Espropri, demolizioni, ghetti: pulizia culturale turca

Scritto dasu 22 Aprile 2016

Sismi potenziali, ristrutturazioni, progetti di aeroporti, destinazioni d’uso che mutano senza tenere conto della storia talvolta millenaria dei luoghi e senza considerare il genius loci delle città kurde, di cui sono depositari gli abitanti di quelle case e di quelle vestigia, sono i pretesti subdoli che Erdogan sta utilizzando per completare la pulizia etnica perpetrata dalla campagna militare con le bombe su Diyarbakir, Cizre… La cancellazione del patrimonio culturale kurdo è vista come il completamento dell’esproprio del territorio: un raffinamento dell’ossessione turca, avversa alla lingua e cultura kurda da sempre negata per sopraffare l’etnia diversa.

I metodi usati sono riconducibili a quelli adottati dagli israeliani nei confronti dei palestinesi, in particolare nei territori occupati e a Gerusalemme Est e permettono di assimilare anche le resistenze dei due popoli, inquadrando all’interno del contesto resistenziale il simbolismo della carcerazione priva di contatti con l’esterno di Ocalan, reso totalmente fantasma nel momento in cui il processo di pacificazione è stato interrotto.

Perciò abbiamo sentito Carmine Malinconico, ora appartenente al pool degli avvocati di Ocalan (e a suo tempo di Mandela), membro della rete italiana per il Kurdistan

 

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