Paralizzarne uno per terrorizzare tutti: la subdola repressione del taser
Scritto dainfosu 8 Settembre 2018
C’è elettricità oggi nell’aria: i media mainstream gongolano tutta la loro fibrillazione perché si è sedata una lite in via Lauro Rossi a Torino semplicemente con la prima estrazione del taser dalla fondina, un condizionamento di qualsiasi espressione sociale in una qualunque comunità. A questo proposito ieri abbiamo potuto valerci dell’intervento di Denis, componente del Prison Break Project, a illustrarci tutto l’orrore che si cela dietro a uno strumento pensato come arma contro gli insubordinati in dotazione dei nuovi sceriffi che cambierà qualsiasi relazione tra chi può ora terrorizzare e chi rischia mutilazioni, dolorose scariche, infarti… incontrollabilità del proprio corpo paralizzato. Deterrenza verso le vittime e deresponsabilizzazione degli aguzzini.
Abbiamo invitato Denis a ripercorrere i diversi aspetti approfonditi nel bell’opuscolo che si può scaricare gratuitamente dal sito e lo scambio è stato molto istruttivo per quanto a tratti orrifico, non solo per i mille morti ormai conosciuti anche alle masse distratte (ma che devono essere informate per potersi sentire sicure e contemporaneamente dover assumere atteggiamenti di sottomissione), ma proprio per la minaccia equiparata al manganello di una pistola che ha già mutilato molti e che invece Gabrielli spaccia come sistema più sicuro per immobilizzare rispetto ai cinque colpi serviti a uccidere Jefferson Tomalà per sottoporlo a un Tso.
Un altro aspetto è quello accennato nel titolo: l’individualizzazione del soggetto da colpire per omologarlo a chi è al suo fianco e vede così cosa rischia, “cambiando il paradigma dell’ordine pubblico”, con lo scopo di evitare ogni forma di contatto e di organizzazione di lotta da ora in poi, visto che chiunque sia il gestore del Viminale si è dimostrato che non recederà da qualunque strumento sia stato messo a disposizione della repressione e tra questi vi sono anche i proiettili di gomma e le granate di frammentazione. La facilità di utilizzo di questi arnesi si giustifica automaticamente, banalizzando le potenzialità micidiali di un’arma dichiarata non letale senza problematizzarne l’uso e non solo in luoghi chiusi come penitenziari e Cpr.
C’è però una speranza che proviene dalle esperienze pregresse per ridurre il danno e diminuire l’impatto, come si coglie nella testimonianza di Denis… e poi c’è un altro augurio che possiamo fare al capo della polizia ed è che ne facciano largo uso nelle caserme per risolvere i problemi interni alla comunità in divisa, tanto è solo una scarica di energia.