Musica per un’arcadia sotto effetto di gas esilarante: Frisk Frugt
a yellow butterfly / scoring zigzag lines in air / a leaf and a bird / stands outside amid sunbeams / now it is springtime anew.
Frisk Frugt, nome d’arte del compositore danese Anders Lauge Meldgaard, si è fumato la musica di tradizione “europea classica” e nel viaggio seguente ha sognato un orchestra da camera con sirene magnetiche su sfondi antichi, moog e theremin che rincorrono come fauni, cornette e tromboni, con stupore e innocenza pari solo ai ragazzini che entrano nell’armadio e scoprono che dall’altra parte c’è Narnia.
Non è la prima volta: il tipo aveva già dato pane agli amanti delle stranezze qualche anno fa con l’incomprensibile assurdismo microsinfonico a tema africano de Dansktoppen Møder Burkina Faso I Det Himmelblå Rum Hvor Solen Bor, Suite (grossolanamente traducibile con ‘Il folk danese incontra il Burkina Faso nello spazio blu del cielo che è la casa della dimora solare….) agilmente definito come Van Dyke Parks che incontra Schoenberg…
Materiale deviante capace di tenere saldissimo il piede nella lucidità concreta con un bagaglio tecnico impressionante e contemporaneamente dare di matto inserendo un invenzione dopo l’altra come se un piccolo baco dispettoso si fosse insediato nel cervello di un compositore di musica colta, circa 1750.
Questa è grosso modo l’idea del bis: Den Europæiske Spejlbue, esce in questo 2015 (ah, dimenticavo che si traduce come “The European Arch Mirror“) e fa alla grande il paio con il debutto, solo che dall’improbabile legame tra Danimarca e Burkina Faso, l’indagine si sposta stavolta sulla musica composta di matrice classica europea (se la definizione vale qualcosa) per agganciare il passato sul campo neutro del presente e trasportarlo al largo verso il futuro, complici i riferimenti culturali e l’immaginazione deviata dell’autore.
Siamo a Narnia, diciamo, ma sotto effetto di ossigeno e PCB, e allora ti sembra di incontrare la Third Ear Band che suona Vivaldi, o Frank Zappa al Sinclavier che fa esperimenti di folklore danese. Il tutto avviene meticolosamente addensando suoni su suoni, seppur anche nei momenti più pieni si respiri una rilassata atmosfera di rinascita (o da rinascimento?) dai contorni pastorali, come una visione sfumata proiettata indietro nel tempo.
Diversamente dai lavori già ascoltati di Belbury Poly o del progetto Devon Folklore Tapes, prevale una componente positiva (non positivista), priva di qualsivoglia senso del mistero come oscurità, misticismo, ignoto, occulto. E’ come se i luoghi evocati e le sensazioni connesse potessero richiamare solo relax, vita all’aria aperta, amore fraterno e al massimo qualche scherzetto a schizzi d’acqua.
E ora arrivano le domande. Fiducia incrollabile verso il futuro o nostalgia di un passato impossibile da revenì? Non ho capito se riesco a decifrare la fine retorica ambientalista di facile smercio. Ma sarebbe impossibile non rimanere con qualche domanda: questo Den Europæiske Spejlbue è un lavoro talmente denso da richiedere molti ascolti. A me è piaciuto e son sicuro piacerà agli amanti dell’inafferrabile, ai retrofuturisti e agli inesauribili sballoni che non sono riusciti a dimenticare Sergius Golowin di Lord Krishna Vongoloka, disco che finalmente trova qualcosa di vagamente paragonabile.
Usate comunque con cautela.