Blue economy e ZEE
Scritto dainfosu 6 Luglio 2021
La definizione della Zona Economica Esclusiva italiana sembra stia vedendo la luce: dopo essere passato assolutamente in sordina, l’iter amministrativo pare arrivato alla fase conclusiva.
La centralità del Mediterraneo sia dal punto di vista geopolitico, che commerciale ed economico è indubbia, così come l’affacciarsi di interessi in passato inediti. La decisione italiana di definire una propria ZEE dipende dall’emergere di una nuova concezione del mare e del suo sfruttamento strategico attraverso quella che va sotto il nome di “Blue Economy”.
Da almeno un decennio gli analisti economici e quelli della difesa sanno che il Mediterraneo gioca un ruolo sempre più strategico mano a mano che la Cina intensifica le proprie relazioni e stabilisce record di export sempre più strabilianti. Dal FMI a Bloomberg, da Stars and Stripes”ad Analisi e Difesa è stato tutto un susseguirsi di stime, valutazioni, proiezioni ed analisi.
Sul piatto non ci sono solo le rotte commerciali, sebbene queste abbiano spinto paesi come la Turchia ad azioni militari per potenziare la loro presenza nel mediterraneo o altri paesi ad intraprendere percorsi di profonda trasformazione dei siti portuali per accaparrarsi anche solo il transhipmet. Quello che si sta ulteriormente agitando negli ultimi tempi è l’emergere di una nuova concezione del mare e del suo sfruttamento strategico attraverso quella che va sotto il nome di “Blue Economy”. Il termine allude ovviamente all’acqua e fu introdotto, per la prima volta nel 2010, da un economista belga, Gunter Pauli, autore di Blue Economy. 10 Anni. 100 Innovazioni. 100 Milioni di Posti di Lavoro. Nell’intenzione di Pauli vi è l’introduzione di una nuova forma di economia sostenibile, simile a alla Green Economy, ma differente da essa. Partendo dal fatto che già la Green Economy è tutto fuorché green, a più di dieci anni dalla stampa di quel testo, la Blue Economy si è palesata per quello che è, con buona pace di Pauli, ossia un sistema di sfruttamento integrato delle risorse blu, che nel versante marittimo si estrinseca in turismo, attività ittiche ed energetiche.
Nella proposta di legge per la ZEE italiana ne vengono riportate: “L’istituzione della ZEE garantirà al nostro Paese un conseguente vantaggio economico importante, ad esempio per una parte dell’economia blu come la pesca. Potrà inoltre costituire un importante strumento per mettere in campo iniziative più mirate alla sicurezza delle nostre coste e alla tutela dell’ambiente marino salvaguardando così una preziosa risorsa dallo sfruttamento eccessivo, in un’ottica sempre più sostenibile. È quindi un intervento legislativo necessario per regolare tra le altre la pesca, la tutela dell’ambiente, e per rispondere a chi tenta di intaccare la nostra sovranità, cercando di appropriarsi di ciò che ci appartiene”. Più eloquenti di così sarebbe difficile essere. Si può quindi comprendere come le finalità delle ZEE sono quelle di stabilire confini chiari da difendere anche con manu militari, confini ovviamente di squisito interesse economico.
Mettendo assieme il concetto di piattaforma continentale (PC) che determina gli ambiti di sfruttamento delle risorse del sottosuolo marino e quello di ZEE, si può capire come ci sia una corsa ad accaparrarsi i nuovi mercati emergenti, sia in termini di giacimenti sottomarini, sia per quanto riguarda i problemi della pesca che costringe alla ricerca della risorsa ittica in tratti di mare sempre più distanti dalla costa. Se a tutto ciò sommiamo il fatto che l’Italia è un degli ultimi paesi a sancire le sue zone di interesse economico si comincia ad avere un quadro abbastanza chiaro della situazione. La spiegazione la si ritrova esattamente nella definizione di ZEE e più specificamente l’uso di attrezzature artificiali, temporanee o fisse. In questa definizione rientrano a pieno titolo le condutture per gas e petrolio, o le nuove ricerche per la sostituzione del Gas Naturale o del Metano con l’Idrogeno.[8] Una nuova stagione di implementazione infrastrutturale per pompare combustibile da un capo all’altro del Mediterraneo, raccordando gasdotti e oleodotti esistenti che giungono dall’Africa e dall’Asia, verso la grassa e vorace Europa.
Quindi quanto ipotizzato anni orsono, in altre parole un Mediterraneo come nuovo territorio di conflitto, sembra essersi realizzato. Avere un mare lottizzato nel quale in un miglio quadrato possono liberarsi risorse economiche di un certo rilievo, potrebbe aprire ad uno scenario di continue “scaramucce” tra confinanti, ognuno spalleggiato a sua volta da interessi molto forti. Si potrebbe immaginare il Mare di Odisseo definito in aree di influenza: da una parte la NATO che ne detiene i capisaldi centrali, dall’altra la terra di mezzo anatolica che dialoga con l’orso russo, consentendone il transito attraverso il Bosforo e poi l’area orientale sulla quale si affacciano i maggiori traffici commerciali da e per l’oriente che fanno estrema gola un po’ a tutti. In un contesto che appare assai più complesso di un misero stallo alla messicana, sancire delle zone esclusive vuol dire avere aree da offrire come zone franche o come transito protetto, tanto per natanti tanto per condutture e altro. Il conflitto tra interessi occidentali ed orientali si sposta quindi sullo scacchiere marino.
Per capirne di più ne abbiamo parlato con Giammarco, un compagno che ha appena scritto un articolo su questi temi.
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