Torino. Le due piazze del Primo Maggio
Un tempo il simbolo della città era la Mole. Un edificio pazzo che doveva essere una sinagoga ma divenne un fiasco vuoto. Solo da ven’anni l’hanno riempito con il museo del cinema, la vecchia macchina delle illusioni. I turisti fanno la fila e la Torino targata PD ci racconta la favola di una città che sopravvive al dopo Fiat.
I torinesi invece han fatto la coda per visitare il grattacielo di Intesa- SanPaolo del senatore dem e archistar genovese Renzo Piano. Una scheggia di ghiaccio tra il tribunale e il palazzo dell’ex Provincia, il simbolo del legame tra l’amministrazione comunale e regionale e la Banca. Il comune concesse il terreno per un pugno di soldi, la Banca coprì il buco nelle casse del comune, Chiamparino venne rieletto sindaco, poi si parcheggiò nella poltrona di presidente della Compagnia di SanPaolo per approdare a quella di governatore regionale. Torino non venne travolta dalle inchieste che hanno segnato la gestione di Expo a Milano dopo il passaggio di consegne dal centro destra agli arancioni di Pisapia. Ma, nonostante tutto, la città non è del tutto pacificata.
In questo maggio il centro è sottosequestro per la Sindone, i commercianti non fanno affari e si lamentano., il sindaco post comunista replica che non si vive di solo pane e per il Primo Maggio vola a Milano per i manicaretti all’inaugurazione dell’Expo, grande abbuffata collettiva per palazzinari e coop rosse. Il grande baraccone mai-finito che già crolla a pezzi è il simbolo di una classe politica che non riesce ad ancorarsi neppure nell’oggi più effimero.
Anche il governatore Chiamparino si è lasciato alle spalle le rovine della Torino olimpica per un lungo weekend di vacanze.
I maligni sospettano che nessuno dei due avesse voglia della consueta bordata di fischi della piazza del Primo Maggio torinese.
Quest’anno il PD aveva chiesto ai sindacati di proteggerlo, ma Cgil, Cisl e Uil non ne hanno voluto sapere. E’ finita con i picchiatori prezzolati dell’Hydra in pettorina PD schierati in piazza e la polizia che ha diviso in due il corteo per tenere lontani i contestatori.
Il solco tra la piazza istituzionale e quella delle lotte sociali è sempre più profondo.
Lo spezzone rosso e nero ha attraversato il centro cittadino aperto dallo striscione “né Stati né padroni. Azione diretta”.
Nei vari interventi dal camion c’è il senso di una giornata di sciopero, lontana dalla retorica della “festa”, che sindacati e sinistra istituzionale vorrebbero imporre, sradicando dall’immaginario il retaggio di lotta che accompagna questa giornata sin dal 1886.
Dal volantino distribuito in piazza: “Ci raccontano che viviamo nel migliore dei mondi possibili, che liberismo e democrazia garantiscono pace, libertà, benessere. Ci raccontano le favole e pretendono che ci crediamo. Intanto piovono pietre. (…)
Le leggi condannano gli anziani ad una vecchiaia senza dignità, i giovani alla precarietà a vita. Con il contratto a tutele crescenti i nuovi assunti avranno contratti a tempo indeterminato. Una bella favola. I padroni per tre anni non pagano contributi e possono licenziarti a piacere. Se il licenziamento è illegittimo ti danno due soldi e via. La precarietà cambia solo nome e diventa normale per tutti. (…)
A Milano l’Expo mette in scena l’Italia ai tempi di Renzi, tra cantieri miliardari e morti di lavoro, agro business e green economy, lavoro gratuito e servitù volontaria, sfratti e polizia, gentrification e colate di cemento.
Un mostro che affama il pianeta, lo desertifica, lo trasforma in una discarica.
Il suo modello è Eataly, il supermercato MangiaItalia, dove precarietà e sfruttamento sono la regola.
Chi si fa ricco con il lavoro altrui non guarda in faccia nessuno. Chi governa racconta la favola che sfruttati e sfruttatori stanno sulla stessa barca e elargisce continui regali ai padroni.
I padroni si sentono forti e sono passati all’incasso.
Renzi vuole la fine delle lotta di classe, la resa senza condizioni dei lavoratori. (…)
C’è chi non ci sta, chi si ribella ad un destino già scritto, chi vuole riprendersi il futuro. (…)
Cambiare la rotta è possibile. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi.
Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile. (…) Tocca a noi costruirlo”.
Lo spezzone anarchico si conclude in piazza San Carlo con un ultimo intervento.
Poi via di corsa verso Milano per il corteo No Expo. La giornata sarà ancora lunga.
Ascolta la cronaca di Anarres: