ENI in Nigeria. Soldi e veleni
Scritto dainfosu 16 Settembre 2014
Matteo Renzi non ha intenzione di rimuovere i dirigenti dell’ENI, raggiunti da avvisi di garanzia per corruzione in Nigeria, un paese dove l’ENI ha ingenti interessi nello sfruttamento della ricchezza petrolifera del paese. Una ricchezza che rappresenta invece una dannazione per le popolazioni del Delta del Niger, che pagano con la salute le conseguenze dell’inquinamento dell’aria, dell’acqua e del suolo ma non godono in alcun modo dei profitti dell’oro nero.
Le pagine dei giornali hanno dato grande rilievo all’inchiesta che coinvolge i dirigenti del colosso italiano degli idrocarburi, accusati di corruzione per aver pagato qualche satrapo locale per garantirsi posizioni di vantaggio per i propri impianti sia di terra che di mare.
Quasi nulla l’attenzione per le responsabilità dell’ENI nell’avvelenamento del suolo, dell’acqua, dell’aria: le popolazioni del Delta, che vivono di agricoltura e pesca, sono duramente colpite da questa politica criminale.
Nonostante anche Amnesty abbia più volte denunciato le politiche di sfruttamento feroce e senza tutela dell’ambiente e per chi ci vive, i media vi hanno dedicato ben poca attenzione.
Da diversi decenni, le aziende petrolifere, presenti nel delta del fiume Niger in Nigeria – oltre all’Eni, Total e Shell – favorite da un tessuto normativo che non tutela le popolazioni dell’area, hanno fatto il bello e il cattivo tempo.
Eni opera in Nigeria, con la costituzione, negli anni sessanta, di Agip e l’avvio delle sue attività di esplorazione. Le fuoriuscite di petrolio dagli oleodotti gestiti da Eni sono un fenomeno ricorrente. Hanno contaminato i campi coltivati, le falde acquifere, le paludi e i fiumi dai quali le comunità traggono l’acqua per tutte le esigenze della vita quotidiana. Le conseguenze delle fuoriuscite sono aggravate da incendi e ritardi nella bonifica dei siti inquinati.
Nei siti produttivi di Eni sono inoltre presenti le torce di gas, bruciato durante l’estrazione del petrolio. A causa di questa pratica, detta gas flaring, gli abitanti convivono con una polvere nera che si deposita nelle case, sui vestiti e sugli alimenti e in molti lamentano problemi di salute, per effetto degli agenti nocivi e cancerogeni sprigionati da tali torce. La qualità di vita viene inoltre compromessa dal rumore delle torce di gas nonché dall’odore acre e dall’illuminazione che esse producono nell’area circostante ventiquattr’ore su ventiquattro.
Oltre a essere responsabile nei casi in cui l’azienda gestisce direttamente gli oleodotti, Eni lo è anche attraverso la sua partecipazione del 5% alla Joint Venture, costituita con la società statale nigeriana NNPC (Nigerian National Petroleum Company) e con le compagnie petrolifere Elf ed SPDC (Shell Petroleum Development Company): quest’ultima è la società sussidiaria del Gruppo Royal Dutch Shell e rappresenta il principale operatore della Joint Venture.
Un importante rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente sulle conseguenze dell’inquinamento da petrolio nel territorio dell’Ogoniland, una zona del delta del Niger, pubblicato il 4 agosto 2011, ha sottolineato che sebbene la Shell sia la principale responsabile degli effetti negativi degli impatti dell’estrazione di petrolio da parte della Joint Venture, gli altri partner di quest’ultima hanno anch’essi una parte di responsabilità. Eni è consapevole delle gravi mancanze delle operazioni realizzate dalla Joint Venture con la Shell e degli effetti negativi sui diritti umani e sull’ambiente.
Nel dicembre del 2012 la Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (Ecowas) ha dichiarato il governo nigeriano responsabile per i gravi e ripetuti abusi perpetrati delle compagnie petrolifere e sottolineato l’esigenza per il governo stesso di riportate tali società alle proprie responsabilità.
Un’ipotesi fantascientifica per una classe politica corrotta e legata a filo doppio agli interessi delle multinazionali, cui è permesso usare una propria polizia privata contro le popolazioni che protestano in difesa della propria salute e del territorio in cui vivono. La violenza di questi mercenari al servizio di ENI, Shell e Elf nei confronti di manifestanti inermi, contribuisce ad infittire le fila dei ribelli armati del Mend.
Ne abbiamo parlato con Luca Saltalamacchia, avvocato che collabora con organizzazioni ambientaliste impegnate in Nigeria.
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