Ruanda: anche il genocidio è un’eredità coloniale

Scritto dasu 9 Aprile 2014

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La storia degli abitanti nei territori dei Grandi Laghi dell’Africa orientale si regolava in modo molto diverso, prima che l’uomo bianco cristiano arrivasse alla ricerca delle Sorgenti del Nilo e cercasse di dare a sestesso – e poi di imporre agli oggetti della sua analisi, fondata sui suoi parametri – un’interpretazione a sua immagine del sistema di convivenza tra agricoltori e alelvatori, tra classi più agiate e lavoratori della terra, che comunque non erano separate, non provenivano da ceppi diversi, non avevano mai pensato di risolvere contrasti con un genocidio o di dividersi su una presunta base etnica, di cui poi verranno convinti dalle supposizioni coloniali.

Queste le premesse che porteranno al genocidio dell’aprile 1994 e alla successiva disaspora sia di Hutu che di Tutsi in momenti diversi, con il ritorno di Kagame, appoggiato dall’Uganda anglofona (e filoamericana) contro gli interessi francesi che hanno portato in questi giorni il presidente ruandese a rinverdire gli attacchi a Mitterand, alludendo a responsabilità dirette francesi in quel massacro in questo periodo tanto celebrato nel suo ventesimo anniversario.

Per capirne di più ci siamo rivolti a Cecilia Pennacini, antropologa e regista di documentari etnografici, particolarmente esperta e coinvolta nelle vicende di quella parte del mondo

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