Il tramonto dell’amnistia
In Italia le carceri straripano. Lo scorso anno i suicidi sono stati oltre 150. Il carcere è una struttura patogena: chi vi è rinchiuso si ammala molto di più e riceve molte meno cure di chi vive fuori dalle gabbie che lo Stato destina a discarica sociale.
L’Italia è stata condannata dalla corte europea di Strasburgo per i trattamenti inumani e degradanti
inflitti ai reclusi nelle prigioni del Belpaese. Se la situazione non cambierà rischia di dover pagare risarcimenti milionari ai detenuti che hanno fatto o faranno ricorso a Strasburgo.
Nonostante ciò l’amnistia, l’unico provvedimento veramente efficace per vuotare rapidamente le carceri degli oltre settemila detenuti “in più”, è presto tramontato.
L’ipotesi lanciata da Napolitano è affogata per la secca opposizione di Renzi. Nessun politico, nessun partito vuole restare con il cerino in mano: chi vuota le carceri rischia di perdere consensi in una competizione elettorale che potrebbe non essere troppo lontana.
Il ministro Cancellieri ha promesso qualche pannicello caldo o poco più. Mentre la politica istituzionale gioca con la vita di uomini e donne la situazione si trascina, senza che nulla si muova.
La stessa amnistia non sarebbe comunque che una pezza temporanea perché, come già avvenne per l’indulto del 2005 le carceri torneranno presto a riempirsi, nonostante i reati che suscitano maggiore “allarme sociale” siano in costante diminuzione.
L’aumento della popolazione carceraria è un effetto delle politiche di tolleranza zero alimentate a loro volta da un clima di paura e di insicurezza collettiva che hanno segnato gli ultimi dieci anni .
Le tre leggi carcerogene, la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe, la ex Cirielli sulla recidiva emanate in questi ultimi dieci anni sono all’origine dell’enorme aumento dei reclusi.
Fare della repressione della delinquenza uno spettacolo morale permanente consente di riaffermare simbolicamente l’autorità dello stato nel momento stesso in cui si dimostra impotente sul piano economico e sociale. Il carcere diviene una sorta di “aspirapolvere sociale” per
eliminare le scorie delle trasformazioni economiche in atto e cancellare dallo spazio pubblico i rifiuti della società di mercato.
Ne abbiamo parlato con Robertino di Psychoattiva.
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