Brexit: non c’è via d’uscita dentro accordi commerciali
Scritto dainfosu 1 Dicembre 2018
Nel gran chiacchiericcio fatto sulla Brexit, forse anche utile a rendere ostico e noioso il dibattito in modo da relegarlo a semplice burocrazia dopo l’ubriacatura sciovinista postreferendaria – anziché consentire un’analisi a chi subirà le innumerevoli conseguenze poco chiare anche per i tecnici – alcuni analisti si distinguono per chiarezza di approccio, rilevanza di dati proposti e onestà di analisi dello stato dell’arte nel momento in cui le strade rimaste aperte sono due. Anzi, una… come vedremo.
Infatti tra una decina di giorni il parlamento britannico si esprimerà sulla bozza di accordo frutto di lunghe e defatiganti trattative tra 27 appartenenti all’Unione Europea e 1 membro che si sarebbe espresso a maggioranza per il divorzio. Il rapporto di forze può già essere significativo per comprendere che sia per il conseguimento del miglior accordo economico, sia per l’ottenimento degli obiettivi di base su controllo della qualità dell’immigrazione risulta titanico lo sforzo di imporsi: infatti le ultime proiezioni diffuse il 29 novembre 2018 indicano un crollo del pil britannico del 3,9 % nel caso si adotti l’uscita concordata da Theresa May, oppure il tracollo potrebbe raggiungere il 10% nell’ideale dei brexiter più ortodossi. Senza considerare la bilancia commerciale tra paesi ancora all’interno dell’Unione e Oltremanica (con l’ulteriore problema degli accordi con l’Irlanda per la cancellazione delle frontiere doganali tra Eire e Irlanda del Nord, che impone alla corona di adeguarsi ai dazi e agli accordi decisi a Bruxelles, senza che Londra possa partecipare alla trattativa). E proprio questa è quell’unica soluzione concordata che si possa perseguire, l’altra è lo scontro derivante dal no deal, con gravi ripercussioni, anche peggiori dei 50 miliardi immaginati come sanzione per guadagnarsi l’uscita mantenendo gli impegni presi finora.
Abbiamo interpellato Matteo Villa su questi temi che con dovizia di tabelle, dati, rapporti con i suoi colleghi dell’Ispi ha illustrato l’attuale orizzonte di possibilità che è giunto alla scelta finale dalla quale può discendere solo una soluzione, più o meno onerosa per il sovranismo britannico.
Comunque la si giri Brexit non è un affare