Anarres del 23 giugno. Noi, l’ambiente, natura e cultura. La città vetrina e la violenza contro i poveri…
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ll podcast del nostro nostro viaggio del venerdì su Anarres, il pianeta delle utopie concrete.
Dalle 11 alle 13 sui 105,250 delle libere frequenze di Blackout. Anche in streaming.
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Dirette, approfondimenti, idee, proposte, appuntamenti:
Noi, l’ambiente, natura e cultura
Il rapporto tra noi e gli/le altr animal non umani e, in generale, con quell’insieme generico che chiamiamo “natura”, con tutte le ambiguità insite in questo concetto, è ed è stato prevalentemente improntato sulla violenza, la predazione, la distruzione. Una scelta eticamente intollerabile ed ambientalmente insostenibile. Una scelta che, per reazione, induce alcuni a rifiutare l’umano, quindi la cultura, per cercare una confort zone, nella fantasia arcadica di un mondo regolato da una natura immobile, idealizzata in una presunta intrinseca bonarietà. La realtà è molto più complessa. Animali umani e animali non umani, piante, fiumi o montagne non sono né buoni né cattivi. La differenza, quella con la quale dobbiamo fare i conti, è che gli/le animal uman possono scegliere ed hanno forti responsabilità negli eventi che innescano e, sempre meno, riescono a controllare.
Ne abbiamo parlato con Andrea Staid, antropologo ed autore di “Essere natura. Uno sguardo antropologico per cambiare il nostro rapporto con l’ambiente” e con Francesco Codello, pedagogista, filosofo, autore di numerosi testi tra cui “La condizione umana nel pensiero libertario”.
“Negli ultimi anni l’ambiente e la crisi climatica, di fatto, sono tra i temi più narrati e discussi: come può contribuire l’antropologia a questo dibattito?
Raccontando e descrivendo altri modi di vivere − stili di vita che per lungo tempo abbiamo erroneamente considerato “primitivi”, “selvaggi” − come possibilità con le quali relazionarsi, condividere, scambiare, ragionare. È giunto il momento di decentrare il nostro sguardo antropologico attraverso l’ascolto e il racconto di storie molteplici e discontinue. Come afferma l’antropologo James Clifford, è il momento di un realismo etnografico, fatto di coproduzione sul campo, dove ci si relaziona non con intervistati ma con presenze, con dei soggetti. Oggi le popolazioni indigene hanno un ruolo attivo nelle ricerche etnografiche: viviamo finalmente un decentramento dell’Occidente. Le risposte locali, le soluzioni parziali e pragmatiche che si stanno sviluppando in culture e ambienti diversi dal nostro, possono essere esempi da cui trarre ispirazione, con i quali confrontarsi per costruire nuove risposte alla crisi ecologica che stiamo affrontando.
Altrove, nel mondo, ci sono culture che non hanno seguito il cammino dello sviluppo senza fine, del dominio dell’umanità sulla natura; sono esistite ed esistono tante e differenti comunità che non hanno isolato la natura trattandola come un dominio a parte, esterno, dove tutto può essere messo a profitto e a servizio degli umani.
Molte società, mantenendo dei legami di complicità e di interdipendenza con gli abitanti non umani del mondo, hanno saputo preservarsi dal saccheggio irresponsabile del pianeta nel quale gli occidentali si sono impegnati senza sosta negli ultimi tre secoli. Queste società, come ci ricorda l’antropologo Eduardo Kohn, non hanno mai pensato che le frontiere dell’umanità si arrestassero alle porte della specie umana, e hanno inserito e coinvolto nella loro vita sociale piante e animali, stringendo con essi patti e relazioni.
Il compito dell’antropologia, secondo Philippe Descola, non è dare delle soluzioni certe, ma mostrare che quello che sembra eterno, questo presente nel quale ci troviamo attualmente, è solo e semplicemente un modo, tra centinaia di altri che sono stati descritti, di vivere la condizione umana. L’antropologia ci offre la testimonianza di molteplici soluzioni che sono state apportate al problema dell’esistenza in comune: dobbiamo sforzarci di immaginare nuovi mondi, perché è proprio il potere dell’immaginazione che dà forma al cambiamento.
Se leggiamo un giornale, accendiamo la radio o il televisore, se scorriamo la home dei nostri social, sapremo facilmente che alluvioni, terremoti, siccità estrema, frane, tornadi, bufere sono all’ordine del giorno in tutto il pianeta. Quello che invece spesso ci viene celato è che è proprio il nostro stile di vita ad aver distrutto il pianeta. I nostri consumi, le nostre pratiche sono insostenibili e cominciamo tutti a pagarne le conseguenze. Siamo nell’era dell’Antropocene, l’era geologica attuale nella quale noi animali umani (soprattutto occidentali), con i nostri iperconsumi e stili di vita abbiamo modificato interi territori in modo strutturale, e inquinato acqua, aria e terra causando cambiamenti climatici senza precedenti.
Ora dobbiamo fare i conti con tutto questo.”
(dall’introduzione di “Essere natura” di Andrea Staid)
“L’idea di una natura umana perversa e malvagia ha sempre dominato l’immaginario occidentale, alimentando la convinzione che solo istituzioni sociali ferree come lo Stato possono soggiogarla e rendere possibile la convivenza. Ma questa visione gerarchica e disegualitaria ha oltretutto posto una pesante ipoteca sul futuro dell’umanità, proprio perché sostiene che esiste una natura umana, che essa è universale e che pertanto occorre garantirne la realizzazione. Al contrario il pensiero libertario, dai primi classici alle riflessioni contemporanee, rigetta l’idea di una natura umana immutabile, universale, fondativa, e davanti al bivio tra natura e cultura, innatismo e ambientalismo, necessità e libertà, relativismo e universalismo, evita consapevolmente di risolvere in una sintesi la tensione tra questi opposti. Anzi riconosce in un equilibrio volutamente instabile e provvisorio la propria legittima precarietà. In altre parole, il pensiero libertario, e l’anarchismo in particolare, per poter essere coerente con se stesso è obbligato a pensare l’ontologia non come un’essenza ma come una condizione e un divenire.
(Francesco Codello – incipit de “la condizione umana nel pensiero libertario)
La città vetrina e la violenza contro i poveri
Il 9 giugno c’è stato l’incontro “Vetrina per turisti? Torino tra riqualificazioni escludenti e la precarietà delle vite povere e migranti” cui hanno pertecipato Giovanni Semi e Francesco Migliaccio. Qui potete ascoltare la diretta con Semi di quel giorno.
Anche alla luce di quell’incontro, ci siamo confrontati con Francesco Migliaccio.
Appuntamenti:
Sabato 1 luglio
corteo No CPR
ore 17
piazza Castello
Domenica 2 luglio
ore 11 Porta Palazzo
Assemblea contro detenzione e frontiere
7, 8, 9 luglio
Balkan Anarchist Bookfair
Oltre i muri del nazionalismo e della guerra
Ljubljana, Slovenia
Contatti:
Federazione Anarchica Torinese
corso Palermo 46
Riunioni – aperte agli interessati – ogni martedì dalle 21
Contatti: fai_torino@autistici.org – @senzafrontiere.to/
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