Bello come una prigione che brucia: la puntata del 3 dicembre 2018
Oggi buona parte della puntata è stata dedicata alla documentazione di come la morte e la violenza in carcere siano elementi strutturali dell’istituzione carceraria; lo abbiamo fatto raccontando i vari modi in cui il carcere esplicita la sua funzione esclusivamente punitiva ed afflittiva, attraverso l’abbandono sanitario, l’induzione al suicidio, la violenza strutturale che attraversa tutta l’istituzione carceraria e che appare ammantata di assoluta impunità.
Ne abbiamo discusso con Domenico, cognato di Giuseppe, deceduto a novembre nel carcere di Noto per un infarto, e lasciato senza le cure necessarie per un tempo troppo lungo ;e con Giulia da Roma per un resoconto del presidio sotto le mura del carcere di Velletri dove nel mese di novembre sono morti due detenuti in maniera sospetta.
Nelle dirette precedenti abbiamo approfondito due vicende che descrivono efficacemente come il carcere uccida e insabbi le proprie responsabilità. Raramente la violenza e gli abusi che avvengono all’interno dell’apparato detentivo arrivano a processo e, anche quando questa condizione si verifica, la giustizia dei tribunali adotta le proprie strategie per evitare di sanzionarli. Ne parliamo con l’avvocata Simona Filippi, che sta lottando contro l’archiviazione del processo per le violenze strutturali nel carcere di Ivrea, emerse grazie alle coraggiose testimonianze di alcuni detenuti.
Concludiamo gli approfondimenti di questa mattina rilanciando la giornata di mobilitazione contro le morti nei luoghi detentivi, lanciata per il 5 dicembre da un gruppo di parenti di persone uccise dallo Stato e nemici delle galere. Ne parliamo con Mirella, madre di Alessandro, ucciso dal carcere di San Vittore: il suo decesso era stato inizialmente derubricato a suicidio, ma grazie agli sforzi della famiglia sta emergendo come quella dell’auto-impiccagione sia stata una montatura inscenata per nascondere una morte per strangolamento.