Anche la Colombia insorge… e con determinazione
Scritto dainfosu 28 Novembre 2019
Anche in Colombia si sono scatenati moti di piazza in questo novembre che in tutto il mondo vede contrapporsi ampi strati di popolazione ai sistemi di potere costituiti, di ogni tipo; una mobilitazione senza precedenti – conclusasi con un diffuso e assordante rumore di pentole – a cui hanno preso parte organizzazioni indigene, movimenti sociali, partiti di opposizione, compresa l’ex guerriglia Farc, ma la partecipazione delle organizzazioni o dei partiti è avvenuta in sordina, senza tentare di mettere il cappello a una mobilitazione nata e diffusa dal basso. Nella stragrande maggioranza dei casi la contrapposizione è tra un movimento senza leader e molto composito contro un autocrate, e anche in questo caso è abbastanza simile all’insurrezione cilena, ma ovviamente con caratteristiche che rendono la situazione unica, per quanto sia possibile iscriverla nella ribellione contro la globale mancanza di risposte ai bisogni delle persone di qualsiasi latitudine. Infatti in ciascun moto di piazza in corso vengono avanzati punti di esigenze imprescindibili che non sono richieste ma imposizioni al potere; spesso la prima risposta è arrogante da parte del sistema, la seconda è una cieca repressione – e anche nel caso della Colombia ci sono stati arresti, un morto, botte e lacrimogeni – infine il presidente di turno cerca il dialogo… ma ormai è tardi. Lo ha cercato Macron, aveva tentato Hariri, lo ha tentato persino Pinera, dopo aver ucciso, massacrato, torturato… e ci prova anche Ivan Duque
Abbiamo chiesto ad Ana Cristina Vargas di spiegarci lo sfondo su cui si muove questo movimento in modo più approfondito di quel poco che la stampa mainstream ha dedicato al conflitto tra cittadini e potere di Duque (e delle teorie neoliberiste del Fmi) che ha condotto a imponenti manifestazioni, alla morte di Dylan Cruz (ma anche di 770 sindacalisti in tre anni a cui vanno aggiunti attivisti indigeni) in questo autunno particolare: