Dal 17 al 19 novembre si terrà a Torino “Aerospace & defence meeting”,
mostra mercato internazionale dell’industria aerospaziale di guerra.
Un’occasione per valorizzare le eccellenze del made in Italy nel settore
armiero, con un focus sulle cinque aziende piemontesi, leader nel settore:
Alenia Aermacchi, Thales Alenia Space, Avio Aero, Selex Es, Microtecnica
Actuation Systems / UTC. 280 SMEs.
Mercoledì 18 novembre
Presidio e corteo al antimilitarista al Lingotto
Dalle 17 in via Nizza angolo via Biglieri
Ne abbiamo parlato con Domenico del movimento No F35.
Ascolta la diretta:
2015-11-17-domenico-spezzare-le-ali
Di seguito l'appello per la giornata:
Spezziamo le ali al militarismo!
“Contro le fabbriche di armi, contro la mostra mercato dell’industria
aerospaziale di guerra
La mostra-mercato è riservata agli addetti ai lavori: fabbriche del
settore, governi e organizzazioni internazionali, protagonisti
dell’industria di guerra, un business lucroso, che non va mai in crisi.
Le immagini dei profughi che premono alle frontiere chiuse dell’Europa, il
dibattito sull’accoglienza umanitaria, la retorica su chi muore in mare o
in fondo a un tir nascondono una verità cruda ma banale. Le guerre sono
combattute con armi costruite a due passi dalle nostre case.
In questi giorni la NATO sta effettuando la più grande esercitazione
bellica dalla fine della guerra fredda. Tra lo Stretto di Gibilterra e il
Mediterraneo centrale e i grandi poligoni di Spagna, Portogallo e Italia
38.000 militari, 200 velivoli e 50 unità navali di 33 nazioni. Ospiti
d’eccezione, i manager delle industrie militari di 15 Paesi.
Il principale trampolino di lancio nel nostro paese è l’aeroporto
trapanese di Birgi.
Le prove generali dei conflitti dei prossimi anni vengono fatte nelle basi
sparse per l’Italia. Le stesse basi da cui sono partite le missioni
dirette in Libia, Iraq, Afganistan, Serbia, Somalia, Libano…
L’Italia è in guerra da molti anni. Ne parlano solo quando un ben pagato
professionista ci lascia la pelle, sprecando retorica su pace e
democrazia.
È una guerra su più fronti, che si coniuga nella neolingua del
peacekeeping, dell’intervento umanitario, ma parla il lessico feroce
dell’emergenza, dell’ordine pubblico, della repressione.
Gli stessi militari delle guerre in Bosnia, Iraq, Afganistan, gli stessi
delle torture e degli stupri in Somalia, sono nei CIE, nelle strade delle
nostre città, sono in Val Susa.
Guerra esterna e guerra interna sono due facce delle stessa medaglia. Le
sostiene la stessa propaganda: le questioni sociali, coniugate in termini
di ordine pubblico, sono il perno su cui fa leva la narrazione
militarista.
Hanno applicato nel nostro paese teorie e tattiche sperimentate dalla
Somalia all’Afganistan.
Se la guerra è filantropia planetaria, se condizione per il soccorso sono
le bombe, l’occupazione militare, i rastrellamenti, se il militare si fa
poliziotto ed entrambi sono anche operatori umanitari il gioco è fatto.
L’opposizione alle missioni militari, che in altri anni ha riempito le
piazze di folle oceaniche, si è lentamente esaurita, come le bandiere
arcobaleno, che il sole e la pioggia hanno stinto e lacerato sui balconi
delle case.
La mera testimonianza, la rivolta morale non basta a fermare la guerra, se
non sa farsi resistenza concreta.
Negli ultimi anni il rifiuto della guerra è riuscito a saldarsi con
l’opposizione al militarismo: il movimento No F35 a Novara, i no Muos che
si battono contro le antenne assassine a Niscemi, gli antimilitaristi
sardi che si lottano contro poligoni ed esercitazioni. Anche nelle strade
delle nostre città, dove controllo militare e repressione delle insorgenze
sociali sono ricette universali, c’é chi non accetta di vivere da schiavo.
Le industrie belliche costruiscono le armi con le quali si controlla, si
bombarda, si uccide in ogni dove. Le università che orientano la ricerca
verso il settore bellico sono complici dei massacri. Il 17 novembre al
Politecnico di Torino ci sarà un convegno di studi, che precederà le due
giornate del 18 e 19 all’Oval Lingotto dedicate agli affari.
Chi si oppone alla guerra, senza opporsi alle produzioni di morte, fa mera
testimonianza.
L’Alenia è uno dei gioielli di Finmeccanica, il colosso della produzione
bellica italiana.
La “missione” dell’Alenia è fare aerei militari. Nello stabilimento di
Caselle Torinese hanno costruito gli Eurofighter Thypoon, i
cacciabombardieri made in Europe, e gli AMX. Le ali degli F35, della
statunitense Loockeed Martin, sono costruite ed assemblati dall’Alenia.
Un business milionario. Un business di morte.
Per fermare la guerra non basta un no. Occorre incepparne i meccanismi,
partendo dalle nostre città, dal territorio in cui viviamo, dove ci sono
caserme, basi militari, aeroporti, fabbriche d’armi, uomini armati che
pattugliano le strade.
Assemblea Antimilitarista
antimilitarista@inventati.org”