CIE. Le nuove frontiere del governo
Scritto dainfosu 29 Gennaio 2014
Dopo strage di Lampedusa la situzione nei CIE italiani è finita sotto i riflettori dei media, che hanno porto l’assist al governo, per dichiarazioni indignate la cui eco è rimbalzata persino in Europa. A fine anno Letta aveva dichiarato l’intenzione di modificare la Bossi-Fini, riducendo la permanenza nei CIE ad un mese.
Sinora le sue dichiarazioni sono state solo lettera morta.
Non si sono invece arrestate le lotte nei Centri dove gli immigrati continuano a bruciare le gabbie che li rinchiudono.
A Ponte Galeria a Roma diversi immigrati, sperando nella liberazione con foglio di via, si sono cuciti le labbra per fare pressione sul governo, profittando del’insperata pubblicità che una analoga protesta aveva avuto a fine dicembre.
Oggi rimangono aperte solo quattro galere per immigrati senza documenti (Torino, Roma, Pian Del Lago, Bari), le altre, una dopo l’altra, sono state fatte a pezzi e bruciate dai reclusi. Il governo ha dovuto chiudere i CIE di Gradisca, Trapani Vulpitta, Bologna, Modena, Crotone, Milano, Trapani Milo.
Di un mese fa l’annuncio che il CIE di Modena, usato per punire gli immigrati più ribelli, ha chiuso per sempre i battenti.
Gli altri ufficialmente sono tutti in attesa di ristrutturazione, ma non c’é nessuna notizia certa su una possibile riapertura. Si diceva che a gennaio avrebbe riaperto il Centro di Bologna ma il centro di via Mattei è ancora chiuso.
La macchina delle espulsioni è ormai al collasso.
Difficile dire ora se il governo metterà davvero mano alla normativa sui CIE riportanto la detenzione ad un mese, tuttavia numerosi segnali indicano che la ricetta individuata dal governo potrebbe essere decisamente più complessa del “semplice” riattamento dei CIE distrutti e dell’eventuale apertura di nuove strutture.
Con Federico un compagno che lotta da anni contro i CIE abbiamo provato a fare il punto per capire quali saranno le prossime mosse del governo.
Vediamo come.
La decisione di spedire gli immigrati reclusi nelle patrie galere a scontare gli ultimi due anni nei paesi d’origine assunta con il decreto svuotacarceri prenderebbe due piccioni con la solita fava. Alleggerire il sovraffollamento carcerario e, nel contempo, evitare il trasferimento nei CIE e la trafila del riconoscimento/espulsione dell’immigrato. Difficile dire se funzionerà, perché molto dipende dalla disponibilità dei paesi di emigrazione ad accettare questo pacco/dono dall’Italia.
L’ultimo accordo di cooperazione militare tra l’Italia e la Libia è stato sottoscritto a Roma il 28 novembre 2013 dai ministri della difesa Mario Mauro e Abdullah Al-Thinni. Il memorandum autorizza l’impiego di droni italiani in missioni a supporto delle autorità libiche per le “attività di controllo” del confine sud del Paese. Gli automezzi dei migranti saranno intercettati quanto attraversano il Sahara e i militari libici potranno intervenire tempestivamente per detenerli o deportarli prima che essi possano raggiungere le città costiere.
In breve. Outsourcing della repressione alla frontiera sud, riduzione degli internati con il trasferimento anticipato dei carcerati nei paesi d’origine, probabilmente una maggiore attenzione alle prescrizioni della direttiva rimpatri. Riduzione del periodo di detenzione ed esplulsioni più veloci potrebbero essere gli ingredianti della ricetta del governo per evitare di spendere altri soldi per la ristrutturazione di centri che, prima o dopo, gli immigrati danno alle fiamme.
Di un fatto siamo sicuri. Se davvero venissero cancellati i 18 mesi di CIE questo non sarebbe certo dovuto alla buona volontà del governo, ma alle lotte degli immigrati, che in questi anni li hanno fatti a pezzi, pagando un prezzo durissimo.
Ascolta la diretta con Federico: