Musiche per la quarta guerra mondiale
Quarta guerra mondiale in corso, spiaccicata in teatri roventi ai quattro angoli del globo, non sarà una passeggiata e ce ne siamo accorti. Anche solo distinguere il vero dal falso, il buono dal cattivo. Al funerale dell’etica, corrisponde una frammentazione sempre più massiccia della musica ad un euro. Il futuro è cheap, pieno di sangue e miseria. In un certo senso se ne sono accorti in molti, nelle schiere dei metrappansè del web. Che senso abbia sommergere tutto di produzioni scadenti resta un mistero. Tra le migliaia e migliaia però, alcune elevano lo zeitgeist a materia sonora e ci raccontano il disturbato e il disturbante, come si diceva, “in un presente che capire non sai”. Ho ascoltato questi dischi e ve li propongo oggi, ditemi se non ho ragione.
The Bug – Angels & Devils (ninja tune 2014) Io ho un debole per Kevin Martin. Ho un debole in generale per i bianchi che fanno melange con i neri (sherwood, su tutti). Beh questa è la firma di un artista assoluto sulla “contingenza”. Incontinente è Martin, che ci mette tanti ospiti (alcuni inutili, seppur mai fuori luogo) ma porta soprattutto una geografia sonora che impiega figli e nipoti del dub elettronico sul teatro di guerra, usando il pennello e non la matita per ritinteggiare i generi (nei quali peraltro sguazza senza fermarsi), con una produzione esagerata che si prende tutto in un vortice che ingloba aerei, bombe, mitragliate, rap oscuro, post industrialismi nucleari, schegge impazzite. Per ora il disco “elettronico” dll’anno ma la parola è fuorviante. Lo paragonerei per violenza e concisione ad un action painting a tema conflitti globali: MASSIMO DEI VOTI!
Janek Schaffer – Lay by Lullaby (2014) Catch me if you can. Intercettato Ballard su una veloce preferenziale del centro di londra, schaffer usa field recordings del traffico sulla suddetta insieme a disturbi radiofonici e protrusioni noise per descrivere un viaggio al termine della notte, proprio a pochi isolati dalla casa del maestro della distopia. Il risultato è Celiniano nell’accezione più descrittiva, come se un bagliore di ricordi illuminasse per pochi secondi la carreggiata fino a sparire dietro l’orizzonte. Era il fanale di un’auto o la scia di un pensiero. Lynchiano e ostico, ce ne fossero, di artisti così.
Christian Vialard – Grautag (GT 2014). Un’altra bomba custom. Questa volta preparata in un grigio garage delle periferie est, blocco di cemento di qualche zona germanica. Un suono analogico marcito che va ad inalberarsi su progressioni motoriche (ma con un’auto scassata) prima di collassare nelle bave dei delays. Retrofuturista, junkpunk, o elettronica a vapore, che mi piace di più; altro che locomotiva tedesca…sembra di sentire i kraftwerk senza il sussidio di disoccupazione che jammano con la strumentazione dimenticata da Rodelius, sotto la direzione degli Einsturzende Neubaten in un momento non troppo rumoristico. Quando premono sulla composizione, spaccano e questa etichetta è la new thing se amate la vecchia malata Deutsche Welle. Uber Alles.
The Exaltics – Das Heise Experiment (Abstract Acid 2013) si va. Una colonna sonora per notti di terrore. Perfettamente sincronizzata alle nostre più ataviche paure, sbrodola dove è necessario e innesta come pochi gradazioni a vortice. Potresti anche ballare, se solo riuscissi a smettere di pensare che quell’uomo è un armato del mixer e che una o più di quelle lamate potrebbero colpirti alle spalle. Se la paura è un sentimento stimolante, questo disco è la mia prossima tazza di ginseng. L’ho fruito di notte, guidando piano in una campagna abbandonata, tra ruderi di capannoni industriali e fuochi di fanali in direzione contraria. Un gran produttore che cerca Mario Bava nello studio dimenticato da Kristof Komeda. Certo che è techno, che cazzo di domande.
Electric Wurms – Musik, die Schwer zu Twerk (2014). solo gli stronzi non cambiano idea. Che Wayne Coyne fosse un genio non avevo dubbi. Che si fosse bruciato il cervello pure. Ma mi sono sempre detto pronto a cambiare idea. I flaming lips degli ultimi anni mi sembravano solo una macchinetta tritasoldi piena di pessime idee consumistiche per la testa (l’usb con 24ore di musica in vendita a 5000 euro, tanto per dire). Devono essersi stufati pure loro. Coyne e Drodz soli lasciano il nome di piuma ai fans e mettono insieme un cartellone psichedelico con le unghie affilatissime, malato il giusto, dove il nostro ritorna a cantare, dove le tastiere vanno in larsen e finalmente, lasciatemelo dire, si sentono parti di chitarra degne di questo nome. Il disco è un viaggione malato e coyne e tornato. Resta con noi, nun ce lassà… (ps ma twerk quello li?)