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Invece Ramaphosa potrebbe ricollocare il Sudafrica nel suo ruolo guida dell'intero continente, se le fratture etniche e le ineguaglianze non gli impediranno di riconfermarsi alle elezioni previste il prossimo anno; le sue prime promesse hanno riguardato la lotta alla corruzione – che è stato il pretesto su cui si è addensata la condizione per l'impeachment di Zuma – e il risanamento dei conti, vero problema dell'era Zuma, che ha avuto la sfortuna di coincidere con la crisi mondiale.\r\n\r\n \r\n\r\nCaso diverso è quello etiope, dove ci sono stati dieci morti negli ultimi giorni e gli scontri proseguono tuttora in Omersa e Bali, ma in comune hanno il fatto che la transizione non è opera di un golpe, anche se in Etiopia è stato dichiarato lo stato d'emergenza per sei mesi, il secondo nell'ultimo anno. Hailemariam Desalegn, intellettuale anti-Menghistu, era succeduto nel 2012 a Zenawi (il capo della guerriglia marxista contro il sanguinario alleato di Mosca rovesciato nel 1991) e ha lasciato per l'impossibilità di proseguire con le riforme e per facilitare il dialogo tra le etnie minoritarie e i tigrini, che controllano i gangli del paese. Infatti le proteste sono proseguite anche dopo il rilascio dei molti arrestati in seguito ai moti irredentisti del 2016 in Oromia. Merere Gudina, leader della protesta tra i rilasciati, ha dichiarato che la coalizione al potere non ha permesso la democratizzazione del paese e l'avvicendamento all'interno del partito al governo non è sintomo di cambiamento.\r\n\r\n \r\n\r\nQueste dichiarazioni possono rievocare la medesima situazione del Sudafrica, che pure condivide con l'Etiopia il ruolo di stato chiave di un'area estesa di territorio africano. La stessa notazione si può fare riguardo al corpaccione attaccato da più direzioni della nazione congolese, dove alle guerre ai confini nordorientali si aggiungono le guerre per le risorse, che diventano sempre più importanti nel momento in cui l'auto elettrica va imponendosi sui mercati mondiali, evidenziando la strategia del colonialismo cinese (cosidetto “del sorriso”, ma che comporta lo stesso sfruttamento di quello classico europeo).\r\n\r\n \r\n\r\nSu tutto il continente aleggia con modalità diverse il flusso migratorio, che nei quattro paesi considerati con Alberizzi in questo approfondimento s'impone prepotente, collegandoli idealmente tra loro. Dall'accordo del Ruanda con Israele per riassorbire i respingimenti di Tel Aviv in cambio di una congrua cifra, agli espatri hutu dal Ruanda stesso verso il Kivu congolese (nonostante la crescita del paese, ma univoca per i soli tutsi), alle sofferenze sudafricane per la migrazione interna al continente, ai tanti migranti verso l'Europa dal Corno d'Africa.\r\n\r\n \r\n\r\nSollecitati da questo accumulo di informazioni scovate in agenzie mai troppo riportate dai media mainstream e invece monitorate con efficacia da Africa ExPress abbiamo parlato con Massimo Alberizzi, che ci ha evocato la figura gigantesca di Madiba, fornendoci spiegazioni sui probabili motivi di quel dissesto economico sudafricano proprio dalle politiche populiste di 'Mbeki e Zuma il Satrapo, creando disoccupazione, privilegi di certe etnie e di entourage impreparati, oltre a quegli squilibri sociali che la politica di riconciliazione di Mandela aveva cercato di evitare.\r\n\r\nZenawi, tigrino, in Etiopia aveva in mente un'idea di democrazia molto avanzata, finché non perse le elezioni, trasformandola in una dittatura pur di non far cadere l'Etiopia nuovamente in mano ai menghistuiani... affrontando queste odierne dimissioni alla luce della storia africana si riesce a comprendere meglio la dinamica che sottende ogni ribaltamento politico africano. Anche il caso del carcere che doveva essere svuotato per divenire museo (come Auschwitz) ci viene spiegato dalle parole di Alberizzi come un elemento in più per capire fino a che punto si tratti di una riverniciatura del regime etiopico come per quel che riguarda il regime di Kabila in Congo, o tutto ciò sia una reale apertura.\r\n\r\n \r\n\r\nSu questa falsariga abbiamo anche affrontato dunque i trentamila euro a migrante respinto del business ruandese con Israele, con un paragone azzardato quanto azzeccato... ma che lascia spazio per fare un parallelismo proprio con l'Etiopia: entrambi i paesi sono in crescita rispetto al resto dell’Afica. Fino ad arrivare al dilemma se si possano sopportare e fino a che livello di violenza i regimi repressivi che consentono però alla loro popolazione di migliorare le condizioni economiche, venendo meno e distogliendo lo sguardo dalla mancanza dei principi elementari di libertà e democrazia occidentali, oppure sollevare eccezioni umanitarie (magari per motivi altrettanto amorali di meri affari e puro saccheggio delle risorse) con il rischio di avvallare regimi ed élite dominanti come quelli emersi dopo le primavere arabe o come la dittatura famigliare della Guinea Equatoriale, che stabilizza quell'area del mondo attraverso il petrolio inmano a quelle famiglie al potere... e siamo da capo alle prese con nazioni-fulcro che influenzano intere aree. E finora lo stavano facendo tutte allo stesso modo, vedremo se la svolta sudafricana comincerà a invertire la tendenza.\r\n\r\nDimissioni africane","17 Febbraio 2018","2018-02-20 17:13:11","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/madiba-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"168\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2018/02/madiba-300x168.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" />","Dimissioni e risorse africane: tendenze e influenze su macroaree",1518883474,[122,123,124,125,126,127,128,129,130,131],"http://radioblackout.org/tag/congo/","http://radioblackout.org/tag/desalegn/","http://radioblackout.org/tag/etiopia/","http://radioblackout.org/tag/guinea-equatoriale/","http://radioblackout.org/tag/mandela/","http://radioblackout.org/tag/ramaphosa/","http://radioblackout.org/tag/ruanda/","http://radioblackout.org/tag/sudafrica/","http://radioblackout.org/tag/zenawi/","http://radioblackout.org/tag/zuma/",[133,27,134,31,23,29,135,136,19,15],"congo","etiopia","Ruanda","Sudafrica",{"post_content":138},{"matched_tokens":139,"snippet":140,"value":141},[83,76],"alle sofferenze sudafricane per la \u003Cmark>migrazione\u003C/mark> \u003Cmark>interna\u003C/mark> al continente, ai tanti migranti","Le dimissioni di Desalegn in Etiopia nascono da una situazione molto differente da quelle di Zuma in Sudafrica ma, come sentirete, dal percorso intrapreso nell’analisi fatta con il direttore di “Africa ExPress” Massimo Alberizzi si può sempre finire con il ricondurre gli eventi africani a fenomeni simili e processi che fanno parte di un unico sviluppo geopolitico.\r\n\r\nRamaphosa, il nuovo presidente del Sudafrica, è stato combattente contro l'apartheid e poi impegnato nel sindacato dei minatori, doveva già essere il successore designato di Mandela, poi il partito decise altrimenti orientandosi più sulal componente populista di 'Mbeki e poi di Zuma, irriconciliati con lo strapotere bianco. Invece Ramaphosa potrebbe ricollocare il Sudafrica nel suo ruolo guida dell'intero continente, se le fratture etniche e le ineguaglianze non gli impediranno di riconfermarsi alle elezioni previste il prossimo anno; le sue prime promesse hanno riguardato la lotta alla corruzione – che è stato il pretesto su cui si è addensata la condizione per l'impeachment di Zuma – e il risanamento dei conti, vero problema dell'era Zuma, che ha avuto la sfortuna di coincidere con la crisi mondiale.\r\n\r\n \r\n\r\nCaso diverso è quello etiope, dove ci sono stati dieci morti negli ultimi giorni e gli scontri proseguono tuttora in Omersa e Bali, ma in comune hanno il fatto che la transizione non è opera di un golpe, anche se in Etiopia è stato dichiarato lo stato d'emergenza per sei mesi, il secondo nell'ultimo anno. Hailemariam Desalegn, intellettuale anti-Menghistu, era succeduto nel 2012 a Zenawi (il capo della guerriglia marxista contro il sanguinario alleato di Mosca rovesciato nel 1991) e ha lasciato per l'impossibilità di proseguire con le riforme e per facilitare il dialogo tra le etnie minoritarie e i tigrini, che controllano i gangli del paese. Infatti le proteste sono proseguite anche dopo il rilascio dei molti arrestati in seguito ai moti irredentisti del 2016 in Oromia. Merere Gudina, leader della protesta tra i rilasciati, ha dichiarato che la coalizione al potere non ha permesso la democratizzazione del paese e l'avvicendamento all'interno del partito al governo non è sintomo di cambiamento.\r\n\r\n \r\n\r\nQueste dichiarazioni possono rievocare la medesima situazione del Sudafrica, che pure condivide con l'Etiopia il ruolo di stato chiave di un'area estesa di territorio africano. 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Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un'esistenza invivibile e inaccettabile.\r\n\r\nIl momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti \"soggetti criminali\" enemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell'uso della decretazione d'urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta \"devianza giovanile\" sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell'istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale. Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l'ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all'idea, quasi religiosa, del \"chi ha peccato deve pagare\". Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell'autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.\r\n\r\nLe rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l'evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull'accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all'evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.\r\n\r\nEssa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l'ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.\r\n\r\nQuando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l'opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l'approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell'espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall'altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto - come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena - si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l'assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l'obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.\r\n\r\nEntrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell'ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un'orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.\r\nCONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO: rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ","8 Novembre 2023","2023-11-09 01:01:45","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"212\" height=\"300\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a-212x300.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a-212x300.jpg 212w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a-722x1024.jpg 722w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a-768x1089.jpg 768w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a-1083x1536.jpg 1083w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/c2090519f23f687d61297d2dfb18eb3a.jpg 1128w\" sizes=\"auto, (max-width: 212px) 100vw, 212px\" />","Corteo contro il carcere",1699487249,[165,166,167],"http://radioblackout.org/tag/carcere/","http://radioblackout.org/tag/corteo/","http://radioblackout.org/tag/torino/",[169,170,171],"carcere","corteo","torino",{"post_content":173},{"matched_tokens":174,"snippet":175,"value":176},[83],"giovanile\" sia a quello della \u003Cmark>migrazione\u003C/mark>. 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Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un'esistenza invivibile e inaccettabile.\r\n\r\nIl momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti \"soggetti criminali\" enemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell'uso della decretazione d'urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta \"devianza giovanile\" sia a quello della \u003Cmark>migrazione\u003C/mark>. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell'istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale. Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l'ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all'idea, quasi religiosa, del \"chi ha peccato deve pagare\". Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell'autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.\r\n\r\nLe rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l'evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull'accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all'evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.\r\n\r\nEssa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli \u003Cmark>interna\u003C/mark>ti, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l'ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.\r\n\r\nQuando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l'opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l'approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell'espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall'altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto - come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena - si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l'assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l'obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.\r\n\r\nEntrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell'ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un'orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.\r\nCONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO: rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\n ",[178],{"field":144,"matched_tokens":179,"snippet":175,"value":176},[83],1155199637401895000,{"best_field_score":182,"best_field_weight":149,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":183,"tokens_matched":106,"typo_prefix_score":14},"1112369528832","1155199637401895025",{"document":185,"highlight":200,"highlights":205,"text_match":180,"text_match_info":208},{"cat_link":186,"category":187,"comment_count":46,"id":188,"is_sticky":46,"permalink":189,"post_author":49,"post_content":190,"post_date":158,"post_excerpt":52,"post_id":188,"post_modified":191,"post_thumbnail":192,"post_thumbnail_html":193,"post_title":194,"post_type":57,"sort_by_date":195,"tag_links":196,"tags":198},[43],[45],"84927","http://radioblackout.org/2023/11/world-youth-conference/","Durante la settimana appena passata a Parigi si è tenuta la prima Conferenza mondiale della gioventù. La conferenza è stata chiamata da Youth Writing History, un network globale che coinvolge organizzazioni e movimenti giovanili di tutto il mondo \"in the search for an alternative life\", così come si legge sul sito di riferimento. Lo scopo è creare un movimento internazionale per superare la crisi della modernità capitalista.\r\n\r\nI temi centrali dell'incontro sono stati l'autonomia giovanile, il femminismo, la questione ecologica, il militarismo, l'educazione e la migrazione, tutti affrontati con uno sguardo giovanile.\r\n\r\nDi seguito l'intervista ad un'attivista di Defend Kurdistan che ha partecipato alla Conferenza:\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/youthworldconferenze.081123.mp3\"][/audio]\r\nYOUTH WRITING HISTORY","2023-11-09 17:17:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/Schermata-2023-11-09-alle-17.02.40-200x110.png","\u003Cimg width=\"300\" height=\"265\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/Schermata-2023-11-09-alle-17.02.40-300x265.png\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/Schermata-2023-11-09-alle-17.02.40-300x265.png 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2023/11/Schermata-2023-11-09-alle-17.02.40.png 661w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","World Youth Conference",1699486629,[197],"http://radioblackout.org/tag/youthwritinghistory/",[199],"youthwritinghistory",{"post_content":201},{"matched_tokens":202,"snippet":203,"value":204},[76],"scopo è creare un movimento \u003Cmark>interna\u003C/mark>zionale per superare la crisi della","Durante la settimana appena passata a Parigi si è tenuta la prima Conferenza mondiale della gioventù. 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Un'operazione rischiosa in uno scenario sempre più difficile. E' di pochi giorni fa la decisione del governo Essebsi di proclamate lo stato di emergenza in Tunisia. Agli ormai consueti allarmi sui terroristi imbarcati sulle carrette dei profughi, fa sponda l'Isis che invita gli jihadisti ad imbarcarsi per l'Europa, per fare la guerra santa. I proclami dell'Isis non potranno che rinforzare i propositi di chi vuole rinforzare le mura della fortezza Europa, contribuendo ad alimentare la xenofobia.\r\n\r\nEunavfor Med mira a distruggere il modello di business messo a punto delle reti di scafisti e trafficanti di esseri umani identificando, catturando e distruggendo le imbarcazioni e le risorse da essi utilizzati. La missione si dovrebbe articolare in di tre fasi. La prima fase prevede l’identificazione e il monitoraggio dei network degli scafisti attraverso la raccolta e lo scambio di informazioni di intelligence e un’attività di pattugliamento rafforzata in acque internazionali. La seconda e la terza includono l’individuazione, la cattura e la distruzione delle risorse dei trafficanti rispettivamente in acque internazionali e libiche, senza escludere azioni sulla costa. Benché la decisione adottata il 18 maggio scorso dal Consiglio dei ministri degli esteri e della difesa abbia approvato la base legale dell’operazione che comprende tutte e tre queste fasi, Eunavfor Med non potrà essere attuata nelle fasi successive alla prima finché non riceverà il mandato delle Nazioni Unite. E’ infatti necessario che il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approvi una risoluzione in base al capitolo 7 dello Statuto delle Nazioni Unite, in cui si prevede l’uso della forza “per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale”. Ad oggi, tuttavia, a causa dal mancato assenso della Russia e di un governo di unità nazionale libico, la cui formazione non sembra così vicina, non è ancora stato possibile trovare un accordo in tal senso.\r\n\r\nIn assenza del mandato ONU, non potendo cioè agire nei porti e nelle acque libiche, lunedì 22 giugno, all’unanimità e sotto la guida dell’alto rappresentante UE Mogherini, i ministri degli esteri hanno potuto soltanto approvare la prima fase della missione.\r\n\r\nL’operazione, che ha il suo quartier generale a Roma, comprende circa mille uomini, cinque navi da guerra, due sottomarini, tre aerei da pattugliamento marittimo, tre elicotteri, e due droni. I costi ammonterebbero a circa 14 milioni di euro. E’ prevista una collaborazione con la Nato – che porta avanti nel Mediterraneo la sua missione militare antiterrorismo Active Endeavour, lanciata nel 2001 – e diverse agenzie delle Nazioni Unite, oltre all’agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne Frontex. Le modalità del coinvolgimento dell’Unione africana e di diversi Paesi arabi devono essere ancora precisate.\r\n\r\nEunavfor Med si inscrive oggi all’interno del piano quinquennale della nuova Agenda europea contro le organizzazioni che facilitano i movimenti non autorizzati di essere umani su tutto il territorio dell’Unione e lungo tutte le rotte migratorie. Per monitorare i gruppi criminali organizzati che agiscono nel Mediterraneo, si attribuisce un ruolo chiave all’operazione JOT MARE, un team d’intelligence formato da agenti dell’Europol, l’ufficio di polizia europeo, ed esperti distaccati degli Stati membri.\r\n\r\nQuesta operazione è stata presentata come l’arma principale dell’Europa contro una nuova tratta degli schiavi ed è stata messa a punto utilizzando come modello la missione Atalanta con cui, dal 2008, l’Unione Europea combatte la pirateria nel Corno d’Africa. E’ tuttavia abbastanza evidente che entrambe le analogie sono a dir poco deboli. Per quanto il prezzo del servizio che si trovano costretti a pagare sia spropositato, i migranti/rifugiati non sono gli schiavi degli scafisti ma piuttosto i loro clienti. In presenza di canali legali per raggiungere un posto sicuro in cui vivere o cercare opportunità di lavoro e vita migliori, la domanda per i servizi offerti dagli scafisti verrebbe meno e con essa le reti del crimine organizzato.\r\nSe ci fosse la libera circolazione non ci sarebbe chi lucra sulla clandestinità.\r\nLa missione Atalanta ha ottenuto il mandato delle Nazioni Unite anche perché il governo provvisorio della Somalia allora al potere diede il suo appoggio alla missione. Sembra però molto improbabile che, anche nel caso in cui si formasse in Libia un governo di unità nazionale, questo darebbe il suo consenso ad Eunavfor med. Le autorità libiche sanno che si tratta di un’operazione militare che, come si legge nei protocolli riservati dell’Unione Europea recentemente pubblicati da WikiLeaks, potrebbe richiedere un impegno bellico di terra. Diversamente dalla guerra ai pirati, inoltre, Eunavfor Med dovrà misurarsi con il non banale problema di distruggere le imbarcazioni degli scafisti evitando che questi ultimi utilizzino i migranti come scudi umani.\r\n\r\nNulla è stato però detto per chiarire come questo sarà possibile. L’Europa preferisce imbarcarsi in una missione militare costosa e dagli “effetti collaterali” potenzialmente devastanti piuttosto che aprire le frontiere.\r\nD'altro canto sono decenni che le fortune politiche dei partiti politici europei si giocdano sul fronte dell'immigrazione.\r\n\r\nDi questo e di tanto altro, dalla crisi greca alle politiche del governo Renzi sull'immigrazione, dagli scenari di guerra agli accordi con la Libia, abbiamo parlato con Alessandro Dal Lago, studioso delle politiche di gestione delle migrazioni.\r\n\r\nAscolta la diretta:\r\n\r\ndal lago mediterraneo","7 Luglio 2015","2015-07-09 15:18:07","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari-200x110.jpeg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"201\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari-300x201.jpeg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari-300x201.jpeg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2015/07/navi-militari.jpeg 480w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Eunavfor. 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La crisi infatti ha prodotto debito pubblico e conseguenti tagli imposti dagli organismi internazionali che ha prodotto un movimento, Que se lixe a troika, portando il 2 marzo in piazza un milione di persone nelle principali città del paese iberico, come avviene ormai ogni settimana in Spagna.\r\n\r\nIl movimento può venire assimilato agli Indignados, ma con caratteristiche personali che attingono alla storia nazionale, benché l'afflato sia internazionalista. Ne parliamo con Giovanni Damele, ricercatore presso la Universidad Nova de Lisboa\r\n\r\nlisbona\r\n\r\n \r\n\r\n ","11 Marzo 2013","2013-03-21 11:29:31","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/03/portogallo-200x110.jpg","\u003Cimg width=\"300\" height=\"193\" src=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/03/portogallo-300x193.jpg\" class=\"ais-Hit-itemImage\" alt=\"\" decoding=\"async\" loading=\"lazy\" srcset=\"http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/03/portogallo-300x193.jpg 300w, http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/03/portogallo.jpg 480w\" sizes=\"auto, (max-width: 300px) 100vw, 300px\" />","Que se lixe a Troika: notizie dal Portogallo in movimento",1363003964,[258,259,260],"http://radioblackout.org/tag/crisi/","http://radioblackout.org/tag/lisbona/","http://radioblackout.org/tag/troika/",[262,21,17],"crisi",{"post_content":264},{"matched_tokens":265,"snippet":266,"value":267},[83],"in grado di attrarre una \u003Cmark>migrazione\u003C/mark> dalla madre patria e di","Anche il Portogallo ha sviluppato una resistenza alle politiche repressive e neoliberiste, nonostante la disattenzione del mondo per il paese da sempre considerato periferico e con un rapporto privilegiato con le sue colonie, che paradossalmente ora sono in grado di attrarre una \u003Cmark>migrazione\u003C/mark> dalla madre patria e di appropriarsi di pezzi della sua economia. 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Le proteste erano guidate soprattutto dai giovani, una generazione cresciuta con TikTok e PUBG e altri social media che intendeva ricordare ai partiti politici al potere e ai loro leader che il potere era nelle loro mani, non nella fortezza costituita dalla Green Zone. Le rivendicazioni riguardavano disoccupazione, incompetenza del governo, mancanza di servizi, corruzione endemica, la presenza di milizie e la diffusione crescente della povertà nel paese». Così scrive Kamal Chomani, giornalista nato nel Kurdistan iracheno.\r\nIn Occidente non se li è cagati nessuno, sono morti in 700, la rivolta si è estesa e non li hanno fermati nemmeno con i lanciafiamme.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/Bastioni-in-Iraq.mp3\"][/audio]\r\nParecchi fattori hanno contribuito all’esaurimento delle manifestazioni: innanzitutto il ruolo del governo e della milizia armata nell’azione brutale di repressione dei manifestanti, dove si stima che 700 siano stati uccisi, 15.000 feritie a centinaia si contano le persone arrestate, rapite o costrette a far perdere le proprie tracce; alcuni protagonisti del Movimento hanno trovato rifugio nel Kurdistan iracheno. A ciò si è aggiunto il fatto che Muqtada al-Sadr ha ritirato il suo appoggio alle proteste una volta raggiunto il suo obiettivo di costringere il governo alle dimissioni, e conseguito da parte dei manifestanti il risultato: lo scioglimento del governo. Ma se c’è una cosa da imparare dalla storia è che le aspirazioni giovanili e le manifestazioni non finiscono quando le forze di sicurezza sparano proiettili veri. Fermentano, la rabbia infuria e sale finché raggiunge il punto di ebollizione... e ora è esplosa a Sulaymaniyah\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nSiamo poi andati in India: tra proteste dei contadini per l’ambigua e iniqua riforma di Modi che rimuove i mediatori e mette i contadini nelle mani delle multinazionali delle distribuzioni; mentre il mediatore in franchising di Apple non paga i dipendenti a nemmeno un anno dall’operazione trumpiana di spostamento degli stabilimenti dalla Cina a Narsapura (Bangalore)... le risposte sono state centinaia di milioni di addetti ai campi in piazza e i lavoratori della concessionaria Apple che distruggono come moderni luddisti le strutture dell’azienda. Gran parte della forza lavoro (2.000 dipendenti) si è scagliata contro le linee di produzione, attaccando edifici, veicoli e uffici di dirigenti. Alle origini delle violenze, promesse di remunerazione non mantenute: Wistron, il prestanome di Apple, non ha rispettato specifici impegni. Un laureato in ingegneria neoassunto avrebbe dovuto guadagnare Rs 21.000 al mese, ma il suo stipendio è stato ridotto a Rs 12.000 negli ultimi mesi (134 euro contro i € 235 promessi). I non laureati in ingegneria devono accontentarsi di 8.000 rupie (89 euro).\r\n\r\nCi siamo occupati di India anche per le elezioni nel contrastato territorio del Jammu-Kashmir con le prime elezioni dopo le riforme antifederaliste di Modi che ha imposto il punto di vista hindu ai musulmani della regione, consultazione vinta dall’opposizione, che si è subito vista incarcerata non appena uscita vincitrice dalle urne...\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/2020-12-28_India.mp3\"][/audio]\r\n\r\n\r\n\r\nMa con un ardito aggancio tra continenti siamo passati dallo sfruttamento delle maestranze di Bangalore a quello delle miniere di coltan-tantalite del Congo, attraverso la commodity dell’acqua come bene rifugio, simile all’oro... e proprio questo metallo prezioso (insieme ai diamanti – ricordate Bokassa!? – e soprattutto all’uranio, fondamentale per le centrali nucleari francesi) ci ha portati alla tensione del Centrafrica a ridosso delle elezioni – in corso mentre trasmettevamo – e del tentativo di occupare Bangui da parte dei ribelli e la reazione delle truppe lealiste alleate di Mosca, perché la Russia ha trovato un facile grimaldello per penetrare il territorio centrafricano dopo i molti errori dei francesi. E un brivido ci percorre solo a pensare al ruolo che possono aver interpretato quelli della Wagner.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/2020-12-28_centrafrica.mp3\"][/audio]\r\n\r\nL’epilogo per ora è stata la distruzione il 29 dicembre del 14% delle urne non scrutinate dopo il voto da parte dei ribelli al potere di Touadera nell’Ovest del paese.\r\n\r\n\r\n\r\nIl pezzo forte di questo episodio di “Bastioni di Orione#3” era rappresentato dall’intervista schietta e fresca che un reporter in Uganda per seguire le elezioni (e che preferisce restare anonimo) ha realizzato con un sanguigno sostenitore di Bobi Wine e in questa traspare tutta la rabbia e la determinazione del ghetto di Kampala, dei lavoratori emigrati dei grandi laghi, delle maestranze impegnate nelle infrastrutture finanziate dai cinesi (di cui però Alex, il nostro testimone, non ha contezza)... le rimostranze sui bisogni misconosciuti da Museveni, il padre-padrone degli ultimi 30 anni dell’Uganda, che il 14 gennaio 2021 rischia di perdere il potere sotto la spinta alla ribellione nelle urne di un Movimento popolare che riempie le piazze e si scontra con la polizia. Gli arresti si susseguono, come la censura...\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/2020-12-28_Uganda.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\nQuesta è un tentativo di riassunto degli argomenti della intervista ad Alex Kamukama, che trovate integrale in fondo in inglese, tratta dallo Spreaker di OGzero.org.\r\n\r\nPossibile alleanza tra opposizioni anti-Museveni tra Besigyee Bobi Wine?\r\n\r\nCi sono state un paio di riunioni, si dovrebbe organizzare un’opposizione multipartitica per avere più peso contro Museveni, e nonostante gli interessi siano diversi l’obiettivo è rimuovere la dittatura.\r\n\r\nBesigye visto come oppositore a lungo. Ci sono state speculazioni all’inizio dell’anno che ci fossero legami tra Besigye e BW; un paio di incontri per vedere se potevano essere alleati. Museveni ha accumulato molte risorse e potere, ci sono state molte modifiche democratiche. BW ha costruito un movimento popolare per il cambiamento e rimuovere la dittatura\r\n\r\nPossibilità di farcela di BW?\r\n\r\nSì, c’è. Ci sono molte sfide di fronte a lui\r\n\r\nCi sono stati arresti ancora prima della campagna elettorale vera e propria, ma può farcela perché mobilita le folle. Ha dato un’unità di visione a chi aveva molti diversi problemi. La sua è prospettiva unica: parla di questione sociale, di violenza contro gli antagonisti del regime, di repressione durante le manifestazioni e tutto attraverso la musica, quindi la gente lo ama, lo ascolta. I giovani del ghetto si appassionano alla vita sociale. La mescolanza di questo crea il potere e lo renderebbe vincitore. Il punto forte è la costruzione del personaggio che passa attraverso la “transitional life” di uno che inizia dal basso e diventa una persona ammirata e ascoltata. Si crea l’identificazione nel pubblico. Se non ci sono brogli può vincere.\r\n\r\nDifferenze tra Besigye e BW\r\n\r\nBesigye era il medico personale di Museveni, attingono alla stessa tipologia di elettorato, fa parte della gente comune; era nella struttura, BW esce dalle lotte per sopravvivere, ha creato la propria immagine su quello: è il presidente del ghetto. C’è un gap tra chi studia e ce la fa a uscire dal ghetto e l’uomo comune. BW è una superstar, si è creato il suo seguito, ha costruito la sua immagine. BW visualizza i sogni della gente, il network costituito da chi lo segue e lo ascolta è coordinato, è il mondo dell’intrattenimento, le folle sono coordinate.\r\n\r\nInterferenze cinesi?\r\n\r\nNon so, no ne conosco. Ma siamo in un mondo globalizzato e quindi qualsiasi reazione UK Usa, cinese, fa da supporto magari alla cosiddetta rivoluzione. Ma non so, non direi che c’è un rapporto diretto di influenza, è un intervento esterno dovuto alla globalizzazione, non un’interferenza.\r\n\r\nLa causa di un tale consenso?\r\n\r\nBW parla di molti aspetti che riguardano la quotidianità di cui si sente il bisogno: l’acqua (è carissima: c’è un sacco di acqua in Uganda, perché dovrebbe essere così cara?), l’energia elettrica (le bollette sono carissime, si vende energia idroelettrica all’estero e non c’è per l’uganda, o costa carissima), le strade sono in costruzione, sono impossibili, se piove sono un disastro; la vita negli slums, le infrastrutture che mancano, i diritti umani di base violati, la fame, la sanità, il cibo (in tempo di Covid per esempio se il governo non sostiene in questo caso, lo ha promesso in tv quando la gente non poteva andare a lavorare per il virus, quando lo fa allora?). Il governo non risponde di tutto ciò. La gente non viene consultata, non c’è partecipazione, e bisogna stare zitti con la fame e le malattie? Vogliamo partecipazione. La gente va nelle strade e fa la rivoluzione se non c’è possibilità di partecipazione. Perché non dovremmo...? la gente vuole fatti, che vengano prese delle soluzioni. Innanzitutto quindi il governo va accantonato e poi abbiamo bisogno di partecipazione: cosa possiamo fare, in che modo possiamo contribuire per uscirne insieme, dobbiamo essere tutti alleati, solidali.\r\n\r\nMigrazione\r\n\r\nL’Uganda ha una tradizione forte di migrazione, è costruita su questa: ci sono molti rifugiati qui, i coloni hanno costruito la nazione e l’Uganda li accoglie, da Etiopia, Sudan, Burundi, Ruanda… sono benvenuti. È ospitale, dà della terra ai rifugiati, costruisce ospedali e scuole per loro, quindi con progetti a lungo termine, non sono qui di passaggio. Poi c’è anche migrazione interna, dalle campagne alla città, in cerca di lavoro, in particolare Kampala attrae e viene congestionata; dove poi c’è sovraffollamento, aumenta anche il crimine (perché il lavoro non si trova). Gli oppositori e i dissidenti migrano invece, o sono in esilio, per esempio gli omosessuali, non c’è tolleranza per lgbtq.\r\n\r\nSei sempre stato qui o hai viaggiato?\r\n\r\nHo viaggiato molto, 25 distretti, facendo lavori da tecnico delle comunicazioni, ma ora vivo qui a Kampala. È dura trovare lavoro, bisogna studiare, ti dicono che così trovi un buon lavoro, ma poi anche se studi non trovi. Bisogna essere raccomandati e basta, c’è uno scherzo diffuso che sintetizza tutto: non conta come conosci ma chi conosci…. dentro un’azienda o un ufficio.\r\n\r\nInternet?\r\n\r\nPatetico! Va male, c’è una tassa sul web, è cara. Per BW – considerato un eroe in rete – questo è un argomento clou perché l’informazione whatsapp, i social, sono importanti, un mucchio di informazioni vengono attinte dalla gente su internet e il parlamento si mette di traverso, ma il parlamento ha varato quella legge [della tassa su web?] e BW si è opposto…\r\n\r\nChe musica e che radio ascolti?\r\n\r\nRaggae, un po’ di rock, afropop, ascolto Galaxy FM, è nelle vicinanze e propone e promuove talenti locali, e dialoga col pubblico su questioni sociali, promuove cultura. Anche Radio Airplay, per la musica, perché trasmette la musica che suono io senza chiedermi soldi, dà opportunità di promuoversi\r\n\r\nRepressione contro BW?\r\n\r\nSì, è triste… stava parlando e diceva cose vere e sono intervenuti brutalmente durante le manifestazioni e anche quando stava semplicemente parlando durante i comizi. Non era né buono, né cattivo quello che diceva, semplicemente la verità. E la verità è verità, c’è poco da fare: la verità va detta. Ci dovrebbe essere la libertà di parola ma in realtà non c’è: i media hanno censurato, ma in un modo o nell’altro la verità viene sempre fuori. C’è molta violenza fisica, è il risultato di un regime che non vuole che esca la verità: è umano reagire quando la violenza della repressione colpisce la gente, è naturale che se sei sotto il fuoco, reagisci finché non si arriva a trovare una soluzione. Il silenzio mette al sicuro dalla repressione.\r\n\r\nAltre forme di resistenza?\r\n\r\nSì, ci sono molte forme di potere: quello fisico… il potere invisibile della cultura, il People Power Movement ha dipinto chiaramente la situazione reale: quello per cui abbiamo combattuto, la libertà d’espressione, le eguali opportunità, la giustizia sociale; la corruzione, la distribuzione iniqua delle ricchezze, la mancanza di lavoro, cerca soluzioni. Non si può essere arrabbiati per una settimana o per un mese, avere un lavoro per un anno; ci va una soluzione, e il governo non sembra avere alcuna soluzione. Per esempio è stato lanciato l’EMIOGA Program per il lavoro, non ha funzionato perché non c’è stata consultazione con il popolo prima di lanciarlo. Non c’è stata discussione, la gente avrebbe avuto la soluzione ma non li hanno ascoltati. Forse altri al Governo ci ascolterebbero, chi negli ultimi 10 anni ci ha aperto le porte, trovato il cibo che manca. Fabbricare un ponte con la gente. Il Movimento fa questo, prende il potere per muoversi, sollevarsi, una libertà non perché vuoi combattere il governo, ma per liberare se stessi dalla vita che si vive… questo potere viene dal cuore, perché si relazione con il popolo. Si lancia in un momento animato di retorica, anche ispirata e un po’ vacua\r\n\r\nReazione alla violenza\r\n\r\nI casi sono due: o mi proteggo e basta o cerco di parlare e ridurre la rabbia di quelli che reprimono. Posso parlare, creare una relazione. Innanzitutto bisogna parlare. In quanto appartenenti alla stessa nazione, è responsabilità di ogni ugandese di farsi carico di ciò che capita nella tua nazione: se sei patriota devi seguire tutto ciò che capita in Uganda, questo il motivo per cui la gente prende parola. La gente violenta è stata resa violenta dal potere. Se c’è benessere non si passa alla violenza, bisogna comunicare con i parenti, i genitori, le mogli di questi che usano la violenza, far capire che la violenza è un circolo vizioso. Bisogna scrivere sì ma non solo al governo, anche alla gente. Bisogna anche calmare la rabbia della gente. Sono un membro dell’opposizione e penso che chi viene dopo non deve parlare di potere ma di cose che si devono fare… E quindi serve un leader che sia raggiungibile, che ascolti la gente, che renda possibile la partecipazione: interessante per lui è come da un leader si crea una leadership.\r\n\r\nPrendere questa risoluzione: il governo deve cambiare, oppure noi lo cambieremo. People power, our power\r\n\r\nAscolta \"Kampala visualizza i suoi sogni\" su Spreaker.\r\n\r\n ","30 Dicembre 2020","2021-01-12 23:06:51","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/12/Tishrin-revolution-200x110.png","I Bastioni di Kampala#03: Iraq e India diversamente in lotta; Bangui e Mosca; e soprattutto l'Uganda","podcast",1609288986,[338,339,340,341,342,343],"http://radioblackout.org/tag/bobi-wine/","http://radioblackout.org/tag/centrafrica/","http://radioblackout.org/tag/india/","http://radioblackout.org/tag/iraq/","http://radioblackout.org/tag/museveni/","http://radioblackout.org/tag/uganda/",[345,346,347,348,314,306],"Bobi Wine","Centrafrica","india","iraq",{"post_content":350},{"matched_tokens":351,"snippet":352,"value":353},[83,76],"di passaggio. Poi c’è anche \u003Cmark>migrazione\u003C/mark> \u003Cmark>interna\u003C/mark>, dalle campagne alla città, in","«L’anno scorso migliaia di iracheni scesero in strada per protestare contro la corruzione delle istituzioni. 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BW ha costruito un movimento popolare per il cambiamento e rimuovere la dittatura\r\n\r\nPossibilità di farcela di BW?\r\n\r\nSì, c’è. Ci sono molte sfide di fronte a lui\r\n\r\nCi sono stati arresti ancora prima della campagna elettorale vera e propria, ma può farcela perché mobilita le folle. Ha dato un’unità di visione a chi aveva molti diversi problemi. La sua è prospettiva unica: parla di questione sociale, di violenza contro gli antagonisti del regime, di repressione durante le manifestazioni e tutto attraverso la musica, quindi la gente lo ama, lo ascolta. I giovani del ghetto si appassionano alla vita sociale. La mescolanza di questo crea il potere e lo renderebbe vincitore. Il punto forte è la costruzione del personaggio che passa attraverso la “transitional life” di uno che inizia dal basso e diventa una persona ammirata e ascoltata. Si crea l’identificazione nel pubblico. 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Ma non so, non direi che c’è un rapporto diretto di influenza, è un intervento esterno dovuto alla globalizzazione, non un’interferenza.\r\n\r\nLa causa di un tale consenso?\r\n\r\nBW parla di molti aspetti che riguardano la quotidianità di cui si sente il bisogno: l’acqua (è carissima: c’è un sacco di acqua in Uganda, perché dovrebbe essere così cara?), l’energia elettrica (le bollette sono carissime, si vende energia idroelettrica all’estero e non c’è per l’uganda, o costa carissima), le strade sono in costruzione, sono impossibili, se piove sono un disastro; la vita negli slums, le infrastrutture che mancano, i diritti umani di base violati, la fame, la sanità, il cibo (in tempo di Covid per esempio se il governo non sostiene in questo caso, lo ha promesso in tv quando la gente non poteva andare a lavorare per il virus, quando lo fa allora?). Il governo non risponde di tutto ciò. La gente non viene consultata, non c’è partecipazione, e bisogna stare zitti con la fame e le malattie? Vogliamo partecipazione. La gente va nelle strade e fa la rivoluzione se non c’è possibilità di partecipazione. Perché non dovremmo...? la gente vuole fatti, che vengano prese delle soluzioni. Innanzitutto quindi il governo va accantonato e poi abbiamo bisogno di partecipazione: cosa possiamo fare, in che modo possiamo contribuire per uscirne insieme, dobbiamo essere tutti alleati, solidali.\r\n\r\n\u003Cmark>Migrazione\u003C/mark>\r\n\r\nL’Uganda ha una tradizione forte di \u003Cmark>migrazione\u003C/mark>, è costruita su questa: ci sono molti rifugiati qui, i coloni hanno costruito la nazione e l’Uganda li accoglie, da Etiopia, Sudan, Burundi, Ruanda… sono benvenuti. È ospitale, dà della terra ai rifugiati, costruisce ospedali e scuole per loro, quindi con progetti a lungo termine, non sono qui di passaggio. Poi c’è anche \u003Cmark>migrazione\u003C/mark> \u003Cmark>interna\u003C/mark>, dalle campagne alla città, in cerca di lavoro, in particolare Kampala attrae e viene congestionata; dove poi c’è sovraffollamento, aumenta anche il crimine (perché il lavoro non si trova). Gli oppositori e i dissidenti migrano invece, o sono in esilio, per esempio gli omosessuali, non c’è tolleranza per lgbtq.\r\n\r\nSei sempre stato qui o hai viaggiato?\r\n\r\nHo viaggiato molto, 25 distretti, facendo lavori da tecnico delle comunicazioni, ma ora vivo qui a Kampala. È dura trovare lavoro, bisogna studiare, ti dicono che così trovi un buon lavoro, ma poi anche se studi non trovi. Bisogna essere raccomandati e basta, c’è uno scherzo diffuso che sintetizza tutto: non conta come conosci ma chi conosci…. dentro un’azienda o un ufficio.\r\n\r\nInternet?\r\n\r\nPatetico! Va male, c’è una tassa sul web, è cara. Per BW – considerato un eroe in rete – questo è un argomento clou perché l’informazione whatsapp, i social, sono importanti, un mucchio di informazioni vengono attinte dalla gente su internet e il parlamento si mette di traverso, ma il parlamento ha varato quella legge [della tassa su web?] e BW si è opposto…\r\n\r\nChe musica e che radio ascolti?\r\n\r\nRaggae, un po’ di rock, afropop, ascolto Galaxy FM, è nelle vicinanze e propone e promuove talenti locali, e dialoga col pubblico su questioni sociali, promuove cultura. Anche Radio Airplay, per la musica, perché trasmette la musica che suono io senza chiedermi soldi, dà opportunità di promuoversi\r\n\r\nRepressione contro BW?\r\n\r\nSì, è triste… stava parlando e diceva cose vere e sono intervenuti brutalmente durante le manifestazioni e anche quando stava semplicemente parlando durante i comizi. Non era né buono, né cattivo quello che diceva, semplicemente la verità. E la verità è verità, c’è poco da fare: la verità va detta. Ci dovrebbe essere la libertà di parola ma in realtà non c’è: i media hanno censurato, ma in un modo o nell’altro la verità viene sempre fuori. C’è molta violenza fisica, è il risultato di un regime che non vuole che esca la verità: è umano reagire quando la violenza della repressione colpisce la gente, è naturale che se sei sotto il fuoco, reagisci finché non si arriva a trovare una soluzione. Il silenzio mette al sicuro dalla repressione.\r\n\r\nAltre forme di resistenza?\r\n\r\nSì, ci sono molte forme di potere: quello fisico… il potere invisibile della cultura, il People Power Movement ha dipinto chiaramente la situazione reale: quello per cui abbiamo combattuto, la libertà d’espressione, le eguali opportunità, la giustizia sociale; la corruzione, la distribuzione iniqua delle ricchezze, la mancanza di lavoro, cerca soluzioni. Non si può essere arrabbiati per una settimana o per un mese, avere un lavoro per un anno; ci va una soluzione, e il governo non sembra avere alcuna soluzione. Per esempio è stato lanciato l’EMIOGA Program per il lavoro, non ha funzionato perché non c’è stata consultazione con il popolo prima di lanciarlo. Non c’è stata discussione, la gente avrebbe avuto la soluzione ma non li hanno ascoltati. Forse altri al Governo ci ascolterebbero, chi negli ultimi 10 anni ci ha aperto le porte, trovato il cibo che manca. Fabbricare un ponte con la gente. Il Movimento fa questo, prende il potere per muoversi, sollevarsi, una libertà non perché vuoi combattere il governo, ma per liberare se stessi dalla vita che si vive… questo potere viene dal cuore, perché si relazione con il popolo. Si lancia in un momento animato di retorica, anche ispirata e un po’ vacua\r\n\r\nReazione alla violenza\r\n\r\nI casi sono due: o mi proteggo e basta o cerco di parlare e ridurre la rabbia di quelli che reprimono. Posso parlare, creare una relazione. Innanzitutto bisogna parlare. In quanto appartenenti alla stessa nazione, è responsabilità di ogni ugandese di farsi carico di ciò che capita nella tua nazione: se sei patriota devi seguire tutto ciò che capita in Uganda, questo il motivo per cui la gente prende parola. La gente violenta è stata resa violenta dal potere. Se c’è benessere non si passa alla violenza, bisogna comunicare con i parenti, i genitori, le mogli di questi che usano la violenza, far capire che la violenza è un circolo vizioso. Bisogna scrivere sì ma non solo al governo, anche alla gente. Bisogna anche calmare la rabbia della gente. Sono un membro dell’opposizione e penso che chi viene dopo non deve parlare di potere ma di cose che si devono fare… E quindi serve un leader che sia raggiungibile, che ascolti la gente, che renda possibile la partecipazione: interessante per lui è come da un leader si crea una leadership.\r\n\r\nPrendere questa risoluzione: il governo deve cambiare, oppure noi lo cambieremo. 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Non è difficile immaginare, dato quanto abbiamo sotto gli occhi, come si ripercuoterebbero queste nuove pressioni sui ceti popolari di gran parte d’Europa, stremati da ulteriori decenni di stagnazione e recessioni e definitivamente avvelenati dalla competizione tra vecchi residenti e nuovi arrivati… Grandi movimenti di popolazione in mezzo mondo sono in atto anche a causa del sistema delle grandi opere: dighe, miniere, progetti di deforestazione. Spesso questi profughi interni sono spinti alla fuga dalla violenza dello stato o delle bande paramilitari. Spesso questi fenomeni sono alla base della crescita smisurata delle megalopoli del Sud globale.\r\nA seguire un prezioso contributo su questi temi, raccolto durante una conferenza a Torino, di Marika Di Pierri, storica attivista di A Sud.\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/voci_12a.mp3\"][/audio]","23 Febbraio 2020","2020-02-23 10:02:42","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2020/02/Migranti-climatici-rapporto-della-Banca-mondiale2-1140x955-1-200x110.jpg","MIGRANTI CLIMATICI -VOCI DALL’ANTROPOCENE #12 – 17/02/20",1582452096,[371],"http://radioblackout.org/tag/voci-antropocene/",[373],"voci antropocene",{"post_content":375},{"matched_tokens":376,"snippet":377,"value":378},[83,76],"aree più colpite all'incremento della \u003Cmark>migrazione\u003C/mark> \u003Cmark>interna\u003C/mark> che toccherà il 2,8% della","Secondo diversi studi i cambiamenti climatici in atto provocheranno entro il 2050 migrazioni di 250 milioni di persone. 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Si comincia con las empanadas servite da Darín a Milei su un piatto d'argento ci vengono descritte direttamente da Buenos Aires dove si trova Alfredo Somoza, che ne trae un quadro socio-economico della trasformazione argentina in corso; gli abbiamo chiesto anche un punto di vista più ravvicinato sulle elezioni venezuelane e sulle presenze paramilitari nel Mexico in cui i collaboratori della sindaca del DF vengono assassinati.\r\nUn’altra regione di tensioni lontane dai riflettori distratti del circo mediatico è la Serbia attraversata da uno schietto movimento nato nelle università, dove i ragazzi hanno fatto un ottimo lavoro di risveglio anche della società civile, mobilitata contro il sistema di potere di Vučić... ma la marcia verso l’UE per ottenere appoggio è sfumata di fronte al disinteresse interessato dei palazzi europei e all'interno si avanza il rischio di infiltrazioni naziste in stile Maidan: finora la vigilanza ha mantenuto il movimento sui binari di rifiuto di ogni egemonia. Speriamo duri, abbiamo espresso questo augurio con Tatjana Djordjević.\r\nSuccoso il finale di puntata con un intervento particolarmente illuminante di Andrea Fumagalli, che ha descritto con acume lo schema strategico di Trump; una trama che sulla carta potrebbe funzionare, se tutti i tasselli della scommessa economica attivata per salvare l’egemonia dell'imperialismo americano che sta frantumandosi sui due debiti.\r\n\r\n\r\n\r\nA partire da un dibattito tutto tipicamente argentino sul costo delle empanadas all’epoca dell’anarcocapitalismo Alfredo Somoza ci dà una descrizione della situazione socio-economica dell’Argentina di Milei direttamente da una Buenos Aires sgravata dal mercato nero della divisa americana dalla svalutazione del dollaro, che come potere d’acquisto ha dato respiro ai salari, che nella stretta connessione con gli Usa ne traggono vantaggio. Il carovita comunque esiste, nonostante la distrazione delle empanadas che fa gioco alla potenza di fuoco dei social a favore di Milei, dimostrata dall’influenza che ha avuto sulle elezioni l’uso smodato della AI, appalesando la difficoltà a comprendere il singolo video, il singolo messaggio se siano reali o costruiti… news o fake.\r\nLa scorciatoia del riflesso pavolviano delle destre che individuano il contrasto al fenomeno migratorio come soluzione per le crisi economiche è difficilmente applicabile in un paese fatto di migranti, figli di flussi secolari di immigrati, prima da Oltreoceano e ora dai paesi limitrofi, genti soprattutto alla ricerca di sanità assicurata, ius soli e istruzione gratuita. Oltre alla situazione politica all’interno dei paesi di provenienza (ora la maggioranza dei recenti arrivi proviene dal Venezuela). Su questo si innesta l’ideologia della remigracion che degenera nel razzismo dei rimpatri mai successi nella accogliente terra argentina, ma Milei doveva mostrare al suo elettorato che prendeva di petto il problema.\r\nE infatti il presidente si è rafforzato ed è riuscito a prosciugare il bacino elettorale dei conservatori classici, o meglio il lavoro politico di sua sorella Carina, sottosegretaria alla presidenza, ha sortito il suo effetto. Anche grazie al sospiro di sollievo di una nazione in cui il tasso di inflazione è passato dal 240 al 24% annuo; pagato dalle pensioni e dal welfare azzerato. Un’inflazione che colpisce soprattutto l’economia del peso e non quella dei ricchi che vivono in un’economia di dollari e non si è intervenuti sul «gigantesco problema di infrastrutture vecchie e l’efficienza della scuola pubblica» su cui questo governo populista non ha alcun piano, pensando che combattendo la corruzione si risolverà tutto per magia.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/0Onoxm8U2Uk23lPipo0YSn?si=LrcipfzKQZ6BIX3H1nS3tQ\r\n\r\nL‘opposizione si è intestata la vittoria perché ufficialmente il 43% dei venezuelani è andato al voto (secondo Machado solo il 14), ma Maduro è comunque uscito rafforzato – come Milei – dal voto amministrativo, che ha compreso pure il distretto della Guyana Essequiba, un territorio contestato per un effetto di eredità coloniale, una regione ricca di materie prime e di petrolio, una disputa che Alfredo Somoza assimila a quello su Las Malvinas al tempo di Videla, perché nessuno in Sudamerica riconosce che si possano mettere in dubbio confini e non comunque in questo modo. Paradossale è il racconto che ci viene fatto sulla Guinea Equatoriale – il paese africano sotto un regime quarantennale – che era parte del Vicereame di cui Buenos Aires a cui un arcipelago si appella per affrancarsi dalla Guinea equatoriale. Una situazione surreale come quella di Essequiba. Per bilanciare la stigmatizzazione del nostro interlocutore, segnaliamo anche il racconto all’opposto di Geraldina Colotti che su “Pagine Esteri” racconta da un punto di vista opposto sia le pretese di Caracas sul nuovo stato, sia il voto del 25 maggio: https://pagineesteri.it/2025/05/29/america-latina/maduro-trionfa-nelle-elezioni-del-25-maggio-la-destra-ha-vinto-lastensione/\r\nAlfredo considera questa tornata elettorale il secondo tempo delle elezioni che avrebbero confermato Maduro presidente, ma di cui nessuno ha ancora potuto vedere i verbali; il 25 maggio non c’erano osservatori e le operazioni di voto sono ormai un risibile teatrino. Ma il vero dramma è la emigrazione massiva: un esodo che fino a poco tempo fa era attribuibile alla opposizione retriva e pasticciona, ora – con l’involuzione del chavismo – le colpe sono di tutta la classe politica.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/2MaoXE6e6viGZfj77OwEr6?si=_xuznyf4RuKOWQeL7G7ZhQ\r\n\r\nAnche in Mexico sono stati il 14 per cento gli elettori che per la prima volta al mondo sono stati chiamati a eleggere i magistrati che dovranno gestire il potere giudiziario, ma di questo non abbiamo parlato con Alfredo Somoza, piuttosto si è discusso dei due collaboratori della sindaca del DF uccisi dalla necropolitica e dei paramilitari, diffusi sul territorio, ma in particolare in Chiapas.\r\nL’omicidio di Ximena Guzmán e José Muñoz è un attacco diretto al partito della presidenta Claudia Scheinbaum e della sindaca, non rivendicato dai Narcos. Peraltro ulteriore mistero nasce dal fatto che il DF non è un territorio conteso come potrebbe essere Oaxaca o Sinaloa, eppure i killer hanno dimostrato una professionalità assimilabile ai cartelli… o ai paramilitari al servizio dei possidenti del Sud: sul Chiapas si concentra un’assenza di controllo sia dal punto di vista della migrazione, sia del fentanil, sia dei paramilitari assoldati dai terratenientes. A trent’anni dalla comparsa dell’Ezln.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/6VfLix6SWeTRYG2XRVYNBU?si=t1M9cQf3SyOLIlq1E83APw\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/DaBuenosAires.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast latinoamericani precedenti pigia qui.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nContinuano le manifestazioni in Serbia, anzi sono state esportate in “Europa” con biciclettate di centinaia di chilometri e presidi, senza ottenere l’attenzione dovuta, perché le relazioni comunitarie con Vučić nascondono interessi tali da impedire qualsiasi timida protesta verso la democratura nazionalista di Belgrado. E mentre Vučić intrattiene rapporti con gli europei, non disdegna alleanze con Putin – recente è il viaggio a Mosca e la posizione sulla guerra in Ucraina del leader populista gli permette di barcamenarsi – e con Xi; ma il movimento nato dalle università non demorde.\r\nPerò rischia infiltrazioni: infatti se da un lato continua a mantenere la sua distanza da chiunque cerchi di egemonizzare e a fare blocchi e scendere in piazza, dall’altro si comincia a vociferare di presenze anche di destra quando all’inizio l’influenza era progressista e antinazionalista, che potrebbero preparare uno scenario assimilabile alla nefasta Maidan di Kyiv. Perciò abbiamo interpellato Tatjana Djordjević per comprendere quali sviluppi possiamo attenderci da questa ribellione dal basso che ha intercettato mugugni e indignazioni della società civile, dandogli voce: sono andati a stanare il malcontento nella Serbia profonda, isolata, hanno attraversato a piedi il paese per incontrare la mentalità dei paesi. La richiesta sostanzialmente è un cambio di regime, ma cominciano a essere stremati dopo mesi di blocco delle attività universitarie.\r\nPurtroppo i nazionalismi sono persino più rafforzati dopo la Guerra nei Balcani, e la Storia si ripete..\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/a-che-punto-e-la-notte-in-serbia--66372615\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/QuantaStradaHanFattaSerbi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi ai nazionalismi esteuropei qui potete trovare i conflitti che attraversano anche i balcani\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nCaos e instabilità portano scompiglio, ma sembrano funzionali a uno schema preciso dell’amministrazione trumpiana che sulla carta va producendo una trama che potrebbe funzionare, nonostante lo scetticismo derisorio e le reazioni dei mercati, rivoluzionando il sistema economico-finanziario globale, ribaltando la tensione verso la globalizzazione su cui le strategie americane avevano puntato dagli ani Novanta per mantenere l’egemonia economica e tecnologica.\r\nAndrea Fumagalli segue questo schema, ricostruendolo ai nostri microfoni l’ideologia libertarian dell’anarcocapitalismo mescolata alla clava dello statalismo daziario. Ci sono resistenze da parte di apparati (come lo stop della Corte che ha tentato di invalidare l’operazione sui dazi del Liberation day) e istituzioni che tentano di impedire lo sviluppo del velleitario piano trumpiano, che è sicuramente temerario e la scommessa è sul filo del rasoio: potrebbe finire come quello di Zsa-Zsa Korda nell’ultimo film di Wes Anderson, ma per ora mantiene le sue ipotesi di avere i mezzi per ribaltare attraverso il protezionismo la tendenza al declino dell’imperialismo americano.\r\nNegli ultimi anni tutto era regolato dal Washington Consensus e gli apparati che gestivano fino alla crisi del 2008, poi l’ordine mondiale è venuto meno, inceppando il meccanismo della globalizzazione, lasciando sviluppare altri imperialismi; Trump è il frutto di questa perdita di egemonia ed è reazione alla rete intessuta da Pechino. 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Il carovita comunque esiste, nonostante la distrazione delle empanadas che fa gioco alla potenza di fuoco dei social a favore di Milei, dimostrata dall’influenza che ha avuto sulle elezioni l’uso smodato della AI, appalesando la difficoltà a comprendere il singolo video, il singolo messaggio se siano reali o costruiti… news o fake.\r\nLa scorciatoia del riflesso pavolviano delle destre che individuano il contrasto al fenomeno migratorio come soluzione per le crisi economiche è difficilmente applicabile in un paese fatto di migranti, figli di flussi secolari di immigrati, prima da Oltreoceano e ora dai paesi limitrofi, genti soprattutto alla ricerca di sanità assicurata, ius soli e istruzione gratuita. Oltre alla situazione politica all’interno dei paesi di provenienza (ora la maggioranza dei recenti arrivi proviene dal Venezuela). Su questo si innesta l’ideologia della remigracion che degenera nel razzismo dei rimpatri mai successi nella accogliente terra argentina, ma Milei doveva mostrare al suo elettorato che prendeva di petto il problema.\r\nE infatti il presidente si è rafforzato ed è riuscito a prosciugare il bacino elettorale dei conservatori classici, o meglio il lavoro politico di sua sorella Carina, sottosegretaria alla presidenza, ha sortito il suo effetto. Anche grazie al sospiro di sollievo di una nazione in cui il tasso di inflazione è passato dal 240 al 24% annuo; pagato dalle pensioni e dal welfare azzerato. Un’inflazione che colpisce soprattutto l’economia del peso e non quella dei ricchi che vivono in un’economia di dollari e non si è intervenuti sul «gigantesco problema di infrastrutture vecchie e l’efficienza della scuola pubblica» su cui questo governo populista non ha alcun piano, pensando che combattendo la corruzione si risolverà tutto per magia.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/0Onoxm8U2Uk23lPipo0YSn?si=LrcipfzKQZ6BIX3H1nS3tQ\r\n\r\nL‘opposizione si è intestata la vittoria perché ufficialmente il 43% dei venezuelani è andato al voto (secondo Machado solo il 14), ma Maduro è comunque uscito rafforzato – come Milei – dal voto amministrativo, che ha compreso pure il distretto della Guyana Essequiba, un territorio contestato per un effetto di eredità coloniale, una regione ricca di materie prime e di petrolio, una disputa che Alfredo Somoza assimila a quello su Las Malvinas al tempo di Videla, perché nessuno in Sudamerica riconosce che si possano mettere in dubbio confini e non comunque in questo modo. Paradossale è il racconto che ci viene fatto sulla Guinea Equatoriale – il paese africano sotto un regime quarantennale – che era parte del Vicereame di cui Buenos Aires a cui un arcipelago si appella per affrancarsi dalla Guinea equatoriale. Una situazione surreale come quella di Essequiba. Per bilanciare la stigmatizzazione del nostro interlocutore, segnaliamo anche il racconto all’opposto di Geraldina Colotti che su “Pagine Esteri” racconta da un punto di vista opposto sia le pretese di Caracas sul nuovo stato, sia il voto del 25 maggio: https://pagineesteri.it/2025/05/29/america-latina/maduro-trionfa-nelle-elezioni-del-25-maggio-la-destra-ha-vinto-lastensione/\r\nAlfredo considera questa tornata elettorale il secondo tempo delle elezioni che avrebbero confermato Maduro presidente, ma di cui nessuno ha ancora potuto vedere i verbali; il 25 maggio non c’erano osservatori e le operazioni di voto sono ormai un risibile teatrino. Ma il vero dramma è la emigrazione massiva: un esodo che fino a poco tempo fa era attribuibile alla opposizione retriva e pasticciona, ora – con l’involuzione del chavismo – le colpe sono di tutta la classe politica.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/2MaoXE6e6viGZfj77OwEr6?si=_xuznyf4RuKOWQeL7G7ZhQ\r\n\r\nAnche in Mexico sono stati il 14 per cento gli elettori che per la prima volta al mondo sono stati chiamati a eleggere i magistrati che dovranno gestire il potere giudiziario, ma di questo non abbiamo parlato con Alfredo Somoza, piuttosto si è discusso dei due collaboratori della sindaca del DF uccisi dalla necropolitica e dei paramilitari, diffusi sul territorio, ma in particolare in Chiapas.\r\nL’omicidio di Ximena Guzmán e José Muñoz è un attacco diretto al partito della presidenta Claudia Scheinbaum e della sindaca, non rivendicato dai Narcos. Peraltro ulteriore mistero nasce dal fatto che il DF non è un territorio conteso come potrebbe essere Oaxaca o Sinaloa, eppure i killer hanno dimostrato una professionalità assimilabile ai cartelli… o ai paramilitari al servizio dei possidenti del Sud: sul Chiapas si concentra un’assenza di controllo sia dal punto di vista della \u003Cmark>migrazione\u003C/mark>, sia del fentanil, sia dei paramilitari assoldati dai terratenientes. A trent’anni dalla comparsa dell’Ezln.\r\n\r\nhttps://open.spotify.com/episode/6VfLix6SWeTRYG2XRVYNBU?si=t1M9cQf3SyOLIlq1E83APw\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/DaBuenosAires.mp3\"][/audio]\r\n\r\nPer ascoltare i podcast latinoamericani precedenti pigia qui.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\nContinuano le manifestazioni in Serbia, anzi sono state esportate in “Europa” con biciclettate di centinaia di chilometri e presidi, senza ottenere l’attenzione dovuta, perché le relazioni comunitarie con Vučić nascondono interessi tali da impedire qualsiasi timida protesta verso la democratura nazionalista di Belgrado. E mentre Vučić intrattiene rapporti con gli europei, non disdegna alleanze con Putin – recente è il viaggio a Mosca e la posizione sulla guerra in Ucraina del leader populista gli permette di barcamenarsi – e con Xi; ma il movimento nato dalle università non demorde.\r\nPerò rischia infiltrazioni: infatti se da un lato continua a mantenere la sua distanza da chiunque cerchi di egemonizzare e a fare blocchi e scendere in piazza, dall’altro si comincia a vociferare di presenze anche di destra quando all’inizio l’influenza era progressista e antinazionalista, che potrebbero preparare uno scenario assimilabile alla nefasta Maidan di Kyiv. Perciò abbiamo interpellato Tatjana Djordjević per comprendere quali sviluppi possiamo attenderci da questa ribellione dal basso che ha intercettato mugugni e indignazioni della società civile, dandogli voce: sono andati a stanare il malcontento nella Serbia profonda, isolata, hanno attraversato a piedi il paese per incontrare la mentalità dei paesi. La richiesta sostanzialmente è un cambio di regime, ma cominciano a essere stremati dopo mesi di blocco delle attività universitarie.\r\nPurtroppo i nazionalismi sono persino più rafforzati dopo la Guerra nei Balcani, e la Storia si ripete..\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/a-che-punto-e-la-notte-in-serbia--66372615\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2025/05/QuantaStradaHanFattaSerbi.mp3\"][/audio]\r\n\r\nNella collezione di podcast di \"Bastioni di Orione\" relativi ai nazionalismi esteuropei qui potete trovare i conflitti che attraversano anche i balcani\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\nCaos e instabilità portano scompiglio, ma sembrano funzionali a uno schema preciso dell’amministrazione trumpiana che sulla carta va producendo una trama che potrebbe funzionare, nonostante lo scetticismo derisorio e le reazioni dei mercati, rivoluzionando il sistema economico-finanziario globale, ribaltando la tensione verso la globalizzazione su cui le strategie americane avevano puntato dagli ani Novanta per mantenere l’egemonia economica e tecnologica.\r\nAndrea Fumagalli segue questo schema, ricostruendolo ai nostri microfoni l’ideologia libertarian dell’anarcocapitalismo mescolata alla clava dello statalismo daziario. Ci sono resistenze da parte di apparati (come lo stop della Corte che ha tentato di invalidare l’operazione sui dazi del Liberation day) e istituzioni che tentano di impedire lo sviluppo del velleitario piano trumpiano, che è sicuramente temerario e la scommessa è sul filo del rasoio: potrebbe finire come quello di Zsa-Zsa Korda nell’ultimo film di Wes Anderson, ma per ora mantiene le sue ipotesi di avere i mezzi per ribaltare attraverso il protezionismo la tendenza al declino dell’imperialismo americano.\r\nNegli ultimi anni tutto era regolato dal Washington Consensus e gli apparati che gestivano fino alla crisi del 2008, poi l’ordine mondiale è venuto meno, inceppando il meccanismo della globalizzazione, lasciando sviluppare altri imperialismi; Trump è il frutto di questa perdita di egemonia ed è reazione alla rete intessuta da Pechino. Su tutto questo si innesca il problema dei due elementi di debito americano (interno ed esterno) che rischiano di far implodere tutto il sistema americano: solo se il dollaro rimane valuta appetibile gli Usa possono evitare il tracollo.\r\nDi qui il tentativo di ridurre il debito estero attraverso i dazi che fanno pagare il debito al resto del mondo con quei tassi (importando però inflazione e stagflazione che riducono il potere d’acquisto, con effetto recessivo interno), ma anche eliminando fortemente la tassazione \u003Cmark>interna\u003C/mark> sui ricchi, incrementando le tasse dei poveri con l’eliminazione dei crediti di imposta.\r\nLa logica commerciale è fatta di accordi personali che stravolgono ulteriormente il quadro e possono comportare una vera Rivoluzione del sistema economico-finanziario come lo conosciamo.\r\n\r\nhttps://www.spreaker.com/episode/the-trumpian-scheme--66348340\r\n\r\nSi possono ascoltare i podcast relativi alla rivoluzione anarcocapitalista trumpiana qui\r\n\r\n ",[403],{"field":144,"matched_tokens":404,"snippet":400,"value":401},[83],1155199671761633300,{"best_field_score":407,"best_field_weight":149,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":408,"tokens_matched":106,"typo_prefix_score":46},"1112386306048","1155199671761633393",{"document":410,"highlight":432,"highlights":437,"text_match":405,"text_match_info":440},{"comment_count":46,"id":411,"is_sticky":46,"permalink":412,"podcastfilter":413,"post_author":414,"post_content":415,"post_date":416,"post_excerpt":52,"post_id":411,"post_modified":417,"post_thumbnail":418,"post_title":419,"post_type":335,"sort_by_date":420,"tag_links":421,"tags":427},"89492","http://radioblackout.org/podcast/migration-pact-la-normativizzazione-del-razzismo/",[286],"harraga","In questo approfondimento andato in onda su Harraga, abbiamo tentato di analizzare tendenze e strategie del nuovo patto migranti dell'Unione Europea assieme ad un attivista d’inchiesta di Statewatch.\r\n\r\nTra le migliaia di pagine del migrant pact EU abbiamo individuato una serie di punti nevralgici che caratterizzano il passaggio da un sistema basato sulla coerenza a un sistema che codifica e legittima le pratiche di respingimento fondate su violenza in frontiera e abuso. Pratiche che negli anni sono state fatte proprie dagli Stati membri e che questo pacchetto cristallizza in un corpus normativo.\r\n\r\nAlla base del patto troviamo uno stravolgimento del concetto di solidarietà, intesa come solidarietà tra Stati e non verso chi migra, l'inquadramento delle persone che migrano non come individui, ma come fattore di rischio ed infine la discrezionalità per gli Stati membri di derogare, attraverso l'apertura dello stato di crisi migratoria, agli obblighi relativi alla libera circolazione delle persone sul territorio europeo.\r\n\r\nTra gli strumenti per favorire un maggiore controllo delle frontiere:\r\n- SCREANING all'ingresso dei confini europeri e raccolta di dati biometrici e sensibili (DNA, religione, orientamento politico, orientamento sessuale, ecc), attraverso i quali implementare la capacità e l'INTEROPERABILITÀ DELLE BANCHE DATI europee - come quelle di Frontex ed Eurpol ma anche, chiaramente le agenzie di databasing della polizia UE come eu-LISA - e dei singoli Stati, tanto quelli membri quanto quelli di provenienza. In questa direzione emerge una tendenza espansiva sia dei finanziamenti alle agenzie europee (budget Frontex da 6mln di euro nel 2005 a 118 mln nel 2011) sia della pervasività delle loro competenze, motivate attraverso l'utilizzo del metodo di analisi dei rischi e l'inquadramento delle persone migranti al pari di strumenti di pressione politica e/o elementi di destabilizzazione interna, e non come individui.\r\n\r\n- ESTERNALIZZAZIONE delle frontiere attraverso la fidelizzazione dei paesi terzi per mezzo di operazioni finalizzate al rafforzamento della dimensione estera della migrazione, quindi riaffermando ancora una volta la necessità di stabilizzare e finanziare aka \"rendere sicuri” paesi cosiddetti terzi, possibilmente autoritari, per consolidare le capacità di contenimento dei flussi nella costa sud del Mediterraneo.\r\n\r\n- FINZIONE GIURIDICA DEL NON INGRESSO. Nonostante la presenza fisica delle persone sul territorio di uno Stato membro dell'UE, la legge stabilirà che non sono ancora effettivamente entrate in quello Stato membro e quindi possono essere soggette a detenzione e screening alle frontiere, in vista di una rapida deportazione. Si struttura in tal modo un regime detentivo generalizzato di frontiera, senza esenzione per famiglie e bambini, finalizzato alla rapida esecuzione delle procedure di valutazione delle richieste d’asilo e normativizzando, su scala europea, quello che nell’ultimo anno si sta delineando come valutazione e respingimento di massa delle richieste d’asilo.\r\n\r\nDelineato questo Moloch normativo, che implementa e normalizza la violenza di frontiera, non abbiamo perso occasione di rilanciare la possibilità di attaccare ed intaccare la macchina delle deportazioni raccontando dei blocchi degli autobus diretti alla Bibby Stockholm intorno a Best Western a sud di Londra e accennando all'ANTIRAID NETWORK.\r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/harraga3.5.24YASHA.mp3\"][/audio]","11 Maggio 2024","2024-05-11 10:18:52","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/Progetto-senza-titolo-ok-200x110.png","MIGRATION PACT: LA NORMATIVIZZAZIONE DEL RAZZISMO",1715422732,[422,423,424,425,426],"http://radioblackout.org/tag/frontex/","http://radioblackout.org/tag/frontiere/","http://radioblackout.org/tag/migration-pact/","http://radioblackout.org/tag/podcast/","http://radioblackout.org/tag/solidarieta/",[428,429,430,335,431],"frontex","frontiere","migration pact","solidarietà",{"post_content":433},{"matched_tokens":434,"snippet":435,"value":436},[76],"politica e/o elementi di destabilizzazione \u003Cmark>interna\u003C/mark>, e non come individui.\r\n\r\n- ESTERNALIZZAZIONE","In questo approfondimento andato in onda su Harraga, abbiamo tentato di analizzare tendenze e strategie del nuovo patto migranti dell'Unione Europea assieme ad un attivista d’inchiesta di Statewatch.\r\n\r\nTra le migliaia di pagine del migrant pact EU abbiamo individuato una serie di punti nevralgici che caratterizzano il passaggio da un sistema basato sulla coerenza a un sistema che codifica e legittima le pratiche di respingimento fondate su violenza in frontiera e abuso. Pratiche che negli anni sono state fatte proprie dagli Stati membri e che questo pacchetto cristallizza in un corpus normativo.\r\n\r\nAlla base del patto troviamo uno stravolgimento del concetto di solidarietà, intesa come solidarietà tra Stati e non verso chi migra, l'inquadramento delle persone che migrano non come individui, ma come fattore di rischio ed infine la discrezionalità per gli Stati membri di derogare, attraverso l'apertura dello stato di crisi migratoria, agli obblighi relativi alla libera circolazione delle persone sul territorio europeo.\r\n\r\nTra gli strumenti per favorire un maggiore controllo delle frontiere:\r\n- SCREANING all'ingresso dei confini europeri e raccolta di dati biometrici e sensibili (DNA, religione, orientamento politico, orientamento sessuale, ecc), attraverso i quali implementare la capacità e l'INTEROPERABILITÀ DELLE BANCHE DATI europee - come quelle di Frontex ed Eurpol ma anche, chiaramente le agenzie di databasing della polizia UE come eu-LISA - e dei singoli Stati, tanto quelli membri quanto quelli di provenienza. 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Pensatore rivoluzionario che tempra le sue idee nel fuoco dell'azione, accorre in difesa delle barricate di mezza Europa, collezionando condanne a morte in vari imperi e sopravvivendo a carcerazioni durissime. Deportato in Siberia, scappa – su slitte, cavalli, treni e velieri – per tornare lì dove la rivoluzione lo chiama: in un'Europa in ebollizione in cui lo aspettano altre barricate e altre insurrezioni. Vinto ma non domato, muore usurato da una vita segnata da mille sfide mentre – irresistibilmente – sta progettando nuove rivoluzioni e nuovi mondi.\r\nSabato 1 ottobre \r\nal Balon – via Andreis angolo via Borgodora (se piove in piazza della Repubblica sotto la tettoia dei casalinghi)\r\nore 10,30 – 13,30\r\nPresidio contro tutte le frontiere \r\nGiovedì 6 ottobre \r\nore 17,30\r\nai giardinetti di corso Palermo angolo via Sesia – punto info su guerra sociale e lotte nelle periferie, apericena benefit lotte sociali\r\nDocumenti\r\nComunicato-appello da parte di uno degli italiani unitosi allo YPG, scritto in occasione del corteo nazionale del 24 settembre a Roma. \r\nCiao a tutti e tutte, sono uno degli italiani che si sono uniti allo YPG, unità di difesa del popolo del Rojava. Non sono il primo e non sarò l'ultimo, in Rojava la solidarietà internazionale é molto forte e sono centinaia le persone che arrivano da ogni parte del mondo per far parte di questa rivoluzione. Siamo a conoscenza del corteo nazionale del 24 Settembre che si terrà a Roma e ciò non può che farci felici e darci sostegno e forza nel continuare a lottare.\r\nNelle ultime settimane sui giornali siamo stati chiamati terroristi, è stato detto che comunisti e anarchici vanno ad addestrarsi in Siria, vorrei dire ai giornalisti ed ai politici che si riempiono la bocca di belle parole, che questa rivoluzione non è fatta solo da comunisti o anarchici, ma anzi da curdi, arabi, assiri, ezidi, armeni, turcommanni e da tutte quelle persone che si identificano nel confederalismo democratico. La realtà è completamente diversa da quella che viene raccontata dai giornali e dal governo, i veri terroristi sono seduti nei palazzi del potere e spostano sulla scacchiera le loro pedine, un giorno amiche, un giorno nemiche, ma quando i nodi vengono al pettine e la verità viene a galla i nemici si scoprono. l'Italia è complice di questa guerra, l'Alenia fornisce elicotteri da combattimento alla Turchia per bombardare il Bakur, l'Italia è inoltre il maggior produttore di mine al mondo ed è anche grazie all'Italia se centinaia di persone sono morte o sono rimaste gravemente ferite per colpa delle migliaia di mine disseminate dall'Isis. Grazie all'accordo di 6 miliardi di euro tra unione europea e Turchia, migliaia di persone vivono in campi profughi che sono delle vere e proprie prigioni a cielo aperto. Grazie a questi soldi ricevuti dall'unione europea la Turchia sta completando la costruzione di un muro di separazione con il Rojava, con il quale si proteggono i militari che sparano senza scrupoli su chi cerca di scappare da questa guerra; sono già decine le persone uccise lungo questo confine.\r\n\r\nL'operazione di invasione del Rojava da parte della Turchia è partita già a metà agosto con la finta invasione di Jarablus, in pratica operazione di sostegno all'Isis, che per la prima volta è retrocesso senza combattere. Successivamente la Turchia ha utilizzato questa nuova postazione per far partire l'invasione di alcuni villaggi del cantone di Efrin; e in queste settimane sono state molte le provocazioni.\r\n\r\nIl rischio di una guerra aperta tra Turchia e Rojava è sempre più alto; ora più che mai è importante sostenere il confederalismo democratico a livello internazionale facendo pressioni sui governi e sugli Stati, complici e autori di questa guerra, perchè interrompano le relazioni politiche, economiche e militari con Ankara; ora più che mai è importante chiedere l'apertura delle frontiere per far entrare aiuti alimentari e medicine, beni di prima necessità che qui mancano.\r\n\r\nE' questa la vera realtà della guerra; la lotta al terrorismo è una menzogna ed è soltanto una facciata per nascondere gli interessi di governi e industrie belliche.\r\n\r\nIl mio pensiero qui in Rojava non può che andare alle migliaia di compagni e compagne caduti o rimasti gravemente feriti per far si che questa rivoluzione sia ancora in vita e prosegua il percorso verso la libertà.\r\n\r\nSperando sempre che dai semi rivoluzionari gettati qui in Rojava un giorno possano nascere fiori in tutto il mondo.\r\nBiji Rojava biji Kurdistan. \r\nSerkeftin\r\n000000\r\nLa Commissione di Corrispondenza dellaFederazione Anarchica Italiana fa propriol’appello del Gruppo Anarchico “Carlo Cafiero” – FAI di Roma, ed invita tutte le realtà federate ad attivarsi per la più ampia partecipazione allo spezzone rosso e nero alla manifestazione del 24 settembre a Roma.\r\nIl colpo di stato in Turchia ha permesso al governo turco di imporre lo stato di emergenza, e di accrescere la repressione nei confronti dei gruppi attivi nelle lotte e dei movimenti sociali. Anche i/le nostre compagni/e anarchici/che della DAF (Devrimci Anarsist Faaliyet / Azione Rivoluzionaria Anarchica) oltra a socialisti, gruppi curdi democratici sono stati colpiti dalla stretta liberticida del governo. Il giornale Meydan è stato chiuso e tre nuove indagini sono state avviate, con la scusa di essere un’organizzazione terroristica. \r\n Nelle regioni a maggioranza curda la repressione ha assunto la forma di una guerra aperta contro la popolazione, mentre gli attivisti in carcere, fra cui Abdullah Öcalan, sono costretti in condizioni inumane.\r\n La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana, sicura di interpretare i sentimenti delle anarchiche e degli anarchici di lingua italiana, esprime la solidarietà internazionalista al popolo curdo e a tutti i popoli che vivono nelle regioni del Kurdistan, vittime dell’aggressione della Turchia, della Siria e dello Stato Islamico; esprime altresì il sostegno alla resistenza, all’autogestione dal basso ed al comunalismo, alla rivoluzione in Rojava, per il suo ulteriore sviluppo in una prospettiva libertaria; invita a mobilitarsi contro il governo italiano e le altre potenze imperialiste, grandi e piccole, dell’est e dell’ovest, che appoggiano la guerra e il progetto di annientamento del popolo curdo.\r\n000000\r\nUna Biennale d’eccezione \r\n\r\nLanciando pietre\r\n\r\nThrowing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperityi di Douglas Rushkoff se non fosse un interessante libro sugli esiti della economia digitale potrebbe essere un ottimo libro di architettura. Le pietre di cui fa cenno il titolo sono quelle che hanno gettato i residenti di alcuni quartieri di San Francisco contro i Google bus che vengono a raccogliere i dipendenti dell’omonima ditta. Attorno alle fermate dei bus dei privilegiati dell’azienda informatica gli affitti sono cresciuti in maniera talmente elevata che molti abitanti sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Una nuova forma raffinata di gentrificazioneii.\r\n\r\nRushkoff, scrittore e saggista cyberpunk e collaboratore di Timothy Leary ci descrive un mondo in cui le differenze aumentano e nel quale le promesse di maggiori opportunità e di democrazia dell’economia digitale si sono rivelate un abbaglio fatale. “Il problema è che siamo ostaggi della trappola della crescita e le tecnologie digitali, che all’inizio sembravano promettere modelli più distribuiti e partecipati per l’economia, si sono trasformate in meri acceleratori di una crescita sempre più frenetica e sorda ai bisogni della società”iii. Nel suo libro Rushkoff cerca di spiegare dove abbiamo sbagliato e per quale motivo e come sia possibile riprogrammare l’economia digitale e le nostre attività ripartendo dal basso per promuovere un’economia sostenibile per raggiungere un benessere il più diffuso possibile.\r\n\r\nNella costruzione del nostro ambiente urbano ci siamo lasciati affascinare dallo stesso meccanismo: la crescita impetuosa delle città e delle conurbazioni a causa di un mix di demografia e spinte speculative ha prodotto i modelli illusori di ‘smart city’, di città cablate super tecnologiche e la rincorsa al gigantismo ed alle emergenze dei grandi edifici simbolo, incarnazione della ‘hubris’ degli archi-star. Ora ci rendiamo conto che questa corsa alla cementificazione del pianeta produce solo macerie nel tessuto abitativo e nei legami comunitari, indispensabili per una vita in armonia con l’ambiente e il territorio.\r\n\r\nL’edizione 2016 della Biennale di Architettura di Venezia, curata dal cileno Alejandro Aravena ha come titolo Reporting from the front ed ha l’ambizione di fotografare lo stato dei lavori in quelle aree del mondo di frontiera in cui si sta preparando il futuro del nostro spazio abitativo.\r\n\r\nQuesta Biennale nelle intenzioni di Aravena si “propone dunque di condividere con un pubblico più ampio, il lavoro delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi ambiti di azione, affrontando temi quali la segregazione, le diseguaglianze, le perifereie, l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la migrazione, l’informalità, la criminalità, il traffico, lo spreco, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità.”\r\n\r\nE Paolo Baratta, Presidente della Biennale aggiunge: “Ci interessa l’architettura come strumento di self-government, come strumento di una civiltà umanistica, non in grazia di uno stile formale, ma come evidenza della capacità dell’uomo di essere padrone dei propri destini”.\r\n\r\nUna edizione con un programma sideralmente opposto a quello della precedente, affidata all’archistar Rem Koolhas, che mette sul tappeto molti temi che come libertari ci sono cari: l’autocostruzione, la partecipazione, la progettazione comunitaria e i processi ecologici di recupero dell’esistente insieme allo sviluppo di tecnologie appropriate condivisibili.\r\n\r\nBaratta ci ricorda che l’immaginario architettonico del secolo scorso preconizzava la costruzione di grandi centri urbani inseriti in un territorio che offriva ancora grandi spazi vergini. È stato il periodo della ‘ville radieuse’ di Le Corbusier, della realizzazione in nuovi insediamenti di grandi capitali, come Chandigar o Brasilia. Oggi gli spazi su cui gli architetti sono chiamati ad operare sono spesso enormi aree urbane abbandonate e degradate ed in ogni caso, a causa della crescita urbana e delle nuove forme di produzione post-industriale, gli spazi naturali tendono a divenire sempre più spazi interni ad una pianificazione planetaria.\r\n\r\nSpazi che le autorità non riescono più a controllare o dirigere, per mancanza di risorse economiche ma anche di nuovi strumenti operativi efficaci. Ottima situazione per chi è impegnato in prima linea, sul‘fronte’ e sperimenta nuovi modelli abitativi solidali.\r\n\r\n“una volta i villaggi ci proteggevano dalla natura oggi la natura è il nostro rifugio dalle tensioni urbane” ci ricorda nella sua installazione di video il cileno Elton Leniz invitato da Aravena.\r\n\r\nLa situazione attuale dello sviluppo del fenomeno urbano è ben fotografata nel padiglione della Sala d’armi all’Arsenale dove è esposto il Progetto Speciale ‘Conflitti dell’era urbana’ curato da Riky Burdett. Burdett descrive le due grandi spinte che tendono a definire il nostro ambiente costruito: quelle che lui definisce le Soluzioni dall’alto -quelle istituzionali e dei grandi agenti della pianificazione- su una parete del padiglione e le Soluzioni dal basso –autocostruzione, partecipazione e processi spontanei- sulla parete opposta. Tra i due estremi sono rappresentate le mappe di alcune conurbazioni rappresentative che tendono a diventare in ogni luogo del pianeta ‘il territorio’ non solo una parte dell’ambiente antropizzato: il ‘tutto costruito’ con spazi di ‘natura’ addomesticata tra i suoi interstizi, l’opposto del rapporto urbano agricolo naturale artificiale che esiste da quando esiste l’uomo civile, il prodotto della ‘civitas’, la comunità stanziale di un gruppo di uomini in un territorio definito dalla sua architettura.\r\n\r\nSi aprono spazi vuoti all’interno di queste inquietanti conurbazioni neo-plastiche e come dice Baratta, è in questi spazi, che sono il fronte in cui si combatte per definire l’assetto del nostro ambiente futuro, che dobbiamo cercare esperienze e buone pratiche da analizzare. Reporting from the Front. Con l’intento di ingenerare progetti e processi che diano risposte complesse e condivisibili e che possano divenire nuovi standard e modelli. Architetture anche di piccole dimensioni ma che presentino un’alta qualità professionale e un forte legame con le comunità che le generano.\r\n\r\nRushkoff nel suo saggio parla anche di gig economy, l’economia dei piccoli lavori on-demand, modello Uber, in poche parole il modello che vuole trasportarci dal‘diritto al lavoro’ al nessun diritto dei ‘lavoretti’. In vista di un’uberizzazione della società dobbiamo adattarci anche a una gig-architecture? A un’architettura dei progettini? Che se poi piacciono e funzionano possano essere rilanciati da qualche bella multinazionale e ri-proposti come ready made architettonici. Servono a questo i tanti collettivi, più o meno marginali o antagonisti che vediamo rappresentati in questa bella biennale? Mettere in moto qualche interessante Processo che possa poi da altri essere rivenduto come Progetto?\r\n\r\nProgetti e Processi\r\n\r\nUn discrimine da avere ben presente tra le proposte interessanti viste in questa Biennale è proprio quello di saper distinguere da chi propone progetti confezionati da rivendere alla comunità e tra chi sceglie di ingenerare processi di crescita dal basso proponendo soluzioni che diano risposte a bisogni locali che diventino poi patrimonio collettivo. È ad esempio la scelta del gruppo Ctrl+z: costruire processi in forma partecipativa che non siano isolabili dal contesto che li ha prodotti, che valgano qui e ora, con questo materiale. Un bel esempio le “atrapaniebla” le torri dell’acqua che trasformano la condensa della nebbia in acqua potabile che Ctrl+z ha presentato ai magazzini del Sale nella mostra Spazi d’Eccezione, ‘torri low-tech basate sui materiali che si possono trovare a livello locale. Grazie alla leggerezza e alla modularità. La nostra proposta si può montare in due giorni senza la necessità di gru, ponteggi o altri ausili.’ Un modello della torre è stato montato all’interno dell’Esposizione nel giardino dell’Arsenale.\r\n\r\nA poca distanza la Norman Foster Foundation, insieme alla Future Africa EPFL e ad altre fondazioni, propone una rete di drone-port, aereoporti per droni per collegare in Africa villaggi isolati in ampi territori senza altre possibilità di comunicazione efficienti. I drone-port di Foster sono l’estto opposto della proposta di Ctrl+z, si riducono ad una scatola ed un progetto realizzabile in loco grazie ad un know how centralizzato, drone-porti per ricevere attraverso velivoli teleguidati ad alta tecnologie merci da un distributore lontano, un ragno nella rete da qualche parte. La realizzazione tecnologica dell’antico ‘culto del Cargo’ caro agli antropologi.\r\n\r\nSpazi d’Eccezione\r\n\r\nI fronti da esplorare oggi non sono quello spazio piano senza limiti che sembra indicare il logo di questa edizione: una foto scattata da Bruce Chatwin che ritrae un’archeologa tedesca, Maria Reiche, sopra una scala di alluminio che osserva i tracciati di pietre del deserto peruviano di Nazca, sono fronti interni allo sviluppo planetario del capitale, luoghi di rovine, di cicatrici, di macerie, quasi sempre ‘spazi d’eccezione’ in cui le normali regole del vivere sono sospese da un potere non normato. E in quei fronti, da tempo, c’è chi lotta e costruisce alternative. Di questi lotte dà testimonianza con uno sguardo libertario l’esposizione ‘Spazi d’Eccezione’ ai Magazzini del Sale, ‘un libro, un meeting e una mostra’ organizzati dai collettivi di Escuela Moderna e S.a.L.E. Docks.\r\n\r\nCtrl+z, Recets Urbanas che abbiamo già citato e altri espositori al Sale partecipano in varie forme anche all’esposizione ufficiale e Spazi d’Eccezione ha organizzato anche un meeting interno alla Biennale nell’ambito delle Biennale Sessions, per portare argomenti misteriosamente scomparsi dal dibattito sul territorio quali il No Mose, il No Tav il No Muos e tanti alti piccoli tentativi di autogestione del territorio e delle lotte urbane. Un tentativo di intrusione riuscito all’interno della Biennale ufficiale è stato quello del colletivo ‘Detroit Resist’ presente nella mostra al Sale che si occupa in modo militante di riqualificazione urbana a Detroit, un gruppo composto da attivisti, artisti, architetti e membri della comunità. Detroit Resist ha organizzato una occupazione digitale del padiglione degli Usa che quest’anno ha come tema “The Architectural immagination” e come oggetto proprio la riqualificazione della città di Detroit con giganteschi progetti con fini speculativi.\r\n\r\nTante sono le presenze libertarie di cui varrebbe la pena dare conto, dall’allestimento del padiglione Italia affidato alla TAM associati dal titolo ‘Taking Care, progettare per il bene comune’ alle presenze individuali, ai collettivi ad alcuni interessanti padiglioni nazionali. Iniziamo presentando il progetto ‘Spazi d’eccezione’ con un articolo di Paolo Martore e Massimo Mazzone. Altri seguiranno.\r\n\r\n“‘Spazi d’eccezione’ NON è un Padiglione Nazionale né un pezzo della Mostra Internazionale né un evento collaterale. ‘Spazi d’eccezione’ è quel lato in ombra a cui tutti fanno riferimento, quel Germinal, quell’humus dal quale tutti ambiguamente attingono, ma di cui nessuno parla mai con chiarezza.”iv Così Massimo Mazzone portavoce di Escuela Moderna nella sua introduzione al catalogo dell’esposizione.\r\n\r\nIn uno dei tanti padiglioni che trattavano di autocostruzione tra le varie indicazioni operative figurava anche la dicitura: ‘quando e in quali luoghi è opportuno accettare situazioni diffuse di illegalità marginale per favorire la costituzione di comunità…’\r\n\r\nNell’installazione di Recetas Urbanas nel padiglione all’Arsenale, all’interno della Biennale, si rivendicava il ‘diritto’ all’illegalità in situazioni di necessità: ecco la differenza che conta con la mostra istituzionale e che appare filo conduttore dell’esposizione al Sale.\r\n\r\nTolleranza dall’alto rivendicazione dal basso. Le varie gradazioni di questo rapporto segnano il sottile confine tra una social democrazia eterodiretta ed una comunità viva con fermenti libertari. Di ciò soprattutto dà testimonianza Spazi d’eccezione.\r\n\r\nViene a proposito il post di Marco Baravalle, animatore di ‘S.a.L.E. Docks’ e curatore di ‘Spazi d’eccezione’ insieme a Massimo Mazzone, a commento della cancellazione della performance Rebootati al padiglione Uruguaiano da parte della direzione della Biennale: “L'arte e l'architettura amano l'informalità quando si lascia rappresentare. Questo è l'essenza del pauperismo: fare dei poveri un soggetto immobile, procedere al saccheggio culturale oltre che a quello materiale. Ad essi è consentito solo di partecipare (solitamente a ciò che è già stato scelto), ad essi è consentito di attivarsi in quanto comunità (che parola è?) su sollecitazione dell'artista o dall'architetto di turno. Che l'illegalità sia individuale, di massa, dettata dalla fame o orientata politicamente, essa è una necessità legata alla sopravvivenza, al miglioramento delle proprie condizioni sociali o ad un nuovo modo di vivere in comune. Secondo qualcuno queste sono anche le priorità dell'architettura.”\r\n\r\n“Spazi d’eccezione credo sia un’ottima risposta e contemporaneamente una vetrina –anche se parziale- di tante praticabili ipotesi di lavoro. Spazi di Eccezione serve a mostrare alcune delle tante iniziative di libertà che combattono sul fronte del costruito che con difficoltà e determinazione stanno cercando di mettersi in rete e acquistare forma visibile.\r\n\r\nÈ in questa ottica che le esperienze contenute in questo lavoro comune hanno un senso, sono alfabeti, sillabe di linguaggi base per ricreare mondi con parole, azioni, fantasie di pratiche condivise. L’espressione di volontà che già esistono e balbettano futuri di libertà e testimonianza necessaria di un filone regressivo nelle pratiche progettuali e nella pianificazione urbana e territoriale che ritorna dominante nel panorama contemporaneo. Pratiche attive da sempre ma che ritornano visibili.\r\n\r\nRebuilding from the front, non Reporting. Un’azione attiva, non una passiva. Non un centro che va a vedere una periferia ma una periferia –anche interna- che ritrova/reinventa la propria forma. Non riportare dal fronte ma ricostruire dal fronte, partendo da ciò che già esiste nel presente, secondo l’insegnamento di Peter Kropotkin, senza ideologie, attraverso sperimentazioni continue.\r\n\r\nCominciamo dunque a ricostruire il mondo partendo dal fronte, da dove si combatte ogni giorno per dare forma a spazi di libertà, spazi che esistono in luoghi marginali, su fratture tettoniche, in Rojava e nelle nostre metropoli, che si parlano in rete e si reinventano quotidianamente, TAZ, zone temporaneamente autonome che anche clonate o colonizzate restano vive altrove, affreschi che occupano spazi e pareti e spariscono coperti da una mano di Blu, seppellendo con una risata gli affanni del mercato.”v\r\n\r\n\r\ni Throwing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperity (Tirare pietre al bus di Google: come la crescita è diventata la nemica della prosperità) Douglas Rushkoff, Portfolio, 2016.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nii Per gentrificazione si intende la trasformazione di un quartiere popolare o degradato in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niii ‘Il Digitale era un’utopia. Ora è un incubo Monopolista’, di Giuliano Aluffi in il Venerdì della Repubblica, 26 maggio 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niv Spazi d’eccezione, a cura di Escuela Moderna – S.a.L.E. Docks; Milieu,pag.9 edizioni, Milano 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nv idem pag.38","23 Settembre 2016","2018-10-17 23:05:54","http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2016/09/barriera-antifa-07-200x110.jpg","Anarres del 23 settembre: megalopoli, gentrification, resistenza popolare e architettura; Rojava; retate al campo rom; casa Pound non sbarca in Barriera, Bayer assorbe Monsanto",1474643948,[453],"http://radioblackout.org/tag/macerie-su-macerie/",[455],"macerie-su-macerie",{"post_content":457},{"matched_tokens":458,"snippet":459,"value":460},[76],"l'ultimo, in Rojava la solidarietà \u003Cmark>interna\u003C/mark>zionale é molto forte e sono","Anarres del 23 settembre: megalopoli, gentrification, resistenza popolare e architettura; Rojava; retate al campo rom; casa Pound non sbarca in Barriera, Bayer assorbe Monsanto\r\n\r\nAscolta il podcast della puntata:\r\n\r\n2016-09-23-anarres1\r\n\r\n2016-09-23-anarres2\r\n\r\nNel nostro viaggio su Anarres – il pianeta delle utopie concrete questa settimana siamo approdati a...\r\n\r\nAbbiamo preso spunto dall'ultima, anomala, Biennale di architettura di Venezia per parlare di gentrification, megaprogetti, resistenza popolare e architettura.\r\nCi ha guidato in questo viaggio tra Europa, Sud America e Africa, Franco Buncuga, anarchico, architetto, collaboratore della rivista ApArte per la quale ha realizzato un articolo sulla Biennale.\r\n\r\nRojava – il corteo del 24 settembre a Roma: il comunicato della cdc della fai, l’appello di un combattente italiano.\r\n\r\nAppendino come Fassino: retate, arresti e fogli di via al campo rom di via Germagnano\r\n\r\nCasa Pound non sbarca in Barriera. Venerdì 23 un lungo assedio alle poche decine di fascisti radunatisi in via Baltea, la solidarietà degli abitanti, l'assenza di sostegno nel quartiere, che invece hanno riempito il giardinetto di corso Palermo angolo via Sesia, hanno decretato il flop dell'iniziativa fascista. \r\nBayer compra Monsanto: nasce il nuovo megamostro della chimica.\r\nNe abbiamo discusso con Marco Tafel\r\nAppuntamenti:\r\n\r\nVenerdì 30 settembre\r\nore 21 – corso Palermo 46\r\npresentazione del libro di Alessio Lega “BAKUNIN, IL DEMONE DELLA RIVOLTA\r\nTra insurrezioni, complotti e galere i tumulti, le contraddizioni e l'incontenibile passione rivoluzionaria dell'anarchico russo” \r\nMichail Bakunin (1814-1876), nato nobile e morto in miseria, attraversa impetuosamente il suo secolo in nome di un'idea esagerata di libertà che sconvolge l'immaginario politico europeo. Pensatore rivoluzionario che tempra le sue idee nel fuoco dell'azione, accorre in difesa delle barricate di mezza Europa, collezionando condanne a morte in vari imperi e sopravvivendo a carcerazioni durissime. Deportato in Siberia, scappa – su slitte, cavalli, treni e velieri – per tornare lì dove la rivoluzione lo chiama: in un'Europa in ebollizione in cui lo aspettano altre barricate e altre insurrezioni. Vinto ma non domato, muore usurato da una vita segnata da mille sfide mentre – irresistibilmente – sta progettando nuove rivoluzioni e nuovi mondi.\r\nSabato 1 ottobre \r\nal Balon – via Andreis angolo via Borgodora (se piove in piazza della Repubblica sotto la tettoia dei casalinghi)\r\nore 10,30 – 13,30\r\nPresidio contro tutte le frontiere \r\nGiovedì 6 ottobre \r\nore 17,30\r\nai giardinetti di corso Palermo angolo via Sesia – punto info su guerra sociale e lotte nelle periferie, apericena benefit lotte sociali\r\nDocumenti\r\nComunicato-appello da parte di uno degli italiani unitosi allo YPG, scritto in occasione del corteo nazionale del 24 settembre a Roma. \r\nCiao a tutti e tutte, sono uno degli italiani che si sono uniti allo YPG, unità di difesa del popolo del Rojava. Non sono il primo e non sarò l'ultimo, in Rojava la solidarietà \u003Cmark>interna\u003C/mark>zionale é molto forte e sono centinaia le persone che arrivano da ogni parte del mondo per far parte di questa rivoluzione. Siamo a conoscenza del corteo nazionale del 24 Settembre che si terrà a Roma e ciò non può che farci felici e darci sostegno e forza nel continuare a lottare.\r\nNelle ultime settimane sui giornali siamo stati chiamati terroristi, è stato detto che comunisti e anarchici vanno ad addestrarsi in Siria, vorrei dire ai giornalisti ed ai politici che si riempiono la bocca di belle parole, che questa rivoluzione non è fatta solo da comunisti o anarchici, ma anzi da curdi, arabi, assiri, ezidi, armeni, turcommanni e da tutte quelle persone che si identificano nel confederalismo democratico. La realtà è completamente diversa da quella che viene raccontata dai giornali e dal governo, i veri terroristi sono seduti nei palazzi del potere e spostano sulla scacchiera le loro pedine, un giorno amiche, un giorno nemiche, ma quando i nodi vengono al pettine e la verità viene a galla i nemici si scoprono. l'Italia è complice di questa guerra, l'Alenia fornisce elicotteri da combattimento alla Turchia per bombardare il Bakur, l'Italia è inoltre il maggior produttore di mine al mondo ed è anche grazie all'Italia se centinaia di persone sono morte o sono rimaste gravemente ferite per colpa delle migliaia di mine disseminate dall'Isis. Grazie all'accordo di 6 miliardi di euro tra unione europea e Turchia, migliaia di persone vivono in campi profughi che sono delle vere e proprie prigioni a cielo aperto. Grazie a questi soldi ricevuti dall'unione europea la Turchia sta completando la costruzione di un muro di separazione con il Rojava, con il quale si proteggono i militari che sparano senza scrupoli su chi cerca di scappare da questa guerra; sono già decine le persone uccise lungo questo confine.\r\n\r\nL'operazione di invasione del Rojava da parte della Turchia è partita già a metà agosto con la finta invasione di Jarablus, in pratica operazione di sostegno all'Isis, che per la prima volta è retrocesso senza combattere. Successivamente la Turchia ha utilizzato questa nuova postazione per far partire l'invasione di alcuni villaggi del cantone di Efrin; e in queste settimane sono state molte le provocazioni.\r\n\r\nIl rischio di una guerra aperta tra Turchia e Rojava è sempre più alto; ora più che mai è importante sostenere il confederalismo democratico a livello \u003Cmark>interna\u003C/mark>zionale facendo pressioni sui governi e sugli Stati, complici e autori di questa guerra, perchè interrompano le relazioni politiche, economiche e militari con Ankara; ora più che mai è importante chiedere l'apertura delle frontiere per far entrare aiuti alimentari e medicine, beni di prima necessità che qui mancano.\r\n\r\nE' questa la vera realtà della guerra; la lotta al terrorismo è una menzogna ed è soltanto una facciata per nascondere gli interessi di governi e industrie belliche.\r\n\r\nIl mio pensiero qui in Rojava non può che andare alle migliaia di compagni e compagne caduti o rimasti gravemente feriti per far si che questa rivoluzione sia ancora in vita e prosegua il percorso verso la libertà.\r\n\r\nSperando sempre che dai semi rivoluzionari gettati qui in Rojava un giorno possano nascere fiori in tutto il mondo.\r\nBiji Rojava biji Kurdistan. \r\nSerkeftin\r\n000000\r\nLa Commissione di Corrispondenza dellaFederazione Anarchica Italiana fa propriol’appello del Gruppo Anarchico “Carlo Cafiero” – FAI di Roma, ed invita tutte le realtà federate ad attivarsi per la più ampia partecipazione allo spezzone rosso e nero alla manifestazione del 24 settembre a Roma.\r\nIl colpo di stato in Turchia ha permesso al governo turco di imporre lo stato di emergenza, e di accrescere la repressione nei confronti dei gruppi attivi nelle lotte e dei movimenti sociali. Anche i/le nostre compagni/e anarchici/che della DAF (Devrimci Anarsist Faaliyet / Azione Rivoluzionaria Anarchica) oltra a socialisti, gruppi curdi democratici sono stati colpiti dalla stretta liberticida del governo. Il giornale Meydan è stato chiuso e tre nuove indagini sono state avviate, con la scusa di essere un’organizzazione terroristica. \r\n Nelle regioni a maggioranza curda la repressione ha assunto la forma di una guerra aperta contro la popolazione, mentre gli attivisti in carcere, fra cui Abdullah Öcalan, sono costretti in condizioni inumane.\r\n La Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana, sicura di interpretare i sentimenti delle anarchiche e degli anarchici di lingua italiana, esprime la solidarietà internazionalista al popolo curdo e a tutti i popoli che vivono nelle regioni del Kurdistan, vittime dell’aggressione della Turchia, della Siria e dello Stato Islamico; esprime altresì il sostegno alla resistenza, all’autogestione dal basso ed al comunalismo, alla rivoluzione in Rojava, per il suo ulteriore sviluppo in una prospettiva libertaria; invita a mobilitarsi contro il governo italiano e le altre potenze imperialiste, grandi e piccole, dell’est e dell’ovest, che appoggiano la guerra e il progetto di annientamento del popolo curdo.\r\n000000\r\nUna Biennale d’eccezione \r\n\r\nLanciando pietre\r\n\r\nThrowing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperityi di Douglas Rushkoff se non fosse un interessante libro sugli esiti della economia digitale potrebbe essere un ottimo libro di architettura. Le pietre di cui fa cenno il titolo sono quelle che hanno gettato i residenti di alcuni quartieri di San Francisco contro i Google bus che vengono a raccogliere i dipendenti dell’omonima ditta. Attorno alle fermate dei bus dei privilegiati dell’azienda informatica gli affitti sono cresciuti in maniera talmente elevata che molti abitanti sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Una nuova forma raffinata di gentrificazioneii.\r\n\r\nRushkoff, scrittore e saggista cyberpunk e collaboratore di Timothy Leary ci descrive un mondo in cui le differenze aumentano e nel quale le promesse di maggiori opportunità e di democrazia dell’economia digitale si sono rivelate un abbaglio fatale. “Il problema è che siamo ostaggi della trappola della crescita e le tecnologie digitali, che all’inizio sembravano promettere modelli più distribuiti e partecipati per l’economia, si sono trasformate in meri acceleratori di una crescita sempre più frenetica e sorda ai bisogni della società”iii. Nel suo libro Rushkoff cerca di spiegare dove abbiamo sbagliato e per quale motivo e come sia possibile riprogrammare l’economia digitale e le nostre attività ripartendo dal basso per promuovere un’economia sostenibile per raggiungere un benessere il più diffuso possibile.\r\n\r\nNella costruzione del nostro ambiente urbano ci siamo lasciati affascinare dallo stesso meccanismo: la crescita impetuosa delle città e delle conurbazioni a causa di un mix di demografia e spinte speculative ha prodotto i modelli illusori di ‘smart city’, di città cablate super tecnologiche e la rincorsa al gigantismo ed alle emergenze dei grandi edifici simbolo, incarnazione della ‘hubris’ degli archi-star. Ora ci rendiamo conto che questa corsa alla cementificazione del pianeta produce solo macerie nel tessuto abitativo e nei legami comunitari, indispensabili per una vita in armonia con l’ambiente e il territorio.\r\n\r\nL’edizione 2016 della Biennale di Architettura di Venezia, curata dal cileno Alejandro Aravena ha come titolo Reporting from the front ed ha l’ambizione di fotografare lo stato dei lavori in quelle aree del mondo di frontiera in cui si sta preparando il futuro del nostro spazio abitativo.\r\n\r\nQuesta Biennale nelle intenzioni di Aravena si “propone dunque di condividere con un pubblico più ampio, il lavoro delle persone che scrutano l’orizzonte alla ricerca di nuovi ambiti di azione, affrontando temi quali la segregazione, le diseguaglianze, le perifereie, l’accesso a strutture igienico-sanitarie, i disastri naturali, la carenza di alloggi, la \u003Cmark>migrazione\u003C/mark>, l’informalità, la criminalità, il traffico, lo spreco, l’inquinamento e la partecipazione delle comunità.”\r\n\r\nE Paolo Baratta, Presidente della Biennale aggiunge: “Ci interessa l’architettura come strumento di self-government, come strumento di una civiltà umanistica, non in grazia di uno stile formale, ma come evidenza della capacità dell’uomo di essere padrone dei propri destini”.\r\n\r\nUna edizione con un programma sideralmente opposto a quello della precedente, affidata all’archistar Rem Koolhas, che mette sul tappeto molti temi che come libertari ci sono cari: l’autocostruzione, la partecipazione, la progettazione comunitaria e i processi ecologici di recupero dell’esistente insieme allo sviluppo di tecnologie appropriate condivisibili.\r\n\r\nBaratta ci ricorda che l’immaginario architettonico del secolo scorso preconizzava la costruzione di grandi centri urbani inseriti in un territorio che offriva ancora grandi spazi vergini. È stato il periodo della ‘ville radieuse’ di Le Corbusier, della realizzazione in nuovi insediamenti di grandi capitali, come Chandigar o Brasilia. Oggi gli spazi su cui gli architetti sono chiamati ad operare sono spesso enormi aree urbane abbandonate e degradate ed in ogni caso, a causa della crescita urbana e delle nuove forme di produzione post-industriale, gli spazi naturali tendono a divenire sempre più spazi interni ad una pianificazione planetaria.\r\n\r\nSpazi che le autorità non riescono più a controllare o dirigere, per mancanza di risorse economiche ma anche di nuovi strumenti operativi efficaci. Ottima situazione per chi è impegnato in prima linea, sul‘fronte’ e sperimenta nuovi modelli abitativi solidali.\r\n\r\n“una volta i villaggi ci proteggevano dalla natura oggi la natura è il nostro rifugio dalle tensioni urbane” ci ricorda nella sua installazione di video il cileno Elton Leniz invitato da Aravena.\r\n\r\nLa situazione attuale dello sviluppo del fenomeno urbano è ben fotografata nel padiglione della Sala d’armi all’Arsenale dove è esposto il Progetto Speciale ‘Conflitti dell’era urbana’ curato da Riky Burdett. Burdett descrive le due grandi spinte che tendono a definire il nostro ambiente costruito: quelle che lui definisce le Soluzioni dall’alto -quelle istituzionali e dei grandi agenti della pianificazione- su una parete del padiglione e le Soluzioni dal basso –autocostruzione, partecipazione e processi spontanei- sulla parete opposta. Tra i due estremi sono rappresentate le mappe di alcune conurbazioni rappresentative che tendono a diventare in ogni luogo del pianeta ‘il territorio’ non solo una parte dell’ambiente antropizzato: il ‘tutto costruito’ con spazi di ‘natura’ addomesticata tra i suoi interstizi, l’opposto del rapporto urbano agricolo naturale artificiale che esiste da quando esiste l’uomo civile, il prodotto della ‘civitas’, la comunità stanziale di un gruppo di uomini in un territorio definito dalla sua architettura.\r\n\r\nSi aprono spazi vuoti all’interno di queste inquietanti conurbazioni neo-plastiche e come dice Baratta, è in questi spazi, che sono il fronte in cui si combatte per definire l’assetto del nostro ambiente futuro, che dobbiamo cercare esperienze e buone pratiche da analizzare. Reporting from the Front. Con l’intento di ingenerare progetti e processi che diano risposte complesse e condivisibili e che possano divenire nuovi standard e modelli. Architetture anche di piccole dimensioni ma che presentino un’alta qualità professionale e un forte legame con le comunità che le generano.\r\n\r\nRushkoff nel suo saggio parla anche di gig economy, l’economia dei piccoli lavori on-demand, modello Uber, in poche parole il modello che vuole trasportarci dal‘diritto al lavoro’ al nessun diritto dei ‘lavoretti’. In vista di un’uberizzazione della società dobbiamo adattarci anche a una gig-architecture? A un’architettura dei progettini? Che se poi piacciono e funzionano possano essere rilanciati da qualche bella multinazionale e ri-proposti come ready made architettonici. Servono a questo i tanti collettivi, più o meno marginali o antagonisti che vediamo rappresentati in questa bella biennale? Mettere in moto qualche interessante Processo che possa poi da altri essere rivenduto come Progetto?\r\n\r\nProgetti e Processi\r\n\r\nUn discrimine da avere ben presente tra le proposte interessanti viste in questa Biennale è proprio quello di saper distinguere da chi propone progetti confezionati da rivendere alla comunità e tra chi sceglie di ingenerare processi di crescita dal basso proponendo soluzioni che diano risposte a bisogni locali che diventino poi patrimonio collettivo. È ad esempio la scelta del gruppo Ctrl+z: costruire processi in forma partecipativa che non siano isolabili dal contesto che li ha prodotti, che valgano qui e ora, con questo materiale. Un bel esempio le “atrapaniebla” le torri dell’acqua che trasformano la condensa della nebbia in acqua potabile che Ctrl+z ha presentato ai magazzini del Sale nella mostra Spazi d’Eccezione, ‘torri low-tech basate sui materiali che si possono trovare a livello locale. Grazie alla leggerezza e alla modularità. La nostra proposta si può montare in due giorni senza la necessità di gru, ponteggi o altri ausili.’ Un modello della torre è stato montato all’interno dell’Esposizione nel giardino dell’Arsenale.\r\n\r\nA poca distanza la Norman Foster Foundation, insieme alla Future Africa EPFL e ad altre fondazioni, propone una rete di drone-port, aereoporti per droni per collegare in Africa villaggi isolati in ampi territori senza altre possibilità di comunicazione efficienti. I drone-port di Foster sono l’estto opposto della proposta di Ctrl+z, si riducono ad una scatola ed un progetto realizzabile in loco grazie ad un know how centralizzato, drone-porti per ricevere attraverso velivoli teleguidati ad alta tecnologie merci da un distributore lontano, un ragno nella rete da qualche parte. La realizzazione tecnologica dell’antico ‘culto del Cargo’ caro agli antropologi.\r\n\r\nSpazi d’Eccezione\r\n\r\nI fronti da esplorare oggi non sono quello spazio piano senza limiti che sembra indicare il logo di questa edizione: una foto scattata da Bruce Chatwin che ritrae un’archeologa tedesca, Maria Reiche, sopra una scala di alluminio che osserva i tracciati di pietre del deserto peruviano di Nazca, sono fronti interni allo sviluppo planetario del capitale, luoghi di rovine, di cicatrici, di macerie, quasi sempre ‘spazi d’eccezione’ in cui le normali regole del vivere sono sospese da un potere non normato. E in quei fronti, da tempo, c’è chi lotta e costruisce alternative. Di questi lotte dà testimonianza con uno sguardo libertario l’esposizione ‘Spazi d’Eccezione’ ai Magazzini del Sale, ‘un libro, un meeting e una mostra’ organizzati dai collettivi di Escuela Moderna e S.a.L.E. Docks.\r\n\r\nCtrl+z, Recets Urbanas che abbiamo già citato e altri espositori al Sale partecipano in varie forme anche all’esposizione ufficiale e Spazi d’Eccezione ha organizzato anche un meeting interno alla Biennale nell’ambito delle Biennale Sessions, per portare argomenti misteriosamente scomparsi dal dibattito sul territorio quali il No Mose, il No Tav il No Muos e tanti alti piccoli tentativi di autogestione del territorio e delle lotte urbane. Un tentativo di intrusione riuscito all’interno della Biennale ufficiale è stato quello del colletivo ‘Detroit Resist’ presente nella mostra al Sale che si occupa in modo militante di riqualificazione urbana a Detroit, un gruppo composto da attivisti, artisti, architetti e membri della comunità. Detroit Resist ha organizzato una occupazione digitale del padiglione degli Usa che quest’anno ha come tema “The Architectural immagination” e come oggetto proprio la riqualificazione della città di Detroit con giganteschi progetti con fini speculativi.\r\n\r\nTante sono le presenze libertarie di cui varrebbe la pena dare conto, dall’allestimento del padiglione Italia affidato alla TAM associati dal titolo ‘Taking Care, progettare per il bene comune’ alle presenze individuali, ai collettivi ad alcuni interessanti padiglioni nazionali. Iniziamo presentando il progetto ‘Spazi d’eccezione’ con un articolo di Paolo Martore e Massimo Mazzone. Altri seguiranno.\r\n\r\n“‘Spazi d’eccezione’ NON è un Padiglione Nazionale né un pezzo della Mostra \u003Cmark>Interna\u003C/mark>zionale né un evento collaterale. ‘Spazi d’eccezione’ è quel lato in ombra a cui tutti fanno riferimento, quel Germinal, quell’humus dal quale tutti ambiguamente attingono, ma di cui nessuno parla mai con chiarezza.”iv Così Massimo Mazzone portavoce di Escuela Moderna nella sua introduzione al catalogo dell’esposizione.\r\n\r\nIn uno dei tanti padiglioni che trattavano di autocostruzione tra le varie indicazioni operative figurava anche la dicitura: ‘quando e in quali luoghi è opportuno accettare situazioni diffuse di illegalità marginale per favorire la costituzione di comunità…’\r\n\r\nNell’installazione di Recetas Urbanas nel padiglione all’Arsenale, all’interno della Biennale, si rivendicava il ‘diritto’ all’illegalità in situazioni di necessità: ecco la differenza che conta con la mostra istituzionale e che appare filo conduttore dell’esposizione al Sale.\r\n\r\nTolleranza dall’alto rivendicazione dal basso. Le varie gradazioni di questo rapporto segnano il sottile confine tra una social democrazia eterodiretta ed una comunità viva con fermenti libertari. Di ciò soprattutto dà testimonianza Spazi d’eccezione.\r\n\r\nViene a proposito il post di Marco Baravalle, animatore di ‘S.a.L.E. Docks’ e curatore di ‘Spazi d’eccezione’ insieme a Massimo Mazzone, a commento della cancellazione della performance Rebootati al padiglione Uruguaiano da parte della direzione della Biennale: “L'arte e l'architettura amano l'informalità quando si lascia rappresentare. Questo è l'essenza del pauperismo: fare dei poveri un soggetto immobile, procedere al saccheggio culturale oltre che a quello materiale. Ad essi è consentito solo di partecipare (solitamente a ciò che è già stato scelto), ad essi è consentito di attivarsi in quanto comunità (che parola è?) su sollecitazione dell'artista o dall'architetto di turno. Che l'illegalità sia individuale, di massa, dettata dalla fame o orientata politicamente, essa è una necessità legata alla sopravvivenza, al miglioramento delle proprie condizioni sociali o ad un nuovo modo di vivere in comune. Secondo qualcuno queste sono anche le priorità dell'architettura.”\r\n\r\n“Spazi d’eccezione credo sia un’ottima risposta e contemporaneamente una vetrina –anche se parziale- di tante praticabili ipotesi di lavoro. Spazi di Eccezione serve a mostrare alcune delle tante iniziative di libertà che combattono sul fronte del costruito che con difficoltà e determinazione stanno cercando di mettersi in rete e acquistare forma visibile.\r\n\r\nÈ in questa ottica che le esperienze contenute in questo lavoro comune hanno un senso, sono alfabeti, sillabe di linguaggi base per ricreare mondi con parole, azioni, fantasie di pratiche condivise. L’espressione di volontà che già esistono e balbettano futuri di libertà e testimonianza necessaria di un filone regressivo nelle pratiche progettuali e nella pianificazione urbana e territoriale che ritorna dominante nel panorama contemporaneo. Pratiche attive da sempre ma che ritornano visibili.\r\n\r\nRebuilding from the front, non Reporting. Un’azione attiva, non una passiva. Non un centro che va a vedere una periferia ma una periferia –anche \u003Cmark>interna\u003C/mark>- che ritrova/reinventa la propria forma. Non riportare dal fronte ma ricostruire dal fronte, partendo da ciò che già esiste nel presente, secondo l’insegnamento di Peter Kropotkin, senza ideologie, attraverso sperimentazioni continue.\r\n\r\nCominciamo dunque a ricostruire il mondo partendo dal fronte, da dove si combatte ogni giorno per dare forma a spazi di libertà, spazi che esistono in luoghi marginali, su fratture tettoniche, in Rojava e nelle nostre metropoli, che si parlano in rete e si reinventano quotidianamente, TAZ, zone temporaneamente autonome che anche clonate o colonizzate restano vive altrove, affreschi che occupano spazi e pareti e spariscono coperti da una mano di Blu, seppellendo con una risata gli affanni del mercato.”v\r\n\r\n\r\ni Throwing Rocks at the Google Bus: How Growth Became the Enemy of Prosperity (Tirare pietre al bus di Google: come la crescita è diventata la nemica della prosperità) Douglas Rushkoff, Portfolio, 2016.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nii Per gentrificazione si intende la trasformazione di un quartiere popolare o degradato in zona abitativa di pregio, con conseguente cambiamento della composizione sociale e dei prezzi delle abitazioni.\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niii ‘Il Digitale era un’utopia. Ora è un incubo Monopolista’, di Giuliano Aluffi in il Venerdì della Repubblica, 26 maggio 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\niv Spazi d’eccezione, a cura di Escuela Moderna – S.a.L.E. Docks; Milieu,pag.9 edizioni, Milano 2016\r\n\r\n\r\n\r\n\r\nv idem pag.38",[462],{"field":144,"matched_tokens":463,"snippet":459,"value":460},[76],{"best_field_score":407,"best_field_weight":149,"fields_matched":14,"num_tokens_dropped":46,"score":408,"tokens_matched":106,"typo_prefix_score":46},{"document":466,"highlight":478,"highlights":487,"text_match":180,"text_match_info":492},{"comment_count":46,"id":467,"is_sticky":46,"permalink":468,"podcastfilter":469,"post_author":470,"post_content":471,"post_date":472,"post_excerpt":52,"post_id":467,"post_modified":473,"post_thumbnail":391,"post_title":474,"post_type":335,"sort_by_date":475,"tag_links":476,"tags":477},"89385","http://radioblackout.org/podcast/bastioni-di-orione-05-05-2024-america-latina-violenza-strutturale-sahel-il-niger-sfratta-gli-americani-gli-italiani-rimangono-la-giustizia-internazionale-di-fronte-ai-crimini-di-israele/",[282],"radiokalakuta","Bastioni di Orione con Diego Battistessa approfondisce il tema della violenza in America Latina prendendo spunto da un incontro internazionale tenutosi a Madrid il 23 aprile scorso . In un intenso dibattito, con testimonianze e analisi , si è discusso dei vari aspetti che alimentano questa spirale nella regione latinoamericana, utilizzando una prospettiva ampia che ingloba la geopolitica, le migrazioni, i femminicidi e la protezione dell’ambiente. Il punto di partenza lo offre InSight Crime, che nel suo report regionale riferito all’anno scorso spiega che “nel 2023 in America Latina e nei Caraibi sono state uccise almeno 117.492 persone, con un tasso di omicidi di 20 ogni 100.000 abitanti.\r\n\r\nLa violenza nel continente latinoamericano è agita da molti attori fra i quali anche le forze repressive degli stati al soldo degli interessi dominanti , dai narcotrafficanti che ampliano i loro interessi anche nel traffico degli esseri umani gestendo i processi di migrazione e colpendo i soggetti vulnerabili, aumentano i casi di femminicidio e di violenza contro le donne conseguenza di una organizzazione della società biecamente maschilista ,si colpiscono i difensori dei diritti umani e coloro che tra le comunità native difendono i territori dalle politiche estrattiviste.\r\n\r\nNon sono mancate le riflessioni sulla “Bukelizzazione” della regione e su quanto si stia vivendo nel Salvador , dove il presidente Bukele mantiene da due anni il paese in stato di eccezione. Anche in Ecuador si registra il risultato della consultazione del 21 aprile scorso, voluta dal presidente ecuadoriano Daniel Noboa , dove la maggioranza dei votanti ha deciso di autorizzare le forze armate ad ampliare il loro raggio d’azione per pacificare con le armi il paese diventato snodo continentale del traffico di cocaina nel continente.\r\n\r\nSi parla anche del processo colombiano dove il presidente Petro incontra difficoltà nello sviluppo del suoi piano di pace totale , venendo meno le riforme strutturali promesse in campagna elettorale.\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/bastioni-020524-battistessa.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nCon Edoardo Baldaro analista e conoscitore della regione parliamo del Sahel e in paritcolare del Niger dove la giunta al potere ha invitato i militari americani ad andarsene da una delle basi piu' importante della regione , dopo la partenza dei francesi rimane quale unica forza militare occidentale , il contingente italiano della missione \"Misin \" composta da circa 450 militari che al momento dopo la visita del capo dei servizi segreti italiani rimarrà sul posto in coabitazione con il contigente russo che è arrivato in Niger.\r\n\r\nApprofondiamo la natura del posizionamento delle giunte militari arrivate al potere in Sahel rispetto alla ridefinizione globale degli schieramenti in corso ,constatando un attitudine disincantata che riposiziona questi paesi come soggetti attivi e non più condizionati dai governi dei paesi ex coloniali . Dove l'aspirazione all'indipendenza dai condizionamenti delle potenze coloniali ha la possibilità di esprimersi attraverso percorsi elettorali come in Senegal ,si manifesta una forte volontà di cambiamento da parte della società civile ,senza necessariamente passare attraverso putsch militari .\r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-020524-EDOARDO-BALDARO.mp3\"][/audio]\r\n\r\n \r\n\r\n \r\n\r\nInfine con Fabiana Triburgo avvocato e operatore legale in merito alla protezione internazionale ci occupiamo della richiesta che la Corte Penale Internazionale starebbe valutando riguardo l' incriminazione del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, per crimini di guerra contro l’umanità commessi dallo Stato ebraico nella Striscia di Gaza . A differenza della Corte internazionale di giustizia che opera nei confronti degli stati ,la Corte penale internazionale puo' incriminare solo persone fisiche e nel caso specifico si è mossa \"motu proprio\" attraverso il procuratore generale Karim Khan .\r\n\r\nLa Palestina dal 2021 fa parte della Corte penale internazionale mentre nè Israele nè gli U.S.A. hanno sotoscritto la convenzione di Roma che nel 1998 istituiti' questo organismo , l'accusa di crimini di guerra si basa su evidenze rilevate dallo stesso procuratore Khan sul posto e da una precedente denuncia della Palestina che risale alle violenze israeliane nella Striscia di Gaza nel 2014 .\r\n\r\n \r\n\r\n\r\n\r\n \r\n\r\n[audio mp3=\"https://radioblackout.org/wp-content/uploads/2024/05/BASTIONI-020524-FABIANA.mp3\"][/audio]","7 Maggio 2024","2024-05-07 19:24:07","BASTIONI DI ORIONE 05/05/2024- AMERICA LATINA VIOLENZA STRUTTURALE -SAHEL IL NIGER SFRATTA GLI AMERICANI ,GLI ITALIANI RIMANGONO-LA GIUSTIZIA INTERNAZIONALE DI FRONTE AI CRIMINI DI ISRAELE.",1715109847,[395],[302],{"post_content":479,"post_title":483},{"matched_tokens":480,"snippet":481,"value":482},[76],"prendendo spunto da un incontro \u003Cmark>interna\u003C/mark>zionale tenutosi a Madrid il 23","Bastioni di Orione con Diego Battistessa approfondisce il tema della violenza in America Latina prendendo spunto da un incontro \u003Cmark>interna\u003C/mark>zionale tenutosi a Madrid il 23 aprile scorso . 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