del più povero.\r\nMa CasaPound non è nient’altro che la peggiore costola di una società già in forte frammentazione, in cui i quartieri popolari subiscono facilmente il mito della sicurezza, della paura nei confronti del diverso. Luoghi poveri di orizzonti genuini di socialità e legami solidaristici, ma “ricchi” delle peggiori rappresentazioni dell’oggi: dai centri commerciali alle immense aree industriali dismesse, ai complessi di case popolari adibiti a dormitori; dal luogo simbolo della privazione della libertà come il carcere, alle improbabili varianti urbanistiche e “riqualificazioni”, che tentano di includere le stesse periferie in logiche di profitto tutte nuove, nel solco della “città ad evento continuo” e “multicentrica”, che arricchisce i soliti speculatori e allontana le povertà, escluse dai processi di cambiamento, verso altre “periferie”, altre nicchie, purché queste siano invisibili e non rovinino il nuovo volto luccicante della città.\r\nIn queste fratture, evidenti e in espansione, trovano luogo fenomeni di disgregazione sociale, che spesso si esprimono in xenofobia e razzismo, sottile od eclatante che sia. In quest’ottica si inserisce il “pogrom” della Continassa del dicembre 2011 proprio alle Vallette e i numerosi eventi di discriminazione razziale avvenuti in molte periferie torinesi negli ultimi anni, da Mirafiori a Barriera di Milano, fino ad arrivare alle recenti ronde antidegrado a San Salvario capitanate dal pub “Asso di Bastoni”, covo di fascisti.\r\nMa queste fratture rappresentano anche il potenziale momento in cui costruire percorsi radicalmente diversi, in cui ognuno trovi il proprio spazio e le proprie modalità di espressione, capaci di immaginare comunità e quartieri sorretti da relazioni di solidarietà, antirazzisti e antifascisti. Percorsi sicuramente in salita e non scontati, che portano necessariamente a pensare la periferia come punto di partenza e soggetto di un possibile cambiamento.\r\nEd è anche di fronte a queste prospettive che oggi camminiamo per le strade del nostro quartiere, per affermare e ribadire che qualsiasi fascismo, vecchio e nuovo, non passerà, soprattutto qui nei quartieri popolari.\r\n7 Febbraio 2016\r\nLucento Vallette Antifasciste",[81,83,85,87,89,91,93,95],{"matched_tokens":82,"snippet":70},[],{"matched_tokens":84,"snippet":24},[],{"matched_tokens":86,"snippet":17},[],{"matched_tokens":88,"snippet":32},[],{"matched_tokens":90,"snippet":15},[],{"matched_tokens":92,"snippet":20},[],{"matched_tokens":94,"snippet":71},[],{"matched_tokens":96,"snippet":99},[75,97,98],"santa","caterina","\u003Cmark>villaggio\u003C/mark> \u003Cmark>santa\u003C/mark> \u003Cmark>caterina\u003C/mark>",[101,107],{"field":35,"indices":102,"matched_tokens":104,"snippets":106},[103],7,[105],[75,97,98],[99],{"field":108,"matched_tokens":109,"snippet":78,"value":79},"post_content",[75,76,77],1736172819517538300,{"best_field_score":112,"best_field_weight":113,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":114,"tokens_matched":39,"typo_prefix_score":47},"3315704398080",13,"1736172819517538410",{"document":116,"highlight":140,"highlights":145,"text_match":148,"text_match_info":149},{"cat_link":117,"category":118,"comment_count":47,"id":119,"is_sticky":47,"permalink":120,"post_author":50,"post_content":121,"post_date":122,"post_excerpt":53,"post_id":119,"post_modified":123,"post_thumbnail":124,"post_thumbnail_html":125,"post_title":126,"post_type":58,"sort_by_date":127,"tag_links":128,"tags":136},[44],[46],"45879","http://radioblackout.org/2018/02/corteo-antifascista-alle-vallette-rilasciato-con-obbligo-di-firma-il-compagno-arrestato/","Sabato 10 febbraio. Siamo a Lucento, zona popolare di Torino. Qui c’è il villaggio santa Caterina: i nomi delle vie ricordano quelli dei paesi e delle città da cui arrivavano istriani e dalmati, che presero la via dell’esilio dopo la seconda guerra mondiale. Quelli che arrivarono a Torino finirono alle Casermette di Borgo San Paolo, un campo profughi che ospitava persone fuggite anche dalla Grecia, Francia, Libia, Montenegro, dall’Africa orientale italiana. Le guerre sospingono tanta gente lontana dal posto dove viveva. L’impero del Duce e del Re si dissolse, il confine orientale si spostò nuovamente verso ovest.\r\nI profughi delle Casermette di via Veglia, una zona isolata, priva di trasporti pubblici, vivevano ammassati nelle camerate trasformate in tendopoli: una corda e un telo garantivano una precaria intimità.\r\nIl villaggio Santa Caterina venne ultimato tra il 1956 e il 1959: undici blocchi di palazzine di edilizia popolare furono costruite per le famiglie di profughi dell’Istria e della Dalmazia. Allora quella zona di Torino era ancora campagna: strade, autobus, negozi, scuole sarebbero arrivati nei due decenni successivi.\r\n\r\nNel 2004 venne istituita la giornata del Ricordo dell’esilio istriano e dalmata e delle vittime delle Foibe. Poco dopo il comune di Torino fece apporre su una delle case del villaggio una lapide commemorativa.\r\n\r\nLa giornata del Ricordo, voluta dalle destre per rinfocolare la retorica patriottica, venne fatta propria anche dalla sinistra istituzionale. La memoria della guerra fascista sul fronte orientale, l’invasione della Jugoglavia e della Grecia, la feroce occupazione militare, i campi di concentramento dove la gente moriva di fame e sevizie, gli stupri, le torture è una memoria seppellita dal mito degli italiani brava gente. Un mito falso e consolatorio, che apre la via al revisionismo fascista. La giornata del Ricordo viene cavalcata ogni anno dalla destra xenofoba e razzista.\r\n\r\nQuest’anno sia Forza Nuova che Casa Pound si sono ritrovate due ore l’una dall’altra, al villaggio Santa Caterina.\r\n\r\nGli antifascisti torinesi si sono dati appuntamento nella zona del mercato di corso Cincinnato, all’angolo con via Valdellatorre. Un imponente schieramento di polizia difendeva i fascisti. Il corteo ha tentato più volte di aggirare la polizia, senza tuttavia riuscirvi. In una viuzza laterale la testa del corteo è stata caricata ed un compagno, Fabrizio, è stato preso, buttato a terra, manganellato e portato in questura e, da lì, al carcere delle Vallette.\r\n\r\nIl corteo ha fronteggiato ancora a lungo la polizia prima di avviarsi all’Edera Squat.\r\n\r\nLa fiaccolata di Casa Pound si è snodata per corso Toscana e il villaggio, protetta dalla polizia.\r\n\r\nI quotidiani del giorno successivo hanno tratteggiato un improbabile scenario di guerriglia.\r\n\r\nMartedì mattina si è svolta l’udienza di convalida dell’arresto di Fabrizio. 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Le istituzioni hanno la colpa di aver indirizzato il \"giorno del Ricordo\", istituito nel 2004 e celebrato per la prima volta nel 2005, verso una forzata equiparazione tra Shoah e foibe nel tentativo di arrivare ad un riconoscimento – attraverso le politiche della memoria – di forze politiche contrapposte. Fin dall’inizio il tema delle violenze commesse alla fine del conflitto e dell’esodo di una parte della popolazione italiana dalla Jugoslavia post-bellica viene affrontato, a livello politico e mediatico, con estrema superficialità. Le grossolane semplificazioni, la leggerezza nell’uso delle cifre e delle fonti, hanno prodotto una reazione comprensibilmente esasperata in ambienti culturali legati alla Resistenza. Ma tra tutto questo fango propagandistico è necessario restituire alla memoria un po' di senso storico, riconoscere il contesto in cui avvengo particolari eventi, tentare di spiegarne le cause e gli effetti. E se si cerca di guardare al passato senza lenti ideologiche che offuschino lo sguardo si potranno conoscere anche le storie di coloro che, fuggiti volontariamente o meno dalla Jugoslavia a fine guerra, sono sbarcati a Torino come profughi e sono stati piazzati in villaggetti costruiti o destinati appositamente a loro. Una specie di ghettizzazione resa possibile dall'aiuto che l'urbanistica dà a chi amministra.\r\n\r\nDi questo e di molto altro abbiamo parlato con Eric Gobetti storico specializzato in confine orientale, foibe ed esodo:\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\n \r\n\r\nGobetti\r\n\r\n \r\n\r\nE a sessant'anni circa di distanza dalla realizzazione del villaggio di Santa Caterina in zona Vallette, sotto quelle case da qualche anno si ritrova anche Casapound per celebrare il \"giorno del Ricordo\", strumentalizzando viscidamente questa tragedia novecentesca.\r\n\r\nDella tre giorni antifascista di risposta che si svolgerà tra venerdì, sabato e domenica nei quartieri di Lucento-Vallette si è già dato approfondimento. Abbiamo fatto però un aggiornamento con Fabrizio rispetto alla presenza in piazza di Casapund. La data della fiaccolata commemorativa non era infatti ancora stata resa pubblica, si è in seguito saputo che Casapound sarà in quartiere stasera intorno alle 18.\r\n\r\nAscolta la diretta per gli ultimi aggiornamenti:\r\n\r\n \r\n\r\nMastello","10 Febbraio 2017","2017-02-15 11:49:35","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/esodiistrianoTorino-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"209\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/esodiistrianoTorino-300x209.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/esodiistrianoTorino-300x209.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/esodiistrianoTorino-768x536.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2017/02/esodiistrianoTorino.jpg 1024w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Foibe ed esodo: tra strumentalizzazione ideologica e politica",1486757339,[],[],{"post_content":169},{"matched_tokens":170,"snippet":171,"value":172},[75,76,77],"di distanza dalla realizzazione del \u003Cmark>villaggio\u003C/mark> di \u003Cmark>Santa\u003C/mark> \u003Cmark>Caterina\u003C/mark> in zona Vallette, sotto quelle","La commemorazione delle foibe ogni anno infiamma il dibattito, ormai pesantemente infangato dalla strumentalizzazione che l'estrema destra ne ha fatto per legittimare i proprio discorsi di esaltazione dell'identità nazionale. 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La data della fiaccolata commemorativa non era infatti ancora stata resa pubblica, si è in seguito saputo che Casapound sarà in quartiere stasera intorno alle 18.\r\n\r\nAscolta la diretta per gli ultimi aggiornamenti:\r\n\r\n \r\n\r\nMastello",[174],{"field":108,"matched_tokens":175,"snippet":171,"value":172},[75,76,77],1736172819382796300,{"best_field_score":178,"best_field_weight":151,"fields_matched":19,"num_tokens_dropped":47,"score":179,"tokens_matched":39,"typo_prefix_score":47},"3315704332288","1736172819382796401",6646,{"collection_name":58,"first_q":34,"per_page":182,"q":34},6,{"facet_counts":184,"found":19,"hits":202,"out_of":248,"page":19,"request_params":249,"search_cutoff":36,"search_time_ms":39},[185,191],{"counts":186,"field_name":189,"sampled":36,"stats":190},[187],{"count":19,"highlighted":188,"value":188},"anarres","podcastfilter",{"total_values":19},{"counts":192,"field_name":35,"sampled":36,"stats":201},[193,194,195,196,197,198,200],{"count":19,"highlighted":15,"value":15},{"count":19,"highlighted":71,"value":71},{"count":19,"highlighted":137,"value":137},{"count":19,"highlighted":26,"value":26},{"count":19,"highlighted":17,"value":17},{"count":19,"highlighted":199,"value":199},"giorno della memoria",{"count":19,"highlighted":34,"value":34},{"total_values":103},[203],{"document":204,"highlight":218,"highlights":238,"text_match":110,"text_match_info":247},{"comment_count":47,"id":205,"is_sticky":47,"permalink":206,"podcastfilter":207,"post_author":188,"post_content":208,"post_date":209,"post_excerpt":53,"post_id":205,"post_modified":210,"post_thumbnail":211,"post_title":212,"post_type":213,"sort_by_date":214,"tag_links":215,"tags":217},"33894","http://radioblackout.org/podcast/foibe-esodo-nazionalismi/",[188],"“Nazionalismo: cancro dei popoli”. 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Entrambi i pezzi usciranno sul settimanale anarchico Umanità Nova\r\n\r\nLe tappe dell’esodo istriano (1943-1956)\r\n\r\nI numeri dei profughi italiani dall’Istria, Fiume e Dalmazia hanno costituito un cavallo di battaglia per tutti coloro che hanno presentato pubblicamente il fatto storico, in particolare per chi ha speculato su questo distacco doloroso per fini nazionalistici e revanschisti. La rivincita (revanche) è stata invocata a più riprese da chi si illudeva di una possibile guerra tra Italia e Jugoslavia e poi tra Occidente e Oriente, un conflitto in cui Trieste avrebbe dovuto essere il pretesto, il bottino e il perno.\r\n\r\nLe prime stime si aggiravano su poco più di 200.000 unità. Poi il livello è stato portato a 350.000 da diversi sostenitori (come padre Flaminio Rocchi). Sul piano di una lettura dell’esodo in versione anticomunista e antislava, anche i numeri degli “infoibati” venivano gonfiati fino a parlare, senza la minima prova, di “ventimila italiani massacrati in quanto tali”. La cifra più attendibile dell’esodo, in conseguenza di recenti ricerche d’archivio, si aggira sulle 300.000 persone emigrate verso l’Italia.\r\n\r\nIn realtà si pone un problema metodologico di notevole significato storico e politico: come stabilire l’italianità certa quando in Istria, ma non solo, le ascendenze, la lingua d’uso, i cognomi sono cambiati molto di frequente ? In effetti la popolazione si mescolava, e si mescola, al di là di proclamate barriere nazionali e linguistiche. Si tenga conto che l’identità prevalente ai giorni nostri è quella “istriana”, una miscela di italiano-sloveno-croato consolidata nel corso del tempo.\r\n\r\nLa prima fase della fuga dalle campagne istriane di persone di cultura prevalentemente italiana (dopo un ventennio di un regime fascista fautore di una martellante snazionalizzazione ai danni della popolazione slava) si registra dopo l’8 settembre 1943, la “capitolazione” dell’Italia e la conseguente fuga di persone e gruppi particolarmente esposti sul piano politico, nazionale e/o della lotta di classe, diretta in particolare contro i proprietari terrieri. Prima, e a seguito, dei Trattati di pace si registrano circa tre anni di possibili opzioni dei soggetti che decidono di spostarsi in Italia. Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. 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In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. 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Questo flusso interessa diverse decine di migliaia di persone timorose del nuovo corso politico che, in teoria, ruota attorno ai “poteri popolari”, organismi controllati di fatto dalla Lega dei Comunisti, il vero detentore del potere istituzionale.\r\n\r\nSono segnalati, e confermati da ispezioni del partito a livello centrale, molti casi di abusi per ostacolare la libera scelta dell’opzione filo italiana. Si riaprono, anche su pressioni diplomatiche, i termini e nel 1950-51 si assiste ad una nuova ondata di esuli verso l’Italia. In questo frangente anche diversi militanti comunisti filostaliniani cercano di uscire dallo stato jugoslavo dove i titoisti esercitano un controllo e una repressione fortissimi verso gli ex-compagni sospettati di cominformismo.\r\n\r\nTalvolta le uscite dalla Jugoslavia sono rese difficili dalle professioni qualificate dei richiedenti che sono preziose per un paese distrutto da una guerra devastante con circa un milione di morti. Ad esempio, ai medici e agli artigiani riesce difficile ottenere il consenso all’espatrio. Poiché sembrava che il flusso stesse spopolando le stesse campagne, il potere jugoslavo trova modi e forme per scoraggiare l’esodo di utili produttori agricoli.\r\n\r\nNell’Istria slovena, dopo il memorandum di Londra del 1954 (che pone fine al Territorio Libero di Trieste e quindi assegna la Zona B, nel nord dell’Istria, alla Jugoslavia), si alimenta una nuova corrente di un esodo che termina, più o meno, nel 1956. Questo flusso non raggiunge i numeri impressionanti che avevano svuotato di fatto città importanti come Pola e Zara con l’esodo dell’80-90 % dei residenti.\r\n\r\nI circa 300.000 profughi saranno accolti in più di 100 campi più o meno improvvisati, sparsi per il territorio italiano, in attesa della costruzione di appositi borghi o dell’ulteriore emigrazione di varie migliaia verso mete d’oltremare, come il Nord America, l’Argentina, l’Australia.\r\n\r\nDa più parti si evoca una “diaspora” istriana assumendo la definizione, però molto più pregnante, della dispersione degli ebrei in età moderna e contemporanea. Ad ogni modo va ricordato che buona parte dei profughi non apparteneva ai ceti dirigenti o privilegiati, compromessi col fascismo che fuse in un’unica immagine pubblica l’italiano e il fascista.\r\n\r\nLa dittatura contribuì così a dirigere la prevedibile resa dei conti dopo il 1945. In essa gli elementi nazionali e quelli di classe risultarono spesso confusi e comunque portatori di gravi conseguenze sul piano dei destini collettivi.\r\n\r\nClaudio Venza\r\n\r\n*****\r\n\r\nLa memoria dell’esodo istriano\r\nClaudio Venza, docente di storia all’Università di Trieste, ha intervistato per il settimanale Umanità Nova, una studiosa di storia sociale, Gloria Nemec, sulla memoria dell’esodo istriano e dei “rimasti”.\r\nVi proponiamo di seguito l’intervista.\r\n\r\n1. Come ti sei avvicinata alla storia dell’esodo dei giuliano-dalmati?\r\n\r\nDa studiosa di storia sociale, ho lavorato sul campo dei processi collettivi e di formazione delle memorie nella zona alto-adriatica, in particolar modo nel secondo dopoguerra. Dove si poteva, ho privilegiato l’uso delle fonti orali, delle memorie autobiografiche e familiari, nell’ambito di progetti grandi e piccoli, internazionali e locali. Il fatto che Trieste fosse divenuta “la più grande città istriana” a seguito dell’esodo dei giuliano dalmati, non mi sembrava un fatto irrilevante: il carico di memorie dolorose e conflittuali aveva connotato non poco la città, anche se sino ai primi anni ’90 la storiografia aveva fatto un uso limitatissimo delle memorie dei protagonisti. La raccolta di testimonianze degli esuli da Grisignana d’Istria che ha prodotto Un paese perfetto (1998) ha fatto un po’ da apripista ad altre indagini con fonti orali, mie e di altri. Per me era importante ricostruire memorie lunghe – dal fascismo al definitivo sradicamento e inserimento nella società triestina - attraverso le storie di famiglie contadine di una piccola comunità. Mi interessava entrare in un mondo di mentalità, valori, cultura materiale e linguaggi per capire meglio la crisi collettiva che aveva comportato l’abbandono di massa del luogo d’origine. Molte narrazioni pubbliche riferite all’esodo si focalizzano invece sul breve periodo 1943-45 come se nulla fosse successo prima e nulla dopo.\r\n\r\n2. Che tipologia di persone hai incontrato nelle tue ricerche?\r\n\r\nUn po’ di tutti i tipi. A Trieste ho intervistato soprattutto esuli dalla Zona B, e soprattutto quella specifica tipologia istriana di coltivatori diretti, su proprietà medio-piccole e residenti nelle cittadine. La gran parte dei testimoni sottolineava un’appartenenza urbana-rurale che credo sia specifico elemento costitutivo delle identità culturali degli italiani d’Istria. Molti lavoravano la loro terra “senza servi né padroni” come ha scritto Guido Miglia e si definivano agricoltori ma non contadini perché vivevano nel perimetro urbano. Si percepivano come cittadini occupati in campagna, si cambiavano finito il lavoro per presentarsi con “aspetto civile”, frequentare la piazza, il caffè, l’osteria, dove si ritrovavano gli operatori comunali, gli artigiani, i bottegai. Su quel perimetro spesso si giocava un confronto di lungo periodo tra mondo latino e slavo: nazionale, economico e culturale, secondo una miriade di variabili, dati i profondi fenomeni di ibridismo e le radici intrecciate di molte famiglie. E’ chiaro che il ventennio fascista e i processi di snazionalizzazione degli alloglotti (non parlanti l’italiano come lingua d’uso) rafforzarono per gli italiani delle cittadine il senso della supremazia storica e favorirono una rappresentazione quasi mitica dell’italianità di frontiera. Si affermò quel nesso indissolubile tra fascismo e italianità che si sarebbe ritorto crudelmente a danno degli italiani.\r\nTra le comunità italiane di rimasti in Istria ho incontrato uomini e donne di tutti i tipi, ovviamente di età adeguata perché chiedevo loro di raccontarmi le storie familiari tra guerra, esodo e dopoguerra. Ho intervistato contadini, operai, pescatori e insegnanti, illetterati e laureati, persone coinvolte nella costruzione dei poteri popolari e persone che li subirono, nell’intento di ricostruire quella pluralità dinamica di storie che è tratto fondamentale della realtà istriana, spesso oscurato dall’univoca definizione di “rimasti”. L’ascolto delle storie di vita insegna la complessità.\r\n\r\n3. Come vedono e giudicano oggi quell’evento lontano?\r\n\r\nL’esodo fu una crisi comunitaria e una profonda lacerazione: la nostalgia per un mondo scomparso e idealizzato è un tratto comune nella memoria di esuli e rimasti. Fu un lutto complicato da elaborare nel dopoguerra, mentre si imponevano travagliati percorsi di integrazione o di adattamento al nuovo contesto jugoslavo.\r\n\r\n4. Sino a che punto la memoria degli esuli trasfigura la realtà storica secondo un paradigma che è stato definito “vittimistico”?\r\n\r\nC’è stato un buco nero nella memoria europea del dopoguerra: quello delle migrazioni forzate e della semplificazione etnica che ne conseguì. Si stima che circa venti milioni di persone furono variamente obbligate a trasferirsi, le loro esperienze e memorie rimasero escluse dalla formazione di una memoria collettiva nel corso dei processi di ristabilizzazione post-bellica. E’ chiaro che il paradigma risentito-vittimistico ha un suo senso storico, come compare dalle ultime generazioni di ricerche sui trasferimenti di popolazioni europee. La storia orale ha avuto un ruolo decisivo nel riportare alla luce queste vicende. E siccome i traumi si ereditano, anche le generazioni successive si sono fatte carico della memoria di un evento accaduto molto tempo prima del quale il resto è stato conseguenza.\r\n\r\nGloria Nemec ha insegnato Storia sociale all’Università di Trieste. Da decenni conduce un lavoro sulle fonti orali. Ha pubblicato: Un paese perfetto. Storia e memoria di una comunità in esilio. Grisignana d’Istria (1930-1960), Gorizia, LEG, 2015; Nascita di una minoranza. Istria 1947-1965. Storia e memoria degli italiani rimasti nell’area istro-quarnerina, Fiume-Trieste-Rovigno, 2012; Dopo venuti a Trieste. Storie di esuli giuliano-dalmati attraverso un manicomio di confine, Trieste-Merano, Circolo “Istria”- ed. Alphabeta, 2015.",[224,226,228,230,232,234,236],{"matched_tokens":225,"snippet":17,"value":17},[],{"matched_tokens":227,"snippet":137,"value":137},[],{"matched_tokens":229,"snippet":15,"value":15},[],{"matched_tokens":231,"snippet":199,"value":199},[],{"matched_tokens":233,"snippet":26,"value":26},[],{"matched_tokens":235,"snippet":71,"value":71},[],{"matched_tokens":237,"snippet":99,"value":99},[75,97,98],[239,245],{"field":35,"indices":240,"matched_tokens":241,"snippets":243,"values":244},[182],[242],[75,97,98],[99],[99],{"field":108,"matched_tokens":246,"snippet":221,"value":222},[75,76,77],{"best_field_score":112,"best_field_weight":113,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":47,"score":114,"tokens_matched":39,"typo_prefix_score":47},6637,{"collection_name":213,"first_q":34,"per_page":182,"q":34},["Reactive",251],{},["Set"],["ShallowReactive",254],{"$fbAxCaxovUWuusFtLxrIZ3vlAlwSSEnhLC_bckcH72gg":-1,"$fMeB9jRq5VVUw5tomoCyfEgf5VrjvSXoyLW-lyLF4A24":-1},true,"/search?query=villaggio+santa+caterina"]