Officina letteraria-19/4/2019-Furore, rabbia e rivoluzione
Officina Letteraria
Puntata di Officina Letteraria intorno al tema della rivoluzione con musiche e parti di film a fare da degna cornice alle letture tratte dal libro Furore di Steinbeck, un libro che induce a pensare, riflettere, interrogarsi.
Con un impressionante realismo, fin da quel “in principio fu la polvere”, Steinbeck ci scaraventa in un pezzo d’America della Grande Depressione, dove le parole della Dichiarazione d’Indipendenza dell’ormai lontano 1776 riecheggiano come mera utopia e autentica beffa:
“[…] che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità […]”
Al seguito della famiglia Joad, tra le centinaia di migliaia di diseredati che all’epoca, con i loro vecchi catorci, inondavano la Route 66 alla volta della novella terra promessa della California, ci si rende conto che il cosiddetto “American dream” non è mica roba per tutti; di certo, non per i contadini cacciati dalla dura legge del profitto economico delle banche e dall’avanzare dei trattori, sospinti dalla fame e dai capricci del tempo, accampati ai margini dell’opulenza altrui, calpestati e sfruttati dal disprezzo. La vicenda narrata è nota, fortuna e vicissitudini dell’opera e del suo autore pure. Che cosa si può dire o scrivere di questo che, a ragione, è stato inserito tra i dieci migliori libri del XX secolo che ancora non sia già stato detto o scritto? Mi sento soltanto di sottolineare la straordinaria attualità che ho trovato nella lettura di queste pagine, a dispetto del tempo e dello spazio di ambientazione:
“Nell’Ovest si diffuse il panico di fronte al moltiplicarsi degli emigranti sulle strade. Uomini che avevano proprietà temettero per le loro proprietà. Uomini che non avevano mai conosciuto la fame videro gli occhi degli affamati. Uomini che non avevano mai desiderato niente videro la vampa del desiderio negli occhi degli emigranti. E gli uomini delle città e quelli dei ricchi sobborghi agrari si allearono per difendersi a vicenda; e si convinsero a vicenda che loro erano buoni e che gli invasori erano cattivi, come fa ogni uomo prima di andare a combatterne un altro. Dicevano: Quei maledetti Okie sono sporchi e ignoranti. Sono maniaci sessuali, sono degenerati. Quei maledetti Okie sono ladri. Rubano qualsiasi cosa. Non hanno il senso della proprietà. E su quest’ultima cosa avevano ragione, perché come può un uomo senza proprietà conoscere l’ansia della proprietà? E i difensori dissero: Sono sporchi, portano malattie. Non possiamo lasciarli entrare nelle scuole. Sono stranieri. Ti piacerebbe veder uscire tua sorella con uno di quelli?”
Sostituiamo “Okie”, termine con il quale i californiani chiamavano sprezzantemente i nuovi arrivati dall’Oklahoma, con africani, asiatici, siriani etc. o, più in generale, immigrati (a suo tempo, avrebbe reso bene anche la parola meridionali); la Route 66 con la rotta mediterranea o con le polverose strade lungo i Balcani: ecco che dagli Stati Uniti degli anni Trenta del secolo scorso ci ritroviamo di colpo nell’Europa dei giorni nostri, dinnanzi al dramma dell’emigrazione che abbiamo sotto gli occhi e a tutte le nostre paure. Paura perché loro hanno fame, paura perché sono tanti, troppi, “un’invasione”, giusto per riprendere un’espressione usata abitualmente; paura perché “quando una moltitudine di uomini ha fame e freddo, il necessario se lo prende con la forza”. Può accadere, se tale moltitudine vede e subisce torti e ingiustizie che calpestano la dignità degli esseri umani.
Buon ascolto!