Anarres del 16 dicembre. La strage di Torino. Piazza Fontana una memoria viva nelle lotte. Mini naja. Stop Cheddite…

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ll podcast del nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.
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La strage di Torino. 100 anni dopo
Era il 18 dicembre del 1922. La Camera del lavoro era in Corso Siccardi, in pieno centro: in quel luogo, costruito con il loro contributo decisivo, gli operai della città si erano organizzati per prendere saldamente tra le mani il sogno concreto di una società senza sfruttati né sfruttatori. Era un simbolo del biennio rosso, dell’occupazione delle fabbriche, quando la classe operaia torinese, reduce dalla guerra, dalla fame, dalla militarizzazione della vita quotidiana, aveva deciso di fare la rivoluzione.
Due anni prima, il 1° settembre 1920, alle prime luci dell’alba tredicimila operai occupano la Fiat Centro. Un altro stabilimento Fiat di prima importanza, le Ferriere, vera roccaforte anarchica tra le industrie cittadine, viene preso nello stesso momento, insieme a decine di impianti della stessa azienda e di altri proprietari. In pochi giorni vengono occupate ed autogestite tutte le fabbriche torinesi. All’interno si lavora, per dimostrare con i fatti che tutto funziona senza padroni, si fanno turni di guardia armati per impedire l’ingresso della polizia, i cui attacchi vengono respinti.
Piero Gobetti la definirà “la prova del fuoco della maturità degli operai torinesi», “il primo atto pratico della rivoluzione sociale”, scrive
va Malatesta.
Pietro Ferrero, l’anarchico segretario della Fiom, in comizio di quello stesso giorno sostiene l’occupazione degli stabilimenti e l’autogestione operaia dei Consigli contro l’orientamento della Fiom nazionale e della Cgl rette dai socialisti riformisti.
Dieci giorni dopo il movimento si era esteso ad altre città e ad altri settori produttivi ed aveva organizzato l’autodifesa.
Ma a Milano la dirigenza Cgl e del PSI decretano la fine dell’occupazione.

Quando gli operai in armi uscirono dalle fabbriche riconsegnandole ai padroni, Errico Malatesta, parlandone con Pietro Ferrero, disse che i padroni l’avrebbero fatta pagare cara a chi li aveva fatti tremare.
Nel dicembre del 1922,
non erano passati nemmeno due mesi dalla marcia su Roma, i fascisti erano pronti a presentare il conto alla classe operaia di Torino.

Mini Naja. La militarizzazione delle nostre vite fa un ulteriore passo in avanti con l’annuncio di 40 giorni di servizio militare, per ora, volontario. Chi la farà ovviamente sarà pagato con numerosi privilegi: punti per la maturità, per la laurea, e un punteggio aggiuntivo per tutti i concorsi pubblici”. Evidentemente la banda La Russa non è così convinto che basti far leva sull’amor patrio.

La strage di piazza Fontana. Una memoria resistente dopo 53 anni
Tante le iniziative di quest’anno nell’anniversario della strage di piazza Fontana, della caccia agli anarchici, dell’arresto di Valpreda e dell’assassinio di Giuseppe Pinelli nei locali della questura di Milano e, più precisamente, nell’ufficio del commissario Luigi Calabresi. La bomba esplosa nella Banca dell’agricoltura nel pomeriggio del 12 dicembre fece 16 morti e numerosi feriti.
Agli anarchici fu immediatamente chiaro che si trattava di una strage di Stato, ordita con lo scopo di spezzare le gambe, dividendolo, al potente movimento sociale che aveva appena infiammato l’autunno di quell’anno. Non è certo un caso che Umberto D’Amato, capo dell’ufficio affari riservati del Viminale, si trovasse nella questura di Milano sin dal 12 dicembre.
La macchinazione fallì, perché i movimenti scesero in piazza rigettando al mittente le accuse rivolte agli anarchici, finché il teorema si sgretolò.
La memoria è tuttavia un meccanismo cui si scaricano le pile
se non vengono alimentate continuamente. In questi ultimi anni si sono moltiplicati i tentativi di una lettura revisionista di una vicenda che rappresentò uno spartiacque per un’intera generazione di compagne e compagni. La strage di Stato mostrava senza alcun possibile dubbio che quando gli oppressi e gli sfruttati alzano la testa, la democrazia mostra a pieno il suo volto criminale
Ne
abbiamo parlato con Massimo Varengo della federazione anarchica milanese

Livorno. Stop Cheddite per fermare la produzione e il traffico di armi
Ieri si è svolta a Livorno una manifestazione organizzata dal “Coordinamento per il ritiro delle missioni militari” per esprimere solidarietà a chi si rivolta in Iran e per pretendere lo stop immediato delle esportazioni della Cheddite verso la Turchia e l’Iran. Un’inchiesta di France 24 ha reso noto che la polizia iraniana utilizza proiettili Cheddite per sparare fucilate sui manifestanti. Proprio a Livorno l’azienda produce questo tipo di munizioni da caccia e secondo inchieste indipendenti le munizioni arriverebbero in Iran attraverso la Turchia per aggirare l’embargo a cui è sottoposto il paese. Per questo abbiamo manifestato di fronte ai cancelli della fabbrica insieme alla Comunità Iraniana di Pisa. Sono stati affissi alcuni striscioni “Le dittature sparano Cheddite”, “Stop all’invio di armi in Iran”, “Non siamo complici della repressione in Iran”
Ne
abbiamo parlato con Dario del Coordinamento per il ritiro delle missioni militari

Contatti:
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 21
Contatti: fai_torino
@autistici.org – @senzafrontiere.to/

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