Ventimiglia. Un’estate di lotta

Scritto dasu 8 Settembre 2015

La frontiera è lì, nel punto dove uomini e donne in armi, chiudono la strada, nel posto dove i vecchi caselli della dogana ricordano che un tempo non lontano la frontiera era per tutti. Oggi, se sei nato dalla parte giusta, se sei cittadino europeo, per te non ci sono blocchi né barriere. (Quasi) mai. Se il vento della protesta scuote l’Europa controlli e barriere risorgono per impedire le proteste, per bloccare i manifestanti. Pochi giorni e le porte si riaprono.
Da giugno la frontiera è una barriera etnica. Se sei afgano, siriano, sudanese, eritreo non passi. Non passi legalmente. Devi arrangiarti da solo, pagare il passeur o incontrare qualche nemico delle frontiere disposto a darti una mano.
Da giugno su questa linea fatta di nulla si giocano i destini di uomini e donne, che hanno negli occhi la guerra, il deserto, i barconi. La Francia ha chiuso le frontiere.
Ogni giorno qualcuno prova a passare. Ogni giorno qualcuno passa. Ogni giorno qualcuno viene intercettato, chiuso in un container/prigione per ore, e poi riportato indietro. Senza lasciare nessuna traccia sulle  carte. Né la polizia francese, né quella italiana chiedono i documenti, prendono le impronte, fanno foto: se ti identificano sono obbligati a prendere la tua richiesta di asilo, ad accoglierti in attesa di risposta. Così i profughi di Ventimiglia diventano fantasmi. Va bene a tutti: al governo italiano, che non vede l’ora che se ne vadano, a quello francese che vuole solo disfarsene, ai rifugiati che vogliono andare più a nord. Una follia. Lucida. Lucida come ogni logica di esclusione.
Da giugno qualcuno ha provato a far saltare le regole del gioco a rendere visibile il ping pong di uomini e donne, gettati di qua e di là come palline. Sono stati i migranti stessi a ribellarsi e gettarsi sugli scogli a mettersi di traverso sulla strada, per bloccare il passaggio delle merci, dove agli uomini è impedito di andare.
Ogni giorno ci sono iniziative. Ogni giorno c’é un’assemblea per discutere il da farsi e per accogliere i nuovi arrivati, per raccontare loro che un luogo di lotta e libertà è diverso dal campo della Croce Rossa vicino alla stazione, è diverso dai luoghi di accoglienza conosciuti nel viaggio. Al No border camp non c’è assistenzialismo: tutti fanno tutto, tutti cucinano, puliscono, scrivono cartelli, fanno traduzioni, preparano i letti. Tanti arrivano e, appena possono, continuano il viaggio, altri invece hanno trovato qui una meta, uno scopo. La lotta contro le frontiere è un’occasione per diventare protagonisti, per provare a cambiare senso alla giostra che gira e torna sempre allo stesso punto: chi sale e scende è più povero, chi gira la manovella si arricchisce.

Per un paio di mesi gli attivisti del campo, gente di Ventimiglia e di ogni dove, non hanno avuto guai con la polizia. Poi c’é stato un giro di vite: fogli vi via e denunce a chi fa “cop watching”, fotografando le gabbie dove sono rinchiusi i ragazzi che non ce l’hanno fatta e verranno deportati in Italia, gettando una bottiglietta e qualcosa da mangiare.
Da agosto sono scattate denunce, arresti, processi. Ma campo va avanti.
Scrivono sul loro blog gli attivisti No Border “La frontiera italo-francese di Ventimiglia è un luogo carico di contraddizioni. Dalla chiusura del confine alla metà di giugno 2015 questo luogo ha mostrato tutta la violenza che caratterizza le politiche europee in materia di immigrazione. Qui abbiamo visto coi nostri occhi i rastrellamenti della polizia sui treni e nelle stazioni fermare le persone sulla base del colore della pelle, siamo stati testimoni delle deportazioni che quotidianamente subiscono centinaia di migranti, siamo stati oggetto dei fermi di polizia messi in atto dai tanti posti di blocco di qua e di là dal confine.
A questa repressione risposero per primi i migranti, occupando gli scogli a ridosso della frontiera e costruendo un presidio che nel corso di questi mesi è diventato uno spazio di resistenza, complicità e lotta. Da allora sono state tante le iniziative e le azioni dirette che dal presidio No Borders hanno messo in discussione la chiusura del confine, la sua logica e le sue conseguenze.
A questa resistenza, dopo un primo fallito tentativo di sgombero, il potere ha opposto una strategia di bassa intensità, esercitando una pressione costante sul campo. L’attacco da parte delle forze di polizia, italiane e francesi, è stato portato avanti con il supporto dei trafficanti e della logistica fornita dalla Croce Rossa Italiana, nonché grazie al contributo di giornalisti e politici conniventi, tutti uniti nella strumentalizzazione della presunta “emergenza profughi”.
L’escalation repressiva nei confronti dei solidali è culminata in diversi episodi che qui accenniamo. La nostra azione di monitoraggio e contrasto delle deportazioni attraverso la frontiera alta di Ponte San Luigi ci sono già costate 18 denunce per occupazione, un arresto e 7 fogli di via, senza contare i tanti episodi di intimidazione ai quali quotidianamente siamo esposti. Questi provvedimenti amministrativi non sono comunque serviti a mettere fine al processo di autorganizzazione di migranti e solidali al confine.
Dopo due mesi il presidio permanente No Borders di Ventimiglia è ancora al suo posto, e fa appello a tutte le reti, i singoli e le collettività che in questi mesi si sono mobilitate in solidarietà ai migranti in viaggio per rilanciare un percorso transnazionale contro confini, razzismo, sfruttamento e militarizzazione dei territori.
A partire dalla tre giorni transnazionale del 24-25-26 luglio abbiamo aperto alcuni importanti ragionamenti sul senso e la direzione della nostra lotta. Se la Fortezza Europa ha ormai dismesso il volto umanitario con il quale è solita auto-rappresentarsi e mostra oggi tutta la violenza delle sue aspirazioni coloniali, il protagonismo e la determinazione mostrata dalle persone in viaggio nelle ultime settimane esprimono la necessità di rilanciare la lotta per la libertà di circolazione per tutte e tutti. I tentativi di attraversamento in massa dei confini che abbiamo visto a Ventimiglia e Calais, sulle isole greche e al confine Macedone, così come le migliaia di persone che individualmente o in piccoli gruppi attraversano quotidianamente i confini in tutta Europa e oltre, rendono evidente l’insostenibilità delle politiche europee e ci pongono il problema di quale contributo dare a questo movimento.
La moltiplicazione dei confini, la creazione di decine di campi profughi ai quattro angoli del continente e la criminalizzazione, o nel migliore dei casi la riduzione a oggetto, dei migranti che abbiamo sotto i nostri occhi ci impongono di proseguire il grande lavoro di relazione e condivisione delle pratiche di solidarietà attiva. Continuare a sostenere esplicitamente l’attraversamento dei confini e costruire nuove geografie che disegnino mappe di libertà è sicuramente una parte del lavoro che abbiamo davanti, ma non l’unica.
Il nostro supporto deve essere innanzitutto una denuncia delle cause reali che generano i movimenti migratori, delle conseguenze della chiusura dei confini sulla vita delle persone e dei responsabili di tutto questo. Se a migliaia stanno morendo annegati in mare, asfissiati in un camion o schiacciati da un treno in corsa questo avviene perché così è stato deciso. Le politiche del debito, l’esproprio delle risorse e lo sfruttamento delle persone in intere regioni del mondo ad opera di governi e multinazionali sono scelte consapevoli fatte da chi comanda. Le cosiddette elite globali hanno le mani sporche di sangue, e sono nauseanti le loro dichiarazioni di cordoglio per le vittime del traffico di esseri umani. Alcuni dei rappresentanti della classe dirigente che oggi speculano sulla fuga di uomini e donne dai propri paesi d’origine sono gli stessi criminali e gli stessi assassini che su questo movimento fanno affari d’oro, anche sostenendo quei regimi autoritari dai quali formalmente prendono le distanze. Davanti alle loro lacrime di coccodrillo è necessario ribadire la loro responsabilità politica e trasformare il dolore per quanti muoiono in rabbia organizzata contro di loro.”
Ne abbiamo parlato con Elodie del Presidio No Border di Ventimiglia.
Ascolta la diretta:

2015-09-08-elodie-20miglia


Radio Blackout 105.25

One station against the nation

Current track
TITLE
ARTIST