Rafah: le trattative tra Israele ed Hamas ed il sostegno (apparentemente) in bilico degli Stati Uniti
Scritto dainfosu 11 Maggio 2024
Un approfondimento con Eliana Riva, caporedattrice di Pagine Esteri, sullo stato delle trattative in corso al momento al Cairo tra la resistenza palestinese e Israele, un piano complesso che ha visto la delegazione palestinese accettare una bozza di accordo presentata dai mediatori israeliani ma che si è successivamente incagliato sulla questione di un cessate-il-fuoco definitivo, rifiutato dal gabinetto di guerra israeliano. La risposta del governo israeliano all’apertura di uno spiraglio nelle trattative è stata aumentare la pressione sulla Striscia con l’inizio dell’annunciata operazione di terra contro Rafah, ultima zona della Striscia dove ancora funzionano alcuni servizi di base ed in cui si sono rifugiati quasi 1,500,000 palestinesi. Solo apparentemente un controsenso, la decisione è indicativa del vero obiettivo sionista, quello di rendere totalmente inabitabile la Striscia e devastarne le infrastrutture per impedire il più a lungo possibile la ricostruzione, a fronte invece dell’obiettivo dichiarato, ormai giudicato assolutamente inverosimile, di una completa distruzione di Hamas.
L’operazione militare contro Rafah, allo stesso tempo, mette – per lo meno all’apparenza – in rotta di collisione il progetto israeliano con gli Stati Uniti. Per quanto ancora solido e di lungo corso sia il sostegno USA a Tel Aviv, alcune dichiarazioni dell’establishment americano – come il rifiuto, a parole, dell’invio di 3500 “bombe intelligenti” agli arsenali israeliani – sembrano voler aumentare la pressione su Israele per evitare, o quantomeno limitare, una operazione militare che si annuncia lunga e devastante. Sulla scelta di una maggiore rigidità, almeno apparente, di Biden di fronte al proseguire della volontà genocida del governo israeliano influiscono sicuramente le mobilitazioni senza precedenti in corso in queste settimane nei campus statunitensi e la campagna elettorale per le elezioni di novembre, a cui l’amministrazione democratica vorrebbe arrivare con la fine della guerra ed il congelamento, almeno temporaneo, della “questione palestinese”.