La guerra per la Libia

Scritto dasu 18 Febbraio 2015

Gli interessi italiani in Libia sono enormi: il gas e il petrolio, sì, ma anche le commesse per le nostre imprese e gli investimenti nel nostro sistema economico che la Libia assicurava fino a ieri.
Nonostante l’evacuazione dell’ambasciata e dei cittadini italiani in Libia strombazzata a gran voce dai media, quando le milizie con il marchio Isis hanno preso Sirte, nei fatti l’ENI e i suoi dipendenti sono rimasti in Libia. Nel bel mezzo di una crisi sempre più cruda i pozzi petroliferi continuano a pompare petrolio. Il cuore di questo business è il Fezzan controllato dalle milizie islamiste vicine ai Fratelli Musulmani, con le quali il governo italiano intrattiene buoni rapporti.
Il governo italiano, dopo un’apparente accelerazione verso la guerra, sta frenando.
Il cambiamento di rotta di Renzi e Gentiloni è avvenuto dopo l’entrata in campo dell’Egitto, che è intervenuto con bombardamenti e, da ieri, anche con truppe di terra in Libia. Con il pretesto di una rappresaglia per il massacro di 21 operai egiziani copti, uccisi dalle milizie affiliate al califfato, Al Sisi mette piede in Libia e non disdegna di agire anche contro le milizie di Misurata. Il presidente Hollande, ricalcando le orme del suo predecessore Sarkosy, ha immediatamente appoggiato l’iniziativa dell’Egitto.
A questo punto Renzi, già pronto a sbarcare in Libia, ha cominciato a frenare. Questa mattina il ministro della difesa Gentiloni ha dichiarato in modo esplicito che la strada da percorrere è quella negoziale.
Nessun intervento di terra, semmai un’azione dall’aria a supporto di una coalizione libica anti Isis.
Più facile a dirsi che a farsi, in uno scenario dominato da logiche claniche, dove il gioco delle alleanze si fa su più tavoli, dove gli interessi dei vari attori in gioco spesso collidono.
Abbiamo provato a dipanare il groviglio parlandone con Stefano Capello.

Ascolta la diretta:

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