Cosa succede in Algeria?
Scritto dainfo2su 5 Marzo 2019
In Algeria c’è una protesta su larghissima scala, per una volta non solo ad Algeri ma quasi in tutti i capoluoghi di provincia. Una protesta popolare, trasversale e pacifica per l’annullamento della candidatura del Presidente Abdelaziz Bouteflika al quinto mandato alla testa della Repubblica algerina.
La protesta lanciata via internet e social media da fonti sconosciute è sostenuta e co-organizzata sia da anonimi cittadini, sia da movimenti della società civile, sia da partiti e organizzazioni politiche. Ma sembra (se non sostenuta) almeno guardata favorevolmente da una buona parte del complesso sistema politico-economico-militare al potere in Algeria.
Ne abbiamo parlato con Karim Metref, insegnante, blogger di origine cabila, che da molti anni vive a Torino
Ascolta la diretta:
Di seguito alcuni stralci di un articolo scritto da Karim
“Perché adesso, dopo tutti questi anni di silenzio?
In realtà l’Algeria non è mai stata e mai sarà un paese “tranquillo”. Le proteste, le sommosse, le contestazioni anche violente del potere imposto e dei suoi rappresentanti regionali e locali fanno parte della vita quotidiana in Algeria. E questo sin dai primi anni dell’indipendenza, ottenuta, ricordiamo, nel 1962 dopo sette anni di una guerra terribile che ha portato via centinaia di migliaia di persone.
Lotte per i diritti economici, lotte per i diritti culturali delle popolazioni amazigh, lotte sindacali, per la casa, per un lavoro e reddito… La scena politica e sociale algerina è sempre stata una delle più calde del Sud del Mediterranneo.
Quello che gli altri paesi dell’area sud del mediterraneo vivono nel 2011, l’Algeria lo vive già nel 1988. Il 5 ottobre 1988 il paese si solleva e mette fine al sistema del partito unico. “L’Ottobre 88” è seguito da una stagione straordinaria di libertà e pluralità culturale e politica. Ma il sogno finisce in un incubo che inizia con il colpo di stato che annulla le elezioni vinte al primo turno dal Fronte Islamico della Salvezza (FIS). Il paese versa in una terribile guerra civile che dura quasi 15 anni.
Nel 1998, arrivano i primi accordi per mettere fine al conflitto armato e con essi arriva Abdelaziz Bouteflika. E’ imposto sia agli islamisti che ai generali dell’esercito come garante degli accordi di pace che prevedono fine dei conflitti, nessuna inchiesta e nessun processo per i numerosi crimini contro l’umanità commessi dai due campi, in cambio del rientro delle multinazionali nello sfruttamento degli enormi giacimenti di petrolio e gas del paese.
Dopo questa intronizzazione un po’ forzata, l’uomo ha saputo manovrare molto bene. Non è stato una marionetta qualsiasi e ha giocato così bene che da outsider dei clan al potere, ha creato un suo clan fatto di familiari (fratello in primo piano), parenti, amici, complici di vita e di politica… Ed è riuscito a mettere in panchina tutti gli altri. Aiutato dall’aumento spettacolare dei prezzi del greggio negli anni del suo primo e secondo mandato è riuscito anche a eliminare ogni forma di opposizione giocando semplicemente con i petrodollari.
Così ha potuto mandare in pensione i potentissimi generali degli anni novanta e ha avuto la forza per cambiare la costituzione e fare invece di due, ben quattro mandati.
Il problema è che nel 2013, poco prima di ripresentarsi per il quarto mandato, si è ammalato. Ha avuto un ictus che l’ha ridotto in uno stato di quasi totale incapacità, che negli anni nonostante le costosissime cure negli ospedali francesi e le cliniche svizzere, è andata peggiorando. Oggi non non è nemmeno più in grado di intendere né di volere.
L’altro grande problema è la caduta libera del prezzo del petrolio. Con un ritmo di consumi calcolato su un petrolio a più di $ 110 al barile, e i prezzi crollati dopo le “Primavere arabe” a volte anche sotto i $ 30 e comunque non risalendo mai oltre $ 75 – 80 da anni, il paese non è al collasso perché non ha debiti importanti e aveva fino a poco importanti riserve di denaro. Ma l’economia algerina è ancora fortemente dipendente dalle esportazioni di idrocarburi e il potere di Bouteflika è anch’esso dipendente dalla redistribuzione della manna petroliera. Con il crollo delle entrate crollano anche gli equilibri politici costruiti negli anni dopo la guerra civile, con larghe concessioni salariali, sociali e un massivo programma di edilizia pubblica e importanti benefici garantiti ai signori della politica e della guerra.
E’ chiaro che il paese ha bisogno di una svolta politica.
Ma nel clan presidenziale, detto « Clan di Nedroma », dal nome della piccola cittadina sul confine ovest del paese dal quale è originario il presidente e la maggioranza dei baroni del potere attuale (ministri, governatori di province, ex-capo della polizia, personaggi chiave del ministero dell’energia…) non c’è nessuno che ha lo stesso calibro politico. Nemmeno il fratello Said: nessuno. Tutti semplici parassiti politici che vivono fin che vive lui. Se cade cadono tutti e rischiano anche di farsi male. Perché hanno veramente saccheggiato il paese: più vedono avvicinarsi la loro fine e più diventano voraci. E più l’opinione pubblica e i clan rivali si caricano di rabbia e rancori nei loro confronti.
Ma nell’illusione di mantenersi ancora al potere all’ombra di una quercia ormai crollata, hanno osato candidare un Bouteflika moribondo a un 5° mandato. Andando a fare campagna elettorale con il suo ritratto ufficiale. Come fosse una icona bizantina. L’hanno fatto nonostante petizione, appelli e dichiarazioni sia da parte della società civile sia da parte di molti esponenti politici dentro e fuori dal sistema.
E’ questo sentimento di rabbia di fronte a una situazione che mescola prepotenza e ridicolo che la gente ha cominciato a mobilitarsi via internet per poi uscire tutti insieme nelle piazze di quasi tutto il paese.
Chi è quella gente uscita per le strade?
La gente uscita per le strade di Algeri e delle province del paese il 22 febbraio e i giorni successivi è di tutte le età, tutte le estrazioni culturali, sociali ed economiche. Arabofoni, Amazigh, islamisti, laici, nazionalisti, modernisti… C’era di tutto. Gli appelli sono giunti da varie parti. Sui social media, sui siti dell’opposizione.
Alcuni famosi attivisti, personaggi famosi dei media sociali, facebooker, youtuber, e alcune persone interessate a candidarsi alla carica suprema, hanno messo la loro faccia, pagine facebook, account twitter… Gruppi politici, associazioni, sindacati. Ognuno con le proprie idee, ma tutti raccolti intorno a uno slogan unico: No al 5° mandato. Bouteflika deve andare via!
Alcuni lo accusano lui e il suo clan di tutti i mali di cui soffre il paese. Altri si accontentano di sottolineare il suo stato di salute e chiedono al suo entourage di liberarlo e di non tenere in ostaggio un uomo stanco e malato.
Ma l’attitudine «tranquilla» delle forze dell’ordine, ci sono stati arresti e qualche intervento in piazza ma niente in confronto con le manifestazioni degli ultimi 20 anni, e la copertura favorevole da parte di alcuni media privati, lasciano supporre una benevolenza di vari settori del sistema. Il potente capo dello Stato Maggiore, Il Generale-Maggiore Gaid Salah, si è espresso in sostegno di Bouteflika. Ma sembra solo una posizione per rassicurare sul fatto che ciò che succede non è la premessa per un colpo di stato.
Cosa vuole questa gente?
Come successo nelle altre proteste della primavera araba, oltre il « dégage! » chiaro e netto rivolto al potente di turno, non ci sono proposte precise, nessun progetto di società comune. Nessun programma. Solo un comune e forte sentimento di misura colma. Barakat! Basta!
Cosa può succedere adesso?
Se non si trova una via ragionevole, se l’entourage del presidente persevera nella sua follia, allora la strada è aperta per qualsiasi cosa: 5° mandato che verserà il paese in una profonda depressione, colpo di stato dei militari, inizio delle violenze in piazza con scenari che conosciamo e che abbiamo visto all’opera in altri paesi…”