Afrin. Venti di guerra tra Siria e Turchia
Scritto dainfosu 20 Febbraio 2018
La decisione di inviare truppe nel cantone di Afrin, sotto attacco turco da quasi un mese, potrebbe sfociare in uno scontro diretto tra Damasco e Istanbul.
L’accordo tra il governo siriano e YPG, le unità di difesa popolare dell’enclave curda, ha suscitato la reazione adirata di Ankara, che minaccia l’escalation militare.
Erdogan, dopo l’incontro con il segretario di Stato statunitense Tillerson, aveva ribadito l’intenzione di rimanere nell’area.
Nel complesso risiko siriano, l’area del confederalismo democratico siriano ha fatto una politica delle alleanze che le consentisse di sopravvivere. Il ritiro delle truppe russe dall’area di Afrin ha dato il via libera all’operazione “Ramoscello d’Ulivo”. La scelta di Assad pone i russi di fronte al fatto compiuto: ora dovranno decidere se sostenere Damasco o cedere alla mire della Turchia.
La guerra per il controllo della Siria non è finita. La caduta di Raqqa e di buona parte dello Stato Islamico ha solo aperto un nuovo capitolo dello scontro imperialista che si sta combattendo nel paese da ormai 7 anni.
La rivolta non violenta e democratica durò un soffio, subito soppiantata dall’insurrezione jihaidista, favorita da Turchia e Stati Uniti, che hanno fatto del confine turco-siriano l’autostrada dei volontari islamisti, accorsi in Siria da ogni dove. La debacle afgana non ha insegnato nulla agli statunitensi. La Turchia di Erdogan invece ha lavorato ad un progetto egemonico nell’area, che pur fallito nell’obiettivo principale di spodestare Assad, si riposiziona intorno al disciplinamento dei curdi siriani. Erdogan ha vinto la battaglia interna con il ferro, il fuoco e la galera ma ha bisogno di eliminare la spina nel fianco rappresentata dal Rojava.
I rapporti tra Stati Uniti e Turchia, i due più potenti eserciti della NATO. Sono sempre più tesi.
l ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu, con un riferimento velato anche al caso di Fethullah Gülen, l’imam in esilio negli Stati Uniti, la bestia nera del governo turco, ha parlato di “rischio di frattura insanabile”. Erdogan ha minacciato di muovere anche verso Manbij dove stazionano gli americani.
Gli statunitensi hanno sostenuto le milizie curde contro il Califfato, le hanno utilizzate nell’assedio di Raqqa, le tengono schierate per contenere Assad e adesso le vedono bersagliate dalle truppe turche e dalle formazioni che appoggiano Ankara, addestrate a suo tempo proprio dagli Stati Uniti in funzione anti-Assad.
L’obiettivo finale della Turchia sembra abbastanza evidente: intende scavare una fascia di sicurezza dentro al confine siriano per tenere a bada le milizie dei curdi, considerati terroristi alleati del Pkk turco-curdo.
La mossa di Assad scompagina nuovamente le carte, rendendo difficile una tregua che garantisca alla Turchia il cuscinetto oltre la frontiera
Ci sono quattro attori principali in campo: la Turchia, gli Stati Uniti, la Russia e la Siria di Assad. E, defilato ma potente, l’Iran. Tutti hanno obiettivi diversi sul breve medio termine. La Russia avrebbe dato il suo assenso all’operazione militare di Erdogan per avere mano libera con Bashar al Assad nella regione di Idlib dove sono concentrate le forze dell’opposizione tra cui le milizie jihadiste e quella affiliate ad Al Qaeda.
L’obiettivo minimo degli Usa è proteggere i curdi siriani altrimenti il loro prestigio nella regione verrà pericolosamente scalfito. È vero che gli Usa hanno annunciato un progressivo ritiro delle truppe dall’Iraq, ma il disimpegno di Washington non può essere certo totale: non è da escludere, secondo alcune fonti diplomatiche, che gli Usa possano chiedere ai loro alleati occidentali che si trovano già in Iraq – come l’Italia – di fare un’azione smile di stabilizzazione anche in Siria: ma qui naturalmente la situazione è ancora più complessa e necessita del consenso di molti attori. Siamo quindi ancora nel campo delle ipotesi, non confermate, che sarebbero affiorate durante la visita del ministro della Difesa statunitense James Mattis venuto a Roma nei giorni scorsi per una riunione di 15 di ministri della Difesa della coalizione internazionale anti-Isis.
Il groviglio siriano è sempre più inestricabile.
Ne abbiamo parlato con Alberto Negri, collaboratore dell’Espresso e analista geopolitico per l’ISPI.
Ascolta la diretta: