Rohingya: una pulizia etno-religiosa per rendere democratica la Birmania
Scritto dainfosu 13 Gennaio 2017
La Leader birmana Aung San Suu Kyi ha dato la colpa di quanto sta avvenendo nella Birmania occidentale a quello che ha descritto come un “clima di paura” che esacerba le tensioni tra musulmani e buddisti. In realtà la sua affermazione è frutto di una scelta di realpolitik volta a non spegnere il processo di democratizzazione del paese, legittimando anche eccidi, deportazioni di civili, espulsioni di intere famiglie di etnia rohingya, non riconosciuta come appartenente al Myanmar, pur vivendo da generazioni in quel territorio. L’accusa dei buddisti birmani è di essere un’eredità del colonialismo britannico che li aveva introdotti dal Bangladesh, che però a sua volta non riconosce l’etnia come facente parte di quelle riconoducibili alla nazione bangladesha. Questo ha prodotto una situazione atroce in cui si dibattono poco più di un milione di musulmani birmani perseguitati pretestuosamente con motivi religiosi ed etnici, che poi si rivelano con il nascondere più sostanziali motivi economici espressi in episodi di land grabbing, non potendo persone a cui è negato qualunque riconoscimento di esistenza e cittadinanza rivendicare la proprietà di buoni terreni agricoli.
Nel corso degli ultimi due anni, la violenza tra buddisti e musulmani Rohingya è scoppiata nello stato Rakhine. Ci sono stati anche scontri tra buddisti e musulmani nella Birmania centrale. I musulmani hanno sopportato il peggio della violenza, con centinaia di morti, spesso da folle armate di coltelli e bastoni; ora capita anche che siano costretti a non sbarcare dai battelli che li trasportano fuori dal Myanmar ma da cui non possono entrare in Bangladesh. Una situazione esplosiva, rinfocolata dall’appoggio ultimamente di pakistani e afgani, giunti in soccorso dei musulmani Rohingya, consentendo così ai militari birmani di lanciare l’allarme contro gli jihadisti, in particolare da quando sono stati attribuiti a un gruppo rohingya (Harakah al-Yaqin, guidato da militanti emigrati in Arabia Saudita e con esperienza nelle tecniche di moderna guerriglia) gli attacchi contro la polizia di frontiera con il Bangladesh del 9 ottobre; da allora è in atto una pulizia etnica di civili musulmani e un video in particolare ha documentato le violenze della polizia su civili costretti a vivere in baracche .
La stampa specializzata occidentale si è accorta di questo conflitto quando un’immagine di un infante morto nella stessa posizione di Adan, il bambino siriano che commosse Frau Merkel fu pubblicata, ma molti esperti di geopolitica si occupano della diaspora rohingya dal 2012. Abbiamo sentito Andrea Peri, redattore di “China Files”, che ci ha illustrato un quadro preciso sia degli eventi birmani, sia il contorno di potenze interessate a fare affari con il Myanmar democratizzato da Aung San Su Kiy: