So far. I crauti non li digerisci mai
“Se Zoroastro, Cristo o Budda avessero agito nel contesto della musica dei nostri giorni, avrebbero sicuramente fatto parte della scena cosmica tedesca”Julian Cope
“Al centro della musica dei Faust, il tempo ha il ticchettio di una bomba” Da un manifesto dei Faust
E’ un chiodo fisso sapere come sarà la musica di domani. Quella di oggi è molto simile a quella di ieri, come se il tempo avesse tirato il freno a mano in una nowhere land incastrata tra le efemeridi 1960-1979. Non è strano: per dirla con una definizione azzeccata di uno molto famoso “c’è la sensazione che il passato ci stia incatenando, confondendo, ricattando”.
La vicenda da analizzare è localizzabile attraverso diversi puntini su una mappa della germania a.d. circa 1968. La modernità che si impose nel dopoguerra tedesco fu un fulgido esempio di anticonformismo, prese di posizione insostenibili, alto volume e abusi di droghe. Contro una società ancora inchiodata al folklore “di stato” i giovani di ieri sceglievano piuttosto una vita ritirata, dove musicare le paranoie di una generazione che passava dalle bombe alle divisioni comuniste. Sto evidentemente parlando di un fenomeno allora percepito con ritardo, che qualcuno molto lucido avrebbe definito “krautrock”. Esoterismo primitivista (ecco anche un anticipo sul punk!) e sfida al progresso, fu capace (più del punk) di creare una frattura sonica che si sarebbe allargata come una crepa sul muro di berlino. Attori fondamentali, quasi un caso di studio, un gruppetto di artistoidi sfondati e profondamente anarco-anticapitalisti che si ritrovavano in una fattoria di Wumme. Decisero di chiamarsi Faust e cambiarono la musica per sempre. E questo che cazzo c’entra con il postmoderno? un pochino alla volta.
Zoomiamo sul 2014. La Klangbad fa uscire “Flut”, semplicemente l’organo effettato più lacerante dei seventies tedeschi, quello di Hans Joachim Irmler contro (si direbbe) la batteria metronomica di Jaki Liebezeit. Una visione del futuro in 2d alimentata dai protagonisti di quella stagione gloriosa di quasi quarant’anni fa. Ecco il postmoderno. Due vecchietti fanno un disco e la insegnano almeno per un’altra generazione, attraversando minimalismo, pulsioni motoriche, classica d’avanguardia e rumore puro. Lasciando il pubblico dei critici a pontificare su quale sia stata la vera intenzione e su quali confini perimetrino oramai il revival, sembra che i due vecchietti, oggi come allora, abbiano alzato l’asticella.
le certezze le ritrovi in alcuni elementi subito distinguibili, quelle stimmate che su certe mani rimangono, appunto da 40 anni. Se un senso dovranno avere le musiche di domani, nel regno del dejà ecù, sarà da relativizzare sugli altari dei gloriosi tempi di ieri.
Manana Banana Nirvana!
Irmler & Liebezeit – Flut (2014) Un’idea di cosa succederebbe nel caso in cui nel 2014 razionassero la luce. Il kit è ridotto all’osso. Il suono è orizzontale. E ricongiunge tutti i fili che si erano slegati quando la nave krauta andò a sbandare contro gli scogli degli anni 80. Un disco maestoso che apre spazi immensi con pochissime, calibrate, manovre. Un disco con tantissimi ricordi, tutti confusi, di un passato che non passa. E quando Irmler preme sul distorsore Liebezeit risponde pulsando come un metronomo. Scontro tennistico a livello enciclopedico è un disco devastante e nuovamente generazionale. Per la sua natura “povera” (almeno apparentemente) merita ascolti attenti e devoti. (*****)